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Autore: reilin    13/09/2013    1 recensioni
Mentre spilla un barile di birra, all'improvviso gli ritornano alla mente i bei tempi dell'operazione sotto copertura al Trafford Arms insieme a Sammy boy: quanto vorrebbe che il vecchio Tyler fosse lì! Lui saprebbe sicuramente come aiutarlo ad uscire fuori da questa situazione, ed ora più che mai Gene avrebbe bisogno di parlare con lui, di raccontargli tutto su Bolly e chiedergli un dannato consiglio! Il pensiero del suo DI di Manchester, però, non fa che aggiungere altra amarezza e altri sensi di colpa a quelli che già prova: maledetto Tyler, doveva proprio scomparire quando lui ne aveva più bisogno?
[Post S02E08]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gene Hunt
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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gene costa brava
What have I become, my sweetest friend?

Gene Hunt si asciuga il sudore dalla fronte con la manica della camicia: è mai possibile che in quel posto anche a fine gennaio faccia quasi più caldo che a Manchester in estate? I suoi occhi chiarissimi arrossati dal vento e dalla salsedine si posano stancamente sul paesaggio di fronte a lui: un cielo di un azzurro quasi irreale si staglia contro il profilo irregolare e marcato della costa spagnola. Una piccola smorfia, quasi l'accenno di un sorriso, anima appena le sue labbra: quel luogo è  così simile a lui e forse, proprio per questo, nonostante tutto, lui ci si sente quasi a suo agio.
Sono trascorsi quasi tre mesi, ormai, da quando ha abbandonato Londra ed il suo lavoro al CID di Fenchurch East, all'incirca novanta giorni dalla maledetta rapina di King Douglas Lane, da quando un colpo partito dalla sua pistola si è fatto strada nel corpo di Bolly. Il cuore gli sussulta ancora nel petto se ripensa a quegli istanti concitati, al panico e al senso di impotenza che hanno attanagliato lui - il Leone di Manchester - nel vederla cadere a terra e chiudere gli occhi, il suo viso rilassato, quasi felice nella consapevolezza di essere in procinto di morire. Avrebbe voluto avvicinarsi a lei, stringerle la mano e dirle - urlarle, implorarla - di non lasciarsi andare, di tenere duro, ma il suo stesso corpo si era rifiutato di obbedirgli e così lui era rimasto in piedi, immobile, con in mano la sua Magnum ancora fumante, mentre il resto della sua squadra - sgomenta quanto e forse anche più di lui - cercava di soccorrere Alex tamponando la ferita, chiamando un'ambulanza, o semplicemente pregando silenziosamente per lei.


Era riuscita a vederla per poco più di un attimo subito dopo l'intervento chirurgico che le aveva estratto la pallottola dall'addome: della sua fiera ed indomabile ispettrice non era rimasto che un ricordo sbiadito, una donna più pallida del lenzuolo che la copriva, il corpo profanato da aghi e sonde collegate ai macchinari che la tenevano in vita, il suo viso era vuoto, palpebre livide nascondevano le iridi color nocciola che sapevano leggere così bene e a fondo in lui. Le mani di Gene si erano serrate in pugni dolorosamente stretti ed improvvisamente aveva sentito il bisogno di battere le palpebre per combattere il bruciore che minacciava di divorare i suoi occhi. Non appena aveva provato ad aprire bocca per dire qualcosa a Bolly - ricordava di aver sentito dire sia da Sam che da lei che parlare a chi era in coma poteva aiutarlo a risvegliarsi - un pesante ed enorme nodo gli aveva attanagliato la gola e non era riuscito ad emettere che qualche mugolio. Tutta quella situazione era profondamente e completamente malata, irreale: lei doveva essere ancora lì, accanto a lui, ad ancheggiare nei suoi jeans indecentemente stretti, e non in un letto di ospedale ridotta ad un guscio, all'ombra di tutto ciò che era stata! Avrebbe voluto chiederle scusa per averla sospesa, per non averle creduto, per essere stato un bastardo per l'ennesima volta, avrebbe voluto dirle che non le aveva sparato di proposito, mai avrebbe potuto farlo e lei   lo sapeva, avrebbe voluto implorarla di svegliarsi e di sorridergli, di dirgli che tutto sarebbe andato a posto, ma Gene il Genio non fa queste cose e soprattutto  farlo avrebbe significato accettare quella situazione, e lui non era assolutamente disposto  - e neanche pronto - a farlo. Aveva così fatto ricorso a tutte le forze ed il coraggio che gli restavano in corpo e l'aveva rimbrottata con la sua solita voce burbera: «Bolly! Bols! Non so se riesci a sentirmi, Bols. Le infermiere ritorneranno fra un minuto ed io ho bisogno che tu ti svegli. Se ti dessi uno schiaffo aiuterebbe? Pensano che ti abbia sparato... beh, certo che ti ho sparato, ma non l'ho fatto apposta... Mi stanno dando la caccia, Bolly Kecks, sono dovuto scappare. Ho bisogno che tu ti svegli, andiamo, esci fuori da quel coma, Bolly!».
Alex, però, non si era svegliata: se ne era rimasta immobile nel suo letto, probabilmente non l'aveva nemmeno ascoltato, testarda ed ostinata come al solito! L'uomo le aveva rivolto un ultimo lungo sguardo prima di allontanarsi a grandi passi da quella stanza, da quell'ospedale, da quella città, da quell'incubo.
Aveva trovato rifugio nell'isola di Wight, ma era uno schifo, lì, e dopo poco più di una settimana aveva di nuovo messo in valigia le quattro cose che si era portato dietro ed era ripartito per la Spagna, destinazione Costa Brava.
Non appena aveva messo piede a Tossa de Mar, aveva capito subito che quel posto faceva per lui. L'autunno inoltrato aveva svuotato le strade e le spiagge dalle orde caotiche di turisti, lasciando il paese ad una manciata di silenziosi pescatori e alle loro barche scrostate dalla salsedine. La Taberna El Tigre era un piccolo bar  scalcinato di fronte alla spiaggia: Gene ci era entrato per puro caso, stanco e col viso arrossato dal vento e dal sole , sebbene  questo fosse solo un pallido disco nel cielo terso. Subito dopo aver aperto la porta si era trovato davanti tavoli, sedie ed un bancone in vecchio legno scolorito: gli era sembrato di essere piombato in uno di quei saloon dei film western di Eastwood, e come un cowboy stanco aveva trascinato i suoi stivali in pelle di coccodrillo fino ad uno sgabello e si era seduto svogliatamente.
«Cosa posso portarti, hombre?», gli aveva chiesto in un inglese stentato un uomo di mezza età dalla pelle bruciata dal sole e dai radi capelli scuri, che sembrava la versione macha di Luigi.
«Un bicchiere della schifezza della casa, amico», aveva risposto Gene, sbuffando e appoggiando i gomiti sul piano graffiato del bancone.
Poco dopo il barista gli aveva messo davanti un un bicchierino pieno di un liquido color rubino, aggiungendo: ­­«Tempranillo. Questa è la nostra famosa grappa rossa. Fai attenzione, è molto forte».
Ignorando l'avvertimento ricevuto, lui l'aveva mandata giù in un solo sorso, trovando conforto nella sensazione di bruciante calore che aveva pervaso la sua gola, anestetizzando i suoi sensi: proprio ciò di cui aveva bisogno.
«Ehi, ehi, Ci sono solo due motivi per cui un hombre beve così: hai  problemi col trabajo o con una chica?», aveva chiesto il gestore della taverna nel suo miglior tono cordiale.
«Con entrambi, suppongo...», aveva risposto l'altro laconicamente, rigirandosi fra le mani il bicchiere vuoto.
«Allora non c'è che una cosa da fare: bere fino a dimenticare, mi amigo!», aveva esclamato l'equivalente spagnolo di Luigi, poggiando con enfasi la bottiglia di grappa davanti a Gene, «questa sera offre la casa!».
 L'ispettore aveva accettato di buon grado il dono del barman: aveva intenzione di bere fino a dimenticare tutto, persino dov'era e soprattutto il motivo per cui era lì.
Quella sera Gene Hunt aveva trovato una silenziosa e discreta spalla, un lavoro e un posto in cui vivere: Pedro, il proprietario della Taberna El Tigre, infatti, gli aveva chiesto di aiutarlo in osteria in cambio di una manciata di pesos, la possibilità di bere qualunque cosa desiderasse e di un posto in cui dormire - uno stanzino talmente piccolo che conteneva a malapena un letto ed un armadietto -.


Deve ammettere che stare dietro al bancone di quel piccolo bar ha qualche lato positivo: potersi sbronzare fin dalle prime ore del mattino, tanto per cominciare, oltre che tenersi occupato e non pensare a ciò che si è lasciato alle spalle. I pescatori che frequentano  la taverna sono persone a posto, uomini di poche parole che lavorano sodo, e lui si trova perfettamente a suo agio in mezzo a loro: in poco tempo è riuscito ad imparare abbastanza spagnolo da riuscire a destreggiarsi tranquillamente fra ordinazioni e liquori vari, oltre che - ovviamente - una sequela infinita di parolacce ed insulti.
Mentre spilla un barile di birra, all'improvviso gli  ritornano alla mente i bei tempi d'oro dell'operazione sotto copertura al Trafford Arms insieme a Sammy boy: quanto vorrebbe che il vecchio Tyler fosse lì! Lui saprebbe sicuramente come aiutarlo ad uscire fuori da questa situazione, ed ora più che mai Gene avrebbe bisogno di parlare con lui, di raccontargli tutto su Bolly e chiedergli un dannato consiglio! Il pensiero del suo DI di Manchester, però, non fa che aggiungere altra amarezza e altri sensi di colpa a quelli che già prova: maledetto Tyler, doveva proprio scomparire quando lui ne aveva più bisogno?

Il filo dei suoi pensieri è interrotto dal suono di una voce rumorosa e gioviale che si erge dalla chiassosa ed allegra confusione che riempie il locale.
«Gene, amigo, vieni con nosotros a brindare alla nascita del mio primo hijo», lo invita Luis, uno dei pescatori che trascorrono abitualmente le loro serate a bere in quella taverna.
Pedro prende dal retro del bancone una bottiglia dall'aspetto piuttosto costoso prima di fare un cenno con la testa verso il tavolo degli uomini in festa: «Andiamo a farci un goccio  insieme a loro, hombre!». Gene gli rivolge un abbozzo di sorriso e lo segue.
«Questa la offre la casa!», proclama allegramente l'oste, poggiando con un gesto teatrale la bottiglia davanti a Luis. Immediatamente i due vengono trascinati nell'euforia dei festeggiamenti, con tanto di strette di mani e virili pacche sulle spalle, canti ed un brindisi dopo l'altro.
Nonostante siano passati più di due mesi da quando  vive e lavora lì, non è ancora riuscito ad abituarsi al loro modo di fare ed affrontare ogni cosa così rumorosamente e probabilmente non riuscirà mai a  farci del tutto il callo, no: lui non è proprio il tipo da mostrare i suoi sentimenti davanti a tutto il resto del mondo, è più un eroe solitario alla Gary Cooper.

Fra le grida di gioia ed i fischi dei presenti la bottiglia viene stappata ed il suo contenuto leggermente dorato viene versato in dei calici che sembrano non essere stati mai usati: sono talmente nuovi che sembrano quasi stonare in quel contesto un po' sgangherato.
«Uhm, questa roba non è niente male, Pedro! Che cos'è, spumante? Champagne?», chiede Gene dopo averne bevuto un paio di sorsi, mentre giocherella col suo bicchiere.
«Nada de esto, Gene! Questo qui è  Cava, un vino spumante delle nostre terre della Catalogna! Questa sì che è roba buona, non quella schifezza francese del Bollinger, amigo!».
«Beh, in effetti va giù che è una meraviglia », osserva tracannando  in un solo sorso il rimanente contenuto del suo calice, «Bolly andrebbe matta per questa roba snob!».
Da quando ha lasciato Londra, da quella maledetta mattina di novembre, non c'è stato un solo giorno in cui  non abbia pensato ad Alex, ma ora l'aver pronunciato ad alta voce il suo nome - o per meglio dire, il nomignolo che  le ha dato - ha risvegliato qualcosa in lui. In un attimo davanti ai suoi occhi scorrono tutti gli istanti passati con lei:  dal momento in cui l'ha vista per la prima volta, strizzata in quell'impossibile vestitino rosso, svenire dopo averlo riconosciuto,  a quello in cui, ferita gravemente, si era accasciata sul lurido marciapiede di King Douglas Lane ed aveva lentamente perso conoscenza e chiuso gli occhi mentre sulle sue labbra moriva il suono della parola "Gene".
È come se all'improvviso riuscisse a vedere tutto da un'altra prospettiva: cosa ci fa in questo posto dimenticato da Dio e dagli uomini? Che senso ha trascorrere un giorno dopo l'altro dietro un bancone a servire vino scadente e a lucidare vecchi bicchieri? Si è davvero illuso di potersi ubriacare di Tempranillo fino ad affogare il suo senso di colpa o che infilarsi nel letto di qualche giovane e disponibile donna del posto e passare la notte con lei l'avrebbe fatto sentire meno solo?
Lei è sempre stata lì, in un angolo della sua mente: per quanto Gene ci abbia provato, la sua immagine non l'ha mai lasciato, lei non ha mai smesso di bruciare nelle sue vene e sotto la sua pelle, molto più di quel sole spagnolo.
Mentre con mani tremanti riempie nuovamente il suo bicchiere di spumante, una domanda che fino a quel momento ha rifiutato di porsi balena nella sua testa: chissà cosa sta facendo Bolly, ora?
Forse è uscita dall'ospedale e si sta facendo viziare da qualche stronzo yuppie che ha la fortuna di poterle stare accanto durante la sua convalescenza.
Forse è ancora nel letto dove lui l'ha lasciata, ancora in coma, e sta sognando di essere finalmente tornata nell'improbabile futuro dal quale gli ha confessato di venire.
Forse non ce l'ha fatta, ha smesso di lottare ed ha lasciato che la forza di quella pallottola la portasse via, giù, giù, sei piedi sotto terra. Rabbrividisce al solo pensiero del morbido corpo di Alex che giace in una bara, immobile e freddo, dei suoi occhi color nocciola vivaci e profondi, quelle due finestre sul mondo - sul suo mondo - chiusi, privati per sempre della loro luce.
No, Bolly non può essere morta: lei è una combattente e non mollerà, è troppo ostinata per arrendersi alla morte, questo è certo, così come è certo che il suo posto non è lì, in quell'osteria. Anche Gene Hunt è un guerriero, e non fugge di fronte alle difficoltà, per quanto insormontabili esse possano essere.
In un attimo la sua decisione è presa: tornerà a Londra e affronterà l'inferno che lo attende. Tornerà da Alex, e, se lei è ancora in quel letto, la costringerà a svegliarsi  - a qualunque costo, dovesse anche schiaffeggiarla - poi metterà su il suo broncio più credibile e la sgriderà per essersi messa davanti alla traiettoria del suo colpo di pistola.
Terrà per sé il sollievo e la gioia di poterla avere di nuovo accanto a lui, di poter ascoltare di nuovo la sua voce indignata che lo rimprovera, di sentirsi addosso il suo sguardo indagatore: saranno nuovamente loro, Alex e Gene, maledettamente inseparabili.


Ed eccoci qui alle note finali di questa oneshot: grazie per essere arrivati fin qui ed aver seguito questa mia ennesima follia! *lancia Garibaldis e pink wafers sulle lettrici*
L'idea di base per questa fanfiction mi è venuta guardando Mad Dogs, la serie TV trasmessa in Gran Bretagna da Sky One nella quale compaiono sia Philip Glenister che John Simm: le coste spagnole e Philip in camicia azzurra e viso scottato dal sole mi hanno ispirata ed ecco che è venuta fuori questa introspettiva dal POV di Gene Hunt, collocata temporalmente fra la 2x08 e la 3x01.
Ho sempre pensato che la seconda stagione di Ashes to Ashes fosse quella che mi avesse attirato di meno: beh, mi sono dovuta ricredere, almeno basandomi sul numero di storie che ho scritto e che riguardano proprio la series 2.

Oltre a Phil e la meravigliosa villa di Alvo a Maiorca, questa OS è stata ispirata dai seguenti prompt:

* Ci sono due ragioni per bere. La prima per calmare sete. La seconda, quando non hai sete, per prevenirla. ‒ Thomas Love Peacock.  [Summer Drabble Day della LJ Comm 24_hours_of_fun ];

* Ashes to Ashes, Gene Hunt, fuga in Costa Brava  [LJ comm piscina di prompt ];

* Il titolo della storia è tratto dal refrain della canzone Hurt di Johnny Cash.

Ta' muchly, luvs!

reilin


   
 
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