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Autore: Loreparda    14/09/2013    2 recensioni
Storia partecipante alla sfida indetta nel gruppo facebook “Efp - salotto con tè e cupcake”, con scadenza il 15/09/2013.
Dolore, questo la affliggeva fisicamente, insieme alla consapevolezza delle opportunità non colte durante la vita.
Desiderio, questo la tormentava psicologicamente, al ricordo della pura polvere bianca iniettata nelle vene.
Tranquillità, questo prendeva il sopravvento su entrambi le sensazioni, grazie ad una siringa infilzatole da un uomo dal camice verde.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LE SCELTE SI FANNO IN POCHI SECONDI E SI SCONTANO NEL TEMPO RESTANTE.

 
Una quantità infinita di luminose stelle, incastonate nella volta celeste, rischiarava la notte che, contrariamente, sarebbe parsa buia a causa della luna nuova.
Più in basso, le tenebre scure congiungevano lo spazio sovrastante al tempestoso mare, le cui onde s’infrangevano ad intervalli regolari sugli scogli e sfumavano in una schiuma bianca, contrastante con il colore nero della pietra.
Al centro dell'Isola di Formica - così denominata per le sue ridotte dimensioni - era, però, possibile distinguere diverse strutture: una chiesa di antica costruzione, un museo contenente testimonianze materiali del passaggio di numerose civiltà, una costruzione fortificata adibita a faro.
Visibili a distanza erano due cadenti edifici di simile aspetto.
All'esterno decorati di un oramai scrostato giallo tendente al rosa, con un paio d’imponenti portoni di legno a rappresentare le uniche aperture verso l'esterno e un'insegna plastificata scolorita su cui s’intravedeva una scritta - "Mondo X: comunità terapeutica per tossicodipendenti." -; all'interno diviso in singole camere essenziali, provviste di un letto, un lavabo e un water.
Complice la tarda ora, l'intero lembo di terra era avvolto in un silenzio ovattato, interrotto di rado dai pianti disperati o dalle urla furiose dei pazienti, sedati prontamente dagli infermieri di turno.
Una ragazza di diciotto anni - secondo l'età anagrafica indicata nel documento d'identità - giaceva scossa da brividi sul duro materasso, avvolta in un lenzuolo macchiato dal tempo, con le gambe strette al petto nel tentativo di riscaldarsi ed i lunghi capelli corvini sparsi sul cuscino.
I vuoti occhi dai capillari rossi in evidenza fissavano il soffitto spoglio, le iridi chiare risucchiate dalle pupille dilatate, mentre i denti consumati mordevano insaziabili le secche labbra screpolate fino ad assaporarne con avidità il sangue fuoriuscito.
La diciottenne si sollevò a fatica, costatando quanto le sue capacità motorie fossero al momento pressoché nulle, e frugò sul fondo della borsa, conservata sotto la rete, prima lentamente, poi velocemente, arrivando infine a svuotarla alla ricerca di cibo che la aiutasse ad attutire sia l'insonnia sia la fame, che le impedivano di riposare.
Tra un paio di blu jeans strappato in prossimità delle ginocchia e una felpa a tinta unica munita di cappuccio, scovò un solitario quadrato di cioccolato, ma nella foga le cadde sul pavimento: lo raccolse, inginocchiandosi sulle fredde mattonelle, e, incurante dei microbi, lo ingoiò in un boccone.
Ciò che in verità bramava, nel pieno di una crisi di astinenza, era lungi dal corrispondere ad una dose di carboidrati.
A undici anni aveva fumato la prima sigaretta, comprata di nascosto dai genitori con i soldi del pranzo, in un bagno della scuola e in compagnia di due amiche, passando l'anno successivo alle canne da lei rollate in previsione di un'interrogazione, un compito in classe o qualsiasi altro avvenimento relativamente importante.
A quattordici anni, frequentando le discoteche grazie a documenti falsi procuratele da conoscenti, era entrata in definitiva nel tunnel della droga, sballandosi ad ogni festa - non se ne perdeva una, a costo di fuggire dalla finestra come gli adolescenti dei film statunitensi! - e variando dalla cocaina all'anfetamina o dal popper allo speed.
Il solo stupefacente che evitava era l'eroina, impaurita dalle notizie di morti legate all'assunzione di questa sostanza, ma a diciassette anni aveva voluto provarla - «Una dose che male mi può fare?'» si era autoconvinta - e da quel momento non ne aveva più fatto a meno.
La droga, però, aveva e ha tuttora un prezzo considerevole e, quando aveva esaurito i soldi - racimolati con lavori saltuari-, era stata costretta a vendere i gioielli posseduti ad un compro - oro a poco prezzo.
Per quanto riguarda il rubare ai genitori - al padre che lavorava dodici ore al giorno per pagare il mutuo e alla madre che rimaneva sveglia sul divano ad aspettarla fino all'alba -, non si era mai spinta a farlo.
Un giorno, o meglio una notte, camminando con le ginocchia instabili e appoggiando le mani alle pareti di un vicolo, aveva incontrato lui, spacciatore e problematico quanto lei.
Avevano iniziato a frequentarsi, lui attratto da quella bassa ragazza particolare, lei attratta dalla possibilità di ottenere la roba gratis.
La loro già complicata relazione era stata ostacolata dai genitori della mora, contrari a quel rapporto e speranzosi in un fidanzato in grado di riportare la loro adorata figlia sulla retta via.
Alcuni mesi dopo, lo spacciatore l'aveva lasciata - «Io ti amo, ma entrambi siamo dipendenti da questa merda. Io voglio uscirne e dovresti tentare anche tu. Insieme, non ce la faremmo.» le aveva detto reggendole il mento e guardandola negli occhi - stampandole un delicato bacio d'addio sulla guancia destra.
E lei si era chiusa in casa per un mese, aiutata dalla madre, per "togliersi le scoppiature", come si definiva in gergo l'atto di disintossicazione.
La ragazza dagli occhi chiari era riuscita a tornare alla normalità, ottenendo un impiego e tenendosi alla larga dalle discoteche, finché, di ritorno dal turno di cameriera, non aveva sentito il suono delle sirene e visto le luci blu dell'automobile della polizia sfrecciare con a bordo il suo ex fidanzato.
Il mostro presente in lei, soppresso con fatica, aveva di nuovo preso il sopravvento, facendola ritornare alle abitudini scorrette e arrivando a portarla quasi in overdose.
Ora era isolata in quel centro in mezzo al nulla, un inferno umano nel mezzo del paradiso terrestre, estremamente vicino all'Isola di Favignana, nel quale carcere scontava la pena quello che una volta fu il suo ragazzo.
Dolore, questo la affliggeva fisicamente, insieme alla consapevolezza delle opportunità non colte durante la vita.
Desiderio, questo la tormentava psicologicamente, al ricordo della pura polvere bianca iniettata nelle vene.
Tranquillità, questo prendeva il sopravvento su entrambi le sensazioni, grazie ad una siringa infilzatole da un uomo dal camice verde.
Perché le scelte si fanno in pochi secondi e si scontano nel tempo restante.

 
N.D.A.
I luoghi sono realmente esistenti, gli eventi basati su un’esperienza veritiera, il finale è opera della depravata fantasia dell’autrice. La comunità sopra nominata opera a favore dei tossicodipendenti.
   
 
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