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Autore: Lilyth    15/09/2013    1 recensioni
Dopo 14 anni di pratica sportiva ( pattinaggio artistico a rotelle, sia chiaro ) ancora mi chiedo perchè nessuno abbia scritto un libro sull'argomento.
Un po' offesa e risentita da questa disattenzione da parte dell'universo sportivo ho deciso di cimentarmi io stessa in ciò.
Non sarà una stesura di regolamenti o roba tecnica ( che i non pattinatori non capirebbero ), sarà diciamo il racconto di come io mi sono avvicinata a questo sport e di cosa esso è per chi lo conosce.
Spero che leggiate questa "storia/ non-storia" e che, a suo modo, vi appassioni.
-la vostra pattinatrice (quasi) sempre arrabbiata
Genere: Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rieccomi!
No, non mi ero dimenticata di aver iniziato questo meraviglioso manuale del pattinatore, la verità è che ho avuto parecchie cose da fare e, soprattutto, non sapevo come andare avanti.
Ho riaperto il mio account da poco e ho avuto il piacere di leggere due commenti di due pattinatrici, che ringrazio molto per avermi fatto sentire il loro supporto morale, per questo sono qui seduta e sto riordinando le idee.
L’ultima volta eravamo rimasti ai rudimenti, del tipo blocchiamo le ruote al pupo se non vogliamo girare per ospedali il giorno stesso che indosserà il primo paio di pattini, oggi continuiamo con qualcosa di più leggero, pochi rudimenti e molta esperienza personale (come mi è stato chiesto).
Che dire, pattino da quattordici anni, la mia vita è stata praticamente sempre e solo questo, quindi ho talmente tante cose da scrivere che rischierò di pubblicare un trattato di diecimila pagine.
Avendo iniziato molto piccola a praticare questo sport non ho mai avuto paura né della velocità, né tanto meno di cadere e rompermi qualcosa, entravo (ed entro tutt’ora) in pista senza pensare a nulla, lasciandomi guidare solo ed esclusivamente dalle mie gambe.
Fino agli undici anni circa potevo essere considerata una bimba prodigio, perché imparavo tutto molto velocemente e rendevo molto bene in gara.
La mia società è sempre stata iscritta in UISP (Unione Italiana Sport per Tutti) e in FIHP ( Federazione Italiana Hockey e Pattinaggio).
Da piccola partecipai e vinsi per tre anni di fila il campionato di Federazione che ai miei tempi si chiamava Millenium ( attualmente è stato ribattezzato Trofeo Lazio).
A dieci anni riuscii a qualificarmi per il mio primo campionato Nazionale, credo fosse a Imola, ero piccola e terrorizzata ma me la cavai piuttosto bene.
Dicevo, fino ad undici anni potevo sembrare una promessa del pattinaggio, poi mi scontrai con il mio nemico numero uno, la cara trottola abbassata.
Per chi non la conoscesse, la trottola abbassata è una difficoltà in cui l’atleta svolge circa tre giri e mezzo facendo pressione sulla ruota interna indietro sinistra, la gamba d’appoggio è appunto la sinistra; l’atleta deve stare piegato formando un angolo di novanta gradi con la gamba portante e il sedere e tenendo la gamba libera (la destra in questo caso) tesa davanti.
Mi rendo conto che scritto così non si capisce molto, ma ci ho provato.
Fatto sta che questa trottola mi fece entrare letteralmente in crisi, non sono mai riuscita a rialzarmi in modo decente.
Ora, non sto qui a dirvi che è tutta colpa di quell’elemento se io non sono diventata la nuova campionessa mondiale in carica, dico solo che fu una batosta morale.
Dal punto di vista dei salti andava invece tutto piuttosto bene, dopo i salti da un giro sono passata ad occhi chiusi all’Axel ( in questo salto l’atleta svolge un giro e mezzo in aria prima di riatterrare sul piede destro) e poi proseguii con i doppi fino al doppio flip e al doppio lutz.
Per le trottole proseguì ugualmente tutto ( surclassando il deficit dell’abbassata interna), imparai ben presto l’abbassata esterna, l’angelo indietro, avanti e anche la spezzata (mi scuso sempre con chi non ne capisce, ma spiegarlo qui con due parole è assai complicato, credetemi).
Cosa successe poi?
Beh, accadde che la bambina prodigio divenne un’adolescente prodigio e, si sa, gli adolescenti sono emotivamente disturbati.
Iniziai ad avere paura delle gare, sudore freddo, ansie, tremore alle gambe ecc…
La mia allenatrice cercò di supportarmi in tutti i modi possibili, ma la lotta con la mia testa sembrava non voler finire.
Riuscii comunque a qualificarmi per altri tre anni ai campionati Nazionali, rispettivamente due volte a Cadenzano e l’ultima volta a Savona.
I tempi d’oro, mio malgrado, erano finiti e, in un certo senso, era iniziata la sfida più grande per un’atleta agonista, combattere contro se stesso.
 
Ho scritto troppo, lo sapevo. Direi che per ora questo capitolo va chiuso.
Non ne sono proprio soddisfatta, ma chi leggerà poi mi dirà.
 
A presto.
 
l. v. p. (q) s. a.
   
 
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