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Autore: kiara_star    15/09/2013    13 recensioni
[Crossover | Magnus Martinsson (Wallander BBC); Eric (Snow White and the Huntsman)]
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" La rabbia velocizza i miei passi, ed i cento metri mi sembrano esser solo poche falcate. Mi fermo respirando a pieni polmoni. Non posso farmi prendere dalle emozioni adesso. Sono un maledetto detective, anche se sembra che nessuno se lo ricordi.
[...]
«Polizia?» Sposta lo sguardo sul distintivo. «Non hai la faccia da poliziotto.» Un sorriso gli piega le labbra ed i suoi occhi sono di nuovo su di me. "
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chris Hemsworth, Tom Hiddleston
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Crossover is the way!'
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31. Una nuova sinfonia (ULTIMO)
Detective Martinsson



XXXI. Una nuova sinfonia



«È delizioso, Eric.»
«Non è nulla di speciale.»
Affondo ancora la forchetta nel piatto. «Per me che vivo di precotti e take away è molto speciale, invece!» Mi godo ancora la bontà di questa cena cercando di limitare gorgogli di apprezzamento.
Eric sa cucina, e cucinare davvero bene.
La tavola era ancora apparecchiata per due in modo semplice, e mi sono sentito quasi mancare quando ho visto le pentole sulla cucina, il forno spento che ancora profumava di buono.
Non riesco a pensare a come mi sarei sentito in colpa se non fossi venuto.
Dannato Karlberg e i suoi sermoni omofobi!
Sono orgoglioso di me per non aver ceduto alla malinconia, sono contento di essere qui a cenare con Eric, anche se è stato costretto a riscaldare tutto.
Sono un disastro in ogni caso.
Eric mangia lentamente, non so se abbia già cenato prima e se adesso mi stia solo facendo compagnia, non potrei sentirmi comunque meglio di come mi senta adesso.
Guardo il suo maglione color panna che fa risaltare la pelle ambrata e i suoi begli occhi realizzando ancora una volta quanto realmente ci tenga a lui, quanto sarebbe impensabile adesso vivere senza.
«Lo sai, tu sei l’unica persona al mondo che può cucinare con un maglione chiaro senza macchiarsi.» Dico una stupidata senza riflettere eppure lui sorride.
«Vuoi conoscere il mio segreto?»
«Assolutamente.» Sorrido a mia volta mentre si sporge in avanti con un ghigno divertito.
«Grembiule da cucina.» Non trattengo una risata e cerco di non strozzarmi. «L’ho tenuto fino a poco fa, l’ho tolto quando hai bussato.»
«Perché? Potevi tenerlo, immagino ti doni.» Come qualsiasi altro indumento...
«Oh, sì, è molto sexy con tutti quei funghi rossi disegnati sopra.»
Ok, stavolta mi strozzerò davvero.
«Dove hai imparato?» mormoro con la bocca mezza piena. «È tutto squisito, sul serio, Eric.»
«Quando tua madre muore e tuo padre è fuori tutto il giorno devi arrangiarti in qualche modo.» La sua risposta è diretta e serena eppure mi provoca una morsa dritta allo stomaco e mi sembra di non avere più molto appetito.
Mastico lentamente mandando giù un boccone più amaro degli altri.
«Non deve essere stato facile perdere tua madre così presto...» Eric aveva solo 14 anni e suo fratello appena 10. Quando poi suo padre è morto, Eric stava scontando la sua condanna in carcere. Non è andato neanche al suo funerale. «Perdonami, non volevo.»
«Non ti preoccupare.» Mi sorride e ingoio un sospiro.
Ho sempre il timore di rovinare tutto, di dire una frase sbagliata... e perderlo.
«Sono felice di essere qui stasera» confesso semplicemente. «Grazie.»
Mi sembra di scorgere un leggero velo di imbarazzo ma forse è solo una mia impressione.

Guardo le fiamme danzare alte nel camino e mi sembra ieri che ero seduto su questo divano completamente spezzato, con Eric che mi fasciava la mano con cura e gentilezza.
Stringo la tazza calda fra le mani e sorrido poggiando le labbra contro il bordo della ceramica.
Getto uno sguardo alla cucina dove Eric è sparito qualche minuto fa.
Non so cosa stia facendo, ma se sbuca fuori con indosso quel grembiule non riuscirò più ad avere il controllo delle mie azioni.
Qualche attimo dopo eccolo tornare, nessun grembiule, ma fra le mani stringe un piccolo vassoio che poggia sul tavolino davanti.
Quando riconosco il contenuto non so se ridere o piangere.
«Li hai fatti tu?» chiedo incredulo.
«Non sono bravo fino a questo punto.» Afferro il piccolo pasticcino coperto di zucchero scuotendo la testa inconsciamente. I dolcetti alla marmellata che mangiai in ospedale, i dolcetti alla marmellata del nostro primo imbarazzante bacio. «Ho chiesto ad Amanda di prepararli.»
Tengo ancora il piccolo bignè fra le dita con un sorriso assolutamente ebete stampato sulla faccia. «Perché proprio questi?»
«Secondo te?» Continuo a guardare il dolce come fosse irreale. «Non li ho avvelenati, Biancaneve, fidati.»
Biancaneve?
Eric sorride divertito e io ignoro ogni altra presa in giro. «Avanti, mangia.»
Non me lo faccio dire due volte e ne spazzolo un paio con voracità.
Stessa marmellata dell’altra volta, stessa sensazione di appagamento dei sensi.
Eric ne mangia solo uno e mi diverto a guardare lo zucchero sporcare di bianco la barba sul suo mento.
«Anche tu combini disastri» sospiro e lui alza un sopracciglio masticando confuso. Gli indico il mento e solo allora si pulisce con le dita, ma essendo piene di zucchero non fa altro che aumentare il danno.
«Credo di aver peggiorato la cosa» borbotta continuando a masticare e io lo trovo talmente adorabile che quasi mi sembra irreale la sua momentanea imbranataggine. Inizio a ridere e dopo qualche attimo me lo tiro dietro. «Ok, ridi pure, credo di essermelo meritato.»
«Un po’ sì.» Le risate sfumano e restano solo sorrisi.
«Vendetta?»
Scuoto la testa. «Giustizia.»
«Oh, certo... Un poliziotto, dimenticavo.» Gli tiro una leggera spallata e cerco di pulire le mani strofinandole fra di loro. Quando torno a guardare il suo viso, c’è ancora il velo bianco sul suo mento.
Non resisto. Avvicino le dita e lentamente spazzolo via lo zucchero lasciando che gli occhi di Eric mi osservino silenti.
Non c’è suono che non sia lo scoppiettio del fuoco.
Ormai non c’è più traccia di nulla eppure le mie dita continuano a sfiorare delicatamente il suo viso.
«Grazie.» È solo un sospiro.
Il sorriso di Eric è gentile e dolce, mi scalda più del fuoco, mi riempie e mi svuota allo stesso tempo, e mi fa vibrare nel cuore ancora una volta una tremenda paura.
Non legare la tua vita a quella di qualcun altro, Magnus.”
Che vuoi dire, papà?
Avevo solo 13 anni e troppi brufoli sul viso e spintoni sul treno per farmi simili domande.
Mio padre non ha risposto. Quella sera non tornò a casa, il giorno dopo aveva la valigia aperta sul letto.
Ora sento la sua risposta e posso dirgli la mia.
Errore già commesso, papà.
«Ne è rimasto solo uno.» Solo allora sembro riprendermi dal mio momentaneo stallo. Guardo il vassoio e vedo il piccolo bignè bianco. «Te lo lascio.»
«Ah sì?» chiedo mentre Eric lo afferra e me lo porge.
«Devi mettere su un po’ di carne o volerai alla prima folata di vento.»
«Ah, ora capisco il vero scopo di questa cena: vuoi mettermi all’ingrasso.» Stavolta è Eric a ridere mentre divoro con un solo inelegante boccone il dolce. «Mia madre è una vita che ci prova senza successo.» Mi rendo conto tardi che non è un argomento di cui dovrei parlare.
«Chissà, avrò più fortuna di lei.» Eppure non sembra perdere il sorriso, anzi, mi strizza un occhio e si stende spalle al divano.
Mi mordo lo stesso la lingua e non riesco più a dire niente.
Un altro scusa sarebbe stupido, cambiare discorso mi verrebbe male.
Lo imito e guardo le fiamme alte nel camino. «Eric?»
«Mh...»
«Hai una canzone preferita?»
Lo sento ridere e lo guardo maledicendomi: sapevo che mi sarebbe venuto male.
«Cos’è, stai per iniziare con le domande classiche da primo appuntamento?»
Sbuffo con un sorriso e scuoto la testa. «No, era solo una curiosità.»
«La tua qual è?» Guardo i suoi occhi caldi e mi rendo conto di non avere una risposta.
«Non ce l’ho... Non credo di averci mai pensato» ammetto alzando le spalle.
Non ho una canzone preferita, né un film, né altro che possa distinguersi dal resto. Prima di Eric, credo non aver neanche avuto un batticuore più forte degli altri.
Mi chiedo perché gli abbia fatto quella domanda, la glicemia deve avermi dato alla testa. O sei solo tu ad abbattete sempre ogni mia barriera... «Lascia stare, era una stupidaggine.»
«Bitter Sweet Symphony
Rimango in silenzio e sorpreso, perché non penso di aver ben capito cosa abbia detto - beneamata ignoranza - ma soprattutto perché mi ha risposto.
«Non credo di conoscerla.»
Eric sorride ancora. «È impossibile!» Mi sento di nuovo imbarazzato e deve rendersene conto. «Aspetta.»
Lo seguo con lo sguardo mentre si alza dal divano e si avvicina a un mobile del soggiorno. Si inginocchia e apre l’anta marrone. Quello che ne tira fuori è un piccolo stereo di forma sferica, di quelli che solitamente si trovano nelle stanze dei teenagers.
Non riesco a godermi la stranezza della cosa ché lo vedo armeggiare con quella che mi sembra la custodia di un CD. Mi è abbastanza chiaro che Eric vuole farmi ascoltare la sua canzone preferita e non so se esserne felice o spaventato: se non la riconosco davvero crederà che sono un cretino.
Quando suonano le prime note Eric torna a sedersi accanto a me. Il volume non è alto.
«Sì, la conosco» ammetto tirando un sospiro di sollievo mentre continuo a sentire la melodia degli archi.
Non riesco a cancellarmi questo sorriso dalla faccia.
La musica in sottofondo, la sua vicinanza, il calore del fuoco e quello che mi nasce da dentro.
Le dita di Eric che trovano le mie, i suoi occhi che non mi lasciano mai.
È un’intimità più profonda perfino di quella che abbiamo condiviso la scorsa notte, è un’intimità che non fa paura ma che mi fa sentire quasi più forte.
«Potevi cantarla...» scherzo, e mi regala un sorriso a cui rispondo volentieri. «Perché è la tua preferita?» chiedo lasciandomi cullare dal suono di parole che in verità non comprendo.
Eric esita a rispondermi continuando a stringere e sciogliere le dita con le mie.
«È l’ultima canzone che ho sentito cantare a mia madre.» Sorride e io sento il cuore stringersi e gli occhi inumidirsi con troppa facilità. «L’unica che la faceva sorridere in ospedale... Dovevi sentirla, era terribilmente stonata!» È lacerante la piccola risata che abbandona la sua gola e mi ritrovo a mandare giù un nodo mentre la mano si chiude nella sua. «Quando è morta ho continuato ad ascoltarla. Sempre, ogni pomeriggio, ogni istante. Camminavo per strada sentendola nella testa e credevo di essere come Richard Ashcroft: intoccabile, senza paura di nessuno[1]... Per un po’ ha funzionato.»
«E poi?» sospiro con un accenno di voce non del tutto stabile.
Eric abbassa la testa e piega di nuovo le labbra all’insù. «Poi ho iniziato a dimenticare il suono della sua voce...» Quando solleva lo sguardo non sorride più e i suoi occhi diventano troppo simili ai miei. «Lei mi guardava come mi guardi tu, come se fossi speciale... È questo che mi fa paura, Magnus. Io non sono speciale eppure ogni volta che mi guardi... quasi mi illudo di esserlo davvero.» Sorride di nuovo e io non riesco a dire una sola parola, non riesco a impedire alle mie labbra di vibrare e agli occhi di farsi ancora più umidi. Non riesco a impedire alle braccia di avvolgersi attorno alle sue spalle, e quando sento le sue stringere me, sento con esse tutto il suo dolore e la sua paura. Lo sento davvero, lo sento come non credevo possibile. «Quando penso a come ti ho trattato... Dio, mi sento morire.»
«Ti prego, Eric, non dire niente.» Il mio cuore batte già troppo forte. «Non dire niente.» Lo bacio con bisogno e passione.
«Perdonami, Magnus.» Bacio le sue labbra e il suo viso privo di lacrime, bacio le palpebre che le custodiscono silenti e che forse le stanno custodendo da chissà quanto. «Perdonami...»
Bacio di nuovo la sua bocca e quella richiesta disperata e sincera, e mi sembra più forte di ogni stupido ti amo.
Odo ancora parole e musica, nelle orecchie, nella testa, nel cuore, mentre gli archi coprono il suono ovattato degli abiti che cadono sul pavimento.

*

«Che ne dici di questa?» Mi volto verso Eric che però sembra più interessato a guardare la Suzuki parcheggiata di fronte al marciapiede. «Se non ti andava di venire potevi dirlo...» sospiro conscio che non avrei dovuto insistere.
«No, non è questo. Ma cosa vuoi che ne capisca io di collane?»
«Perché, io ti sembro un esperto?» Un altro sbuffo mentre guardo il mio riflesso nella vetrina. «Forse non è una buona idea.»
«Ascolta, scegline una qualsiasi, Amanda lo apprezzerà in ogni caso.» Le parole di Eric non mi convincono. Mi mordo l’interno di un labbro continuando a tenere gli occhi fissi sulla collana di perle.
Non c’è stato modo di ritrovarla, Vargas non sapeva dire dove fosse o chi l’avesse e per poco non mi ha aggredito quando sono andato a interrogarlo in prigione.
Il caso Fustern è rimasto un caso irrisolto.
Amanda dice che non importa, che i ricordi si tengono nel cuore e non negli oggetti ma io ancora ricordo i suoi occhi lucidi mentre parlava di quella collana.
È diventata una persona importante, ciò non bastasse, devo a lei la serenità che sto vivendo adesso: senza i suoi pregiudizi su Eric, non l’avrei mai conosciuto. Non avrei avuto l’opportunità di innamorarmi di lui e di vivere queste intense emozioni.
Ormai è quasi un mese che ci frequentiamo come due persone normali.
Normale, credo di non aver ancora afferrato il vero significato di questo termine.
Eric ancora non mi ha detto quelle due parole, ma io le sento ogni volta che mi tiene stretto fra le braccia, le sento quando ascolta in silenzio le mie lamentele su Kurt, su Lisa e sul caso imbarazzante affidatomi, le sento quando mi chiede se resto a cena e sorride quando dico di sì, le sento quando mi prende in giro perché ancora non sono in grado di dire una frase in inglese senza stravolgerne il significato.
Le sento quando la malinconia gli copre gli occhi e lascia che io gli sfiori i capelli senza allontanarmi.
Le sento sempre e forti, e non credo serva altro.
«Quella lì.»
«Quale?»
Mi indica una sottile collana d'oro con un piccolo ciondolo rosa. «Quella. »
Mi avvicino alla vetrina per guardarla meglio e do una bella capocciata al vetro. «Ahi!»
«Il solito imbranato» ridacchia lui ma mi passa una mano sulla fronte. «Fatto male?»
Scuoto la testa e reprimo un sorriso divertito. «È molto simile agli orecchini... Di’, un po’, non è che alla fine la collana l’hai presa davvero tu?»
Sorride. «Beccato! È nascosta in un baule insieme a mille kilt.»
Rido stringendomi nel cappotto all’ennesima fredda folata di vento. «È aria di neve» sospiro e Eric alza lo sguardo al cielo sempre più bianco.
«Meglio affrettarci allora, non ho le catene.»
«Sono tre isolati, credi che arriverà una tormenta nei prossimi cinque minuti?!» ghigno entrando nel negozio.
«Chi lo sa? Io non conosco ancora bene questo vostro clima.» Mi segue e il campanello sulla porta tintinna dolcemente.
«Buongiorno, posso aiutarvi?» Una bella signora sulla quarantina ci sorride dall’altra parte di un lucido bancone.
«Vorremmo vedere la collana in vetrina, quella con il ciondolo rosa.»
«Oh, certo.» La commessa si avvicina al vetro e prende il piccolo gioiello.
«È per la sua ragazza.» Eric ridacchia e io lo colpisco leggermente con un gomito.
È da quando ho deciso di fare questo regalo ad Amanda che mi tormenta. Avevo pensato di darglielo per Natale ma manca ancora un po’ e io sento che devo farlo ora.
«È un oggetto molto elegante e raffinato, alla sua fidanzata piacerà.»
Fingo di ignorare l’eccessivo divertimento sul viso di Eric e seguo la donna fino al bancone. In effetti è davvero una collana molto bella.
«Hai dei bei gusti...» mormoro guardandolo di sottecchi. Non dice nulla ma scorgo la soddisfazione brillare negli occhi.
Appena torniamo a casa mi dovrò vendicare.
«È una creazione di classe e a questo prezzo è quasi regalata.»
Il prezzo, giusto, ancora non l'ho chiesto.
Quando lo faccio deglutisco visibilmente.
«8000 corone?» Ma è un furto, altro che regalata!
«È oro bianco e il brillante del ciondolo da solo vale 5000 corone.»
Neanche Eric sorride più.
Mi gratto la testa indeciso. Non pensavo di spendere una cifra simile, ma questa collana è davvero molto bella e ricorda moltissimo gli orecchini di Amanda.
Riesco persino a vederla al suo collo.
«Va bene, la prendiamo.»
«Eric?» Lascio che i miei occhi chiedano e aspetto che i suoi rispondano. Non lo fanno.
«Faccio un pacchetto regalo quindi?»
«Sì, grazie.»
Mentre la commessa inizia a sistemare sul bancone cofanetti e nastri vari, ne approfitto per capire cosa gli stia passando per la testa.
«Non ce le ho 8000 corone, Eric! E non so neanche se posso pagarla a rate.»
«Ti piace?» Mi chiede con un sorriso. «La collana, dico. Ti piace?»
«Certo ma-»
«E allora non preoccuparti. Te ne bastano 4000.»
Ci impiego qualche attimo per realizzare le sue intenzioni.
«No, Eric. È stata una mia idea e non voglio che tu-»
«Volete anche un bigliettino accanto?» L’elegante signora mi interrompe e porto gli occhi sulla graziosa confezione che ha creato. È davvero bella.
«No, grazie. Va bene così.»
«Eric, per favore....»
«Sono 8000 corone, allora. All’interno c’è anche la garanzia di originalità dei materiali.»
Non ho più potere, Eric ha già sistemato la sua parte sul bancone e mi guarda con un'espressione così determinata che semplicemente mi arrendo.
Pago la mia metà e prendo il regalo.
«Te li do al prossimo stipendio. Te lo prometto» bisbiglio mentre usciamo dal negozio.
Il campanellino suona ancora una volta.
«Dammi quattromila di questi e siamo pari.»
Quando mi bacia davanti alla vetrina sento un fiocco di neve accarezzarmi una guancia.


È il decimo fazzoletto. Fra un po’ finirà la scatola.
«Amanda, per favore.»
«Oh, Magnus, è il regalo più bello...Più... siete dei ragazzi speciali. Tutti e due.»
Alzo lo sguardo su Eric che sta caricando la caraffa d’acqua per il tè. Solleva le sopracciglia con un sorriso e io sospiro mentre Amanda afferra l’undicesimo fazzoletto.
Non è stata una buona idea organizzare questa cena, soprattutto è stata una pessima idea darle la collana al termine. Ha reso il tutto troppo importante, non che non lo fosse, ma non volevo che consumasse una confezione di kleenex.
Avevo messo in conto che si sarebbe commossa, ma adesso mi chiedo se smetterà mai.
«Quanto sono fortunata ad avere due persone come voi.» Mi stringe una mano mentre guarda ancora la confezione aperta con il ciondolo rosa. «Se il mio Arthur vi avesse conosciuto... Oh, quanto gli sareste piaciuti.»
«Io più di lui, scommetto.» La frase di Eric la fa sorridere e gliene sono grato.
Eric ha un modo tutto suo di dare affetto, eppure non credo esista qualcuno con un cuore più gentile. E ha deciso di donarlo a me.
Cosa ho fatto di buono nella mia vita per meritare tanto?
«Coraggio, ci faccia vedere come le sta.» Si avvicina e le poggia entrambe le mani sulle spalle. Guardo il viso della signora Fustern illuminarsi ancora di più con gli occhi arrossati e felici. Poi guardo quello di Eric che mi sorride strizzandomi un occhio.
Prendo la collana dal cofanetto e gliela passo. La delicatezza con cui l’allaccia attorno al suo collo fa piegare anche le mie labbra.
«È davvero meravigliosa...» sospira Amanda sfiorando il ciondolo con le dita.
«Lei è meravigliosa, Amanda.»
Era meglio che stavo zitto, perché adesso mi toccherà prendere altri cento fazzoletti.
Mentre cerco di rattoppare il danno, il cellulare squilla nella mia tasca.
Lascio a Eric il compito di arrestare le lacrime, mi sembra gli riesca immensamente meglio, e vado a rispondere in soggiorno.
«Ehi, mamma?»
«Come sta il mio figlio famoso?»
Ancora con questa storia.
Sospiro con un sorriso. «Sta benone, mamma.»
Dopo l’arresto di Karlberg e l’ovvio scalpore che ne è seguito, un quotidiano locale ha pubblicato un articolo con una foto di Kurt in cui, ancora devo capire come, c’ero anche io. Mia madre ha ordinato due copie del giornale e ha deciso che ero diventato un detective famoso. Credo non abbia notato che nella didascalia sotto la foto compariva solo il nome di Kurt...
«Tu come stai?... E Rob?»
«Al solito, tesoro, anzi proprio di questo volevo parlarti.»
«Dimmi tutto.» Butto un occhio alla cucina in cui Eric ha riempito una tazza fumante davanti alla signora Fustern e sta dicendo qualcosa sulla mia testata di ieri contro la vetrina. Amanda ride, meglio così.
«Questo sabato ci sarà una mostra di bonsai a Ystad, alla Fiera del porto.» Ne avevo sentito parlare, era stato Eric a dirmi che avevano passato un pomeriggio a scaricare casse contenenti qualcosa per una mostra di non ricordava bene cosa.
Hernest ha litigato con Gustav perché gli ha imposto due turni serali di fila e sua moglie per poco non voleva lasciarlo.
I racconti di Eric vertono sempre sulle disgrazie che capitano ai suoi colleghi. Credo nasconda una vena sadica in fondo a quel cuore gentile...
«Rob vuole andare alla mostra, immagino?» chiedo.
«Esatto, però vuole parteciparvi. Quindi dobbiamo venire a Ystad almeno un giorno prima per fare l’iscrizione e sistemare altre scartoffie.»
«Certo, capisco.»
Amanda ha smesso di piangere - grazie a Dio - e Eric continua a raccontare di altre “divertenti” disavventure stavolta successe al povero Lars.
«Magnus, volevo sapere se potevamo stare da te qualche giorno. Lo sai che Rob odia andare in albergo e per i suoi bonsai c’è bisogno di spazio.»
Riporto l’attenzione al discorso di mia madre.
«Mamma, non c’è problema, lo sai.» No, un problema c’è, e pure bello grosso.
Ho rimandando la cosa anche troppo e adesso non penso più di volerlo fare.
«Tesoro, grazie. Oh, non vedo l’ora di abbracciarti...»
«Anch’io, mamma.»
Eric si affaccia dalla porta e mi chiede con un movimento di labbra se è tutto ok.
Annuisco.
È mia madre, sibilo muto e lui mi sorride.
Quel sorriso è il mio tesoro più grande, Eric è il mio gioiello senza prezzo.
«Ehi, mamma?» Eric torna in cucina e io guardo dalla finestra la neve che cade copiosa.
«Dimmi, amore.»
Prendo un respiro e sorrido anch’io. «Quando vieni a Ystad, voglio presentarti una persona.»
Voglio presentarti la mia vita.
«Non vedo l’ora di incontrarla... Buon notte, bambino mio.»
«Buona notte, mamma.»
Il telefono si spegne e lo rimetto in tasca.
«Magnus, il tuo tè si fredderà!»
«Arrivo subito, Amanda.»
Una tazza mi aspetta sul tavolo. Mi siedo con Eric alla mia sinistra e il viso raggiante di Amanda di fronte a me con la nostra collana al collo.
Ascolto silente ancora una volta i racconti di Eric, guardo le sue labbra muoversi lentamente, i suoi occhi cercare i miei e guardare gentili quelli di Amanda.
Bevo un sorso caldo.
Fuori continua a nevicare, forse nevicherà per tutta la notte.
«Ancora un po’ di tè, figliolo.»
Scuoto la testa. «Sto bene così, grazie.»
Eric sorride e sorrido anch’io.
Sì, sto bene così.




















[1] Nel famoso video della canzone, Richard Ashcroft, il cantante dei The Verve cammina cantando lungo una strada londinese incurante di chiunque gli venga in contro. Eric si riferisce appunto a quell’atteggiamento. [Video]












Fine







P.S
Godetevi ancora una volta un’altra opera di Angie <3








[Ci leggiamo presto, Magnus ha qualcuno da presentare a mamma...]
  
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