Anime & Manga > Makai Ouji: Devils and Realist
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Autore: Ita rb    16/09/2013    3 recensioni
[Pairing: Salomone/Sitri & Sitri/William]
Dal testo: Era strano provare una sensazione come quella, perché, per quanto tempo passasse, il visconte sapeva esattamente che non si sarebbe mai abituato al freddo: un gelo statico e frenetico al tempo stesso che sapeva attanagliargli le viscere fino a immobilizzarlo completamente, paralizzandone i nervi – e la mente, stanca di quel supplizio, poteva soltanto cedere, viaggiando oltre i suoi confini, oltre il tempo, così come lo spazio, tornando poi a casa solo per sentirsi schiava più di prima, comprendendo che la fantasia fosse ben lontana dalla realtà [...]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Baalberith, Salomone, Sitri, William Twining
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incest, Non-con, Tematiche delicate
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Note: Salve a tutti, questa è la terza fan fiction che scrivo con Sitri come protagonista o coprotagonista, nonché la seconda sul delicato tema dell’introspezione più fervida inerente al rapporto con Baalberith. Devo ammettere che l’ultimo citato è detestato dalla sottoscritta in un modo quasi sopraffino, se potessi in qualche modo cancellarlo con una gomma lo farei seduta stante. È un essere spregevole e sadico, nonché diabolico nel vero senso della parola, perché subdolo e viscido *continuerebbe all’infinito*
Ho iniziato questa fan fiction dopo aver visto l’undicesimo episodio dell’anime subbato in inglese, ma meditavo di dedicarmi nel dettaglio a qualcosa di simile da quando ho terminato di leggere il terzo volume del manga.
Spero che quest’esperimento possa in qualche modo piacervi, così come che lo prenderete per le pinze, per quello che è. Ho la tendenza a trattare sempre di argomentazioni delicate e angst, non che io sia terribilmente cinica nei confronti della vita, tutt’altro: cerco di farlo con il massimo rispetto e con tutto il sentimento possibile, cercando una strada nell’ombra per poter far sì che, qualunque sia il finale, qualcosa riesca a sbocciare dal baratro.
Una speranza, dunque, una missione, o semplicemente un modo come un altro per non pensare a me e ai miei problemi, dedicandomi a quelli di altri o sfogandomi attraverso personaggi che non mi appartengono – altrimenti finirei con l’essere troppo intima nelle descrizioni dei sentimenti.
A ogni modo, se anche trovaste qualche errore (che sicuramente ci sarà a causa della mia dislessia) o voleste farmi sapere la vostra visione sul personaggio in questione e sulla sua situazione personale, io sono qui. Critica, neutra o positiva, una recensione fa sempre piacere, ma sappiate che ringrazio anche tutti coloro che apriranno questa OS solo per curiosità o per farsi un’idea di cosa vi è contenuto.
Il rating è per il tema trattato, più che altro, poiché contiene violenza nel senso stretto del termine, pur non descrivendo assolutamente nulla e lasciando al lettore ampio margine d’immaginazione. L’avviso incest, invece, si rifà sempre al solito discorso inerente Baalberith, così come il non-con. Ora, mi chiedo se sia giusto mettere o meno tutti questi avvertimenti, ma è bene che il lettore capisca quanto drammatica sia la vicenda di Sitri, prima di trovarsela dinanzi come se nulla fosse; perciò, anche se non è descritto o giustificato alcunché, preferisco di gran lunga abbondare, invece che deficere.
Xoxo
 

Era strano provare una sensazione come quella, perché, per quanto tempo passasse, il visconte sapeva esattamente che non si sarebbe mai abituato al freddo: un gelo statico e frenetico al tempo stesso che sapeva attanagliargli le viscere fino a immobilizzarlo completamente, paralizzandone i nervi – e la mente, stanca di quel supplizio, poteva soltanto cedere, viaggiando oltre i suoi confini, oltre il tempo, così come lo spazio, tornando poi a casa solo per sentirsi schiava più di prima, comprendendo che la fantasia fosse ben lontana dalla realtà.
Le dita posavano nervosamente sulla superficie dura e liscia che aveva dinanzi, ma lui era ben lontano dall’osservarla come avrebbe dovuto: i suoi occhi erano incastonati altrove, oltre le palpebre serrate e le ciglia tremanti – rifuggivano lontano, alla ricerca di un debole sorriso che, dolce, sapeva cullarlo come niente al mondo; non conoscevano i tratti torvi di quel dipinto e neppure gl’interessava comprenderli, conscio perfettamente di chi avesse desiderato vederlo fiorire sulla parete vergine.
L’aria stantia, satura di fumo, scivolava nelle sue narici fino a turbarlo. Era inquieto e sembrava che da un momento all’altro tutta la sua realtà sarebbe potuta capitolare nello stesso baratro senza precedenti che l’aveva visto rantolare poco prima, quando, stanco delle insinuazioni di suo zio, il visconte aveva cercato di allontanarsi in qualche modo.
Aveva sempre provato a farlo e non contava più le volte in cui, sperando di ribellarsi a dovere, fosse stato letteralmente schiacciato in terra dalla sua presa subdola. Spesso sentiva le sue dita premergli sul viso, scacciandolo e spingendolo via dopo averlo attirato a sé per puro diletto, allora comprendeva che il respiro avesse l’unico compito di mozzarsi in gola, retrocedendo sui suoi stessi passi fino a gonfiarsi nel petto, trattenendosi il più possibile per non emettere neppure un suono.
I passi che si avvicinavano erano inquietanti, lo sapeva bene, o per lo meno lo era la figura annunciata dagli stessi – ma trattandosi dei suoi passi non potevano che apparire squallidi quanto lui alle orecchie di Sitri. Aveva lo strano vizio di fermarsi a pochi centimetri da lui, facendo balenare la sagoma scura d’una luce sibillina, la stessa che si frastagliava in scaglie sulla pelle nera e lustra delle calzature.
Deglutiva a quel punto, mantenendo gli occhi aperti e distanti, freddi come il marmo che scorreva sotto i palmi aperti che tentavano la fuga al suo posto, sperando di scomparire contro la lastra gelida; ma poi si sentiva affondare contro la stessa e non riusciva a bramarla tanto. Percepiva a stento il rumore della stoffa del mantello brunito di suo zio, il modo in cui posava appena il ginocchio in terra per raggiungerlo e quella diabolica stretta all’altezza del collo che gli faceva morire la voce ancor prima di librarla contro il soffitto alto di quella stanza ampia che sapeva di sigaro.
Le sue labbra emanavano un olezzo tale da sembrare putride come l’anima che vi era racchiusa, allora Sitri si chiedeva sempre se la sua fosse altrettanto sudicia d’apparire tanto vividamente contorta agli occhi di un chicchessia; per questo non diceva nulla e non si lagnava del fastidio che le percosse di Baalberith suscitavano sulle sue membra: aveva paura che il freddo giungesse fino agli altri proprio nel momento in cui questi sembravano essersi in qualche modo avvicinati a lui.
Non sarai più solo, aveva detto Salomone, ma nonostante la promessa melliflua che l’aveva incantato tanto, Sitri non trovava riscontri in ciò che stava vivendo. Era conscio del fatto che quell’essere umano fosse solamente tale e non avesse modo di ambire all’immortalità così come lui: erano diversi e su questo non si sarebbe mai soffermato a lungo, tutt’altro, ma a ogni modo aveva voluto credere a quella dolce bugia, ricreandola perpetuamente nel corso del tempo, fino a convincersi che momentaneamente fosse in disuso per cause di forza maggiore.
Lui era lì, non poteva sbagliarsi, l’osservava sempre e la notte gli carezzava il capo per farlo addormentare; ma non riusciva a calmarlo più come un tempo, poiché ogni parola mormorata nelle sue orecchie aveva il potere di un flebile racconto – Salomone era soltanto un eco perso nel vento.
Si trovava in quella sala e non faceva che pensare, perché quella era l’unica cosa che fosse ancora in grado di fare, sebbene il disgusto salisse lentamente alle sue labbra, squassandolo dall’interno fino a fargli accapponare la pelle.
Pensava al sole caldo sulla pelle, al candore bruciante che guizzava attraverso le ampie tende di seta della reggia cui abitava l’uomo prescelto da Dio per la sua sapienza e l’intelletto concesso; pensava al sapore delle sue labbra che premevano dolcemente sulle sue, schiudendole appena per insinuarsi tra le stesse con un tocco soffice; pensava al silenzio della biblioteca colma di polvere e a quei libri accatastati l’uno sull’altro, così come all’espressione soave che aveva sempre sul viso.
Socchiudendo gli occhi, però, riusciva a tornare alla realtà e le dita che premevano sulla sua mandibola sapevano gracchiare come i denti che, l’uno sull’altro, stentavano ad aprirsi, orgogliosi come non mai, eppure arrendevoli – un solo colpo e le arcate, divise, avrebbero rimpianto il momento in cui da sole sapevano stridere.
Allora pensava ancora ai giorni lontani, al sospiro leggero di Salomone e alla sua voce calma e pregnante, quella stessa che risuonava criptica nel complesso del tempo e che si ripercuoteva ancora, con sospetto, tra un ricordo e l’altro. Cercava di allontanarsi come possibile, ma non riusciva a fuggire se non con lo spirito, eppure, sembrava che le bambole non avessero un’anima, o per lo meno questa era la teoria di Baalberith.
Dal canto suo, Sitri non aveva mai pensato di essere un semplice burattino nelle sue mani, pur consapevole del fatto che agire in base agli ordini da lui ricevuti fosse la parafrasi di quell’insulto. Il problema vero e proprio, infatti, si trovava lì, tra quelle mura scure e caotiche, laddove la luce si rifletteva su se stessa e premeva, spingendo, affinché i suoi occhi cominciassero a lacrimare copiosamente – eppure, diceva suo zio, le bambole non erano vive; non poteva piangere o distogliere lo sguardo, non poteva tremare o sentire la nausea premere contro la sua gola: lui era solo ciò che Baalberith desiderava che fosse.

 
Nulla
geme
nel silenzio
della notte.
 
C’era qualcosa ce, pur volendo restare, continuava a sfuggirgli di mano. Tra un pensiero e l’altro si agitava il rammarico di un tempo ormai dissolto e, mentre batteva appena le palpebre, fissando il soffitto pallido di quella stanza stretta e terribilmente vuota, comprese quale davvero fosse quel qualcosa.
Si trattava di un’espressione un po’ infantile e saccente, un ghigno leggero e imperturbabile, una convinzione ottusa e spasmodica, uno sguardo limpido e smeraldino: William Twining – e per questo non poté fare a meno di sorridere, constatando che quell’incubo fosse finito ancora una volta.
Lontano dalle terre sporche di sangue degl’Inferi, dove i vizi regnavano come virtù, il visconte era nuovamente in grado di cercare il principe elettore nel dormitorio della sua scuola.

 
Trema
appena
la sua voce
oltre il cielo.
   
 
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