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Autore: Soqquadro04    16/09/2013    3 recensioni
[Death!Damon | Mezza Angst | What if...? (2x22)]
È finita. Non potrà più vederlo sorridere. Sentire la sua risata echeggiare fra le pareti di casa. Ascoltare il suo nome pronunciato da lui. [...]
È finita. Non udirà più nessuna battuta sarcastica nei momenti meno opportuni. Non avrà più alcun motivo per passare notti insonni cercando di decifrarlo. Non potrà più sorprenderla con apparizioni improvvise. [...]
È finita. E lui l'ha lasciata qui. Senza i suoi occhi pieni di preoccupazione. Senza le sue mani attorno al viso. Senza il suo petto al quale appoggiarsi quando il mondo intorno a lei gira troppo velocemente. [...]

Damon è disteso a letto, febbricitante per il morso di licantropo, ed Elena lo veglia.
Discorsi importanti, promesse che non avranno bisogno di essere mantenute, addii.
E poi Stefan che riesce a salvare la situazione, Katherine che arriva e un momentaneo sospiro di sollievo.
E se non fosse andata così?
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Elena Gilbert, Stefan Salvatore
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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La tua assenza è ovunque

A volte milioni di piccoli momenti, di affettuosi gesti di presenza, si notano solo quando è troppo tardi, gridano forte come ricordo, e per udire quel grido bastano poche pochissime ore di assenza.
Anton Vanligt
La morte è dovunque la stessa. Ma varia la vita, fino al momento della morte. Sulla maschera di un volto spento, cerchiamo le tracce della vita vissuta; non è la morte, che ci fa paura nel volto di un trapassato, ma la vita che lo aveva animato. È quella vita che noi cerchiamo, che tentiamo di visualizzare, quella vita la cui assenza ci riempie di paura.
Yehiel De-Nur



Sente le lacrime pungerle gli occhi, il respiro farsi più affannoso. Lo abbraccia, stringendolo forte, reclinando il capo contro il suo. Inspira il suo odore fra i capelli scuri, il profumo pulito di pioggia che le invade le narici come ultimo conforto.

La speranza è finalmente morta, l'illusione di una salvezza si è volatilizzata. Il debole raggio di luce che l'ha illuminata fino a pochi istanti fa si è spento. Aveva provato a farle capire, ma lei non ha voluto ascoltarlo. E ora non vuole credere a quella che è la realtà.

Lui non respira più. Elena avverte una pesantezza strana nella sua postura, un abbandono troppo forte per essere il sonno. Districa con delicatezza le dita dalle sue.

È finita. Il suo unico pensiero. È quasi distaccata e vede la scena dall'esterno, in terza persona, come se galleggiasse sul letto e fosse solamente una spettatrice della sua lenta presa di coscienza. Una piccola parte di lei è, però, perfettamente lucida.

Quando quest'ultima prende il sopravvento, la consapevolezza la investe come una raffica di vento freddo - è finita - e stringe le palpebre mentre il panico le prende la mente. China di colpo la testa, il corpo piegato, e sussurra qualcosa d'indistinto. Forse una preghiera giunta troppo tardi, forse una parola a caso fra quelle che le vorticano in testa, forse semplicemente il suo nome. La sua voce suona disperata alle sue stesse orecchie.
 

È finita. Non dovrà più stare male a causa sua. Non dovrà restare a guardare impotente mentre lo distrugge.
 

Un grido strozzato le si blocca fra le labbra. Spalanca gli occhi, provando a svegliarsi dall'incubo. Il terrore la ingloba mentre realizza che non è solo un brutto sogno.
E piange. Piange. Piange. Prima piano, sommessamente, poi sempre più forte, fino a non riconoscersi nei lamenti che rimbombano fra le pareti della stanza. Senza sosta. Senza riuscire a capire il motivo di tutto questo, cercando una spiegazione che non troverà.

 

È finita. Non potrà più vederlo sorridere. Sentire la sua risata echeggiare fra le pareti di casa. Ascoltare il suo nome pronunciato da lui.

 

La sofferenza la attanaglia. La costringe in una tagliola di ferro arrugginito, il bordo dentellato che le trapassa il cuore, infettandolo col tetano. I singhiozzi la attraversano. Le scuotono il corpo senza che possa fare assolutamente nulla per frenarli.

 

È finita. Non udirà più nessuna battuta sarcastica nei momenti meno opportuni. Non avrà più alcun motivo per passare notti insonni cercando di decifrarlo. Non potrà più sorprenderla con apparizioni improvvise.
 

Lo guarda, e per un attimo non lo riconosce. Ha gli occhi chiusi e le labbra semiaperte.
La sua pelle scotta ancora per la febbre, i lineamenti rilassati sono ancor più del solito perfettamente regolari.

Solo ora, osservandolo mentre è completamente inerme stretto a lei, si accorge che quella durezza, quell'ostilità che aveva sempre percepito in lui, è completamente sparita. Quel suo modo di essere eternamente contratto in attesa dell'ennesimo colpo, quella diffidenza verso il mondo mascherata da sfacciataggine, quella scintilla che gli illuminava lo sguardo quando pensava a qualcosa che non avrebbero – che non avrebbe – approvato. Non c'è più nulla di tutto questo nella sua espressione. È solo sereno.

 

È finita. E lui l'ha lasciata qui. Senza i suoi occhi pieni di preoccupazione. Senza le sue mani attorno al viso. Senza il suo petto al quale appoggiarsi quando il mondo intorno a lei gira troppo velocemente.

 

In un certo senso, contorto e illogico e dettato dal dolore, è felice di vederlo finalmente in pace.
È tentata di sorridere all'immaginarlo con tanto di arpa e aureola, le ali candide, e forse un minuscolo sorriso cerca di incurvarle le labbra, ma poi ricorda che è finita e tutto viene subito annegato da una nuova ondata di lacrime. Il groppo che le blocca la gola è troppo grande da mandare giù, troppo pesante da ingoiare senza soffocare.

Avvicina il volto al suo, accarezzandogli la guancia con l'altra mano. E resta così, raggomitolata contro il suo corpo che si raffredda troppo in fretta, dilaniata dal dolore. Così, immobile se non per assecondare i singulti che la uccidono con la loro violenza. Con gli occhi chiusi, le labbra che si muovono senza dire nulla. Nulla, tranne il suo nome.

Lo chiama, con la sciocca, irrazionale, convinzione che potrà riportarlo indietro facendogli sentire il vuoto che ha già lasciato.
Lo chiama, provando a trattenere l'essenza di lui che è ancora nell'aria. Sa che sparirà fra poco, ma non riesce a crederci. Non vuole crederci.
Lo chiama per paura del futuro che la aspetta. Per paura di dimenticarlo, un giorno. Non vuole scordare il colore dei suoi occhi, le sfumature della sua voce, la morbidezza della sua pelle. Non vuole, perché ci sono già troppe persone da ricordare in ogni sfumatura, ma sa che sarà inevitabile perdere i dettagli mentre la vita continua.

E ha paura.
Ha paura perché non so se riuscirà di nuovo a ridere. A correre, gridare, vivere come una volta.

Sa cosa direbbe lui, lo sa come se ce l'avesse davanti, pronto a dimostrarle che è tutta una burla - anche se non lo è.
Lui direbbe che, se è sopravvissuta alla morte dei suoi genitori, a quella di Jenna... la sua non è che una bazzecola. Che non dovrebbe neanche darsi la pena di versare lacrime, per lui. Ma, del resto, lui non hai mai capito davvero quanto aveva - quanto ha - bisogno della sua presenza.

 

È finita. È finita, e lei non può sopportarlo. Perché? Vorrebbe chiedergli solo questo. Perché la ha abbandonata in mezzo a tutto questo? Perché proprio adesso? Perché?

 

Non è una domanda a cui possa rispondere. Una piccola parte di lei, quella pratica e funzionale e non ancora annientata dal dolore, non può fare a meno di pensare che il vestito nero è ancora abbandonato su una sedia, sporco e stropicciato, e che dovrà fare in modo di lavarlo perché c'è un altro funerale che la aspetta.

E così aspetta. Aspetta che qualcuno, chiunque, arrivi a condividere un po' di questo con lei. Che la aiuti. Lei, da sola, non ce la fa. Non ce la fa.
Non più.

**********

Il crepuscolo colora l'aria di rosso. Il rosso del sangue, il rosso dei suoi occhi gonfi e cerchiati, il rosso delle rose - sono sempre le rose che appoggia sulle tombe, perché le rose significano amore - che tiene in mano. Le spine le pungono le dita, ma non le lascia cadere. Anzi, le stringe più forte, cercando di raccapezzarsi fra i pensieri impazziti, fra i ricordi che come lampi illuminano fugacemente la sua mente provata. Cerca di ritornare al presente. Qui, e adesso.

In piedi da ore intere, le scarpe scomode che affondano nella terra smossa di fresco, il vestito scuro che la fascia troppo strettamente, il viso irrigidito dalle lacrime. Lacrime che ancora le macchiano di nero le guance, le labbra.

Qualcuno, infine, è arrivato. Stefan è entrato come una furia nella stanza tetra, resa irriconoscibile dal buio e dall'atmosfera di morte che aleggiava su ogni singolo oggetto. Tutto, lì dentro, parlava di lui. Di lui che non c'era più – che non c'è più.
L'ha trovata, abbracciata a lui. Elena non sa quanto tempo era passato, non sa se si aspettasse di non riuscire a salutarlo, non sa cos'ha pensato nell'udirla, straziata, ripetere il suo nome come un'inefficace litania magica.

L'ha solamente guardata, gli occhi lucidi. Per momenti interminabili, bloccato da qualcosa che non è riuscita a comprendere. Sembrava stesse per esplodere, le spalle che vibravano di ansiti repressi, piantato sulla porta come se dovesse sforzarsi per rimanere in piedi.

Poi aveva iniziato ad avvicinarsi, piano, un passo faticoso dopo l'altro. Mormorando lettere incomprensibili con la voce acuita dallo sforzo che faceva per non scoppiare in lacrime davanti a lei, lettere che formavano parole che formavano frasi che si perdevano da qualche parte ai margini della sua attenzione. Le parlava come avrebbe fatto con un animale selvatico, le mani tese davanti a sé, cauto. Come se lei avesse potuto attaccarlo da un secondo all'altro. Come se avesse potuto seriamente fargli del male se fosse arrivato troppo vicino.

E lo fissava senza vederlo realmente, proteggendo suo fratello, inconsapevolmente, rinchiusa dietro una barriera impenetrabile di pianto. Poche delle sue parole le arrivavano alle orecchie, e ancora meno le giungevano comprensibili, distinguendosi dal roco rumore di fondo.

«Elena... Elena... ti prego... tranquilla...» aveva messo, di colpo, il suo volto a fuoco. La stava rassicurando.

Come avevo fatto lei con lui solo poche ore prima. Un nuovo scroscio di pioggia salata le aveva bagnato le palpebre e aveva portato, insieme alla tristezza, la rabbia. Rabbia cieca, ira che rendeva la sua visuale cremisi. Rabbia verso di lui che le chiedeva di calmarsi in quella situazione assurda, mentre teneva il suo corpo fra le braccia. Rabbia verso se stessa, per essere così debole mentre lui, che lo aveva appena perso, che aveva appena perso suo fratello, era forte per tutti e due. Rabbia verso di lui, che non aveva combattuto abbastanza per restare con loro, che non aveva lottato abbastanza per rimanere vivo.

Era irrazionalmente furiosa, annebbiata dalla sofferenza e dallo stress.
Si era alzata, poggiando con delicatezza il suo capo sui cuscini mentre si sfilava da dietro di lui. Gli aveva accarezzato distrattamente, una sola volta, la guancia.
E aveva cominciato ad avanzare verso Stefan a lunghe falcate rigide, mentre lui indietreggiava, un'espressione ansiosa dipinta in viso, le mani sollevate.

«Stefan, come puoi chiedermi di calmarmi! Come puoi!» gridava, anche se i singulti la facevano balbettare, rendendo ridicola la sua collera che, improvvisa com'era venuta, già scemava e si smarriva nei ruscelli che le scorrevano sugli zigomi. Aveva fatto un altro paio di passi, prima di lasciarsi cadere a terra, sopraffatta da qualcosa che neanche lei conosceva. Aveva sbattuto le ginocchia a terra, e piccole fitte le avevano morso le gambe. Le aveva accettate quasi volentieri: un modo come un altro che la aiutava a rimanere concentrata sulla realtà.
Si era appoggiata con la schiena al pannello di legno che chiudeva i piedi del letto, la testa reclinata all'indietro. Si abbracciava, provando a tenersi insieme, provando a impedire che qualcos'altro si spezzasse.

«Come puoi...» aveva ripetuto, un sussurro che si era perso prima ancora di venire udito.

Stefan le era subito volato accanto, prima che potesse anche solo desiderare di volerlo vicino. Si era aggrappata alle sue spalle, singhiozzando, mentre lui iniziava silenziosamente a piangere.

Aveva sentito le sue lacrime bagnarle i capelli, e non aveva potuto fare a meno di pensare a lui, a come le sue avevano inumidito le ciocche già madide di sudore sulla sua fronte. Le aveva fatto male. Troppo. Le fa troppo male.
Ogni cosa, ogni luogo, ogni maledetto, singolo gesto le ricorda lui.

E vorrebbe solo dormire, dimenticare, rintanarsi da qualche parte e non uscirne più. Se può ascoltarla, lui sta scuotendo la testa con disapprovazione. Quasi lo vede, proprio davanti a lei, quel solito sorrisetto sarcastico a illuminargli il viso, gli occhi brillanti di malizia, mentre schiocca la lingua e le dice «Elena, Elena... no. Troppa gente conta su di te... troppe persone ti vogliono bene. Certo, potresti fare estremamente felici le altrettante che ti vogliono fuori dai piedi, ma non mi sembra il caso.»

E ancora una volta è tentata di sorridere, ma non lo fa.

All'improvviso, è come se il peso di ogni momento che passerà senza di lui le cadesse addosso, tutto insieme.
Si rende conto che non sarà più possibile osservarlo, studiarlo, memorizzare le sue espressioni.

Che non si accorgerà più, con la coda dell'occhio, di quel suo incurvamento di labbra, o dell'aggrottarsi leggero delle sue sopracciglia per la preoccupazione, o del modo in cui muoveva le mani quando era nervoso.

Una folata d'aria la riporta a quel tramonto di fuoco, all'odore di terra umida, di erba bagnata. Alle figure scure radunate attorno a una bara dalle maniglie d'argento, il capo chino a guardare il vento che gioca con le foglie aranciate che, a sprazzi, formano mucchi disordinati fra le lapidi scheggiate. E Stefan, il dolce Stefan, che le rimane accanto, la mano nella sua e la testa dritta, tentando di sembrare un po' più composto di quello che è, anche quando avrebbe tutto il diritto di crollarle addosso, appoggiandosi a lei.

Alza gli occhi verso destra, osservando per l'ennesima volta, senza quasi accorgersene davvero, la tomba della signora Salvatore.

 

Elizabeth Salvatore*
13 Gennaio 1815 – 5 Novembre 1848
Figlia, moglie, madre, confidente, compagna.
Preziosa luce nei giorni bui dell'esistenza di molti.

Una rosa è una rosa è una rosa”**, e così come una rosa appassisce troppo in fretta, troppo in fretta ci ha lasciato.

 

L'elegante doratura che ornava le lettere non esiste praticamente più, se non appena accennata sulle maiuscole. Il marmo attorno alle frasi è scheggiato, tanto da renderle quasi illeggibili, e alcune erbacce spuntano ai lati della tavola di pietra. Due corolle color porpora, dai petali arruffati – fresche. Vive, campeggiano fiere proprio sotto l'iscrizione. Due rose, che paiono effimere come farfalle, lì appoggiate, in balìa della brezza come un burattino col suo creatore.

Ce ne sono altre due che, ancora adagiate fra le sue mani e accarezzate dai polpastrelli irrequieti, attendono. Sono per lui.
Da quanto tempo lui non veniva qui? Da quanto non accarezzava con gli occhi quelle parole?
Stefan le ha detto che sono passati anni dall'ultima volta.

Della signora Salvatore non sa praticamente nulla, e si sorprende da sola al pensiero che in questo momento vorrebbe conoscerla. Se lui le assomigliava tanto quanto suo fratello le ha raccontato, averla qui adesso sarebbe come rivedere lui. E ne ha bisogno, perché mentre guarda Alaric e Jeremy iniziare a riempire la fossa con palate di terra scura e pesante, i volti gravi mentre il crepuscolo sfuma in una notte già troppo fredda, la sua assenza è qualcosa di tangibile.

È la mancanza di un'espressione strana, con le labbra contratte e le sopracciglia aggrottate. È la consapevolezza che senza di lui non sa se riusciranno a cavarsela come hanno sempre fatto, quando un'idea li tirava momentaneamente fuori dai guai per poi rispedirli nel baratro a calci. È un dolore sordo, costante, che ormai le si è infilato sottopelle e che probabilmente farà parte di lei per tutta la vita. È il desiderio di rivederlo, e la risposta straziante che la logica dà a tale speranza: mai più.

E poi smette di piangere, lentamente, immobile. Ha finito le lacrime, ha finito la determinazione.

Non ne ha più la forza, mentre senza guardare in basso getta i fiori sul coperchio mezzo sotterrato.
Non fanno rumore quando toccano il legno, come fantasmi che sfiorano con le loro dita eteree la calma superficie di uno specchio.
Fra poche settimane – probabilmente ancora meno – non sarà rimasto più nulla che ricordi la loro esistenza.

Perché quelle rose, alla fine, non sono nulla che meriti di essere risparmiato dal tempo.

Non sono davvero nulla.

Nulla che riveli ai posteri che, dentro la sua tomba, Elena ha appena lasciato cadere, insieme a quelle corolle rosso sangue e ai gambi coperti di spine, quel poco di sé che non si era già spezzato mentre con il suo ultimo respiro la chiamava per nome.

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* Il nome che utilizzo, solitamente, quando si parla di mamma Salvatore.

** Gertrude Stein. Sono consapevole che la poesia è veramente fuori tempo massimo (composta nel 1913, quando la data di morte di Mrs. Salvatore è il 1848), ma vi prego di prenderla come una licenza poetica (sperando di non urtare nessuno). Non riesco proprio a immaginare un'altra frase altrettanto adatta, ma se avete suggerimenti sarei felice di ascoltarli ;)

N/A - Note dell'Autrice
Buonsalve, lettrici.
Prima che mi arrivino sassi, bastoni o che, più semplicemente, mi impalettiate a prescindere, siate sincere: chi, dopo aver visto la 2x22, non ha immaginato una What if...?
So che Elena è un po' (molto) OOC... e no, ovviamente non la sto tirando a Damon, ci mancherbbe altro! Quell'uomo va benissimo così com'è: vivo e ormai felice ù.ù Ma questa storia l'ho iniziata appena dopo aver visto suddetta puntata per la prima volta, e l'ispirazione era sparita prima che potessi finirla... solo che è tornata, così ho deciso di pubblicare.
Tanto per restare in tema: ho in programma (ma si tratta appunto di "forse") una OS Delena ambientata nel 1864... prossimamente sui vostri PC, se l'idea funziona ù.ù
Detto questo, vi lascio con la lista di qualche mio lavoro che potrebbe piacervi:

Sorriso (OS//Implied!Delena e Ghost!Rose post 4x23)
Tre passi (Triple!Drabble//Riscrittura 4x23, DamonCentred)
I love you (Triple!Drabble// Riscrittura di tre diversi "ti amo" Delena)
Di impazienza, nostalgia e mancanze imperdonabili (OS!Rating Rosso//Il ritorno di Elena dalla prima settimana di College) [E' molto probabile che prima o poi verrà pubblicato un'altra OS collegata]

Detto questo, mi dileguo ;)
La vostra Soqquadro

   
 
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