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Autore: andromedashepard    16/09/2013    3 recensioni
“Speravo dormissi, almeno tu”, disse Thane quando lei ebbe aperto il portellone. Le sembrò esausto. Coprì con due brevi falcate la distanza che li separava, uno sguardo che lei non seppe interpretare. “Dammi un buon motivo per andarmene”, aggiunse, appoggiando la fronte contro la sua. Lei trattenne il respiro, mentre le sue dita si intrecciavano ai suoi capelli. Se c’era davvero un buon motivo, lei non lo conosceva.
#Mass Effect 2 #Shrios
Genere: Avventura, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna, Thane Krios
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Andromeda Shepard '
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“But I can feel you
 
Chasing me in the dark
 
Wrapped around me
 
Nothing apart
 
And I wanna come home to you
 
I wanna come home to you”

 (Stainache – Emma Louise)

 [x]

 
 
“Signori, con rammarico devo informarvi che stiamo per chiudere quest’area per ragioni di manutenzione”. La voce mortificata di un custode raggiunse le orecchie di Shepard e Thane, che si voltarono come se avessero visto un mutante in carne ed ossa. Avevano passato ore a chiacchierare su quella panchina, raccontandosi molte cose, sicuramente troppe per la memoria di Shepard, ma non per quella di lui. Entrambi annuirono sorridendo e si decisero a lasciare quel piccolo angolo di tranquillità e pace, accettando loro malgrado di ritornare nel mondo reale.
Giusto un secondo prima che Shepard riconsegnasse il codice della sua camera al receptionist, pronta a lasciare l’Hotel, ricevette un messaggio di Kasumi sul suo terminale. Lo aprì senza sapere cosa aspettarsi, ma giurò a se stessa che se la ladra si fosse messa nei guai le avrebbe fatto una lavata di capo da manuale.

Shep, spero di averti lasciata in buona compagnia /smile sorridente/ Sono già sulla Normandy, e mi sono accorta di aver dimenticato una cosa di vitale importanza in camera. Ti prego di riportarmela

“Il suo nome, signora?”, domandò intanto l’addetto alla reception.
“Oh, no, niente… lasci stare. Credo di aver dimenticato qualcosa”, rispose lei frastornata, tentando di non maledire Kasumi in modo plateale. “Ma guarda un po’ che tempismo”, mormorò fra sé e sé.
“Che succede?”, le domandò Thane, avvicinandosi.
Bella domanda.
Era sicura al 99% che la ladra avesse pianificato solo uno dei suoi ennesimi giochetti e fu tentata di mandarla al diavolo e chiamare immediatamente un taxi, ma…
“Kasumi ha dimenticato qualcosa su in camera. Vado a controllare, vieni con me?”, la domanda sfuggì dalle sue labbra prima che potesse anche solo rifletterci seriamente.
“La stessa Kasumi che mi ha contattato per chiedermi di raggiungerti qui, dove avresti dovuto discutere con me di importanti elementi riguardanti la prossima missione?”, domandò Thane con un sorriso malizioso sulle labbra.
Lei rise, fermandosi davanti alle porte dell’ascensore.
“Shepard, ti facevo più furba”.
Lei gli rifilò un’occhiataccia e subito dopo un sorriso impossibile da trattenere.
“…o pensavi semplicemente di approfittarti della sua richiesta?”
“Sbaglio, o è quello che hai fatto anche tu qualche ora fa?”, rilanciò lei.
“Può darsi. Oppure non volevo correre il rischio di fare arrabbiare il mio Comandante”.
Shepard incrociò le braccia, guardandolo con aria di sfida, mentre le porte dell’ascensore si spalancavano e una coppia di Umani appena arrivati li osservava in attesa che si decidessero ad entrare o a togliersi di mezzo. Lei si scostò appena, facendoli passare, e poi tornò ad osservare Thane.
“Salite anche voi o…?”, domandò l’Uomo, probabilmente sulla quarantina, i capelli brizzolati e l’aria impaziente e curiosa allo stesso tempo. La donna che gli stava a fianco aveva già il dito pronto a premere il pulsante dell’ascensore e un’espressione ancora più impaziente e curiosa, se possibile.
Thane le scostò appena la giacca dalle spalle per trovare la sua mano, poi la trascinò dentro l’ascensore senza dire una parola. Il suo volto non tradiva nessuna emozione, al contrario di quello di Shepard che, invece, sembrava la personificazione di un grande punto interrogativo. Quel gesto non se lo sarebbe mai aspettato francamente, e il silenzio tombale all’interno dell’ascensore amplificò le sue sensazioni, facendola arrossire.
“A che piano andate?”, domandò la donna con un forte accento francese.
Shepard non lo ricordava. “Al vostro”, rispose con finta nonchalance.
Thane si voltò a guardarla. Sebbene avesse potuto ingannare la donna, la sua risposta non aveva ingannato lui. Lei fece spallucce, mordendosi le labbra con nervosismo mentre quella mano stretta alla sua la spingeva a domandarsi che cosa sarebbe successo.
Le porte dell’ascensore si spalancarono nuovamente e i due Umani si dileguarono con un cordiale “buonasera”. Shepard e Thane fecero lo stesso, iniziando a camminare a passo deciso quasi come se sapessero quale fosse la destinazione, poi un bip sul factotum di Shepard li costrinse a fermarsi.

73. Nel caso in cui l’avessi dimenticato.

“Fammi indovinare..”, disse Thane, “…Kasumi?”
Shepard sorrise, arrendendosi all’idea che ormai la ladra non avrebbe potuto ridicolizzarla più di così, e face per tornare all’ascensore, ma Thane la fermò. “Andiamo a piedi, ti va?”
Lei annuì, togliendosi di nuovo le scarpe. Per niente al mondo avrebbe fatto otto piani su quel paio di tacchi.
 
 
 
“Questa non è la stanza che ricordavo”, commentò Shepard con un filo di voce, quando finalmente giunsero a destinazione. Abbandonò le scarpe e la giacca in un angolo dell’ingresso, fermandosi ad osservare quella camera sconosciuta. La cosa decisamente più singolare, oltre alla presenza di comfort di tutti i tipi, era il letto. Shepard si domandò perché mai un letto dovesse possedere un’interfaccia elettronica. Si avvicinò curiosa, mentre Thane si guardava intorno, memorizzando ogni singolo dettaglio dell’arredamento, e premette un pulsante. Il letto si sollevò con uno sbuffo e prese a fluttuare sopra un campo protetto di energia oscura.
“Non ci credo…”, rise Shepard, buttandosi sul materasso a stella marina. “Perché non ne ho uno anche nella mia cabina? Cerberus aveva esaurito le risorse?”, esclamò, sprofondando in quello che le sembrò un giaciglio fatto di nuvole.
“Vorrei spezzare una lancia in suo favore, facendoti notare che le ha impiegate per cose migliori”, rispose Thane senza voltarsi. L’attimo fu raggiunto da un cuscino, afferrato prontamente al volo, e poi si voltò verso di lei, raggiungendola sul letto dove sorrideva compiaciuta.
“Devo darti ragione”, aggiunse poi, testando la morbidezza del materasso. “Ma non eravamo qui per recuperare qualcosa?”.
Shepard era perfettamente consapevole che quella fosse una provocazione bella e buona, ma non era intenzionata a dargli l’ennesima soddisfazione. Si alzò, dicendo che avrebbe cercato in giro. Dietro alla parete del letto, un’altra porzione di camera si spalancò davanti a lei, rivelando qualcosa di molto simile a una vasca da bagno e una piscina fuse insieme. La sola vista di una lunga fila di candele allineate lungo il bordo le fece desiderare di sprofondare in quel preciso istante. Era troppo, era davvero troppo, e nulla, in giro, lasciava presagire che Kasumi avesse davvero dimenticato qualcosa. Ma la cosa ironica era che entrambi fossero perfettamente consci della situazione, ma si ostinassero a proseguire con quella farsa.
 
Il senso del dovere prese il sopravvento su di lei come una sferzata di vento gelido. Ripensò alle sue parole di disprezzo nei confronti di una simile realtà, così lontana dagli orrori della Galassia, e si rese conto che lei non poteva entrare a farne parte. Se l’avesse fatto, avrebbe rinnegato gli ideali per i quali combatteva. Qualcuno le avrebbe detto che la vita è breve, che bisogna viverla attimo per attimo, senza privarsi di nulla. Qualcuno le avrebbe detto che lei aveva fatto tanto, e aveva ricevuto così poco in cambio, molto meno di quanto meritasse. Qualcuno le avrebbe detto di accogliere con slancio quell’opportunità, lasciandosi scorrere addosso i problemi, che poi avrebbe avuto tempo per affrontarli e combatterli… Ma una voce nella sua testa continuava a ripeterle con fermezza che Andromeda Shepard non era fatta così.
Ritornò in camera e si sedette stancamente sul bordo del letto, dove Thane la aspettava disteso, forse perso in uno dei suoi ricordi. Lui si mise a sedere, appoggiando le mani sulle sue spalle, e lei ebbe un fremito impercettibile quando le sue dita iniziarono a massaggiare la base del suo collo. Socchiuse gli occhi, abbandonandosi a un sospiro liberatorio.
“Cosa ti preoccupa?”, le domandò lui, percependo chiaramente la sua tensione.
“Riflettevo”, rispose lei, abbassando la testa così da facilitargli i movimenti. “Ti ho chiesto di non rinunciare ad essere felice, di non rinunciare a tutto questo, ma… Non lo so. E’ difficile cambiare se stessi, concedersi cose che pensiamo di non meritare”, confessò con un sorriso sconsolato.
“Cosa pensi di non meritare?”
“Momenti come questo… lontani dal ronzio del motore di una nave e dal rumore delle armi”.
“Perché non inizi a mettere in pratica quello che mi hai detto, allora?”
“Perché non è facile”.
“Provaci. Con me”.
Lei si voltò, le loro bocche troppo vicine, i loro respiri fusi insieme. Se solo avesse permesso alle sue labbra di raggiungere quelle di lui, lo sapeva, non si sarebbe più fermata. Si voltò dall’altra parte, facendo leva sugli ultimi bricioli di determinazione che le erano rimasti, e strinse forte una mano intorno al copriletto, cercando di ignorare le sue mani che, nel frattempo, le davano i brividi.
“Sei stanca…”, constatò lui, scostandole dal collo una ciocca di capelli sfuggita al suo chignon.
“Non abbastanza”.
Thane rise, e lei insieme a lui, per quell’uscita volutamente ambigua. La sua mano scivolò sul suo braccio, poi sopra alla sua, e la costrinse a lasciare la presa sul copriletto, intrecciando le dita con quelle di lei.
“Riesci mai a rilassarti?”, le domandò piano.
“E’ una domanda retorica?”
“No”.
“Allora anche la mia risposta è no. Tu ci riesci?”
“Ultimamente molto poco”.
“Mi dispiace”, disse lei. Sapeva che, in un modo o nell’altro, la colpa fosse anche sua. Ripensandoci, adesso lo vedeva così diverso da quando gli aveva parlato la prima volta. La sua apparente freddezza, il suo distacco verso il resto del mondo, la sua sicurezza… ora erano diventati interesse, dolcezza, calore. Qualcosa che lei non avrebbe mai associato alla figura di un assassino.
“Non devi”, rispose lui. “Ho passato dieci anni della mia vita senza sentire nient’altro che il vuoto. E’ bello poter riuscire a provare sentimenti che esistevano dentro di me ormai solo sotto forma di ricordi”.
Lei sorrise, lottando contro il desiderio sempre più urgente di girarsi e incontrare le sue labbra. Non ci sarebbe stato un momento più perfetto di quello, lo sapeva; erano soli, lontani dal loro solito mondo fatto di metallo, lontani da un mucchio di datapad pieno di numeri e statistiche, lontani da ogni cosa che avesse a che fare con la guerra, con i morti, con le sparizioni. Eppure…
“Fra qualche ora dobbiamo ripartire. Ho chiesto a Tali e ad EDI di fare una ricerca incrociata sugli ultimi dati di Cerberus a proposito del Razziatore. Se mi confermano che effettivamente è come dice l’Uomo Misterioso, dovremo recarci lì immediatamente”, disse, tirando in ballo uno di quei pochi argomenti che avrebbero potuto veramente distrarla.
“Sei sicura? Non ti sei ancora ripresa completamente”, rispose lui, accarezzando con una mano la ferita sul suo fianco. Non voleva provocarla, non voleva essere un gesto malizioso, ma lei si ritrovò a mordersi una guancia per mantenere l’autocontrollo necessario a ignorare quel contatto.
“Un’ultima dose di medigel e sarò a posto”, decretò, serrando le mascelle. “Se poi il Razziatore è davvero morto come dicono, allora non ci saranno problemi”.
“Devi riposare allora”.
Lei annuì, pensando che sarebbe sprofondata volentieri in quel letto, in quel preciso istante. E poi si sarebbe maledetta fino alla fine dei suoi giorni perché no, non poteva permetterselo. Mancava dalla sua nave da troppe ore, e non aveva giustificazioni. Non per gli altri, per se stessa.
“Torniamo alla Normandy”, disse con fermezza, odiandosi nel farlo.
Thane lasciò la presa intorno alla sua mano, il calore della sua pelle svanito nel giro di un istante. Lei non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi. Sarebbe bastato solo un gesto, solo uno sguardo per cambiare tutto, sarebbe bastata una parola, un cenno… ma prima che potessero anche solo trovare il coraggio, avevano già lasciato quella stanza e il vento freddo della notte li aveva investiti in pieno mentre attendevano un taxi, sotto la luce flebile di un lampione.
 
 
 
La lunga passerella della Normandy era ormai l’ultima cosa che li separava dalle loro responsabilità e dai loro doveri; il rumore dei tacchi di Shepard l’unico suono udibile all’interno di quel lungo corridoio provvisorio, tanto che lei decise di sfilarseli nuovamente. L’idillio era durato troppo, fino all’ultimo momento aveva creduto di essere finalmente in salvo. Aveva sconfitto quel nemico alto dodici centimetri ed era pronta a cantare vittoria, quando, nell’atto di sfilare la prima scarpa, qualcosa era andato storto – probabilmente la sua caviglia - e lei era rovinosamente caduta all’indietro. Restò in silenzio per qualche secondo, a fissare il pavimento a due centimetri dalla sua faccia, poi iniziò a ridere a più non posso, e Thane insieme a lei.
Ci aveva provato a non ridere, lui, con tutto l’impegno possibile, ma la scena era stata talmente esilarante che gli bastò sentire la sua risata per non fermarsi più. Il temerario Comandante Shepard che rotola come un Volus ubriaco giù per la passerella! Le si avvicinò, tendendole un braccio, e lei lo afferrò asciugandosi le lacrime. Si ritrovarono stretti, addosso a una parete di metallo, a ridere come due adolescenti, mentre una delle sue scarpe continuava a rotolare verso lo spazioporto e l’altra, ancora indossata, costringeva Shepard a mantenere quell’equilibrio precario. C’era solo il corpo di lui, premuto contro il suo, a impedirle di non cadere nuovamente, e lei si ritrovò a perdere il fiato, non per le risate, ma per quegli occhi che la guardavano in un modo da far tremare le ginocchia.
Mentre le risate sbiadivano, qualcos’altro, di inconscio e primitivo prendeva il loro posto, trasformando una situazione all’apice del ridicolo in qualcosa di completamente diverso. Restarono in silenzio, a guardarsi negli occhi, senza osare neppure respirare, finchè non fu semplicemente troppo difficile.
“Baciami, dannazione”, disse lei, quasi in un sussurro.
E lui non perse assolutamente tempo, fiondandosi sulle sue labbra con prepotenza, come se non avesse aspettato altro fino a quel momento. Le mani sui suoi fianchi, le sue gambe intorno alla vita, le dita intrecciate ai capelli, aggrappate ai bordi dei vestiti, e i loro respiri spezzati… adesso gli unici suoni tra quelle pareti di plastica e metallo. Anche l’altra scarpa cadde, raggiungendo la compagna allo spazioporto, e Shepard sorrise contro le sue labbra. “Me ne sarei sbarazzata comunque”.
Lui la baciò di nuovo, sollevandola maggiormente, e lei intrecciò le gambe dietro alla sua schiena, le braccia intorno al suo collo. Per un attimo le parve di dimenticare persino dove fossero, concentrata solo su di lui, su ogni dettaglio che avrebbe potuto fare suo, sulle sue mani che la stringevano forte, le mani di qualcuno a cui, paradossalmente, avrebbe affidato la sua stessa vita senza esitare. La ragione aveva lasciato completamente spazio all’istinto, arrendendosi di fronte a qualcosa di così bello, di così puro, da risultare, in qualche modo, impossibile da respingere. Si pentì di aver lasciato quella camera, di aver tentato in ogni modo di negare a se stessa attimi come quello; avrebbe dovuto sapere che certi sentimenti, alla fine, finiscono per prevalere su tutto. “Immagino sia troppo tardi per tornare indietro”, disse, il suo collo accarezzato dalle labbra di lui.
“Questo non era previsto”, rispose Thane, e lei poté sentire la sua voce, profonda, vibrare nella sua gola.
“No, non lo era…”, mormorò appena lei, sorridendo, consapevole che non lo era mai stato, sin dall’inizio. Non lo era stato nel buio di quello stanzino, non lo era stato la notte prima e non lo era stato neppure la sera dei suoi trentuno anni…
“Siha…”, disse lui, senza allontanarsi un attimo dalla sua pelle, “dovremmo fermarci…”, aggiunse, con un tono a metà tra una domanda e un’affermazione.
Lei annuì, cercando le sue labbra, il suo volto con le mani. Lo sapeva che sarebbe stato impossibile.
“Questo non aiuta”, rispose lei, notando che neppure lui sembrava avere la minima intenzione di smettere.
Tu non aiuti”.
Shepard rise, sfuggendo per un istante dalle sue labbra. “E tu non eri forse Mr. Autocontrollo, Krios?”
“Non mi conosci abbastanza bene”.
“A quanto pare…”
Risero di nuovo, fra un bacio e un altro, e poi lui finalmente si decise a metterla giù, senza però lasciarla andare. Le accarezzò i capelli, ormai completamente sciolti, con dolcezza, recuperando l’elastico come farebbe un mago con una monetina dietro l’orecchio, e si ritrasse, quando lei provò a prenderlo.
“Cosa vuoi?”, le domandò lei, senza smettere di sorridere.
“Un ultimo bacio”.
Gliel’avrebbe dato volentieri, gliene avrebbe dati altri mille. E lui lo sapeva.
“Non posso assicurarti che sia l’ultimo, però”.
“Me ne farò una ragione”.
 
 
 
Giunsero davanti al portellone ancora uniti in un abbraccio, senz’avere la minima voglia di lasciarsi. Shepard sapeva che il suo veleno avrebbe probabilmente fatto effetto nel giro di una dozzina di minuti al massimo, e nonostante ciò, non riusciva a decidersi ad entrare, facendo scudo alla serratura elettronica col suo corpo. Lui passò una mano dietro alla sua schiena, sbloccando i sigilli contro la sua volontà e lei sorrise, perdendosi ancora una volta nei suoi occhi, mentre entravano nella zona di depressurizzazione.
“Buonanotte”, le disse lui, accarezzandole il mento.
“Buonanotte”, rispose lei con un sorriso d’intesa, qualche secondo prima che il portellone si sbloccasse, consentendo loro l’accesso al ponte di comando.
Si allontanarono, assumendo un’andatura composta, un espressione totalmente neutra sul viso. Shepard attraversò l’ampia sala con l’aria di qualcuno in procinto di attraversare un campo di battaglia, l’incedere fiero, lo sguardo determinato. Nessuna recluta e nessuno specialista avrebbe mai potuto scalfire la sua compostezza, neppure lo sguardo perplesso e sorpreso di Kelly. Una volta giunti all’interno dell’ascensore tornarono a sorridersi. Lui le prese una mano, baciandola delicatamente sul dorso, e lei poggiò una mano sul suo bicipite, mentre lui premeva il quarto pulsante.
Stavolta, la salita dell’ascensore sembrò persino troppo veloce. Shepard si fermò ad osservarlo un’ultima volta, la testa inclinata di lato e un sorriso spontaneo sulle labbra. Non dissero nulla, lasciandosi soltanto con uno sguardo che aveva il sapore di mille promesse, prima che le porte dell’ascensore si chiudessero di nuovo, separandoli a forza.
Adesso, solo una doccia fredda avrebbe potuto salvarla dall’autocombustione.
 
 
 
“Comandante, l’Uomo Misterioso vorrebbe vederla in sala briefing”. Queste furono le parole con cui Shepard iniziò il nuovo giorno, contrariata. Uscì lentamente fuori dalle coperte, sentendo lo stomaco sottosopra. Avrebbe dovuto mangiare un boccone prima di andare a letto, come minimo, ma si era imposta di stare alla larga dal ponte equipaggio, almeno quella sera e adesso doveva fare i conti con una terribile nausea. Si rivestì e stancamente raggiunse il CIC, prima di mettersi in contatto con Cerberus.
“Kelly, hai idea di cosa voglia stavolta l’Uomo Misterioso?”, domandò con fare sbrigativo.
“No, mi dispiace Comandante. Ha solo detto che è urgente”.
Urgente non era mai una bella parola, ma in questo caso poteva significare molte cose. Un’altra colonia scomparsa, notizie dal Razziatore, o chissà che altro. Non perse tempo e avviò immediatamente la chiamata, una volta giunta in sala briefing.
“Shepard, sono lieto di non aver dovuto aspettare, questa volta”.
“Qual è il problema?”, tagliò corto lei.
“Dovrai rinviare la missione. Sono giunto in possesso di parecchie informazioni riguardo l’Ombra e sai quanto sarebbe importante acquisirne il controllo. Sai anche che la tua vecchia amica, Liara T’Soni, la sta cercando da tempo… e sono convinto che incrociando i vostri dati riuscirete a trovarla”.
Shepard si passò una mano tra i capelli, pensierosa. Non le piaceva questa richiesta, non si fidava di Cerberus a tal punto, ma con Liara di mezzo le cose cambiavano.
“E’ sicuro che ne valga la pena? Non vorrei ritrovarmi a perdere tempo mentre spariscono altre colonie, là fuori”.
“Ho ragione di pensare che questi dati possano fare la differenza, ma per esserne sicura devi parlarne con l’Asari”.
“Bene, vorrà dire che imposterò la rotta verso Illium… sperando che ne valga la pena”, rispose lei a denti stretti, prima di chiudere la comunicazione.
Conquistare la base dell’Ombra significava venire in possesso di ogni informazione possibile e immaginabile, oltre a un numero infinito di risorse e denaro. Il perché Cerberus l’avesse indirizzata da Liara, lei non lo sapeva. Forse, approfittando del loro legame, sperava di poterla sfruttare a suo piacimento, ma lei non lo avrebbe permesso.
Si rintanò nuovamente nella sua cabina, studiando i nuovi documenti a proposito della missione. Risultò evidente sin da subito che Cerberus avesse impiegato un gran numero di risorse per ottenere tali informazioni, scoprendo ad una ad una le numerosi basi dell’Ombra, tranne quella più importante: la principale. Un dossier risaltò immediatamente ai suoi occhi, era quello di un Drell di nome Feron. Che ruolo avesse in quella faccenda le era sconosciuto, ma sperava di trovare le risposte da Liara. In serata sarebbero giunti su Illium e finalmente avrebbe potuto fare una chiacchierata con quella che era la sua più cara amica.
 
 
 
Liara fu sorpresa di trovare Shepard fuori dal suo ufficio, appena passato l’orario di lavoro. Come al solito si era trattenuta fino a tardi, persa tra una telefonata e un’altra, sempre alla costante ricerca dell’unica cosa che le premeva di trovare. Se possibile, fu ancora più sorpresa di vedere che Shepard si fosse presentata con quell’assassino che lei aveva aiutato a trovare settimane prima. Pensò immediatamente che non era da lei fidarsi di tipi come quello, ma non aveva dubbi sul fatto che doveva aver avuto i suoi buoni motivi per portarselo dietro. Li fece accomodare all’interno della piccola stanza, cercando di non sembrare troppo emozionata per quella visita inaspettata. Molte cose erano rimaste in sospeso tra lei e Shepard, e ogni volta, vederla, le faceva crollare il pavimento sotto ai piedi. Cercò di apparire calma e posata, mentre dall’altro lato della scrivania si torceva nervosamente le mani, nascoste sotto al tavolo.
“Non mi aspettavo di vederti qui, ma sono contenta che tu non ti sia dimenticata di questa vecchia amica”, sorrise amichevolmente.
“Come potrei, Liara?”, sorrise Shepard di rimando, recuperando il datapad con i dati che avrebbe dovuto mostrarle. “Ma il meglio non è ancora arrivato…”, ammiccò. “Dai un’occhiata”, le disse, porgendoglielo. Missione: Ombra, recitava il titolo in alto.
Liara sgranò gli occhi e iniziò a scorrere le pagine cercando di darsi un contegno. “Che significa?”
“Significa che posso aiutarti adesso”, rispose Shepard.
L’Asari si fermò per un attimo, cercando un contatto visivo. “Io… non so cosa dire. Fammi dare un’ altra occhiata”, continuò, tornando a scandagliare le informazioni. Poi si fermò, improvvisamente, portandosi una mano alla bocca.
“Feron…”, mormorò.
“Chi è? Cosa c’entra con l’Ombra?”
Liara si alzò, ormai incapace di trattenere tutte le sue emozioni. Sapeva che sarebbe dovuto arrivare quel momento, ma sperava non così presto e non così all’improvviso.
“Devo parlarti di una cosa importante”, le disse infine, determinata, mentre sentiva di sgretolarsi dentro.
Thane scambiò una rapida occhiata con Shepard e decise di lasciare la stanza ad un suo cenno d’assenso, lasciandole da sole a raccontarsi cose taciute troppo a lungo.
 
 
Dieci minuti dopo Shepard le dava le spalle, osservando il panorama di Illium con una mano sotto al mento, gli occhi vitrei e inespressivi. Liara la guardava a distanza di sicurezza, provando un misto di vergogna, paura e rimorso. Non aveva ancora detto una parola da quando lei le aveva spiegato di essere la responsabile della sua consegna a Cerberus e, sinceramente, non sapeva più cosa aspettarsi. Forse aveva fatto male a tenerglielo nascosto per tutto quel tempo, ma ogni volta che aveva provato a chiamarla, o a scriverle un’email, aveva finito per prendersi la testa fra le mani, in preda al tormento. Adesso però, riusciva a sentirsi un grammo più leggera, ora che finalmente si era tolta quel macigno dallo stomaco.
“Ann…”, provò a dirle, facendo un passo verso di lei.
Shepard sollevò una mano, intimandole di restare indietro. Aveva bisogno di tempo; tempo era tutto ciò che chiedeva, in quel momento.
Non avrebbe mai pensato che potesse esserci Liara dietro la sua ricostruzione, non l’avrebbe mai ritenuta capace di poterla consegnare a Cerberus, ma sapeva che nei momenti di disperazione, ogni cosa acquista un significato diverso e si è disposti ad accettare più di un compromesso pur di ottenere quello che si è perso. Poteva davvero avercela con lei solo perché aveva desiderato di darle una degna sepoltura o una nuova speranza di vita?
“Perché non me l’hai detto prima?”. Questa fu l’unica cosa che riuscì a domandarle.
“Ci ho provato. Ci ho provato tante volte, ma non ho mai avuto il coraggio”.
“Me lo dovevi, Liara. Era un mio diritto”.
“Lo so, e l’avrei fatto…”
“Quando? Dopo Omega 4? Ammesso che fossi sopravvissuta?”
“Ti prego, Ann… io…”
Shepard scosse la testa, voltandosi finalmente a fronteggiarla.
“Voglio lasciarmi alle spalle anche questa storia. Ho solo bisogno di metabolizzare tutto…”
“Non ti chiedo di perdonarmi”.
“Non ce n’è bisogno”, rispose lei, avvicinandosi. “Io…non so, forse dovrei ringraziarti. Dopotutto, è solo grazie a te che sono ancora qui…” aggiunse, cercando di seppellire l’orgoglio e la rabbia per il prezzo che ciò le era costato.
“Mi dispiace, mi dispiace davvero”, gemette Liara, abbracciandola in uno slancio d’affetto che fu incapace di frenare. E Shepard capì in quel momento che mai e poi mai avrebbe potuto odiarla per quella scelta.
Si diedero appuntamento per quella sera stessa, nell’appartamento dell’Asari. Prima di dirigersi alla base dell’Ombra, bisognava preparare un piano.
 


 

Forse non ringrazio mai abbastanza coloro che trovano il tempo di leggere e recensire questa storia, anche quelli che l'hanno fatto altrove. Beh, colgo adesso l'occasione per farlo... grazie di cuore. Il vostro supporto è qualcosa di veramente importante se non indispensabile.
   
 
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