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Autore: Hikari93    17/09/2013    5 recensioni
«Ehilà.»
Aggrottò un sopracciglio, senza alzare gli occhi dalla pagina; che volessero parlare, gli andava pure bene, ma che non discutessero con lui nel mezzo. Involontariamente, si scoprì in attesa di una risposta da un presunto secondo interlocutore che non giunse, al che comprese di essere lui il destinatario di cotale saluto.
Fissò colui che gli si era avvicinato, e di nuovo un vivo istinto omicida si fece sentire, e forte, anche, talmente tanto che nemmeno un pugno nello stomaco avrebbe potuto acquietarlo.
«Che vuoi?»
[1. Di pugni negli occhi e di colleghi rompiballe ~ OneShot]
Genere: Comico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hashirama Senju, Madara Uchiha
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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1. Di pugni negli occhi e di colleghi rompiballe 




 
Madara poteva considerarsi un tipo dalle alte aspirazioni, di quelli che fissavano l’obiettivo sempre una spanna sopra agli altri, di quelli per cui essere dannatamente superiori era all’ordine del giorno, come bersi il caffè alla mattina.
Tuttavia, l’omicidio non rientrava tra le sue priorità, per il momento; non davanti a tutti e non durante la lezione di chimica, nello specifico. Però dopo, a quel punto, un pensierino avrebbe potuto farlo.
Respirò prima, altrimenti mandava a buone donne tutti i suoi fin troppo educati propositi, e solo poi si girò indietro, lo sguardo truce, non riuscendo più a sopportare il beota che, dietro di lui, scombussolava il mondo ogni volta che si chinava sul banco per copiare la nuova formula chilometrica che appariva al proiettore.
«Piantala» sussurrò, puntando a intimorirlo.
L’altro si poggiò di scatto l’indice sulle labbra, per azzittirlo, sibilando uno sssssh di ammonimento, e la mente di Madara fu affollata – e quasi avrebbe doluto se lui non fosse stato da sempre avvezzo ad accumulare informazioni a macchinetta, più di quanto una semplice mente avrebbe potuto – da eccellenti motivi per cui dovergli spezzare quel dito della malora: per esempio, non andava sottovalutato il mal di mare che il tizio gli stava facendo salire a furia di muoversi con malcelata grazia, slanciandosi in avanti e facendo traballare tutto il complesso di banchi e sedie di quel catorcio di università, a intervalli di trenta secondi per tutti i novantacinque minuti spaccati di corso che avevano seguito fino a quel momento; oppure, si poteva considerare anche quella dannata penna che gli era caduta dalle mani già due volte, e che gli aveva urtato per già due volte la schiena, distraendolo dalla lezione per già due volte. 
Il rompiballe dietro di lui pareva particolarmente assorto, adesso, e ciò non poteva che indicare che sì, stava succedendo, lo stava ignorando, e presto avrebbe riattaccato con l’effetto oceano in tempesta. Detto fatto, il tempo di mandarlo malamente a quel paese, sibilando, di sbuffare e di provare a voltarsi in avanti, e già sentì il seggio, il banco – il mondo, insomma, e non esagerava; semplicemente, ne era urtato e infastidito – e tutto muoversi in avanti, con sua somma scocciatura. Strinse più forte la penna, gli occhi chiusi, i denti stretti e il pugno contro la fronte, sforzandosi di concentrarsi soltanto sulla voce del docente e sul proiettore, basta.
L’omicidio non è una tua priorità, si ripeté. Non vale la pena di sporcarsi le mani con un tizio simile, si disse, ragionevolmente. L’aula è enorme, e domani non lo incrocerai nemmeno per sbaglio, si rassicurò.
Un altro brusco movimento lo sbalzò leggermente in avanti.
Domani dall’altra parte dell’aula, assolutamente, concluse.


 
Il giorno dopo, Madara fu attento a prendere posto. Si guardò intorno, in viso la solita aria imperscrutabile, e, constatata l’assenza di qualsivoglia anima viva desiderata morta, si accomodò.
Poiché riteneva il novantanove per cento dei tizi presenti incapace di suscitare il suo interesse in una qualunque conversazione – alternativa al definirsi asociale; da quel punto di vista, la sua persona non aveva colpe se preferiva isolarsi piuttosto che essere annoiata da chiacchiere futili –, preferì volgere uno sguardo agli appunti presi il giorno precedente, così per impegnarsi in qualcosa. Sorvolò su alcune sbavature dovute allo scassascatole, e prese a leggere.
«Ehilà.»
Aggrottò un sopracciglio, senza alzare gli occhi dalla pagina; che volessero parlare, gli andava pure bene, ma che non discutessero con lui nel mezzo. Involontariamente, si scoprì in attesa di una risposta da un presunto secondo interlocutore che non giunse, al che comprese di essere lui il destinatario di cotale saluto.
Fissò colui che gli si era avvicinato, e di nuovo un vivo istinto omicida si fece sentire, e forte, anche, talmente tanto che nemmeno un pugno nello stomaco avrebbe potuto acquietarlo.
«Che vuoi?»
«Presentarmi, salutarti.» Alzò le spalle, quello, esponendo un sorriso allegro e cordiale, che, in un individuo normale, avrebbe dovuto scontrarsi con l’espressione cupa di Madara e sbalzare via, con tanto del suo possessore; cosa che non accadde – deduzione logica, quel tizio non aveva un solo neurone funzionante in modo corretto, per forza. «Ieri mi hai parlato, ed è stato scortese da parte mia non risponderti» infierì, anzi. «E quindi…» gli poggiò la mano sulla spalla, «…rimedio.»
Madara guardò con profondo orrore le dita – tra cui l’indice, quel maledetto – che lo stavano tangendo, e le scostò con sgarbo. Fece per replicare e consigliargli caldamente di sparire, ma quell’altro non pareva intenzionato a disattivarsi, dissolversi, spegnersi.
«Hashirama Senju» si presentò, infatti, allungandogli una mano che Madara non afferrò. Peccato che fu la sua stessa neo conoscenza a stringergliela, come se non avesse notato quella sua sottilissima riluttanza, la stessa che gli fece scattare l’arto all’indietro e contemporaneamente spuntare un’occhiata non proprio docile, della quale, però, Hashirama non si curò.
«E tu, invece, come ti chiami?» chiese. «Ah, sì… e l’altra volta che avevi detto? Non ti ho sentito, ero concentrato sulla lezione, scusami. Me lo ripeti? Ti serve una mano in qualcosa? Non avevi capito la formula? Ti mancava un passaggio?»
Madara rimase un secondo allibito e scocciato e nervoso insieme: troppe parole stupide e a raffica in troppo poco tempo. Nel dubbio, decise di non rispondere a nessuna delle domande che gli erano state poste, abbassando semplicemente la testa, lasciando intendere all’altro di doversi liquefare.
Chissà perché supponeva che quella testa dura non capisse.
«E’ questo?» gli soffiò il quaderno dalle mani, infatti. «Oh, non preoccuparti, io ho capito com’è, posso aiutarti. Però… la prossima volta ti consiglio di non girarti indietro durante la lezione, ehm… come ti chiami, quindi?»
«Madara» gli concesse, anche se sembrava più una minaccia di morte, tenendo conto del tono. «E adesso che sai come mi chiamo, vedi di sparire.»
Hashirama corrugò leggermente la fronte e storse le labbra. «Sai…» ritenne opportuno fargli notare, «capita anche a me di innervosirmi un po’, quando mi è poco chiaro un concetto, Madara. Ma ho risolto che ragionandoci con calma ci sia arriva.»
Madara schiacciò la mano contro il viso, respirando intensamente, ricordandosi nuovamente che non aveva intenzione di finire in prigione per un soggetto simile, e che quindi, semmai proprio fosse stato costretto alle maniere forti, le avrebbe usate quando nessun testimone avrebbe potuto denunciarlo. Nonostante questo, il pugno stava per partirgli in automatico, quando Hashirama fece per aprire di nuovo bocca, ma il tempismo perfetto del docente gli impedì di muovere anche un solo muscolo.
«Ne parliamo dopo, allora» concluse Hashirama, sedendoglisi davanti, in una situazione opposta a quella del giorno precedente.
In tutta quell’assurda e assordante – calzava a pennello – situazione, a Madara non restavano che due alternative: trovare il lato positivo del tutto, oppure uccidere il tizio ora che non lo stava guardando e che, soprattutto, stava in silenzio. Sempre affinché la sua fedina penale rimanesse splendida, optò per la prima, dicendosi che, almeno, avendocelo innanzi, non avrebbe potuto disturbarlo troppo agitandosi o altro.
E andò bene, proprio come previsto, per tutta la lezione. Madara quasi se ne sorprese, poiché aveva persino accantonato l’idea che il capoccione che adocchiava se abbassava di un poco lo sguardo era di quello scocciatore. Meglio così, si disse.
Adesso non gli restava che andarsene prima che Hashirama si voltasse, così che, almeno per quel giorno, la scampasse. Si era anticipato, e la tracolla era già pronta e sistemata. Fece per alzarsi, rapidamente.
Un qualcosa di, al momento, non ben identificato, lo colpì all’improvviso, lasciandogli sfuggire un’esclamazione piuttosto volgare, ma poco se ne fregò.
«Non l’ho fatto a posta, scusa!»
Al sentirne la voce, Madara comprese. Si premette fortissimo una mano sull’occhio, quasi a voler contenere tutto quel male che era scaturito dalla collisione col pugno chiuso di un Hashirama che probabilmente si stava stiracchiando, sollevandosi nel suo stesso momento, pressappoco.
«Sparisci all’istante.» Il suo tono era freddissimo.
«Ti fa male tanto?»
Madara alzò il pugno, caricandolo. «Avvicina la faccia, magari se provi capisci meglio.»
«… credo di aver afferrato» fu sicuro.
«Dannazione» sibilò, completando le sue minacce di morte interiormente. Chiuse anche l’altro occhio, in attesa che l’ondata di bruciore passasse – e magari anche quella di rabbia, nonostante si prospettasse più durevole di quanto si potesse pensare.
Si sentì afferrare il polso e spostarlo, e quando fece per rivolgere un’occhiata all’artefice di tale gesto, fu costretto a serrare di nuovo le palpebre, sia perché l’occhio ancora pizzicava, sia per la presenza di un fazzolettino imbevuto d’acqua che Hashirama gli stava pressando contro.
«Non è il massimo, ma almeno…»
L’altro preferì proprio non replicare, stavolta. Si accorse qualche secondo dopo che il fazzoletto era ancora tenuto da Hashirama, e fu veloce ad agire per sfilarglielo dalle mani e mantenerselo da sé.
Rimase con quel coso appoggiato per un po’, giusto il tempo di riuscire a vedere senza dover bestemmiare, e notò che, per sua fortuna, il colpevole del fattaccio era stato in tombale silenzio per tutto il tempo.
«Va meglio?» glielo domandò soltanto quando lo vide alzarsi e poggiarsi la tracolla sulla spalla.
Nemmeno la lesione che aveva procurato gli impedì di beccarsi un ennesimo sguardo mortale, accompagnato dal più profondo silenzio. Solo questo, poi Madara se ne andò.
 


Pensava di esserselo tolto dai piedi, finalmente, che quello non avrebbe più avuto il coraggio di mostrarglisi, magari troppo dispiaciuto, o forse rendendosi conto di quanto fosse idiota, un po’ distratto, imbecille, rompicoglioni. Madara ci sperava, un poco ne era pure convinto – nonostante avesse già ben inquadrato il tipo di persona con cui aveva a che fare.
Non accadde.
Ovviamente.
Anzi, la questione si evolse, peggiorando, in quanto Hashirama trovò in quell’incidente l’incipit di tutti i loro futuri discorsi – o i suoi, dato che l’altro gli parlava il minimo indispensabile e solo per fargli notare di doversene andar via.
E questo per un bel po’, finché la questione del pugno non si accantonò da sé, lasciando loro, però, la curiosa abitudine di un cenno scontroso di saluto in risposta a vivace buongiorno.
 
 










 














 
 
 
Salve a tutti! *__________*
Era da mesi che non scrivevo, e… mi stavo pure convincendo che l’unica cosa che sarei riuscita a scrivere per il prossimo futuro sarebbero state drabble e flashfic. XD
Ed ecco che spunta la oneshot – ora mi resta solo da riprendere le long e stiamo a cavallo. XD
Ad ogni modo… non so se siano necessarie note, credo sia tutto comprensibile, in fondo non è nulla di troppo elaborato. XD
u Ne esiste una seconda, sempre collegata a questa, ed è perciò che non metto “completa”. U___U
 
E nulla. Per quanto scema/stupida/nonsoche(magari piacevole, chissà XD), spero non sia stata un fiasco totale. XD A me è piaciuto scriverla perché, dopo tanto (considerando i miei vecchi standard), ritornare alle oneshot è stato strano. XD
 
Ci si risente al prossimo aggiornamento, sperando che non sia l’anno prossimo. XD



 
   
 
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