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Autore: Egi_    17/09/2013    4 recensioni
Londra, 1882.
"C’era un solo luogo dove avrebbe potuto cominciare davvero a vivere intensamente: Londra."
Kurt Hummel è un giovane aspirante poeta alla ricerca della sua ispirazione perduta, troverà molto di più.
Santana Lopez, giovane donna indipendente e moderna, vivrà un amore che la porterà a rivedere le sue convinzioni.
Quinn Fabray, sposata, è prigioniera di una passione imperdonabile.
Sullo sfondo una città magica, fatta di poche luci e tante ombre.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt, Brittany/Santana, Quinn/Rachel
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Ciao a tutti! Scusate l'imperdonabile ritardo ma ho avuto un po' di problemi di ogni genere, non ultimo un incidente in motorino che mi ha impedito di scrivere per qualche giorno (tutt'ora devo ancora riprendermi completamente!).
Per farmi perdonare il capitolo è più lungo del solito e spero davvero che vi piaccia :)
Grazie ancora a tutti quelli che recensiscono, preferiscono, ricordano, seguono e leggono solamente!


CAPITOLO OTTO
 
 
Quinn Fabray cercava di fare quello che era suo dovere.
Sorrideva quando doveva sorridere.
Rideva alle battute spiritose dei suoi ospiti.
Ballava con Finn, con Shuester, con Kurt e Sammy Evans.
Annuiva seria ai racconti delle altre signore e baciava castamente suo marito quando ci si aspettava che lei lo facesse.
Faceva tutto quello che avrebbe dovuto fare.
La verità era che non si era mai sentita così vuota in vita sua.
Con il pianto disperato di poco prima aveva buttato fuori gran parte della sua disperazione più superficiale e quella che rimaneva si era avvinghiata al cuore ed era strisciata al suo interno, a sedimentare.
Al suo posto era arrivata la rabbia.
Una rabbia che era esplosa nel momento in cui l’aveva vista entrare, con quell’abito blu scuro e i suoi capelli ramati, a braccetto con Jesse St. James.
Le era venuta voglia di andare da Rachel, prenderla per quei suoi bellissimi capelli e urlarle in faccia tutto il suo dolore.
Rachel Berry le aveva rovinato la vita.
Perché l’aveva trattata con tanta gentilezza?
Perché aveva cantato per lei?
Perché la guardava in quel modo?
Anche adesso la sta guardando così, con quei suoi occhi scuri e pieni di tutto quello che c’è di bello al mondo, pieni di tante promesse infrante.
Perché la guardava sempre nel modo in cui l’aveva guardata quella volta nella sua carrozza e poi nel salotto, su quel divano rosso come la passione?
Quinn distolse lo sguardo ma la rabbia non scompariva.
Rimaneva lì e si agitava sotto la sua pelle come fanno i vermi nella terra.
 
“Quinnie?”
Quinn si voltò. Finn la stava fissando, le grandi mani dietro la schiena.
Non potè fare a meno di sorridergli.
Gli voleva bene come si può voler bene al tuo più caro amico e più di una volta la colpa per quello che provava l’aveva portata a piangere in preda al dispiacere per quei pensieri che invece di andare a suo marito andavano a quella ragazza piccola e bruna.
“sì, caro. Sto benissimo.”
Finn non sembrava convinto.
“mi farebbe piacere passare del tempo con te domani sera. Da qualche giorno ti vedo… preoccupata e magari è colpa mia. Magari è per qualcosa che non faccio e se tu mi dicessi cos’è… ecco comincerei a farlo. O magari sei solo nel tuo periodo di… di donna e…”
Quinn prese la mano grande di Finn fra le sue e la strinse. Lo guardò in quegli occhi marroni e pieni di un amore che non si meritava.
Doveva spezzare quelle catene. Quelle del suo amore impossibile e totalmente sbagliato e insano per Rachel e cominciare ad amare suo marito come un uomo come lui si meritava di essere amato.
Mai come in quel momento quello che provava per la Berry le sembrò una maledizione.
Il suo peccato originale.
“sarò felice di cenare con te domani. Ovunque tu vorrai.”
Finn sorrise come un bambino il giorno di Natale e fece sorridere anche Quinn.
Per la prima volta da giorni un sorriso sincero comparve sul suo volto.
 
“Buonasera!”
Rachel sapeva che si stava comportando da vera maleducata. Interrompere in quel modo un discorso serio tra due coniugi, peraltro i padroni di casa, era tremendamente maleducato.
Non aveva potuto farne a meno però.
Vedere Quinn sorridere in quel modo a Finn (dio Rachel, è suo marito!) le aveva fatto male.
Dalla loro discussione Rachel era confusa.
Quinn era la sua migliore amica e non era mai stata nulla di più.
È vero, era successo quello che era successo ma Quinn non era stata la prima donna che Rachel aveva baciato. Da ragazzina si era scambiata qualche bacio con un’amica di sua cugina per prepararsi a baciare i ragazzi.
Non era mai stato niente più che piacevole.
Quinn però era la sua migliore amica e Rachel pensava che il problema risiedesse proprio lì.
Le mancava, le mancava terribilmente e il pensiero che potesse avercela con lei o odiarla la stava logorando.
Avrebbe dato la sua parte da protagonista all’Operà per chiarire con la sua amica (e questa, si disse Rachel Barbra Berry, era la prova definitiva di quanto tenesse all’amicizia di Quinn).
I due coniugi si voltarono verso di lei.
Finn le rivolse un sorriso caloroso che Rachel non vide neppure.
Gli occhi di Quinn assorbivano tutte le sue attenzioni.
Erano freddi come non gli aveva mai visti.
In quel momento sembravano ancora più verdi di quanto già lo fossero solitamente, pieni di un furore di cui Rachel era l'unico bersaglio. 
Per la prima volta in vita sua Rachel Berry non aveva parole, non sapeva cosa dire.
Non si accorse che stava trattenendo il respiro fino a quando Finn non si rivolse a lei facendo sì che riprendesse in qualche modo il controllo del suo corpo e della sua mente.
“Allora che ne pensi Rachel? Abbiamo fatto un buon lavoro stanotte?”
“Certamente Finn! Non ho mai visto una casa addobbata tanto perfettamente in vita mia! Fate invidia a Buckingham Palace amici miei!”
Finn scoppiò a ridere: “esagerata! A Buckingham non sarebbe mai entrata una donna come la Pierce.”
Rachel annuì: “Artie ha perso la testa per lei a quanto pare e non è l'unico. Da quando è entrata...”
“Miss Berry si sposa caro, hai saputo?”
Rachel agghiacciò.
Guardò Quinn ma lei stava rivolgendo le sue attenzioni a suo marito, un sorriso dolce sul volto.
Dolce ma malvagio. Un ossimoro che ghiacciò il sangue nelle vene a Rachel. Decise di non fargliela passare liscia.
Voleva la guerra? Ebbene Rachel Berry non si sarebbe tirata indietro.
“era un'informazione confidenziale Quinn.”
“confidenziale? Ci conosciamo da quando eravamo ragazzini Rachel!”
Finn era offeso. Voleva molto bene a Rachel, era la sua più cara amica.
Non poteva credere che non gli avesse dato di persona una notizia del genere.
Senza contare che riteneva il matrimonio l'ultimo dei pensieri della diva.
“Io... non c'è ancora nulla di certo...”
“ma come? Da come me l'hai detto sembrava ormai tutto deciso!
Jesse non è un uomo che ama le indecise Rachel!”
Rachel sentì il desiderio di strozzarla.
Che diavolo stava facendo?
“Jesse St. James? Non è la mia persona preferita al mondo ma diavolo Rach, è un buon partito! Dobbiamo brindare!”
Prima che Rachel potesse opporsi, potesse dire qualsiasi cosa Finn stava richiamando l'attenzione della sala per un brindisi a lei e Jesse.
Quando Rachel incontrò lo sguardo dell'uomo vi lesse tutto quello che provava e si sentì tremendamente in colpa.
Come poteva tirarsi indietro ora?
Jesse le voleva bene ed era bello.
Aveva acconsentito ad un fidanzamento non ufficiale per non prendere impegni definitivi ma ora le cose si erano fatte serie, maledettamente serie.
 
Mentre tutti alzavano i calici il suo sguardo incontrò quello di Quinn.
 
Quinn stava morendo dentro.
Si era lasciata andare alla rabbia e aveva fatto una pazzia.
Mentre guardava Rachel e Jesse vicini dovette ammettere a se stessa che erano una splendida coppia.
Questo la fece stare ancora peggio.
Spingere l'amore della sua vita (perchè Rachel era assolutamente l'amore della sua vita) tra le braccia di un uomo che non solo l'avrebbe avuta per il resto della vita ma che l'avrebbe anche portata con sé dall'altra parte del globo le spezzò il cuore.
Ma era stata la cosa migliore, la migliore per tutti.
Per Finn, per Rachel, per lei stessa. Ne era certa.
Quando però i suoi occhi si incastrarono quelli di Rachel la sua sicurezza si sgretolò, si sciolse come neve al sole.
Era la cosa giusta per Finn e Rachel, sì.
Era la cosa migliore per loro, non per lei.
D'altronde chi se ne importava?
Quinn Fabray era morta, era morta dentro.
 
Santana aveva sul volto una smorfia schifata.
Per quale motivo si festeggiava un fidanzamento?
Era praticamente la perdita della libertà, era la fine delle speranze.
Santana non si sarebbe mai sposata, lei non ne aveva bisogno.
Sapeva stare sola.
Diavolo, amava stare sola!
Le facce sorridenti degli astanti le fecero venire la nausea.
Patetici. A nessuno di loro importava della Berry o di quell'idiota impomatato di Jesse St. James.
Erano solo contenti che qualcun altro fosse caduto nella viscida rete delle convenzioni sociali.
Incontrare gli occhi di Brittany S. Pierce fu sorprendentemente facile.
Probabilmente li aveva cercati fin da subito.
Li aveva bramati.
La Pierce sorrise e alzò il bicchiere nella sua direzione.
Il suo sguardo sembrava dire: è a questo che vorresti condannarmi?
Santana non rispose al saluto.
Mentre i suoi occhi abbandonavano quelli di Brittany (oddio, la chiamava già per nome?) una rivelazione, un'epifania le attraversò la mente.
Il vero boia della libertà non era il matrimonio o il fidanzamento.
Era l'amore.
 
 
Kurt lo scorse seduto su una panchina in pietra.
Si era tolto la maschera e la teneva in grembo, stretta fra le mani.
Guardava il cielo notturno come se non l'avesse mai visto prima di allora.
Kurt invece fissava il suo profilo.
Ne era incantato.
Decise di farsi avanti.
“è un amante dei cieli notturni?”
Il ragazzo si volto verso di lui, un gran sorriso sulle labbra metteva in mostra i denti bianchi: “chi non ama i cieli notturni? Chi non ama la notte?”
Kurt fece una smorfia: “ a me non piace granchè. Posso?”
Indicò la panchina.
Il sorriso del ragazzo si allargò: “ovviamente. Posso sapere perchè non ama la notte? Ha forse paura del buio?”
“oh no. Credo semplicemente che il buio talvolta faccia luce a troppi pensieri.”
“una splendida immagine amico mio. Devo dedurne che ciò di cui ha paura è se stesso?”
“c'è qualcuno che non ha paura di se stesso?”
Scoppiò a ridere e Kurt con lui.
“molto abile signor Hummel. Molto astuto. Elude le mie domande con abilità sofistica.”
Kurt sorrise genuinamente divertito: “ora ho io una domanda per lei.”
Il ragazzo sorrise: “prego signor Hummel. Sono tutto orecchie.”
“perchè mi stava fissando con così vivo interesse mentre ballavo? Alcuni potrebbero ritenerlo maleducato e offensivo.”
“meno male che lei non è fra quelli signor Hummel.
Vuole davvero sapere perchè la osservavo?”
Kurt annuì: “sono tutto orecchie.”
“la osservavo perchè non ho mai visto nessuno più degno di essere ritratto di lei.”
Kurt sentì il sangue affluirgli alle guance: “oh.”
“l'ho lasciata senza parole non è vero? L'ho stupita amico mio?”
Kurt non sapeva cosa rispondere.
Era in imbarazzo.
A Londra i gentiluomini parlavano fra loro così schiettamente?
Era confuso.
“vorrebbe farmi il ritratto?”
“sono un buon pittore o così dicono. Non avrà paura che io la faccia apparire brutto lord Hummel!”
Kurt colse la palla al balzo: “non ho mai visto un suo lavoro quindi mi conceda il beneficio del dubbio.”
Il ragazzo sorrise ancora e si chinò verso di lui.
A Kurt arrivò un’ondata della sua acqua di colonia.
O forse era il semplice odore della sua pelle.
Un ciuffo di capelli neri gli ricadde sulla fronte, mosso dalla brezza leggera.
Kurt pensò che probabilmente di lì a poco avrebbe piovuto.
Il tempo ci metteva poco a volgersi al peggio.
Un po' come la vita.
“venga nel mio atelier a dare un'occhiata allora. È a Bloomsbury, arrivarci è piuttosto comodo amico mio.
Se i miei lavori vi piaceranno e non ho dubbi su questo, vorrei che vi lasciaste ritrarre da me. Dipingere i suoi occhi è un'impresa che solletica la mia ambizione.”
Kurt non rispose subito.
Si alzò e si spazzolò i calzoni.
Si calò di nuovo la maschera sul volto.
Era a Londra per fare nuove esperienze, per aprire i suoi orizzonti artistici, per evolversi, per crescere.
Per essere un nuovo Kurt.
“d'accordo. Verrò a dare un'occhiata alle sue opere ma prima mi deve qualcosa amico mio.”
Il ragazzo si alzò a sua volta e lo guardò con aria interrogativa.
“il suo nome.”
“l'importanza del nome è a mio parere notevolmente sopravvalutata lord Hummel. Ciononostante accontenterò la sua richiesta e mi presenterò formalmente. Si tenga forte amico mio.”
Il ragazzo gli tese la mano: “Blaine Anderson.”
Kurt gliela strinse sorridendo: “Blaine. Molto piacere.”
 
Era uscito per prendere una boccata d'aria ed era stato attirato dalle voci.
Non era una persona che spiava, assolutamente.
Era per il quieto vivere.
La scena a cui aveva assistito però gli aveva stretto lo stomaco.
Non avrebbe permesso a Blaine di trascinare a fondo un altro ragazzo, soprattutto non Kurt Hummel.
 
 
 
Rachel stava in piedi accanto al pianoforte.
Aspettava che Jesse cominciasse a suonare.
Di solito il suo pianista designato era Blaine ma il moro sembrava scomparso.
Buona parte degli ospiti si erano riuniti in quella che pomposamente Finn chiamava la sala della musica.
Lì si riuniva due volte a settimana il loro piccolo gruppo e per Rachel quella stanza aveva sapore di casa.
I volti dei suoi amici spiccavano fra quelli dei suoi conoscenti e degli sconosciuti.
Quando Finn le aveva proposto di intrattenere gli ospiti, Rachel non aveva potuto tirarsi indietro.
Amava cantare, esibirsi, essere applaudita.
Per lei era tutto.
Molti l'avevano derisa per la sua ambizione.
Suo nonno un giorno, quando era solo una ragazzina, le aveva detto che sarebbe morta zitella perché la musica non era roba da donne oneste. Le aveva detto che al massimo avrebbe potuto esibirsi in qualche locanda al porto ma niente di più.
Lei gli aveva risposto cantando.
L'aveva fatto piangere.
Quando aprì bocca e uscirono le prime note, decise che sarebbero state per Quinn.
Non trovava un modo più onesto di comunicare con lei.
 
Quinn guardava Rachel, incantata.
Sentirla cantare era catartico.
Le liberava la mente, le potenziava i sensi.
Si era innamorata di lei grazie al canto e ogni volta era come la prima.
I loro occhi s'incontrarono.
Quinn smise di respirare.
Stava cantando per lei. Ogni nota, ogni acuto, ogni pausa era per lei.
Rachel le voleva bene.
Quinn lo sapeva come sapeva che non le sarebbe mai bastato.
Sentì le lacrime premere per l'ennesima volta contro i suoi occhi.
Non poteva stare lì un minuto di più.
Senza dire niente voltò le spalle alla cantante e si allontanò quasi di corsa.
 
Finn percepì l'assenza di sua moglie e si voltò in tempo per vederla uscire dalla stanza.
La seguì senza pensarci due volte.
 
 
A Santana non sfuggì la fuga di Quinn.
Raramente sfuggiva qualcosa a Santana Lopez.
La preoccupazione crebbe dentro di lei a dismisura.
Si chiese che cosa causasse il comportamento di Quinn.
Da qualche giorno a quella parte non era più in lei, nascondeva un segreto. Un segreto che la stava evidentemente logorando dentro.
Mille ipotesi si accalcarono nella sua mente, facendo a pugni tra loro.
Forse era malata.
No, il suo non era dolore fisico.
Forse era...
Oh mio dio, pensò Santana, forse era incinta!
Incinta sì ma non di Finn ovviamente (aveva sempre avuto i suoi dubbi sulle capacità amatorie di Hudson).
Incinta di Sammy Evans? Se fosse stato figlio di Sam alla nascita se ne sarebbero accorti tutti, Santana non aveva dubbi sul fatto che la bocca da trota fosse ereditaria.
Bocca da trota... carino. Avrebbe potuto comporre qualcosa a riguardo, tipo una di quelle canzoncine che fanno addormentare i bambini. No, decisamente un uomo con la bocca da trota gli avrebbe fatto venire gli incubi.
Il suo sguardo vagò ancora tra gli astanti (evitando accuratamente di incrociare gli occhi della Pierce).
Jesse St. James. Sì.
Aveva scorto Quinn guardarlo più volte nel corso della serata.
Lo fissava soprattutto quando era con Rachel, lo guardava in un modo che Santana non era riuscita a decifrare fino a quel momento.
A Santana non era mai piaciuto. Troppo tronfio e pieno di sé, una primadonna.
Probabilmente il matrimonio con la Berry era una copertura, un modo per togliersi dai pasticci (d'altronde chi si sarebbe potuto innamorare della Berry? Nessuno sano di mente si rispose la latina).
 
Quando la voce di Rachel si spense, Santana Lopez era arrivata a un'inquietante conclusione: Quinn Hudson Fabray era incinta di Jesse St. James ed era davvero un gran pasticcio.
 
 
 
Il giorno seguente Quinn Fabray si svegliò all'alba.
Accanto a lei il respiro rumoroso di Finn.
Aveva ancora il suo odore addosso, quell'odore di uomo, di carne sudata.
Non le era piaciuto stare con lui.
Per quanto gli volesse bene non era stato facile, affatto.
Sentirlo dentro di sé l'aveva fatta piangere.
Finn non se ne era nemmeno accorto (o aveva fatto finta di non accorgersene) e a Quinn andava bene così.
Si voltò a guardarlo.
Era bello, dolce e la amava.
Quinn sapeva che lui la amava.
 

 
Finn sta guardando la sua neo moglie.
Per lui era stata la miglior notte di nozze della storia.
Nessuno era più felice di lui in quel momento.
Continuava a chiedersi come fosse stato possibile che una donna come Quinn Fabray si fosse concessa a lui.
Era l'uomo più felice del mondo.
Quando lei aprì gli occhi verdi il cuore di Finn si fermò.
“sono brutta.”
Lo disse con quel suo accento particolare, in quel suo inglese insicuro e adorabile.
Finn scoppiò a ridere: “sei bellissima. La più bella moglie del mondo.”
Quinn rise e Finn con lei.
Le poggiò una mano sulla guancia: “sei il mio primo amore signora Hudson. Per me sarai sempre bellissima. Più che bellissima.”
Lei sorrise, timida.
“non ti farei mai del male come so che tu non lo faresti mai a me.”
Quinn si fece seria “e se... se io sbagliassi? Se smetto di...”
Finn la fermò stampandogli un bacio casto sulle labbra.
“se tu sbagliassi io ti perdonerei. Si perdona tutto al primo amore.”
 
 
Il ricordo di quella loro prima notte insieme strappò a Quinn un singhiozzo. Non se lo meritava un uomo come Finn.
L'uomo mormorò qualcosa nel sonno.
Quinn non riuscì a fare a meno di stringersi a lui, gli occhi chiusi e il cuore amaro.
 
 
Brittany S. Pierce era seduta in sala da pranzo intenta a fare una lauta colazione.
Amava la colazione. Era il suo pasto preferito.
Avrebbe voluto che ogni pasto fosse una colazione.
Tanto le uova si potevano mangiare sempre no?
Questo ancora un po' la confondeva.
Preferì non pensarci o le sarebbe venuto il mal di testa.
La aspettava una lunga giornata e non poteva permettersi di avere male alla testa, assolutamente.
Un miagolio la distrasse dalla fetta di torta appena sfornata su cui stava per concentrarsi.
Abbassò lo sguardo e accarezzò il suo grasso gatto.
Artie gliel'aveva regalato e Brittany gli era davvero grata.
Adorava Lord Tubbington.
Era suo, unicamente suo. Artie gliel'aveva giurato.
Il gatto fece le fusa e si rovesciò sulla schiena mettendo in mostra l'enorme pancia.
“oh mio dio Lord T. non sarai stato tu a mangiarti i miei cappelli con veletta vero? Guarda che farò controllare da Lauren le tue...”
Qualcuno bussò alla porta distogliendo Brittany dai suoi rimproveri.
Lord T. scappò sotto al tavolo, incredibilmente veloce per la sua mole.
“signorina Pierce?”
Brittany sorrise a Lauren, una delle sue cameriere: “sì cara?”
“sono arrivati questi per lei.”
Con cautela poggiò sul tavolo un enorme mazzo di camelie.
“sono splendide. Chi le manda?”
Brittany era piacevolmente sorpresa.
“c'è un biglietto miss Pierce. Vuole che glielo legga?”
Brittany scosse la testa e tese la mano dalle lunghe dita curate: “No, ti ringrazio Lauren. Ora lasciami sola.”
 
Mentre leggeva la lettera Brittany non poté trattenersi dal sorridere e quel sorriso continuò ad aleggiarle sul viso per tutto il resto della giornata.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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