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Autore: Scorpius_M1    17/09/2013    12 recensioni
"Fu così che un giovane uomo lo trovò a fine tempesta, o per meglio dire: fu così che il giovane uomo lo trovò, passata l'impetuosa pioggia.
Un ragazzo di una bellezza divina, simile ad un Dio sceso in terra, l'amore eterno di Venere che gli aveva donato tutti i suoi poteri pur di compiacerlo, tra cui la bellezza accecante e l'aura ammaliante.
Eppure, eppure sembrava anche, in maniera preoccupante, il figlio di Ares, Dio della guerra, con quella suo aspetto quasi animalesco, felino, raffinato, come un gatto che sta per prendere il topo, giocando con la preda.
Però, in quell'attimo, quell'attimo in cui vide il piccolo bambino dai capelli neri come le ali di corvo, rannicchiato per il freddo, mentre stringeva con la mano al petto una rosa nera dalle mille sfumature, mentre delle gocce di sangue facevano contrasto con la pelle lunare, non poté fare a meno di far nascere un sorriso sincero su quel viso sempre segnato da una furia accecante."
E se Tom fosse andato da Harry quando era piccolo?
Harry e Tom.
Così simili e così diversi.
Genere: Fluff, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Famiglia Dursley, Harry Potter, Tom Riddle/Voldermort | Coppie: Harry/Voldemort
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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Affetto

 

 

 

 

 

 




 

I bambini imparano ciò che vivono...

 

Se un bambino vive nella critica impara a condannare.

 
Se un bambino vive nell'ostilità impara ad aggredire.

 
Se un bambino vive nell'ironia impara ad essere timido.

 
Se un bambino vive nella vergogna impara a sentirsi colpevole.

 
Se un bambino vive nella tolleranza impara ad essere paziente.

 
Se un bambino vive nell'incoraggiamento impara ad avere fiducia.

 
Se un bambino vive nella lealtà impara la giustizia.

 
Se un bambino vive nella disponibilità impara ad avere una fede.
 

Se un bambino vive nell'approvazione impara ad accettarsi.

 
Se un bambino vive nell'accettazione e nell'amicizia impara a trovare l'amore nel mondo.


(testo trovato su Internet, la cui appartenenza è a me ignota)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La pioggia scendeva piano, il cielo scuro illuminato soltanto dalla luce di tetri fulmini.

Le gocce, lacrime del cielo, scendevano lentamente, bagnando sua sorella Terra, col sottofondo dell'urlo del Tuono, che voleva giocare con loro.

Nel frattempo la Luna osservava la scena, pacata, incurante, aspettando l'arrivo del marito Sole, per potersene andare.

 

Harry era incantato guardandoli, gioendo di poter essere parte di una famiglia, anche se inesistente e immaginaria.

Harry che, con i suoi occhi smeraldini del colore della pietra più luminosa, non desiderava altro che una famiglia da amare, una famiglia in cui essere amato a sua volta.

Poter avere qualcuno che lo accarezzava nei momenti bui, qualcuno che lo facesse ridere col cuore, raccontandogli storie di altri mondi, mondi di fate e magie, in cui il Bene vinceva sul Male, dove l'amore trionfava su tutto: ecco cosa voleva Harry, Harry che nei suoi cinque anni aveva già un desiderio talmente forte che avrebbe venduto l'anima per averlo, pur sapendo quanto fosse irraggiungibile il tutto.

Harry guardava il cielo, bagnandosi il viso di gocce cristalline, un cielo buio e solo, spezzato da forti scossoni di luce, che dopo pochi attimi lo abbandonavano, lasciandolo di nuovo solo, in balia della tristezza scura. Il cielo era così simile all'anima di Harry!
L'anima del piccolo era un grande mare scuro, immenso; era un'anima che non aveva mai avuto affetto, amore, solo odio e rancore. L'anima di Harry erano gli occhi sdegnosi di zia Petunia, gli occhi perfidi di zio Vernon e quelli derisorio di suo cugino Dud.

L'anima di Harry era come una tela del più luminoso dei bianchi, intinta con la forza nel nero scuro e nel rosso sangue, senza poterci fare nulla; era gridi silenziosi e lacrime salate, ormai macchiate a fuoco sulla pelle.

Era così fragile e forte il piccolo Harry!

Harry, il cui corpo era martoriato da profonde ferite, dovute alle cinghiate che tante volte lo avevano frustato, dovuto alle mani pesanti dello zio e a quelle paffute del cugino. Dovuto alle mani di Vernon che lo stringevano con forza incurante delle sua grida, delle sue preghiere, delle sue lacrime di dolore e umiliazione.

Il piccolo e dolce Harry non era altro che l'eterno angelo caduto in quella Terra macchiata di sangue.

Harry era un bambino che non chiedeva e che non pretendeva: era un bambino perfetto, forse fin troppo per essere umano, troppo per poter far parte di quell'immonda Vita, che non faceva altro che causargli dolore e sofferenza, forse proprio per dispetto a quella sua perfezione.

Harry continuava ad osservare il cielo senza emettere fiato, affascinato da esso, ma anche, in parte, per paura che gli zii gli cambiassero punizione, magari mettendolo a dormire insieme al cane di zia Marge, come era già successo.

Eh già, al piccolo Potter, di appena cinque anni, toccava dormire fuori, sotto la pioggia scrosciante e sotto i violenti fulmini perché aveva disubbidito, perché aveva fatto quella cosa strana che nessuno in quella casa osava nominare....... perché aveva usato involontariamente la magia, facendo lievitare un piatto.

Cercava, invano, di poter trattenere quella cosa davanti ai parenti ma in momenti come quello, in cui era solo, senza che nessuno potesse sgridarlo o criticarlo, la usava senza freni, perché quella era l'unica cosa che riuscisse, almeno in parte, a renderlo felice.

Stroppò delicatamente un filo d'erba dal giardino ben curato e, chiudendo piano gli occhi, cercando una calma concentrazione, trasformò quella verde foglia in una una rosa nera, dalle mille e più spina, ma con così tante sfumature di colore da renderla simile ad un dolce dolore: assolutamente perfetta.

Harry osservò la sua opera rapito, felice, sentendosi in qualche modo..... speciale, non diverso o anormale come volevano fargli credere i suoi zii....... soltanto speciale.

Il piccolo bambino, seduto ed appoggiato al muro, continuò ad osservare la sua rosa con morbosa curiosità per ore e ore, cercando di numerare le innumerevoli sfumature, finché Morfeo non lo colse, abbracciandolo con le sue morbide mani.

Le lunghe ciglia si appoggiarono dolcemente sulle bianche e morbide guance, mentre ciuffi di capelli color pece si accostavano sopra gli occhi addormentati; la manina strinse, incosciamente, più forte la rosa, per non lasciarsela scappare e la pioggia iniziò a scendere più lenta e tranquilla. Persino i tuoni sembrarono acquietarsi per lasciar dormire quella dolce creatura.

 

 

 

*°*°*°*°*°*

 

 

 

Fu così che un giovane uomo lo trovò a fine tempesta, o per meglio dire: fu così che il giovane uomo lo trovò, passata l'impetuosa pioggia.

Un ragazzo di una bellezza divina, simile ad un Dio sceso in terra, l'amore eterno di Venere che gli aveva donato tutti i suoi poteri pur di compiacerlo, tra cui la bellezza accecante e l'aura ammaliante.

Eppure, eppure sembrava anche, in maniera preoccupante, il figlio di Ares, Dio della guerra, con quella suo aspetto quasi animalesco, felino, raffinato, come un gatto che sta per prendere il topo, giocando con la preda.

Però, in quell'attimo, quell'attimo in cui vide il piccolo bambino dai capelli neri come le ali di corvo, rannicchiato per il freddo, mentre stringeva con la mano al petto una rosa nera dalle mille sfumature, mentre delle gocce di sangue facevano contrasto con la pelle lunare, non poté fare a meno di far nascere un sorriso sincero su quel viso sempre segnato da una furia accecante.

Perché quel bambino gli ricordava lui, gli ricordava i giorni passati all'orfanotrofio sotto la cura di babbani terribili, solo, senza nessuno che potesse comprenderlo, senza che nessuno capisse quanto fosse speciale.

Forse fu proprio per quello che decise di toccare il bambino, spezzando qualsiasi barriera che lo tenesse lontano da quello scricciolo: del resto l'Incanto Fidelius funzionava finché il luogo nel quale si viveva veniva considerato casa, in caso contrario non serviva a nulla.

Ed Harry non credo affatto che considerasse casa l'abitazione Dursey.

Fu un istante, un solo istante, in cui la mano del ragazzo si posò delicata sulla spalla del piccolo, ma bastò ad entrambi per sentire una leggere scossa calda, calma, felice.

Il giovane uomo tolse la mano di scatto, come scottato, mentre il bambino aprì piano gli occhi, stropicciandoli con le piccole manine, ancora macchiate di sangue per aver stretto troppo forte le spine della rosa.

Le palpebre si sollevarono lentamente mentre appariva nella vista sfocata di Harry un viso diciassettenne, del colore niveo, con grandi occhi di onice pura e mossi capelli scuri come la notte che li circondava.

-Chi sei?- Domandò con voce fioca e impastata dal sonno Harry, ancora perso in un mondo che lo vedeva una stella luminosa che giocava insieme a tanti amici.

Poi, accortosi di trovarsi davanti uno sconosciuto, a pochi centimetri di distanza dal suo viso, sbarrò gli occhi, tirandosi indietro di scatto.

-Sono Tom.- Rispose l'apparente ragazzo, ignorando il cambiamento repentino che aveva subito Il-Bambino-Dagli-Occhi-Come-Un-Cerbiatto , soprannominato così in onore di quelle pozze color speranza sgranate .

Il piccoletto si ritrovò a pensare che quel ragazzo aveva una voce morbida e calda, anche se ammaliante come quella dei serpenti con cui aveva parlato, perciò dedusse che non poteva essere una persona cattiva come suo zio Vernon, che aveva un vocione forte e graffiante.

-Io sono Harry.- Rispose timido il bimbo.

-Ciao Harry. Perché sei fuori tutto solo a quest'ora?- Domandò curioso Tom, anche se una mezza idea ce l'aveva.

-Ho disubbidito ed ho fatto il cattivo, perciò mi hanno messo in punizione.- Rispose afflitto, con tono di chi ha sentito fino allo sfinimento certe parole.

-E cosa hai fatto di così cattivo per dover dormire fuori, sotto la pioggia?- Insistette Tom, volendo approfondire l'argomento con quel bambino così affine al suo Io bambino.

Il bambino in questione, nel frattempo, si mordeva nervosamente le labbra, distogliendo gli occhi da quelli profondi dello sconosciuto di nome Tom.

“ Non posso assolutamente dirgli che ho fatto volare un piatto! Non voglio che sappia che io sono anormale e diverso, non voglio che mi consideri un mostro, lui così simile ad un angelo.

Lui non deve andarsene, non deve lasciarmi solo.” Pensò il piccoletto, stringendo ancora più forte i denti sulle rosse e fini labbra.

E Tom vedendo quello spettacolo, vedendo quegl'occhi sfuggevoli e quelle labbra martoriate non poté fare a meno di consolare quel piccino: lui, colui che aveva ucciso il proprio padre e molti altri, lui, le cui persona avevano anche paura di nominare il proprio nome, lui, che era venuto lì proprio per uccidere quel bimbo, non poté evitare di poggiare la pallida mano sulla guancia del più piccolo.

-Ehi, non preoccuparti, io non ti giudico.- Sussurrò, facendo perdere la voce nell'oscurità.

-Ho fatto volare un piatto.- Rispose ancora più piano Harry, con voce che a stento si sentiva.

Aveva paura.

Aveva paura che quel giovane uomo se ne sarebbe andato disgustato; aveva paura di rimanere di nuovo solo a quella confessione, come era già successo.

-Oh, e quanto in alto?- Lo sorprese Tom, domandando con pura curiosità.

Il bimbo a quella domanda spalancò ancora di più gli occhioni verdi, meritandosi appieno il soprannome di Tom.

Poi si alzò in piedi, alzò il braccino in alto, indicando con il dito il cielo.

-É volato in alto, alto.... nel cielo.- Rispose sognante, con gli occhi puntati nell'immenso cielo...... del resto si sentiva un pochino contento di essere riuscito a farlo volare così lontano.

Tom sgranò gli occhi, interiormente soddisfatto del grande potenziale magico che aveva lo scricciolo, perché pur sentendo quanto fosse potente la sua aura non era certo di cosa potesse fare.

-E che cos'altro sei in grado di fare?- Chiese il ragazzo, volendo veramente saperlo, volendo sapere tutto del piccolo bambino dagli occhi di giada.

A quella domanda il piccino strusciò il piedino sull'erba bagnata del giardino, con le mani strette dietro la schiena e le fini labbra morse dai denti, mentre teneva lo sguardo basso.

E se, dicendoglielo, Tom se ne sarebbe andato impaurito?

E se Tom non era altro che un dottore del manicomio per vedere quanto fosse pazzo, come aveva minacciato di fare zio Vernon?

E se....e se...e se... Tanti Se affollavano la testa del piccolo Harry, mentre continuava, imperterrito, a tenere lo sguardo basso.

E Tom, lui sembrò capire lo stato d'animo del cucciolo, perché, infatti, gli disse:

-Che ne dici se ti dico quello che riesco a fare io?-

A quell'inaspettato quesito il bambino puntò gli occhi luminosi sul ragazzo, che ormai aveva considerato suo nuovo amico.

-Anche te riesci a far volare i piatti?- Chiese, gli occhi scintillanti di interrogativi.

-Certo che sì, io riesco a far volare tutti gli oggetti...- E a quella risposta prese a far lievitare la rosa nera dello scricciolo, sotto gli occhi ammirati di quest'ultimo.

-......riesco a trasformare le cose...- continuò, mentre un semplice fiore del giardino di zia Petunia diventava un bellissimo braccialetto di fine argento.

-Tieni, questo è per te.- Interruppe la lista per porgere il bracciale al moro.

-Oh- Sussurrò piano Il-Bambino-Dagli-Occhi-Come-Un-Cerbiatto, osservando con quegli stessi occhi scintillanti il suo nuovo ed unico regalo.

Poi porse la sua rosa nella dalle sfumature colorate a Tom.

-Emm.. te lo regalo, anche se non è un regalo bellissimo come il tuo, è il migliore che sia mai riuscito a fare.- Disse un po' imbarazzato per il misero regalo che aveva fatto rispetto a quello del Fantastico Tom.

-Oh, non è vero, questo fiore è bellissimo.- Rispose, ammirando quanto fosse riuscita bene quella trasformazione ad Harry, un bambino appena di cinque anni. Cavolo, quello era programma di secondo anno, andando per il minimo!

-Grazie.- Era un po' timido, non abituato ai complimenti.

-E cos'altro sai fare?- Continuò poi entusiasta e incuriosito il piccino.

-Riesco a fare delle pozioni..- Riprese il discorso Tom, pensando di dover essere esasperato e infastidito della curiosità del moro, anziché contento com'era.

Il piccolo piegò la testa di lato, le sopracciglia aggrottate. -Pozioni?-

-Pozioni è un'arte.- Sorrise enigmatico il più grande. -Con le pozioni puoi imbottigliare la fama, mettere un freno alla morte, irrigidire i sensi e controllare la mente; puoi obbligare una persona a dire la verità o poi portarla alla morte. Sono ingredienti mischiati alla perfezione, che fanno nascere sostanze ancora più perfette.-

Il bimbo stette zitto, ascoltando la spiegazione affascinato, con una vena di venerazione. Quante cose sapeva Tom!
Poi il sorriso che gli era spuntato naturale sulle labbra sparì, sostituito da un piccolo sbuffo deluso: lui non avrebbe mai potuto fare quelle cose, i suoi zii non glielo avrebbero mai permesso.

-Che c'è?- Domandò l'angelo di Harry, vedendo il protetto cambiare drasticamente l'umore.

-Io non potrò mai fare certe cose.- Rispose mogio, mogio.

-Oh, e perché?- Chiese l'abile mago, dimenticatosi momentaneamente il problema Durlsey.

-I miei zii non me lo permetterebbero. Io sono un mostro, non posso fare cose divertenti o strane.- Gli ricordò, o per meglio dire spiegò, il piccolo.

A quella risposta Tom interiormente si infuriò come non mai: Harry era un piccolo angelo, un mago, non un mostro come volevano fargli credere quegli stupidi babbani....... ma, oh, l'avrebbero pagata cara, veramente cara per aver messo in testa un idea del genere al suo scricciolo.

Aveva già in mente alcune maledizioni, persino peggiori delle Imperdonabili!

-Ascoltami bene Harry, voglio che tu capisca una cosa importante.- Iniziò sicuro, puntando i propri occhi scuri in quelli grandi e verdi di Harry. -Tu. Non. Sei. Un. Mostro-

-Ma i miei zii mi hanno detto che chi fa queste cose strane è un mostro.- Ribatté, seguendo la logica che gli era stata insegnata.

Tom aggrottò gli occhi, infastidito, pensando che a quegli stupidi babbani una serie di Cruciatus non gliele avrebbero tolte nessuno!

-Secondo te sono un mostro?!- Domandò retorico Tom, ma pensando dentro di sé che sì, lo era. -Eppure anch'io so fare lo cose che fai te: noi siamo speciali, non diversi.-

Harry, sentendo quello che il suo amico Tom aveva detto, sorrise di cuore, come mai gli era capitato di fare, mentre piccole lacrime si formavano agli angoli degli occhi.

-Davvero?- Chiese felice.

-Davvero.- Rispose con un sorriso, un sorriso che mai, mai, quel volto aveva visto.

-Davvero davvero?- Ridomandò per sicurezza Harry, un sorriso ancora più grande sulle belle labbra, con sguardo pieno di aspettativa.

-Certo.- Affermò sicuro il più grande mago di tutti i tempi, passando una mano sulla testolina del bambino, scompigliandogli affettuosamente i capelli già ribelli.

Ed Harry, con quel gesto, non poté fare a meno di buttare le braccia sul corpo forte e scattante di Tom, immergendo la piccola testa nella spalla del suo angelo custode, mentre calde lacrime scendevano lente dal viso, vedendo l'alba spuntare inesorabile.

-Non voglio che te ne vada, non voglio più rimanere solo.- Articolò fra le lacrime, il viso ancora schiacciato nel petto del più grande.

-Perché dici così?- Domandò Tom, un po' sulle spine per quell'inaspettato abbraccio ma in fondo... in fondo.. felice, anche se non lo voleva ammettere.

Harry guardò il cielo schiarito, privo di pioggia ma in cui era ben visibile una spettacolare alba, con gli occhi lucidi; poi prese la testa di Tom tra le piccole manine e lo spostò in alto, in modo che anche l'altro capisse.

E Tom capì.

Guardò l'alba con un vago senso d'angoscia, pensando di doversi separare quel bambino tanto speciale, un bambino che in poche ore lo aveva cambiato, facendolo sentire vivo; di doversi separare da Harry, così potente, triste e malinconico, ma anche con una così pieno di vitalità che lui non era mai riuscito ad avere, perché l'orfanotrofio gli aveva tolto qualsiasi cosa collegato al nome vita.

Poi tirò fuori la domanda che non aveva mai programmato, che l'avrebbe messo nei casini più della morte stessa dello scricciolo:

-Vuoi venire con me?-

E queste parole lasciarono sconvolte il proprietario, perché lui era Tom Orvaloson Riddle alias Lord Voldemort ed era andato lì per uccidere Harry Potter, non per portarlo con sé.

E nel frattempo una profezia si ripetè come una litania nella sua mente:

 

Ecco giungere il solo col potere di sconfiggere l'Oscuro Signore... nato da chi lo ha tre volte sfidato, nato sull'estinguersi del settimo mese... L'Oscuro Signore lo designerà come suo eguale, ma egli avrà un potere a lui sconosciuto... e l'uno dovrà morire per mano dell'altro, perchè nessuno dei due può vivere se l'altro sopravvive...”

 

E in quel momento capì come poterla evitare senza passarci attraverso.

-Prima, però, Harry, ti devo raccontare una storia.-

 

 

 

   
 
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