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Autore: _Them99    17/09/2013    6 recensioni
Storia autobiografica.
La storia inizia con un ragazzo. Continua con una ragazza.
Nel mezzo ci sono un altro ragazzo, qualche guaio ed un muretto.
Il muretto: il simbolo di un amore.
Storia dal gusto semplice, divertente e vera.
xTratta dalla raccolta "Sono innamorato di te"x
Scritta da un povero sognatore terribilmente innamorato.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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New year, new hopes


«Tristano…» sentii mia sorella minore scuotermi, mentre cercava inutilmente di svegliarmi. 
«Tristano!» La ranocchietta di otto anni iniziava a spazientirsi, ma non volevo comunque svegliarmi.
«Ano!» mi rizzai all’ istante, scagliando il cuscino contro la piccola peste.
«Non chiamarmi così!» le urlai contro. Mi ritirai le coperte sulla testa, cercando di ignorare la luce, oltremodo fastidiosa per i miei occhi abituati al buio.
«Papà! Ancora non si vuole alzare! » sentii mia sorella urlare dalla stanza affianco alla mia.
«Bruciagli il libro da ragazze che si è comprato ieri!».
Appena recepii quelle parole, scattai in piedi con molta poca grazia, riuscendo in un modo sconosciuto a far entrare la mia faccia a contatto con il pavimento di legno.
«Non toccate ‘Innamorata di un angelo’!» dissi io, rialzandomi e tenendo una mano sulla guancia. Mi sarebbe di sicuro apparso un bel livido.
«Devi ancora vestirti e fare colazione, mentre noi siamo già pronti!» Disse mia madre con il solito tono dolce che la caratterizzava, mentre alzava le serrande della mia camera.
«Perché devo vestirmi così elegante?» Chiesi, vedendo mia madre con addosso il suo abito preferito, quello turchese lungo alla caviglia.
«Oggi c’è il matrimonio di tua cugina! Te lo eri scordato vero?» Mi chiese mia madre.
«Ovvio che me lo sono scordato! Nessuno mi avverte in questa casa!» Feci io un po’ scontroso, ma non eccessivamente.
Mia madre mi scompigliò i capelli biondi, estremamente spettinati. Non perché fosse mattina, solo perché i miei capelli erano fatti così.
«Allora, mettiti i pantaloni neri e la camicia bianca, quella a tre quarti. Oh, ed anche il gilet grigio, se lo trovi!»
Così come era entrata, mia madre uscì velocemente.
Con la lentezza di un bradipo, presi i vestiti e mi diressi nell’ unico bagno di casa.
Attraversai il salotto, in cui mia madre si stava mettendo i tacchi e mio padre si godeva le ultime notizie in tv, presi una fetta biscottata dall’ angolo cottura e attraversai il breve corridoio che mi avrebbe portato in bagno. Passai di fronte alla camera di mia sorella, intenta in quel momento a pettinarsi i capelli biondissimi.
Non avevo tempo per una doccia, così mi rinfrescai solamente e mi misi la colonia di mio padre.
Non avevo per niente voglia di andare al matrimonio di Teresa.
Oltre ad essere lei un ventiquattrenne perfezionista ed ossessiva, i matrimoni implicavano invitati.
Ed invitati significavano famiglia.
Ed è meglio non conoscere la mia famiglia.
Alcuni elementi sono decenti o normali, certo, come mia madre, una donna dolce e tranquilla, ma per il resto, siamo una famiglia di matti.
Da mia nonna che mi pizzica il didietro a mia zia di secondo grado, che quando alza un po’ il gomito canta le canzoni di Lady Gaga. Per non parlare di mia cugina Luisa, la sorella minore di Teresa, che in diciotto anni della sua vita non ha mai avuto i capelli di un solo colore, o mio zio Umberto, fratello maggiore di mia madre, padre della sposa, che è un professionista dei balli di gruppo nonostante abbia qualche anno di troppo e qualche chilo in eccesso.
Ma la cosa più strana in assoluto è che abbiamo tutti i capelli biondi. Nemmeno un componente – che non sia acquisito – ha i capelli più scuri di un biondo miele.
Fatto sta che, arrivati in chiesa, nella parte riservata alla famiglia della sposa, c’ era un mare di teste bionde, fatta eccezione per qualche sprazzo di castano o nero.
La cerimonia non era iniziata benissimo.
Zio Umberto era così agitato che sembrava stesse per andare lui all’ altare, e mia nonna mi aveva come sempre pizzicato il didietro. Ma alla fine, tutto si era svolto per il meglio.
Avevo mangiato da star male al matrimonio, perché la mattina avevo consumato solo quella fetta biscottata.
Ero seduto vicino a mia cugina Luisa, che vantava delle ciocche rosa estremamente lisce, ed era stata piacevole la sua compagnia. C’ erano pure le gemelline, le mie cugine di secondo grado, che mi stritolavano in degli abbracci che avrebbero fatto invidia ad un pitone.
Era  stato pure divertente vedere mia cugina diventare rossa dalla rabbia perché durante il suo primo lento con il neo-marito non partiva la musica, o fare i balli di gruppo con mio zio, ed ance il Karaoke, usufruito solo da zia Maria con le canzoni di Lady Gaga era stata un’ esperienza piacevole.

Il giorno dopo vantavo una stanchezza da record.
E sarebbe stato il primo giorno di scuola delle superiori.
Ero agitato, ma tranquillo allo stesso tempo.
Almeno ero sicuro che in classe con me ci sarebbe stato il mio amico, il migliore, Tommaso.
Io e lui ci conosciamo da quando in prima elementare mi aveva rubato i pastelli nuovi ed io gli avevo lanciato il succo di frutta in testa. Da quel momento eravamo diventati inseparabili.
Avevamo frequentato insieme le scuole elemntari e medie,  e saremmo andati anche alle superiori.
Tommaso era uno di quei ragazzi che appaiono “tutta bellezza e poco cervello”. Ma nonostante questo era un tipo estremamente determinato, un po’ folle certo, ma comunque ingamba.
Era addirittura stato nominato rappresentante degli studenti l’ ultimo anno delle medie.
Io e lui eravamo completamente opposti, ma eravamo diventati inseparabili. Per questa ragione le ragazze della scuola media ci avevano soprannominato “i velini”.
Questo e perché io vantavo una chioma bionda e ondulata e lui aveva i capelli mori sempre ordinatamente spettinati.
Avevamo optato per il liceo classico, perché… la matematica non era proprio il nostro forte.
Raggiunsi la scuola in poco tempo.
Era vicino piazza di Spagna, ed abitando io vicino a Circo Massimo bastavano poche fermate di metro.  
Dovevamo portare la divisa, e la cosa non mi dispiaceva affatto.
Era molto carina, anche se la mia era un po’ troppo larga.
«Eccolo qua il mio idolo!» La voce di Tom mi arrivava chiara anche all’ ingresso della scuola.
Urlò così forte che catturò l’ attenzione di un gruppo di studenti del terzo o quarto anno.
«Perché ora sarei il tuo idolo?» Chiesi, sperando che non mi desse una delle sue risposte.
«Perché lo sei da quando io e te diventeremo così popolari da firmare autografi nei corridoi!» Ecco, una delle sue solite risposte.
«Siamo ben lontani dal firmare autografi, amico mio… per ora siamo solo due matricole.»
Un gruppetto di ragazze ci passò vicino ed iniziò a ridacchiare.
«Beh, per loro – ed indicò con il mento le ragazze – non siamo semplici matricole. Andiamo! Siamo i velini! Due figoni che spaccano! Quest’ anno sarà grandioso, me lo sento!»
Lo lasciai parlare, mentre ridevo sotto i baffi, e ci dirigemmo all’ interno della scuola.
Tom era così. Consapevole della sua bellezza e fiero di essere un velino.
Io non lo ero invece.
Non che potessi dirmi scontento del mio aspetto fisico, anzi.
Però non ero come Tom, il classico play boy; ero fin troppo dolce e sensibile, ed ero un sognatore.
«Chissà, magari quest’ anno sarà speciale!»
E speravo che lo sarebbe stato veramente.
Nuove esperienze, nuove amicizie, e magari, chi lo sa, un nuovo amore.

 
  
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