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Autore: Marguerite Tyreen    17/09/2013    5 recensioni
- Le illusioni sono destinate a svanire, Rog, nel vero e nel tempo.
- Questo a noi non succederà. - ti sussurrai, nel buio del teatro e delle nostre paure, quasi avessi voluto confortare me stesso – Te lo prometto, Syd. Noi saremo sempre felici.
Eravamo protetti dall'oscurità, dalla balaustra e dalla sospensione del momento: trovai la tua mano, abbandonata sul ginocchio e incastrai le mie dita tra le tue. Era semplice e naturale, come se qualcuno vi avesse preso le misure.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Roger Waters, Syd Barrett
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ora che i giorni lieti
fuggir, ti dico: addio!

(G. Puccini, Bohème)

 

 

Ora che i giorni lieti


 

 

 

 

Pompei, 1971. Ottobre

 

-Che poi mi chiedo se sia proprio necessario prendersi tutto questo disturbo per andare a teatro: come se in Inghilterra non ce ne fossero! - aveva commentato, scrollando la testa, un Nick Mason rassegnato e infagottato nella giacca presa a prestito per l'occasione, giusto per non presentarsi con una delle solite, inguardabili camicie a fiori.
-Fosse il teatro, il problema! - Gilmour gli aveva fatto eco ficcando la testa fuori dalla porta socchiusa, come fosse stata la quinta di un palcoscenico, prima di sparire nuovamente e gridare dall'interno: - Cosa spera che ci capiamo, noialtri, in una tragedia in italiano?
-Opera. - aveva precisato con indulgenza Wright, dandosi un'occhiata furtiva nel grande specchio del corridoio, che gli rimandò l'immagine aggraziata di un giovane dalla figura gradevole, perfettamente a proprio agio nello smoking e nella camicia di seta candida. Si rassettò i revers: - Opera lirica: la Bohème. Puccini è un compositore interessante e il San Carlo è uno dei teatri con la migliore acustica per questo genere di...

-Interessante lo sarà per te, che ci hai passato gli anni a studiarti le anticaglie. Ma se io so dire solo “pasta” e “pizza”, mi spieghi cosa decifrerò, mentre quelli cantano?
-Ah, Nick, ci sono i libretti per questo. Non lo capiscono nemmeno gli italiani, ciò che dicono in mezzo ai vocalizzi.

-Nah, Rick! - una voce aveva attraversato il corridoio deserto, arrivando diretta ai due come la linea di moquette sul pavimento – Probabilmente Mason non capirebbe niente, manco se fosse in inglese.
Solo una persona avrebbe potuto annunciarsi con un simile, innato sarcasmo.
-Oh, Rog, si parlava appunto di te, my dear.
Waters strizzò l'occhio al suo tastierista: - Quando mai non si parla di me? Mason! Ma come diavolo ti sei conciato? Chi ti ha prestato quella giacca sarebbe da strozzare.

Rick si lasciò sfuggire un mezzo sorriso.
-Tu? Buon Dio, Rick, sarà almeno di due taglie più piccola. Ma guardati questi! Ah, ma non ridere, sai, Wright: mica pensare d'essere messo meglio. Sei...
-Elegante? Affascinante?
-No, terribile!
-Sei sempre galante, Rog.
-E sai qual è la cosa che mi inquieta? - continuò Waters, rivolto al batterista - Che gli dona! Qualunque cosa abbia addosso, anche la più orrenda, gli dona!
La battuta partì spontanea, senza che Rick ci pensasse, col risultato di far avvampare le guance di Roger: - Ma la smetti di provarci con me?
-Scemo! Intendevo che questa tenuta ti si addice di più di quella della rockstar: dovresti pensarci, per i prossimi tour.

-Rog, - Mason gli batté sulla spalla – tutto sembriamo tranne che rockstar, stasera.
Il bassista non parve scomporsi, mentre si aggiustava davanti allo specchio il foulard color glicine che contrastava perfettamente con il completo nero e con la sua immagine austera. Poi prese a tormentarsi il ciuffo che non voleva saperne di restare al proprio posto: - Lo prenderò come un complimento.
-Male, perchè non doveva esserlo. Ma non potevamo andarci a fare una birra come tutte le altre volte?
-Ah, Mason, ma sempre a lamentarti? Sapessi quanto ci ho messo per trovare un palchetto libero in una posizione decente! Hanno fatto sloggiare il sindaco per noi.

-Cioè siamo in palco d'onore? - la notizia aveva reso Wright entusiasta come un ragazzino – Rog?
-Sì, più o meno. - Waters afferrò in tempo gli occhiali da vista, prima che gli sfuggissero dal taschino. Li cacciò in mano a Rick, sempre materno, con un boffonchiato: - Tienimeli tu, finchè non mi servono. A proposito, dov'è Gilmour? Ancora a far toeletta? - bussò con insistenza contro lo stipite – Dave! Per la miseria, sei più lento di mia madre!
Da dentro, un ovattato “sto arrivando!” seguì qualche arruffata imprecazione.

-Seh, quello arriva dopodomani! Gilmour, sono le otto meno cinque: se non esci entro entro quattro secondi, ti pianto qui!
-Gli faresti un favore, Roger.
Waters finse di ignorare il commento caustico del batterista, mentre continuava a colpire l'uscio: – Ora, vestito o meno, mando dentro Wright a recuperarti. Rick, fammi il favore di andarlo a raccattare.

-Io?
-Prego, prego. - spalancò la porta con gesto teatrale – Sei tu quello diplomatico. Senti, a costo di promettergli di fare Echoes da solista, tiralo fuori di lì.
Si beccò la puntuale occhiataccia del pianista, prima di riuscire a sparire nel corridoio, abbandonandoli nella penombra artificiale della stanza e dietro la barriera di legno scuro.

 

Per quanto fosse impegnato ad armeggiare con la propria cravatta Gilmour si era ritrovato istintivamente a voltarsi, all'ingresso di Wright, e ad indugiare con lo sguardo sul suo corpo in una carezza mal contenuta.
-Accidenti, Rick!
-Che... che c'è? - si morse il labbro, imbarazzato, cercando di accennare al suo solito sorriso di quando era lievemente a disagio.

David, intanto, faticava a sostenere quegli occhi: erano sempre un po' troppo limpidi, innocenti, al punto che quasi si pentì per il modo in cui l'aveva accolto.
-Potevi avvertirmi.
-Di cosa?

-Che sei da togliere il fiato.
-Ma andiamo! Su, te lo faccio io il nodo, così ci sbrighiamo.

-Vieni qui. - gli soffiò, trascinando contro il proprio petto il tastierista con le gote arrossate – Ti tremano le dita, non ce la faresti.
E gli tremavano davvero, nel sentire il respiro di Gilmour infrangersi sulle sue mani, prima che gliele afferrasse nelle proprie.
-Hai freddo?
-No, no.
-Sei così bello, stasera, Rick. Sembri esserci nato, tu, per queste raffinatezze. Così morbido, elegante, luminoso... Sei un po' troppo in alto, per me, lo sai?
-No, ma che dici? - si concentrò sul nodo della cravatta, come se avesse voluto sfuggire alle sue parole – Lascia che ti sistemi e vedrai che...

Le labbra di Dave si erano fatte strada fino al suo orecchio: - Diamo buca a Roger e restiamocene qui. - eppoi giù, tiepide, fino al suo collo, in una scia di baci appena sfiorati – Soli. Solo noi due.
-Non possiamo: ci tiene tanto.
-Mi piacerebbe conoscerne il motivo, a questo punto.
-Da Roger non ne caverai mai niente. Ma l'ho visto un po' turbato.
-Dici?

-Gilmour! Wright! Ma volete darvi una mossa?
-Dico. - sorrise Rick, trattenendogli il viso contro la propria pelle per un altro istante.
-Dobbiamo andare a salvarlo?
-Sì, dovremmo... - fu interrotto dal bacio brevissimo e appassionato che Dave riuscì a strappargli. C'era stato qualcosa di struggente in quel contatto, ma capace di accendergli i sensi in un accesso di brividi in tutto il corpo.

-Wright! Ma che diavolo state facendo lì dentro?
-Basta su, altrimenti ti sciupo.

Si era costretto a staccarsi il pianista di dosso in uno sforzo di autocontrollo, altrimenti – ne era certo – da quella stanza non sarebbero usciti in tempi brevi. Non così composti, almeno.
Invece Rick gli aveva aggiustato i capelli e aveva aperto la porta, giusto per trovarsi davanti Waters che guardava spazientito l'orologio.
-Siamo in ritardo.
Lo placò con un sorriso, come un moderno Orfeo: - Dave aveva un piccolo problema di cravatte. Tutto risolto, Rog. - lo prese sottobraccio con una grazia che lo spiazzò – Ora possiamo andare.

***

Anche tu mi avevi preso sottobraccio, quella sera, trascinandomi per le vie con il tuo solito entusiasmo.
-Andiamo, Rog, o faremo tardi!
-Ma tardi per cosa, Syd?

Capitava spesso che piombassi nella mia camera senza preavviso, senza neanche bussare perchè tanto casa nostra già ti apparteneva tutta: era colma della tua presenza e della tua risata. A volte ti accoccolavi ai piedi del letto, come uno dei tuoi gatti, per stordirmi adorabilmente con mille parole macinate da quella tua bella voce vivace. Altre, se eri di umore cupo, ti limitavi ad ascoltarmi suonare o accordare il basso, finchè non ti vinceva il sonno e a me toccava di dividere le coperte e i sogni con il tuo corpo sottile e la tua vicinanza. Nessuno dei due, magari, aveva detto nulla per ore, ma ci sembrava comunque la migliore delle conversazioni.
Oppure apparivi sulla soglia, spalancavi la porta e mi ordinavi dolcemente di infilarmi una giacca e di seguirti. E non sapevo mai dove mi avresti condotto: eppure ci sono stati mesi, anni, in cui sarei stato disposto ad accompagnarti ovunque, in qualunque luogo fisico o immaginario mi avessi voluto condurre. In cui sarei stato disposto a vivere nella tua ombra, anzi no, nella tua luce, perchè tra noi l'ombra sono sempre stato io.
-Ma si può sapere dove mi stai portando? - ti chiesi, lasciandoti fare.
Tu sorridevi, con quel tuo solito bagliore negli occhi; non avrei osato, per nessuna ragione, aggiungere nulla che avrebbe potuto offuscarlo.
-E' una sorpresa: avanti, Rog, spicciati!
-Sto cercando di farmi venire in mente una ricorrenza che giustifichi questa “sorpresa”.

-Uhm, nessuna! - scrollasti le spalle, stringendoti più saldamente al mio braccio – Perché? Non posso più farti una sorpresa senza che ce ne sia un motivo? Sempre fissato con la logica, tu!
Scoppiai a ridere. Eri sempre qualche passo avanti a me, qualche metro più in alto della mia noiosa, terrena razionalità che continua a tenermi legato al vero, inesorabilmente e ancora oggi.

-No, no, certo che puoi. È solo che mi sembra, boh, strano? Anche perchè da questa parte c'è solo il Royal Opera House. E noi non siamo certo vestiti nel modo più indicato per una soirèe.
Come se fosse stato un argomento sufficiente per farti desistere, quello! Ti guardai: in fondo ti donava, quel tuo curioso abbinamento di colori. Ma la verità era che eri bello da perderci il sonno. Non te l'ho mai detto, non come avrei voluto, ma lo eri: al punto da farmi restare, rapito, ad osservarti, a rubare qualche tua breve immagine o piccola espressione, mentre eri troppo impegnato a indicarmi l'ingresso del teatro con aria soddisfatta.
Dio mio, i tuoi occhi non mi abbandoneranno mai, Syd! Se solo la Sorte fosse stata abbastanza clemente da distribuire più equamente tra me e te le voci nella testa e le paure, sono sicuro che avrei accettato di immergermi in quel nero e di smarrirmici per sempre, anziché continuare ad inseguirlo.
-Eccoci qui. - e mi ero ritrovato in mano due biglietti per un palchetto dell'ultimo ordine – Andiamo? È dai tempi del college che non vedo un'opera.
-Un'opera? Intendi un'opera lirica?
-Beh, certo! Che altro, sennò?
-Ma io non ci capisco niente! E non so la lingua.
-Buona ragione per cominciare, no? Quanto alla lingua non la so nemmeno io, ma non è così importante..
Just enjoy the music.
-E la storia? E i testi?
-Che noia che sei! - non lo pensavi davvero, ma ti piaceva prendermi in giro, così, per affetto. Lo accettavo, anche quando sentivo la mia mente ancora più zavorrata davanti alla tua libera spontaneità – Te la spiego io la storia, me la ricordo.

-Si può sapere cos'è almeno? La Tosca, spero: è l'unica che conosco.
-No, ma ci sei andato vicino: la Bohème.
-Splendido! Non sapevo nemmeno che esistesse.
-Ma è sempre Puccini! Che architetto, che sei!
-Ma io volevo la Tosca! - protestai, appigliandomi alle mie scarse conoscenze in materia.

-Roger Waters, siamo a Londra, non alla Scala. Eppoi questa ci si addice di più. - ti eri avvicinato tanto da far sfiorare le punte dei nostri nasi, ché, per un attimo, ho pensato che volessi baciarmi, lì, davanti a mezza città che entrava orgogliosamente fasciata negli abiti da sera. Ne saresti stato capace e, forse, io non mi sarei sottratto. Invece no, scoprii che ti saresti limitato a sorridere di nuovo, con quel tuo sorriso da gatto del Cheshire, per poi precedermi verso il foyer.

 

***

-Rick, siedi qui! - David aveva battuto la mano sulla poltroncina a fianco a lui, ben nascosta nella seconda fila.
-No, io Mason qua davanti non ce lo voglio! Che poi si addormenta a metà del primo atto.
-Metà del primo atto? Sei troppo ottimista, Rog. - Rick aveva messo a tacere la contesa prendendo posto accanto a Waters: almeno il bassista avrebbe avuto di che conversare durante gli intervalli, mentre gli altri due avrebbero anche potuto accoccolarsi indisturbati, tra il sonno e la noia.

Come se non vi avesse dato peso, Wright lasciò scivolare la mano sul ginocchio di Gilmour, seduto alle sue spalle, non riuscendo a trattenere un'espressione compiaciuta che subito venne intercettata da Roger.
Nella buca dell'orchestra, gli archi avevano accennato l'attacco di Che gelida manina, mescolandolo alle note di Quando m'en vo', provata da uno dei fiati, in una straniante ma curiosa discrepanza.
-Sembra un po' quando noi usiamo i distorsori. - scherzò Dave, colpendo appena la spalla del bassista. Roger gli rivolse uno sguardo indulgente, troppo preso dai propri pensieri per prestare davvero attenzione ai suoi commenti, ai brevi sbuffi di insofferenza di Mason, che si agitava sulla seggiola come una chioccia inquieta, e persino al moto di stupore quasi fanciullesco di Wright, catturato alternativamente dagli stucchi dorati e dalla perizia dei musicisti.
-Sono agitato io per loro!
-Veramente loro sembrerebbero tranquilli. Possibile che a te il panico da esibizione prenda anche per solidarietà, Rick? - avrebbe voluto lasciarsi contagiare dallo stesso entusiasmo spontaneo del pianista, ma forse era un qualcosa che doveva aver dimenticato da troppo tempo. Cercò di sforzarsi quel tanto che bastava per non risultare una compagnia più sgradevole del solito: - Guarda che bel contrabbasso! Gli archi mi hanno sempre affascinato.

-Si sentiranno molto, in quest'opera?
-Sicuro! Vedrai che nel secondo atto ci sarà uno splendido valzer.
-Non credevo che te ne intendessi, Rog. Non così tanto, almeno.

-Non me ne intendo, infatti. Ma ammetto che non mi dispiace, come genere. E mi dispiacerebbe ancora meno se non avessi una caffettiera che borbotta nelle orecchie. - cacciò un'occhiata in tralice a Mason – Una pausa dal rock mi sarà pure concessa, no?
-Ci mancherebbe!
Le luci si spensero di colpo, sostituite dai faretti giallastri puntati sul palco: il sipario si aprì, confondendo i due mondi e costringendo Waters e Wright a trattenere il respiro per la sorpresa, quando l'aria venne invasa dall'ouverture. Roger si morse il labbro inferiore e abbassò le palpebre, deciso a tenere gli occhi chiusi il più a lungo possibile, nella sua battaglia tra lo spettacolo e i ricordi. Li riaprì soltanto dopo essersi convinto che sottrarre tempo ai secondi, in fondo, non li avrebbe sviliti.

Sussurrò: - Mi passi i miei occhiali, Syd?
Lo sguardo smarrito di Rick lo riscosse.
-Scusa, non... ero soprappensiero. - si appuntò mentalmente di ringraziarlo per essersi immediatamente ricomposto e limitato a porgergli gli occhiali, come se quel nome non fosse mai sfuggito dalle sue labbra.

 

***

-Mi passi i miei occhiali, Syd?

Che poi, non so perchè mi sono sempre ostinato ad affidarli a te, visto che tra i due eri il più distratto. Forse perchè, quando si trattava di me, diventavi teneramente accorto e attento. Forse, semplicemente perchè a forza di tenerci i libri, le mie tasche erano diventate troppo grandi.
-Ci vedi bene, da lì?
-Oddio, più o meno. Insomma, per essere in loggione non mi lamenterei.
-Qui c'è un'acustica migliore. Comunque: vedi il tenore, i baritoni e il basso sul palco? Ecco, quelli sono Rodolfo, Marcello, Schaunard e Colline. Sono artisti che vivono in una soffitta. Sai, poeti, pittori, filosofi, musicisti: bohèmiens francesi dell'Ottocento.
-Come noi? - scherzai.

-Esatto, come noi! E le soprano sono Mimì e Musetta, le innamorate di Rodolfo e Marcello. Insomma, anche se sono poveri, a loro basta poco per essere felici: un po' d'amore, un po' d'arte e qualche speranza di successo.
-Mi ricordano davvero qualcuno. - annuisco convinto.
Sono quasi lusingato da quel tuo bisbigliato riassunto a mio beneficio.
-Ma...
-Ma? - mi ritrovo a pendere dalle tue labbra, nell'attesa del seguito, mentre sulla scena i cantanti continuano a dipanare la storia.
-Ma Mimì muore di tisi. E con lei tutti i sogni, le speranze, le prospettive. E i giorni felici della gioventù. Le illusioni sono destinate a svanire, nel vero e nel tempo.
-Questo a noi non succederà. - ti sussurrai, nel buio del teatro e delle nostre paure, quasi avessi voluto confortare me stesso – Te lo prometto, Syd. Noi saremo sempre felici.
Eravamo protetti dall'oscurità, dalla balaustra e dalla sospensione del momento: trovai la tua mano, abbandonata sul ginocchio e incastrai le mie dita tra le tue. Era semplice e naturale, come se qualcuno vi avesse preso le misure.
-Oh, io non credo, Rogie.
-Ma sì, ma sì, avremo quello che desideriamo.

Ti sentii stringere più forte la presa mentre, scivolando sul legno della panca, aderivi al mio fianco.

***

-
Ehi, Rog, ma va tutto bene?

Non si era accorto che le luci si erano riaccese per l'intervallo, che Mason davvero dormiva, infagottato nella sua giacca in prestito e che Rick aveva preso a conversare fitto con Gilmour, nel tentativo di compensare insieme le loro lacune linguistiche. E, del resto, lui stava seguendo poco sia l'opera che le chiacchiere alla sua destra.
-Ma quindi è Musetta che riconquista Rodolfo, scoprendo la caviglia?
-No, non Rodolfo: Marcello. Vero, Rog?
Annuì distrattamente.

-Ma la caviglia la scopre, però?
-Sì.
David sembrava perplesso: - Ma cosa c'è di così seducente, in una caviglia? Le groupie, ai concerti, ci mostrano praticamente tutto!
In un altro momento, forse, avrebbe ribattuto con qualche trovata salace, ma non si sentiva decisamente dello spirito più adatto. Le spiegazioni storiche di Rick lo salvarono dal dover fornirne di più personali sulla propria, improvvisa, malinconia.
Quando calò di nuovo il buio, Rick e David stavano ancora parlando, in un sussurrato brusio che gli riportava dolorosamente alla memoria i discorsi che, quella sera di tanti anni prima, aveva condiviso con Syd.
Anche il tenero legame che stringeva i due era una proiezione, anche se più terrena e meno sofferta, del loro. Tra un paio d'ore sarebbero tornati in albergo e, probabilmente, si sarebbero rifugiati nella stanza di David a fare l'amore o a dormire abbracciati.
Il freddo della sua solitudine gli attraversò il panno della giacca. Si premette il dorso della mano sulle labbra, cercando di concentrarsi sulla scena che gli si agitava davanti agli occhi.

 

***
 

Ti eri sdraiato sul divano, le caviglie incrociate sul bracciolo e i gomiti dietro la testa, con un sospiro: - Allora, Rog, t'è piaciuta?
Alla fine mi ero sorpreso ad apprezzare i sofismi di quella musica così lontana dalla nostra, un po' perchè quegli artisti sognatori della storia mi avevano ricordato noi quattro – o noi due, nelle nostre piccole stanze in periferia che ci hanno visto comporre o immaginare mondi, ferire fogli e far prendere loro vita o agitare le note fino a farne la cassa di risonanza delle nostre emozioni – e un po' perchè eri con me.

Mi aveva poi assalito l'angoscia: forse mi saresti sfuggito come Mimì. Saresti volato via da quella casa, dai nostri progetti e da me. Ma non lo diedi a vedere, perchè anche tu – ora raggomitolato nell'angolo, tra i cuscini, come a cercare rifugio da te stesso – avevi gli occhi tristi.
-Sì. Sì, è stata una bella serata. - mi tormentai le mani – Grazie di... di tutto, Syd.
Avevi scrollato le spalle, sorridendo e guardando altrove.
-Sai... - avevi detto all'improvviso. Era raro sentirti raccontare di te, così lasciai sprofondare la stanza nel silenzio – Ricordo che, quando ero bambino, c'era un grande sofà di velluto color ocra, nel salotto della nostra casa. E ricordo i pomeriggi di pioggia e il fruscio dei vinili, mentre mio padre li riordinava. Amava molto la musica: spesso ne prendeva uno e lo metteva sul giradischi. E mi raccontava della Bohème, della Tosca e della Traviata, almeno finchè non mi addormentavo.
Sentii la tenerezza stringermi la gola come un nodo fatto della bellezza del tuo viso assorto, del tuo corpo rannicchiato, della tua voce incrinata sulla dolcezza dei ricordi.
-Poi mio padre è morto, quando io ero un ragazzino. Non c'è più stato il fruscio dei vinili né il suono delle sue parole né il sonno nei pomeriggi di pioggia. Mi fanno paura, adesso, i temporali.
Non so perchè lo feci, forse perchè nella penombra della nostra casa, con te, mi è sempre risultato più facile confidarmi: - Almeno quegli anni ci sono stati. Tu sai che io...
-Oh, scusa, Rog! Non volevo, davvero.
-No, no: scusa tu.
-Rogie! - avevi spalancato le braccia – Vieni qui, vieni qui, vieni qui!
Non avevo il coraggio di farmi abbracciare: gli abbracci mi hanno sempre fatto uno strano effetto, soprattutto quelli forti. Temo sempre che insieme al tuo profumo, sui vestiti dell'altro, ci rimanga un pezzetto anche della tua anima, che diventa poi leggibile, senza via di scampo.
Ma tu sapevi leggerla a prescindere e mi guardavi con quei tuoi occhi scuri spalancati.
-Vieni, Rogie, altrimenti mi sentirò ancora più in colpa.
Mi ritrovai allacciato a te: due orfani legati dalle loro paure e dai loro respiri.
-Stringimi. - ti chiesi in un soffio – Hold me tight.
È sempre stato un curioso, struggente tentativo di prendere e dare conforto, il nostro, con gli abbracci che provavano a colmare il vuoto lasciato dai discorsi.

Eri sottilissimo, fragile, come se la Natura avesse voluto mostrare al mondo il vacillare dei passi della tua anima. Con me, invece, si è divertita a far credere a tutti che possedessi una forza che in realtà non ho.
E avevi un buon profumo, di vento, zucchero e sigarette, quando mi hai afferrato e costretto a sdraiarmi su di te. Io annaspavo, combattendo contro il timore di gravarti addosso e il desiderio di lasciarmi andare, di cedere alle tue carezze sulla mia schiena e alle tue dita tra i miei capelli.
Scivolasti sotto di me, muovendoti piano: - Rogie...
Non so se fosse il tono con cui chiamavi il mio nome o se fossero i tuoi occhi l'arma più temibile per distruggere anche il mio ultimo baluardo di razionalità.
-Ti voglio tanto bene, Rogie.
Anch'io. Anch'io. Anch'io te ne voglio, disperatamente. Ma non ricordo se te l'ho detto. C'è un vuoto, nella mia memoria. Ci sono immagini confuse delle mie labbra che cercavano le tue, come si cercherebbe l'aria quando manca. Immagini di me, mentre tentavo di placare la nostra urgenza di essere vicini e mentre alternavo le parole ai baci; di te che continuavi a riempirmi di carezze lievissime e innocenti, al punto che mi sembrava di profanarti, quando ho trovato la tua pelle che tremava sotto la camicia. Immagini di noi, abbracciati sul divano, la tua testa sulla mia spalla, i tuoi riccioli tra le mie dita, le nostre anime congiunte che galleggiavano già lontane, troppo più in alto dei nostri corpi intorpiditi dal dormiveglia.
-Rogie, resteremo sempre così, non è vero? - mi avevi detto, con la voce impastata.
-Ma certo. - chissà se allora lo credessi davvero o fossi solo più capace di illudermi rispetto ad adesso. Le illusioni sono un gioco crudele.
Ora non ti stringo più, nelle notti, sul vecchio divano. Chissà cosa ne è stato, della nostra casa piena di spifferi, delle nostre ambizioni, dei nostri ideali. Ogni vuoto è stato riempito dal successo e dal denaro. Tranne il vuoto di te.
Avevi ragione tu: doveva arrivare una fine. È giunta troppo presto.
La tua mente è volata via, portandosi con sé quegli anni, quell'entusiasmo, la nostra ingenuità, la mia giovinezza. La Sorte ha voluto che a te fosse risparmiato tutto questo o, almeno, ti fosse impedito di rendertene conto: come Mimì che è morta prima di veder morire i sogni. O che, forse, non volendo li ha uccisi.

***


La romanza del quarto quadro si fece messaggera della conclusione.

Mai non curvasti il logoro
dorso ai ricchi e potenti.

Roger si premette più forte la mano contro le labbra per trattenere un tremito che, se le luci fossero state accese, si sarebbe detto un preludio al pianto.

Ora che i giorni lieti
fuggir, ti dico: addio!
Fedele amico mio,
addio, addio!

Si alzò di scatto, con un lieve strisciare della sedia attutito dalla moquette, e si avviò quasi di corsa verso l'uscita del palchetto, spezzando la linea di sguardi che legava, anche nel buio, Richard e David. Un fascio di luce dal corridoio filtrò attraverso la tenda, per poi spegnersi subito ed essere rincorso da un altro bagliore, qualche istante dopo.
Richard trovò il bassista addossato al muro, come se stesse faticando a respirare, gli occhi chiusi e una mano che riavviava ripetutamente i capelli.
-Oh, dear! Rog, ti senti male?
-Solo un minuto. Solo un minuto e vi raggiungo, Rick. Tu vai, ti perderai il finale.

-Cosa vuoi che mi importi del finale? Vuoi dirmi che cos'hai?
-Devo aver preso troppo sole, in questi giorni. Non ci sono abituato.
Il tastierista lo scrutò a fondo, con quei suoi occhi azzurri, limpidi, pieni di malinconica dolcezza: - Dev'essere un sole che non ti scalda davvero, però, Rog.
-Che intendi?
-Lascia stare, hai capito. Vieni qui. - se lo strinse addosso in un abbraccio delicato e leggerissimo. Era sempre così, Rick, soave e timido al punto di sembrare incorporeo, magico. Quasi come Syd.

-Senti, non mi va di tornare dentro, non ci riesco. Non te ne hai a male, vero, se prendo un taxi, vado in albergo e vi aspetto là, no?
-No, no, figurati. - gli aggiustò la ciocca che ricadeva ostinata sulla fronte – Ma fai attenzione.

Wright guardò la figura un poco curva di Waters annuire ed esitare qualche istante, prima di sparire del tutto nella penombra delle scale.

 

Fine


__________

 

Weeee! La Marg è tornata! *passa balla di fieno e tutti scappano a nascondersi* xD
E, tra l'altro, sono tornata con una storia vecchia di mesi e che nemmeno mi convince in pieno, ma visto che mi è stata fatta notare la latitanza dalla sezione (cavoli! ^/////^), eccomi qui ^^
Quindi un ringraziamento speciale a M.lle Nobs, che mi ha stanata dal mio “ritiro meditativo” e un grazie anche a chi è passato da queste parti.
Un abbraccio, una cesta di gattini pucciosi e lotta love a tutte! ♥


Credits.

Come sempre: i personaggi non mi appartengono; la storia è un prodotto di fantasia, è scritta senza scopo di lucro e non vuole recare offesa alle persone nominate; i diritti delle canzoni citate vanno ai rispettivi autori.
L'immagine utilizzata è “L'amore delle anime” di J. Delville

   
 
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