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Autore: Columbrina    18/09/2013    3 recensioni
Tanti auguri, Alis
“Hope…”
“Fammi finire, Light. Non è troppo tardi per ricominciare l’Operazione NORA… Ma stavolta non intendo uccidere Snow; intendo salvarlo da se stesso. E intendo aiutare te. Non voglio essere un solo, insignificante raggio di speranza, bensì un intero sole che illumina senza sosta il cammino di questi tredici giorni”
Il pugno in cui si stringeva la mano destra di lui si sciolse e le dita andarono a intrecciarsi con la sua speranza, che scivolava tra i polpastrelli e gli incavi. Lightning guardò il sorriso di Hope.
“E voglio riuscire a salvare anche te”
Genere: Angst, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Alla dolcissima, bellissima e talentuosissima Alis che oggi compie gli anni.
Spero possa passare un compleanno “Fulmine Speranzoso”.
Buon compleanno, sweetheart.
 
 
 
Non ho specificato – volontariamente – se Hope è adulto o meno. Lo lascio a libera interpretazione.

 
 
 

 
Mancavano tredici giorni alla fine del mondo.
Sebbene fossero passati cinquecento anni, quella postura la conosceva benissimo.
L’aveva trovata nella sua solita riservatezza, intrisa di pensieri e chissà cos’altro, sul ponte dell’Arca che rifletteva il bluastro della notte senza stelle e si disse che era bellissima anche quando i fardelli delle sue fragilità, finalmente esplose, gravavano sulle sue spalle come se fosse stanca di lottare anche con quelle.
Hope sapeva che non le importava sembrare fragile, non dopo quello che era accaduto a Palazzo Yusnaan quel giorno stesso e, forse, il mettersi accanto a lei, ascoltarla o anche solo farle sapere che le era vicino avrebbe significato il definitivo scioglimento del nodo che gli contorceva la gola da quando lei gli aveva impedito che le sue giovani mani si sporcassero di un sangue sudicio, sugello di un’ingiusta legge del taglione che gli aveva portato via la madre. Sebbene guardasse ai suoi ricordi con lo stesso disinteresse di quando si guarda un programma scadente, una parte di lui, consumata sapientemente sotto macerie che non intendeva ripulire via, conservava ancora la rabbia e il senso di colpa di non aver compiuto la vendetta macchiandosi del sangue sporco; lo stesso sudiciume rosso dell’uomo che le stava facendo tutto questo. Che aveva fatto questo e anche altro.
Con la mano sinistra chiusa intorno al manico del coltellino che aveva tenuto in tasca e vicino al cuore per tutti questi anni, sembrava infondergli una volontà insita, una forza che lo spingeva a non soffermarsi tanto sulle spalle inarcate spaventosamente in avanti, le gambe divaricate per poter accogliere il peso dei gomiti, delle mani abbandonate sulle ginocchia nude e delle sue dita intrecciate in un amplesso insicuro, gli occhi incuranti di quanto pungevano e accaldavano le punte spigolose dei capelli, che creavano un’ombra di vuoto e di tensione sul suo volto. Hope si fece coraggio e procedendo adagio, come se avesse a che fare con il più fragile monile di porcellana quale era il suo cuore, le sedette accanto e le sorrise senza aspettarsi che lei ricambiasse.
Non aveva neanche sussultato perché, in cuor suo, sapeva che lo stava aspettando.
La notte si stagliava in tutta la sua onnisciente beltà, mentre la luna si adagiava con perizia sui loro pensieri, rendendoli più candidi e sussurrando parole di conforto che, per quanto soffiassero chiaramente all’orecchio di Lightning, non sarebbero mai arrivate al suo cuore. Hope, però, sapeva di essere all’altezza del suo nome, della luna stessa e di tutti gli istinti che cercavano di convincere entrambi che quella era solo una fase da affrontare, l’ultima sfida prima della fine.
Il palmo prese la forma arcuata della sua spalla; sotto la carne poteva avvertire il pizzico di ispidi fili rosati, imperlati di leggero sudore, come se avessero pianto.
Effettivamente, quello di Lightning era stato un supplizio generale.
“Lo riporteremo indietro”
L’ultimo afflusso di una speranza che non l’aveva mai abbandonato. Lei sorrise, quasi come a prendersi beffa di lui, come se pensasse che non ci fosse più nulla da fare, ma era solo suggestione per quel ruolo che le avevano infilato a forza, come una camicia troppo stretta.
“Vuole morire. Vuole rivederla. Vuole trovare un pretesto per uccidermi e rimanerne ucciso, ma è troppo fragile per farlo”
La mano sinistra di Hope, dopo un attimo di esitazione, si strinse di nuovo intorno al manico del coltellino da cui non si era mai separato, da quel giorno di più di cinquecento anni fa, lo stesso in cui aveva messo un freno alle proprie costrizioni morali e le aveva lasciate andare, come quando si scioglie un nodo.
Avrebbe voluto ardentemente che fosse il suo di nodo a sciogliersi, in modo che la sofferenza fosse risparmiata a entrambi, come se il cuore di Hope fosse adagiato nel punto d’intersezione tra i pensieri di Lightning e i suoi, come se lui provasse ciò provava lei allo stesso tempo e con lo stesso trasporto.
“Non è fragile, è debole. Una vittima di ciò che ha costruito”
“Troppo fragile per distruggerlo con le sue mani. Se fosse stato debole, sarebbe morto da un pezzo”
Nella voce di Lightning c’era l’eco di un qualcosa che si era rotto, cocci del più fragile monile di porcellana. Ci sarebbe entrato in un pugno, perfino quello in cui era stretto la mano destra di Hope.
“Sai che un po’ mi fa rabbia il fatto che sia così fragile? Si fregia a eroe, a ottimista del gruppo e poi è il primo a gettare la spugna. E mi fa rabbia il fatto che non sia riuscito a farlo rinsavire”
In quella di Hope c’era rabbia speranzosa: un desiderio così ardente che sembrava disperazione, per il modo in cui filtrava attraverso la porta delle labbra e in cui erano inarcati in avanti i suoi pesi e i suoi pensieri.
La mano sinistra era ancora stretta intorno al manico e, per quell’interminabile istante di silenzio, rappresentò l’unico punto di contatto tra Hope e il desiderio di battere alla cassa un conto rimasto in sospeso per molto tempo.
“Non è troppo tardi per ricominciare l’Operazione NORA…” esordì lui in un sussurro, la schiena inarcata in avanti. Eppure non sentiva nessun peso.
Sentì l’esitazione guizzare via dallo sguardo rassegnato di Lightning, sentendosi messa alle strette da quella rievocazione dal tocco mordente, armata delle rispettive fragilità.
Ancora una volta, il processo di metamorfosi di speranza a disperazione aveva bisogno di essere smorzato da una luce che emergesse dal baratro che circoscriveva i limiti intorno al manico di un coltello. Lightning conosceva i processi alla lettera.
Coltello per sangue; sangue per vendetta; vendetta per sollievo; sollievo per cambiamento; cambiamento per tempo; tempo per tredici giorni; tredici giorni per fine; fine per morte; morte per niente.
Alla fine, Hope sarebbe morto per nulla. E questo pensiero non faceva altro che caricare le lacrime di un’angoscia che la spazientiva, che rendeva i pensieri intermittenti e non le permetteva di guidare la sua speranza tra le braccia della luce.
“Hope…”
“Fammi finire, Light. Non è troppo tardi per ricominciare l’Operazione NORA… Ma stavolta non intendo uccidere Snow; intendo salvarlo da se stesso. E intendo aiutare te. Non voglio essere un solo, insignificante raggio di speranza, bensì un intero sole che illumina senza sosta il cammino di questi tredici giorni”
Il pugno in cui si stringeva la mano destra di lui si sciolse e le dita andarono a intrecciarsi con la sua speranza, che scivolava tra i polpastrelli e gli incavi. Lightning guardò il sorriso di Hope.
“E voglio riuscire a salvare anche te”
Fu quando le dita si strinsero nell’amplesso che li liberò definitivamente dai rispettivi pesi, entrambi capirono che avevano trovato salvezza dal baratro tra le loro braccia, nel tentativo di assaporare qualcosa di diverso dal rimorso. Non riuscivano a guardarsi negli occhi senza ammettere che la speranza stava lasciando posto a parole inespresse, emozioni fraintese che si persero nella contemplazione della notte bluastra, mentre la luna argentea sorrideva per l’ultima volta.
 
 
***



Per quanto non si stancasse mai di darle speranza, per Hope era insostenibile vedere Light diventare schiava della sua routine. Mieteva anime su anime, pezzo per pezzo, carne per salvezza, salvezza per un nuovo mondo. Ma lei viveva ancora in quel giaciglio fatto dei pochi, preziosi ricordi che le permettevano di sopravvivere. Per questo non osava intaccare quel suo punto di ritrovo.
Di notte, sentiva che piangeva. O meglio, sentiva il suo cuore piangere; forse non lo sentiva neanche lei.
Ogni tanto le andava vicino, ma non sfiorava nulla. Sorrideva e basta. Poi prendeva a parlare delle ultime disposizioni, promettendole di essere vicino al suo cuore, cullandolo non appena avrebbe tirato fuori un vagito.
E Lightning sorrideva a sua volta; cuore incluso.
Hope le stava sempre più vicino, con il passare dei giorni, con lo scorrere inesorabile dei dubbi tra le dita, finendo per raccontarle storie e aneddoti senza senso, logica o rigore; finendo per starle vicino anche di sera a osservare la notte; a parlare senza alcuna pretesa.
Tutto fin quando Lightning non sorrideva per l’ultima volta, nell’arco di ogni giornata.




 
 
***



 
Invece, l’ultima volta che Lightning vide il sorriso di Hope fu ai piedi dei cocci in cui si era infranto il cristallo del lampadario della fredda, scostante stanza in cui giaceva un fantoccio inerme, che fino a poco tempo fa le aveva regalato nuova vita. Quel sorriso era diventato una linfa di cui nutrirsi per tener vive le sue radici. La speranza e la luce erano caduti, stretti in un amplesso, sull’orlo del precipizio, senza poter trovare prima giustificazioni o espedienti che avrebbero potuto scongiurare tutto quello.
Lo spettro dell’ultimo sorriso di Hope, le dita disperate che si accingevano a sfiorarle il volto e – chissà – anche il cuore e che tremavano dinanzi a quello che entrambi si erano rifiutati di pronunciare, per paura di non poter recuperare tutti i petali del soffione sparso al vento. I capelli argentei che ricadevano sul volto beatamente addormentato, i muscoli rilassati come se avessero tirato un sospiro di sollievo, le dita aperte e la tasca sinistra piena.
Gli occhi di Lightning erano pieni, mentre tutto il resto era un contenitore in cui echeggiavano le grida dell’ultima briciola di dolore, che se ne andava con la speranza. Lightning aveva perso la sua speranza.
“Erano tante le cose che avrei voluto capire. Il tempo non è stato a nostro favore”
Parole strozzate dal dolore di chi non aveva impiegato a dovere un lasso di tempo così lungo, passato a conciliare i ricordi e i momenti come se fossero tasselli da depositare sotto le macerie.
“Non è stato il tempo; è stato il destino”
E il destino volle che Lightning rispondesse troppo tardi, mentre cercava di accogliere l’ultimo spiraglio prima della definitiva resa. Un bacio dell’eterno riposo.
“Non è stato il tempo; non è stato il destino”
Dai rimasugli delle sue radici spezzate, ecco provenire il pentimento del carnefice, che si abbarbicava intorno a lei come un cespuglio d’edera, come l’ennesima e soffocante camicia di forza che le impediva di compiere la vendetta per conto della sua ennesima vittima.
Lightning, senza voltarsi, strinse a sé il corpo di Hope, che giaceva come un bimbo addormentato tra braccia a lui familiari, una culla calda che potesse far fronte al freddo della morte. Una figura nera si stagliava ai piedi dei due pietosi corpi; una figura nera, bionda e azzurra.
“Già… Hai ragione, Snow. Non è stato il tempo… Non è stato il destino. Sei stato tu”
Di nuovo, nella sua voce, l’eco di un qualcosa di rotto: ogni ponte che la collegava alle fragilità del passato, era crollato definitivamente.
Ogni ponte che c’era tra lei e Snow era definitivamente crollato.
“Ho dovuto farlo”
“Hai scelto, piuttosto”
“Cosa avrei scelto?” fece Snow, inflessibile come il più duro dei macigni, di quelli che inibivano il suo cammino, non più illuminato dalla speranza.
“Hai scelto di ricominciare l’Operazione NORA. Questa volta, però, metterò via ogni scrupolo”
Il tono di Lightning era abbastanza eloquente. Non ci furono domande, ma erano tante le parole che tintinnavano contro i cocci di cristallo che giacevano a terra, come una culla che lacrimava luccichii. Lei stringeva ancora Hope a sé.
“E se ti dicessi che c’è una ragione per cui ho fatto tutto questo?”
“Non penso vorrei ascoltarla”
Snow socchiuse lo sguardo, evitando di contemplare con cipiglio insofferente quelle due figure pietose.
“Infatti non ce n’è una. Ma devo rivedere Serah… Costi quel che costi”
“Una vita per una vita? Beh, hai pagato il tuo debito. La mia lama sarà felice di darti il lasciapassare”
A terra, tra quei cocci, giaceva anche la speranza di Snow. Lightning non l’avrebbe mai saputo, ma quella speranza aveva il suono della sua voce, la forma dell’unica lacrima che aveva mai versato e si deformava nelle increspature che avevano le sue labbra del pronunciare quelle due parole.
Ma i suoi cinquecento anni non avevano perno su quelle due parole e se n’era reso conto nel momento in cui voltò le spalle, sul punto di lasciare la sala buia, fredda e pullulante di morte.
“Allora è guerra?”
“Tu vuoi morire; io voglio accontentarti”
“Che guerra sia, allora”
I passi scivolarono zitti nella penombra dell’ultimo sorriso che Lightning rivolse a Hope, che non avrebbe mai visto con quegli occhi chiusi.
Non pianse, neanche per una volta perché sapeva che, in quell’unica lacrima che teneva nell’angolo dell’occhio, racchiudeva tutto ciò che c’era stato di importante, tutte quelle parole inespresse e le emozioni fraintese che, in quella culla di vetro, non le erano mai apparse così chiare.
Se quella lacrima fosse andata persa, allora anche l’ultimo briciolo di speranza che Hope le aveva poggiato proprio lì, all’angolo dei suoi occhi quasi grigi, sarebbe stato sprecato.
 
Me la pagherai, Snow Villiers. Lo giuro sulla mia vita. Sulla mia speranza
   
 
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