Storie originali > Thriller
Ricorda la storia  |      
Autore: MagicRat    18/09/2013    3 recensioni
“Per tutta la vita nessuno mi ha mai notato. Mi incontravano per strada e si dimenticavano la mia faccia, mi presentavo e non si ricordavano il mio nome. Dubito che qualcuno mi vedrà davvero durante la mia vita. Allora farò in modo di essere l’ultima cosa che vedranno prima di morire”
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Joe Horton era l’Uomo Invisibile.
Quando era piccolo, ancora troppo piccolo per andare a scuola, guardava gli altri ragazzini radunarsi nei caldi pomeriggi d’estate o nelle fredde mattine d’inverno per giocare a pallone. Lui era troppo timidi per chiedere di unirsi ai giochi e i ragazzi non lo prendevano in considerazione. Non per cattiveria, o pensavano che Joe fosse antipatico.
Semplicemente, non si accorgevano di lui.
All’età di sei anni, Joe Horton iniziò la scuola elementare. Il primo giorno si sedette in ultima fila, nell’ultimo banco a destra e lì rimase fino all’ultimo giorno di scuola.
Joe seguiva con attenzione le lezioni e faceva sempre i compiti che gli venivano assegnati, ma raramente la maestra lo interrogava o lo chiamava alla lavagna. Raramente si ricordava della sua presenza in fondo all’aula.
Durante la ricreazione Joe non usciva in cortile, sarebbe stato inutile: nessuno avrebbe giocato con lui. Preferiva restare seduto al suo banco sfogliando un libro illustrato.
Se qualche bambino compiva gli anni, era usanza distribuire un invito per la festa a tutti i compagni di classe. Così un giorno anche Joe venne invitato. Comprò un regalo e lo consegnò al festeggiato, prese una fetta di torta al cioccolato e per il resto del pomeriggio restò seduto su una sedia di plastica ad osservare gli altri, senza che gli altri lo vedessero. Nulla sfuggiva ai suoi occhi, mentre mangiava la torta. Vide il padre del festeggiato palpare il fondoschiena di una donna che non era sua moglie e una bambina, Kelly McGuire, baciare timidamente la guancia di Bill Curtis.
Fu in quel momento che Joe pensò “Se adesso saltassi sul tavolo e urlassi le peggiori parolacce che conosco, forse noterebbero anche me”
Raccolse un sasso dal prato e continuò il corso dei suoi pensieri “O forse noterebbero di più se lanciassi questo sasso in testa a qualcuno”
Rigirò il sasso nelle sue piccole mani per diversi minuti e poi si alzò e lasciò la festa.
 
Gli anni passarono e, silenziosamente, Joe Horton arrivò al college.
Così come era successo alle elementari, anche qui i professori lo notavano raramente. Ogni tanto però, Joe trovava il modo per uscire dall’ombra che lo circondava perennemente e si fermava lungo i corridoi della scuola a parlare con qualche ragazza. Loro chiacchieravano volentieri con Joe, era bello e molto educato, ma appena  lo salutavano semplicemente se ne dimenticavano.
Un venerdì pomeriggio, durante l’ultima ora di lezione, Joe Horton osservò i suoi compagni di classe e il professore di storia dall’angolo dove si trovava il suo banco. Smise di ascoltare la lezione e pensò “Se al suono della campanella uscissi in corridoio e iniziassi a sbattere la testa di qualcuno contro il muro fino a spaccargli il cranio, forse lunedì parlerebbero di me”
La campanella suonò, Joe uscì per ultimo dalla classe e percorse il corridoio. Si fermò alle spalle di un ragazzo che stava armeggiando con la serratura del suo armadietto e guardò intensamente la sua testa, avvicinandosi di un passo. Allungò la mano verso il ragazzo.
La lasciò ricadere lungo il fianco e uscì all’aperto.
 
All’età di ventiquattro anni Joe Horton terminò gli studi e si laureò con il massimo dei voti.
Trovò un impiego come custode di un archivio: alle 9.00 di mattina scendeva nel seminterrato di un vecchio palazzo e fino alle 15.00 metteva in ordine e catalogava carte e documenti. Durante quelle sette ore il mondo in superficie si dimenticava completamente di lui.
Solo una persona lo vedeva e gli parlava: sua madre, Donna Tyler e come se si trattasse di uno scherzo crudele, il cervello di Donna venne infettato dal morbo di Alzheimer, danneggiando le sue facoltà mentali e la sua memoria.
Visse per diversi anni in compagnia del morbo, ma era anziana e poco a poco altre malattie si impossessarono del suo corpo. Trascorse l’ultimo anno della sua vita in una casa di riposo e gli attimi di lucidità in cui riconosceva il figlio divennero sempre più rari. Anche lei, seppur involontariamente, finì per dimenticarsi di Joe. Eppure lui continuava ad andare a trovarla quasi ogni giorno, ed era al suo fianco quando l’ora di sua madre arrivò. Prima di spirare, Donna disse “Mi sarebbe piaciuto vedere ancora una volta mio figlio”
Joe non pianse sentendo quelle parole. Chiamò l’infermiera e il prete e dopo due giorni sua madre riposava al cimitero.
Joe Horton fece le valige, lasciò la casa dove aveva sempre abitato e si licenziò dal suo posto di lavoro.
“Forse” pensò mentre usciva dal vecchio palazzo “se scendessi nell’archivio e incendiassi tutte quelle carte facendo bruciare l’edificio, domani si ricorderebbero ancora di me” si fermò sulle scale, tolse un accendino dalla tasca dei jeans efece guizzare un paio di volte la fiamma.
Alla fine salì in macchina e lasciò la città.
 
Cercò un nuovo impiego e ne trovò uno come guardiano di un piccolo parco.
Oltre allo stipendio, il suo datore di lavoro gli fornì un alloggio – una piccola casa ai margini del parco – e un fucile, per proteggersi dagli animali più pericolosi che abitavano in quella zona.
Joe Horton sistemò la sua nuova casa, comprò un cane che chiamò Lester e posizionò un bersaglio di legno nel cortile della sua abitazione.
Trascorreva le giornate svolgendo i doveri che il suo lavoro gli imponeva e facendo lunghe passeggiate nei boschi. Un paio di ore al giorno le dedicava a migliorare la mira sparando con il fucile contro il bersaglio.
Quando si ritenne sufficientemente abile, andò in città, nel quartiere più malfamato e comprò una pistola con le munizioni e un silenziatore da un tizio con un cappotto di pelle.
Quella sera tornò a casa e si sedette sul divano. In una mano teneva una lattina di birra e nell’altra la pistola che aveva comprato.
“Lester” disse al suo cane “per tutta la vita nessuno mi ha mai notato. Mi incontravano per strada e si dimenticavano la mia faccia, mi presentavo e non si ricordavano il mio nome. Ormai ho ventisei anni e dubito che qualcuno mi vedrà davvero durante la mia vita. Allora farò in modo di essere l’ultima cosa che vedranno prima di morire”
 
Una fredda mattina di fine ottobre, Joe Horton si alzò presto e preparò la colazione. Prese il fucile e la pistola, fece salire Lester sul suo pick-up e guidò per molti chilometri, allontanandosi dalla zona dove abitava, fino a quando giunse in aperta campagna.
Parcheggiò la macchina e a piedi arrivò fino alla cima di una collina. Si sedette ad aspettare, con Lester che pazientemente stava al suo fianco.
Passò un’ora e finalmente vide un uomo a cavallo ai piedi della collina.
Joe prese il fucile e attraverso il mirino vide distintamente la gamba dell’uomo. Sparò due volte e il secondo proiettile spezzò il femore dell’uomo, che cadde tenendosi la ferita. Il cavallo fuggi via, spaventato.
Joe scese dalla collina, Lester gli correva vicino. Quando arrivò nel punto in cui l’uomo giaceva dolorante si fermò. Aveva la pistola stretta nel pugno.
“Grazie a Dio, grazie a Dio. Mi aiuti, mi hanno sparato” disse l’uomo, ma poi vide la pistola nella mano di Joe e non parlò più.
Joe Horton puntò la canna sulla fronte dell’uomo e pensò “ Se adesso gli sparo, priverò sua moglie di un marito e i suoi figli di un padre. Lo priverò della sua vita”
Premette il grilletto, un proiettile si conficcò nel cervello dell’uomo e la faccia di Joe Horton fu l’ultima cosa che vide.
Venne la notte e il corpo dell’uomo congelò. Lo trovarono la mattina seguente, il foro rosso del proiettile che spiccava sul pallore della pelle, mentre a chilometri di distanza Joe Horton sistemava un’aiuola del parco.
Due sere dopo il primo omicidio, Joe Horton guidò fino in città ed entrò in un bar che la gente per bene non frequentava mai. Ordinò del whiskey e si avvicinò ad una ragazza dai lunghi capelli neri. Decisero un prezzo, salirono in macchina e andarono nell’appartamento della ragazza.
Quando finirono, Joe le diede la cifra concordata e le chiese “Ti ricorderai di me?”
Lei rispose senza guardarlo, mentre riponeva il guadagno nel cassetto del comodino. Disse “Certo, tesoro”
“Dico davvero, ti ricorderai di me?”
La ragazza rise “Credi di essere tanto speciale?”
Joe Horton le tirò uno schiaffo, la fece stendere sul letto e le premette la pistola con il silenziatore in mezzo alle gambe.
“Adesso ti ricorderai di me?”
Le pupille della ragazza divennero strette come spilli, annuì due volte, aprendo la bocca per dire qualcosa. Ma Joe spostò la pistola alla fronte troppo velocemente e quando premette il grilletto il corpo della ragazza scattò all’indietro e una chiazza rossa di sangue apparve sul muro.
Joe Horton uscì dalla stanza, senza prendere i soldi dal cassetto. La ragazza se li era guadagnati.
 
I giornali incominciarono a parlare di lui e anche se continuava ad essere una minaccia senza nome né volto la gente in un certo senso prese consapevolezza dell’esistenza di Joe, soprattutto in seguito al suo terzo omicidio.
Dopo l’uomo a cavallo e la prostituta, Joe Horton aveva deciso di uccidere qualcuno che sarebbe stato ricordato da un numero maggiore di persone. Trovò la sua vittima ideale nella giovane insegnate della scuola elementare della cittadina vicina al parco in cui lavorava.
Era una ragazza benvoluta da tutti e che i bambini a cui insegnava amavano. Non conosceva il suo nome e nemmeno gli interessava.
Inconsapevolmente, fu lei stessa a facilitare le cose al suo assassino.
Un giorno Joe la vide passeggiare tra le piante secche e senza foglie del parco innevato. Era quasi Natale. Non c’era nessuno nel parco quel pomeriggio, solo loro due. Joe le andò vicino e l’insegnante sorrise educata.
“Non vedo l’ora che venga la primavera per vedere i fiori” disse, e come risposta Joe Horton le sparò. Otto colpi silenziosi che si insinuarono nel suo giovane corpo. La ragazza morì quasi subito, mentre i suoi occhi restavano fissi sulla sagoma scura di Joe che si stagliava contro il cielo.
Tenne il cadavere nascosto per il resto della giornata e a notte fonda lo portò nella piazza della cittadina. Joe mise il corpo contro la base di un monumento e le sistemò per bene i capelli, perché era una ragazza molto bella e pensava fosse un peccato che venisse ritrovata con i capelli in disordine.
I giornali locali parlarono molto dell’omicidio. Nessuno riusciva a capire chi avesse potuto fare una cosa del genere. Il sindaco fece pubblicare una lettera in cui chiedeva al responsabile il perché di questo folle gesto.
“Perché così adesso vi ricorderete di me” rispose Joe Horton alla pagina del giornale, inghiottendo l’ultimo boccone della colazione.
La polizia aveva iniziato a cercarlo, anche se ancora non sapevano che era lui il responsabile dell’accaduto. L’avevano interrogato con altre persone e poi erano tornati a dimenticarsi di lui.
 
Un pensiero iniziò a tormentarlo in quelle fredde giornate. Essere un’oscura minaccia senza volto non gli bastava più. Voleva che il suo viso e il suo nome venissero per sempre associati a quegli omicidi.
Raggiunse questa consapevolezza una notte, mentre fuori nevicava: doveva rivelare la sua identità. Voleva farlo, anche se significava rinunciare alla sua vita da uomo libero.
Trovò una nuova casa per Lester, lo affidò ad una famiglia con due bambini che abitava in una grande fattoria e una volta sistemato il suo cane, tornò nella piccola cittadina.
Per qualche minuto restò seduto in macchina a guardare la gente felice che si aggirava tra le bancarelle di un mercatino natalizio. Mise gli ultimi proiettili che gli rimanevano nel caricatore della pistola e tolse il silenziatore.
“Potrei…” disse ad alta voce nella macchina, ma si interruppe subito. Sapeva che c’era un’alternativa a quello che stava per fare. Doveva esserci. Solo, lui non riusciva a focalizzarla. Era semplicemente arrivato alla tappa finale e non poteva tirarsi indietro.
Scese dall’auto e si avviò verso il centro del mercatino. Alzò la pistola verso il cielo e sparò due colpi.
La gente si girò di scatto e il corpo di Joe Horton, dritto e teso al centro della piazza fu l’ultima cosa che videro prima di scappare alla disperata ricerca di un riparo. Joe sparò i colpi rimanenti sulla folla, uccidendo un ragazzo e un uomo e ferendo una donna.
 
Non scappò. Joe Horton aspettò la polizia e venne arrestato.
Venne ritenuto sano di mente e confessò tutto quello che doveva confessare e finalmente le persone a cui aveva tolto figli, mariti o amici conobbero l’identità di chi aveva procurato loro tanta sofferenza. Adesso lo vedevano. E non l’avrebbero più dimenticato.
Quando il giudice gli chiese perché avesse fatto le cose che aveva fatto e se si fosse pentito, Joe Horton disse “Volevo essere l’ultima cosa che avrebbero visto prima della loro morte, volevo essere ricordato dalle loro famiglie. Non mi pento. Adesso non si dimenticheranno di me”
Non aggiunse altro e la giuria lo condannò a morte.
Lo condussero lungo un corridoio e fu fatto distendere su un lettino.
La faccia della guardia che gli legava i polsi prima che una sostanza letale si mescolasse al suo sangue fu l’ultima cosa che Joe Horton vide prima di morire.
_______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

Salve!
Spero di non aver fatto troppi errori o ripetizioni, in caso segnalateli pure, grazie.
Spero anche di non avevrvi annoiato troppo.
Per la scena del primo omicidio di Joe ho preso ispirazione dalla canzone "I hung my head" di Sting.
  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Thriller / Vai alla pagina dell'autore: MagicRat