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Autore: A q u i l e g i a    18/09/2013    3 recensioni
Eppure, nessuna era lei. In pochi minuti, il treno ripartì senza che la giovane ne uscisse. Fu come perderla una seconda volta. In un secondo, riuscì a rivivere quel dolore che aveva incatenato dentro di sé. Quei due occhi, li aveva smarriti senza poterli vedere un'ultima volta. Eppure lo avrebbe voluto; era ciò che non aveva fatto anni prima.
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Una One-Shot, Poké, scritta con il cuore per una persona che purtroppo non ce più. Ti voglio bene, nonnina.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ash, Misty | Coppie: Ash/Misty
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime
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墓碑に枯れた花

Bohi ni Kareta Hana

 

鉄道に恋愛

Tetsudō ni Ren'ai

 

 


Nelle giornate invernali, i treni della Japan Railways erano sempre spogli della propria vitalità: poche anime, nel grigiore di quel cielo di dicembre, sedevano negli scompartimenti dei vari vagoni e, dunque, l'allegria e la vivacità s'erano persi nel tedio del tempo.
Satoshi era uno dei pochi a partire, quella mattina. S'era seduto in una delle prime seggiole libere che aveva trovato, appoggiando il suo unico bagaglio sul sedile di fianco. Si trattava di una semplice e linda rosa, dal brillante colore rosso rubicondo, avvolta in un velo di plastica perché non si sciupasse. Nulla più di questo, fatta eccezione per una giacca marrone e una rivista comica presa sul momento nella cartoleria della stazione.
Cominciò a sfogliare quelle pagine, la sua unica fonte di divertimento in un viaggio di più ore, quando una giovane donna si sedette di fronte a lui. Questa, dai singolari capelli rossi, si prestava come una donna ricca, data la sottile pelliccia e gli sfarzosi gioielli che le adornavano collo e polsi, mentre un sottile velo di trucco le tingeva il volto di un elegante rosa carne. Eppure, era giovane, pressappoco l'età di Satoshi; anno più, anno meno. Nonostante ciò, tra i due la differenza era molta e saltava subito all'occhio da quale casta sociale provenissero rispettivamente. I loro sguardi non s'incrociarono nemmeno una volta, ma entrambi s'erano accorti l'uno dell'altro.
La signorina sfilò dalla borsetta che aveva con sé un libro. Sottile, che sicuramente avrebbe finito di leggere entro la fine del suo viaggio; era lontano dalla portata del ragazzo che a stento avrebbe finito quella rivista comica che continuava a sfogliare.
«È un po' imbarazzante» pensò Satoshi, notando anche il divario culturale che li separava.
Lei sembrava molto assorta nella lettura, mentre i suoi occhi sembravano muoversi come una pallina da ping-pong: dall'alto verso il basso, in pochi secondi. (1) Invece, lui aveva persino bisogno di tempo per capire le singole battute. Non che ci fosse qualcosa di male, ma ciò non faceva altro che stuzzicare l'orgoglio maschile di cui Satoshi era saturo: non sopportava l'idea di farsi battere da una ragazza. Non ci pensò due volte e cominciò ad imitare i movimenti della coetanea, la quale era arrivata a sfogliare una grossa fetta del romanzo. Riga dopo riga, il tutto era diventato più difficoltoso, ma abbandonare la partita era fuori questione; anche se lui era l'unico partecipante, consenziente, del gioco.
Passarono i minuti. Il treno, oramai, era già partito e la pioggia si faceva più vigorosa. Il cielo, che prima lasciava intravedere uno spiraglio di luce dietro le nuvole, era diventato completamente nero. Satoshi era riuscito a leggere già metà della rivista da più di cinquecento pagine. Un po' gli dispiaceva, poiché aveva capito ben poco di ciò che aveva scartabellato; ma il suo amor proprio non era stato umiliato. Non aveva nemmeno dato un'occhiata alla sua sfidante, tanto era perso nella lettura, ma già sapeva di non aver vinto la battaglia. Alzò rapidamente lo sguardo, con un sorriso appena accennato, leggermente increspato sugli angoli della bocca, e cercò di incontrare il viso di lei. Eppure, esso non era più dov'era prima. Lo stesso libro che stava leggendo era, ora, posato sul sedile, mentre la signorina scrutava con fare melanconico il tempo oscuro. Aveva mantenuto il suo piglio d'eleganza, con una compostezza degna di chi proviene da simile casta: gambe perfettamente unite, con i piedi rivolti verso l'interno; il busto perfettamente perpendicolare alle cosce e le braccia giunte ai polsi. Doveva sicuramente aver studiato portamento, altrimenti il tutto sarebbe stato inspiegabile.
Avrebbe voluto dirle qualcosa: una parola, una frase, un che di pronunciato; ma preferiva non disturbarla nella sua osservazione del cielo. Tuttavia, sentiva di dover discorrere con lei, di qualsiasi cosa si trattasse, una bagatella da nulla, giusto per iniziare una conversazione; eppure, non appena aprì la bocca, fu prontamente bloccato. Ciò che impedì al suo fiato di assumere parola, fu un leggero sospirò, accompagnato dall'incontro tra i due sguardi dei giovani. Così, Satoshi si ritrovò fermo, immobile, con le fauci spalancate e gli occhi esterrefatti.
«C'è qualcosa che deve dirmi?» domandò stupita la fanciulla, spostando il busto nella direzione del ragazzetto moro.
«No niente!» sbraitò tutto d'un fiato, con il cuore che batteva a mille.
«E allora chiuda la bocca, la prego. Ci entrano le mosche.» concluse con fare ironico, avvicinandosi al libro del quale aveva interrotto la lettura. Abbassò, dunque, gli occhi e proseguì da dove era rimasta, sfilando il segnalibro di carta, graziosamente piegato a forma di Maneki Neko. (2)
Satoshi rimase in silenzio. Il comportamento di quella ragazza, per quanto nobile o ricca potesse essere, era mordace, affilato come una spada. Inaspettato.
«Secondo lei pioverà?» si fece coraggio, stringendo con grande forza i pugni.
«Temo.» rispose secca, senza troppi giri di parole.
«Ecco» continuò, sempre più pesto dalla spigolosità di lei «Ho dimenticato l'ombrello»
Accompagnato da un sospiro alquanto seccato, la ragazza socchiuse il libro, lasciando il proprio mignolo sulla pagina alla quale era arrivata.
«Che se ne compri uno!» sbottò «In più, basti superare Sendai (3) e la pioggia non sarà un suo problema»
«Però, io non ho ancora deciso dove scendere.»
A quelle parole, la rossa chiuse il romanzo, riponendolo accuratamente nella borsa. «Prego?» fu l'unica frase che riuscì ad esprimere.
«Viaggio senza meta» replicò «Mi fermerò quando sentirò di doverlo fare.»
La signorina si lasciò sfuggire una piccola, ma sincera risatina; accompagnata da un sorriso divertito e una leggera scompostezza nella sua figura, prima prettamente pudica.
«Lei è un ragazzino!» esclamò, mentre ricomponeva la sua sagoma da donna di classe «Quale uomo, serio, compierebbe un atto del genere?»
«Rida pure, signorina...»
«Kasumi. Mi chiami semplicemente Kasumi, scritto con i kanji di “Piacevole Longevità”» (4)
«Io sono Satoshi, in hiragana» (5)


Fu questione di poco tempo e il cielo cominciò a perdere d'impeto. Il grigiore tenebroso che, di lì a poco, avrebbe portato con sé la pioggia, piano a piano, iniziò a mutare. E con esso, anche il rapporto tra Satoshi e Kasumi, prima così restii a conoscersi, piano piano, appianarono le divergenze date dal loro primo scambio di parole. Lo scompartimento in cui i due sedevano era vuoto, eppure traboccante di allegria.
«Allora ho deciso» esordì Kasumi «Voglio essere presente nel momento in cui troverai la tua fermata.»
Il giovane moretto rimase attonito per una manciata di secondi, al che trovò la forza di rispondere.
«E come mai?» pronunciò.
«Semplice: mi incuriosisci.» confessò secca la rossa «Sono circondata da persone che hanno ben chiari i propri obiettivi, che hanno deciso già tutto della propria vita. Anche io preferirei affidarmi al destino, come fai tu»
Il treno frenò lentamente, con dolcezza, ad una delle prime fermate che aveva incontrato sul proprio cammino. Non era molta la gente che attendeva con impazienza l'arrivo del mezzo, a differenza dei periodi estivi; malgrado si trattasse di una città solitamente ricca di vita. L'unica cosa che saltava immediatamente all'occhio era un fioraio sul carretto, uno dei tanti che si vedono alle fermate delle stazioni, che vendeva, tra l'altro, mazzi di rose.
«Kasumi» Satoshi, notando quel piccolo negozietto ambulante, richiamò la rossa che sedeva di fronte a lui all'attenzione «E se ti dicessi che ora ho compreso la mia meta?»
Il giovane si alzò, stringendo nelle mani, con fragilità, la preziosità dal color del rubino, unico suo bagaglio, lasciando dietro di sé, sul sedile, la rivista che non aveva nemmeno finito di leggere. Uscì dalla vettura con passo svelto, evitando di urtare contro i nuovi passeggeri. Attese che lo sguardo della bella Kasumi facesse capolino dal treno, scrutando con attenzione le varie persone che entravano e uscivano. Eppure, nessuna era lei. In pochi minuti, il treno ripartì senza che la giovane ne uscisse. Fu come perderla una seconda volta. In un secondo, riuscì a rivivere quel dolore che aveva incatenato dentro di sé. Quei due occhi, li aveva smarriti senza poterli vedere un'ultima volta. Eppure lo avrebbe voluto; era ciò che non aveva fatto anni prima.


La rosa che stringeva tra le mani era sgualcita. I petali, prima rosso sangue, avevano smarrito quel fervore, oramai divenuto pallido. Giallino, rosa, ma non più rubicondo; nulla di più di un colore spento.
Il gambo era stretto tra il pollice e l'indice, con il bocciolo, sfiorito, rivolto verso terra, ricoperta di muschio verde. Satoshi si ritrovava davanti a quella lastra di pietra, malgrado si fosse ripromesso di non tornarci più. Eppure, il desiderio di poterla rincontrare era talmente forte da illudere la logica.
Si ritrovava in piedi, irrigidito, nell'ombra dei grandi alberi del cimitero, mentre una singola lacrima cadeva dalla sua guancia.
«Ci vediamo l'anno prossimo, Kasumi.» mormorò, lanciando il fiore appassito sulla lapide di pietra, sulla quale v'erano incisi i caratteri della piacevole longevità.

 

 

 

(1) Nota: i libri giapponesi sono scritti dall'alto verso il basso in colonne.

(2) Nota: il Maneki Neko è il cosiddetto “Gatto che saluta”, tradizionale gattino dalla zampa sinistra alzata.

(3) Nota: Sendai è una grande città giapponese nei pressi di Fukushima.

(4) Nota: Kasumi può essere scritto in diversi modi; quello di cui parla Misty è 賀寿美, che, interpretato, significa “Piacevole Longevità”. È un termine molto antico e di classe; utilizzato sia come nome che come cognome.

(5) Nota: lo “Hiragana” è uno dei quattro sillabari giapponesi (さとし)

 

 

 

Angolo autrice


Questa one-shot non è dedicata ad un utente di efp, bensì ad una persona che, per me, è stata il mio grande modello, uno dei più grandi pilastri sul quale potessi appoggiarmi.
Ora, questa persona non c'è più; mi ha lasciata dieci anni fa, prima che compiessi dieci anni. Parlo di mia nonna. Voglio dedicarla a lei, proprio perché, per scriverla, l'ho pensata; dall'inizio alla fine. Da piccola, dopo che venne a mancare, ogni volta che salivo su un treno, immaginavo di poterla ritrovare nello stesso punto in cui si sedeva sempre, in quello all'inizio, vicino alla finestra.
Che poi abbia questo scritto possa essere scritto bene o male, che non si capisca, che sia ambiguo, non m'importa; per me, l'importante è il fatto che si tratta della prima volta in cui scrivo con il cuore. Potrò anche aver scritto una marea di scemenze, ma per la prima volta sento di essere soddisfatta di ciò che ho scritto, perché finalmente mi ci riconosco, perché l'inchiostro usato per scrivere è quello della mia stessa anima.
Potrà sembrare assurdo, ma non m'importa, sentivo di voler condividere con voi tutto ciò.


È difficile dire due parole su questa one-shot. Dal piano logico è un vero groviglio di rovi, perlomeno. In poche parole, Ash/Satoshi, come ogni anno, decide di andare a fare visita alla sua amata, morta tanti anni prima. E, nel viaggio in treno, rivive il suo primo incontro con Misty/Kasumi; in più lo scompartimento era vuoto. Però, quando esce dal treno, lei scompare, e Ash torna immediatamente alla fredda e cruda realtà.


Un ringraziamento speciale, inoltre, va a Luisina (?) ed Ale che mi hanno sopportata. In più, saluto Euphy, giusto perché la voglio salutare (?)


Per il resto, fatemi sapere!


Con affetto,
Saku

  
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