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Autore: semplicementeme     19/09/2013    21 recensioni
Dal capitolo XI:
- Mamoru piantala con queste domande personali!
Era arrossita più di prima. Era diventata più rossa di un pomodoro maturo mentre la sua voce era diventata stridula. Era davvero divertente vederla così imbarazzata, ma ancora non aveva risposto alla sua domanda. [...]
- Non mi hai risposto: sei o non sei vergine?

Dal capitolo XVII:
- Ehm sì... - Doveva necessariamente ritrovare il controllo del suo corpo. Per quel giorno aveva già dato abbastanza in fatto di figuracce, era necessario uscire con un minimo di dignità da quella situazione.
- Aspetta un attimo...
Per fortuna era stato lui a toglierla dall’imbarazzo e dopo quelle parole, era sparito dentro il bagno con dei pantaloni che solo in quel momento aveva notato sistemati sul letto...
- Ed i boxer?

On line il capitolo XX
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ad un passo dalla felicità'
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Capitolo XXI

 

XXII giorno

ore 12:15

- 8 giorni all'alba

 

Era stata pessima.

Era stata pessima e meschina.

Era stata pessima, meschina e crudele.

Meritava quel vaffanculo, eccome se lo meritava!

E se lui, anche oggi, le avesse sbattuto la porta in faccia lo avrebbe meritato, ancora.

Intanto, fino a quel momento, le uniche porte che si erano aperte - e poi richiuse - erano state quelle dell'ascensore; che poi queste, per i suoi gusti, si fossero aperte troppo presto, visto che ancora non aveva finito di fare a pugni con la propria coscienza, era solo un dettaglio.

Aveva passato la notte in bianco.

La seconda notte in bianco.

La seconda notte di fila, in bianco.

E per questo, ne era certa, le occhiaie dovevano arrivarle sin sotto le ginocchia.

Il mal di testa dilagava e era stata costretta ad assumere un triptano per evitare di dare di matto.

Aveva preso una settimana di ferie, non poteva concedersene di più, per mettere in ordine vestiti, libri e oggetti vari.

Una settimana per rimettere ordine nella sua vita. Splendido!

Ed adesso si trovava davanti le porte spalancate dell'ascensore. Era arrivata al suo piano.

Padiglione quattro. Terzo piano. Stanza quindici.

Come un deja-vu, aveva sentito le urla appena imboccato il corridoio stretto e lungo. Più si avvicinava e più queste aumentavano di intensità riuscendo a distinguere senza difficoltà la voce di Mamoru ma, stavolta, lui non era da solo nella stanza, sentiva in modo chiaro anche una seconda voce. Questo secondo interlocutore, al contrario del ragazzo però, manteneva un tono basso ma deciso, come se non gli importasse nulla della conversazione; o come se non gli importasse nulla dell'opinione di Mamoru stesso. Che fosse più egocentrico di Mamoru?

Davanti quell'anonima porta, con la targa uguale alle altre e con su scritto il nome Chiba Mamoru, si era fermata indecisa se bussare o meno. Fu tolta di impiccio perché questa si era aperta senza preavviso ed ebbe appena il tempo di fare un passo indietro quando si ritrovò davanti un uomo, poco più basso di Mamoru, con i capelli striati di grigio, le spalle larghe e il fisico asciutto. Poteva avere al massino senssantanni, se fossero stati di più se li portava davvero bene. Gli occhi grandi e blu la guardavano come se non si aspettasse di trovarsela lì davanti e lei nel suo tubino nero si sentì una perfetta stupida.

- Prego, stavo andando via.

Un passo di lato e l'uomo le aveva lasciato libero il passaggio.

- Non abbiamo ancora finito!

Mamoru si era affiancato ma non l'aveva degnata di uno sguardo, troppo concentrato ad urlare dietro il suo interlocutore.

- La questione è chiusa, non abbiamo altri punti da chiarire.

Senza neanche voltarsi, aveva risposto così a Mamoru e, senza degnarla di un saluto, si era incamminato nella stessa direzione da cui era arrivata una manciata di minuti prima.

Egocentrico e maleducato.

Mamoru continuava ad ignorarla, come se davvero non avesse realizzato la sua presenza e lei iniziava a sentirsi stupida, più di quello che era.

- Forse è meglio che tu vada. Non ho abbastanza pazienza per reggere una discussione anche con te.

Allora l'aveva vista ma aveva preferito ignorarla!

- Ero qui solo per chiederti scusa per ieri. Sono stata pessima e meschina... e crudele. Tu sei stato gentile mentre io...

- Perfetto, scuse accettate adesso vai.

Se la meritava quella rispostaccia, se la meritava e doveva tacere. Testa alta, sguardo sicuro e spalle dritte. Non doveva fargli capire che c'era rimasta male. Salutò con un 'ciao' sibiltante e anche lei, così come lo sconosciuto di poco prima, tornò sui suoi passi. Mantenendo comunque la sua maschera di indifferenza.

Un passo.

Stupida! Si era recata sino a lì convinta che tutto si potesse rimettere a posto.

Due passi.

Imbecille! Credeva davvero che Mamoru non gliel'avrebbe fatta pagare?

Tre passi.

Una presa delicata, quasi una carezza, e bloccarle il polso.

- Scusami. Non è stata proprio una bella giornata e non è giusto che me la prenda con te.

- Fa niente.

Gambe di gelatina e voce strozzata. Oddio, ricominciava la sindrome dell'adolescente innamorata. Doveva finirla di essere così sciocca. Era una donna, e soprattutto non era più un'adolescente.

- Ho bisogno di parlare.

Poteva chiamare uno dei suoi amici, perché proprio lei? Forse perché... tirava ancora in ballo la scusa della psicoterapia?

- Mamoru, ti ho già spiegato un migliaio di volte che io non sono la tua psicoterapeuta e...

- Ho bisogno di parlare con un'amica, per favore.

No. No. No. Non poteva guardarla in quel modo. No. Perché riuscivano sempre a fregarla?

- Tecnicamente non sarei neanche tua amica.

- Ho bisogno di te.

Oh. Questo era un colpo basso.

- Hai bisogno di me in qualità di cosa?

- Sei un'ottima ascoltatrice e la sola a portata di mano.

- Come scusa?!

- Be' sì! Con i tuoi sorrisi e i tuoi occhioni da cerbiatta metti a proprio agio le persone!

- Prima o poi, la mia parcella ti arriverà direttamente a casa!

- E prima o poi renderò pubblico il contenuto del tuo diario...

- Non lo faresti mai...

- Tu dici...

- Sai che questo è giocare sporco, vero?

- No, semplicemente salvaguardo le mie finanze!

- Mi spieghi perché se fino a cinque minuti fa urlavi come un indemoniato adesso sei qui tutto sorrisi?

- Sei tu a trasmettermi il buon umore!

- Ah! Ecco dove era finito il mio! Sai è da circa due giorni che non riesco a trovarlo! Ti dispiacerebbe restituirmelo?

- Come hai dormito stanotte?

- Non ho chiuso occhio, non lo intuisci dalla mia faccia? - Il repentino cambio di argomento l'aveva sorpresa.

- Mi chiedo perché tu ti sia intestardita ad andare da Shingo e non restavi da me!

Perché dopo ciò che le aveva confessato non sarebbe riuscita a dividere, ancora, un letto con lui. Ma questo era un segreto.

- Perché non volevo abusare troppo della tua ospitalità. Shingo aveva casa vuota ed era il minimo che andassi da lui.

- Non è che per qualche assurdo motivo hai pensato che ci stessi provando con te, vero?

A dire il vero il pensiero non l'aveva neanche sfiorata...

- Avrei dovuto?

- Certo che no!

- Già, che stupida! Io non sono il tuo ideale di donna!

- E quale sarebbe il mio ideale di donna?

Perché gliele serviva su un piatto d'argento?

- Quelle da una botta e via, ovvio!

La faccia di Mamoru le fece scappare un sorriso, o meglio, un ghigno.

- Mia piccola Usako, tu non sai un bel niente di me... in ogni modo, mi ascolterai oppure no?

Ancora! Ancora cambiava argomento e ribaltava la situazione a suo piacere, ah gli uomini! Erano i migliori nella sottile arte dell'arrampicarsi sugli specchi.

- E cosa ti fa pensare che io sia ben disposta nei tuoi riguardi?

- Il fatto che tu sia qui... e poi faccio leva sul tuo carattere da crocerossina!

- Sono troppo buona, è questa la verità.

- Dovrei assaggiarti per dirlo...

No. Non era possibile. Mamoru non stava flirtando, la sua era stata una stupidissima battuta e nulla di più.

- Vuoi parlare qui, in questo squallidissimo corridoio, oppure mi inviti ad entrare?

Un passo di lato, un mezzo inchino. Lo odiava quando era così cerimonioso.

- Allora, di cosa vuoi parlare?

- Sai chi è l'uomo che è uscito da quella porta?

Il diniego era arrivato immediato.

- Masao-kun.
Doveva aver compreso l'espressione confusa sul viso perché subito si era impremurato a precisare.

- Chiba Masao, mio padre. L'uomo che, secondo la tua analisi, è alla base di tutte le mie sciagure.

- Ah!

- Ah!? E' tutto qui quello che hai da dirmi?

Era quasi oltraggiato dalla sua risposta. Era tutto lì quello che aveva da dirgli? No, certo che no, ma cosa si aspettava? Che saltasse dalla sedia? Che la sua mandibola toccasse il pavimento? O che gli prendesse la mano tra le sue iniziando ad accarezzargliela? Lei era una professionista nell'ascoltare gli altri, aveva i suoi tempi, le sue pause e le sue battute al vetriolo.

- Adesso ho capito da chi hai ereditato il tuo egocentrismo!

Battute al vetriolo che con Mamoru si rivelavano sempre una mossa sbagliata perché, anche se per un attimo, aveva visto benissimo le sopracciglia di lui inarcarsi ed i suoi occhi sbarrarsi. Forse era il caso di rimediare.

- Non fare quella faccia! E' normale ereditare tratti caratteriali dei propri genitori: è genetica. Tu prendi me! Ho ereditato la cocciutaggine di mio padre e la mania per l'accostamento dei colori di mia madre. Non sono certo due qualità eppure ci convivo pacificamente.

- Se è per questo hai ereditato anche le gambe di tua madre!

- L'unica cosa decente! Ma tu spiegami cosa ne sai delle gambe di mia madre!?
- Lunga storia...

- Ti prego! Il solo pensiero che tu e mia madre... ho la nausea.

- Mi vuoi tutto per te?!

- No grazie, ma torniamo al punto della questione: cosa voleva tuo padre?

- Manipolarmi, come fa sempre!

Troppo arrendevole, aveva risposto alla sua domanda senza perdere tempo come se non aspettasse altro che poter parlare, confidarsi. Non aveva avuto modo di analizzare oltre il comportamento di Mamoru perché aveva ripreso a parlare.

- Hai presente Boston?!

Aveva presente Boston? Certo che sì, lo ricordava benissimo quel dolore immenso, era stato come se le fossero state strappate le braccia così di netto. Quello era il dolore della separazione, del dover far finta di nulla anche se dentro moriva giorno dopo giorno.

- Vagamente. - E lei era diventata una perfetta attrice dopo quel periodo allucinante, e doloroso.

- Sono partito perché Masao-kun aveva organizzato tutto, senza neanche chiedere un mio parere. Non avrei accettato se non fossi stato certo che l'esperienza sarebbe stata utile per il mio curriculum.

- Ma lo aveva fatto per il tuo bene, per assicurarti un'ottima preparazione.

- Vuoi fare la psicologa o no?

- Tu hai detto che avevi bisogno di me in qualità di amica!

- E tu mi hai risposto che non sei una mia amica!

- Sei esasperante, lo sai vero? Comunque, vuoi o non vuoi il mio parere? Da psicologa, da amica e pure da donna, se ci tieni tanto! Tuo padre fa quel che fa semplicemente perché cerca di assicurarti il meglio per il futuro...

- Quindi fammi capire: tuo padre ti impone il matrimonio con quell'ameba semplicemente perché è il meglio per te?

- Non stiamo parlando di me e comunque non mi hai fatto finire il discorso!

- Perché non ti ribelli?

- Vedo che non occorre un mio parere quindi tolgo il disturbo. Scusa ancora per ieri, è stato un piacere, a mai più rivederci!

- Scappi!

- No, ti salvo la vita perché credimi, mi stai portando all'esasperazione e rischierei di farti davvero male!

Ed era vero, non tollerava quel suo 'volare di fiore in fiore'. Si parlava di lui, del suo rapporto con il padre e basta...

- Ti invito a pranzo così forse a stomaco pieno riesco ad essere meno esasperante.

- Non è il caso, ho molto da fare. Adesso vado...

- Per quanto tu abbia da fare dovrai pur mangiare, o no?

- Non ho fame!

- Ok, sono un cretino che ti fa perdere di continuo la pazienza, ti chiedo immensamente scusa ma ti prego, non farmi pranzare da solo...

Lo meritava quel pranzo da solo, lo merita solo per la libertà che si era preso: come aveva osato poggiare le sue mani grandi, calde, perfettamente modellate tanto da sembrare scolpite dallo stesso Buonarroti, sulle sue di spalle così esili e tremanti?

- Giuro che è l'ultima volta: poi scordati altre seconde opportunità, chiaro!?

- Cristallino!

E mentre rispondeva con un sorriso da schiaffi aveva già tolto il camice e l'accompagnava alla porta.

- E' stato merito del mio fascino, vero?

- Perché mi sto pentendo di aver accettato questo ennesimo pranzo?

La mano di Mamoru nella regione lombare della sua schiena le aveva procurato un piccolo, impercettibile, brivido. Si era scansata facendo finta di nulla mentre percorrevano quella decina di metri che li avrebbe condotti agli ascensori e, strano ma vero, ne avevano trovato uno in attesa.

- Perché non si può mai scherzare con te? Sei in un perenne stato di crisi pre-mestruale?

- Al momento sì, sono in crisi pre-mestruale!

- Secondo me dovresti cercare una volva di sfogo, sei troppo stressata!

- E secondo te, con una casa in fiamme non dovrei essere leggermente stressata?

- Sarà questione di una paio di settimane e tutto tornerà come prima, ti darò una mano io... se ti va.

Sorridergli era stato inevitabile. Quando aveva questi slanci di altruismo Mamoru diventava... dolce.

Le porte dell'ascensore si erano aperte al piano terra dell'edificio.

- Accidenti! Devo salire un attimo, ho dimenticato il cellulare in stanza, aspettami qui e non scappare, ok?!

- Muoviti prima che cambi idea!

- Vado e torno!

Era stato nuovamente inghiottito dall'ascensore e si era ritrovata a sorridere come una sciocca. Doveva darsi una regolata o sarebbe impazzita dietro gli sbalzi di umore di Mamoru... ma anche lei non scherzava con i suoi alti e bassi. Doveva parlare con qualcuno che l'avrebbe ascoltata senza giudicarla e che non avrebbe tratto conclusioni affrettate.

Perfetto, Minako era da evitare.

Il vibrare del suo di cellulare la fece quasi spaventare...

 

***** ***** *****

 

XXII giorno

Ore 12:53

- 8 giorni all'alba

 

La visita di suo padre lo aveva innervosito; ancora di più, lo avevano innervosito le sue pretese.

Prima la proposta di lasciare il suo impiego in ospedale e seguirlo in clinica ed adesso un master negli USA per affinare le sue capacità operatorie. Ma cosa credeva? Che si ritrovasse ad avere ancora a che fare con un ragazzino di vent'anni? Era un uomo dannazione, era un uomo e voleva prendere le sue decisioni per conto proprio!

" ... Tuo padre fa quel che fa semplicemente perché cerca di assicurarti il meglio per il futuro... "

Usagi si sbagliava di grosso, suo padre era solo un manipolatore! Era sempre stato così, sin dalla sua infanzia. Sua madre finché aveva potuto, lo aveva tutelato in qualsiasi modo; scegliendo medicina, però, si era dato la famigerata zappa sui piedi. Si era buttato in pasto al lupo, da solo.

Scegliere una strada così simile a quella del padre, per certi versi identica, era stato forse l'unico errore della sua esistenza ma era un errore del quale non si era mai pentito.

In sala operatoria, con i bisturi in mano, sentiva di essere nel posto giusto. Il trasferimento a Boston era stato importantissimo, era inutile negarlo. Tra le altre cose lo aveva accettato anche di buon grado perché così si sarebbe scrollato di dosso l'aria da raccomandato e perché era stato merito delle sue capacità, anche se Masao aveva dato la giusta spinta affinché fosse stato proprio il figlio a vincere qualla borsa di studio. Era tornato con un bagaglio culturale che difficilmente avrebbe potuto apprendere se fosse rimasto a Tokyo. Era riuscito a sbaragliare la concorrenza con il suo curriculum, ma per i suoi colleghi questo non era abbastanza. A trent'anni si ritrova ad avere l'esperienza di un collega con almeno quindici anni più di lui ma, agli occhi degli altri, restava comunque il figlio raccomandato di Chiba Masao. E questa cosa non gli andava per nulla bene.

Aveva lottato per potersi affermare nel mondo della medicina, per essere solo Chiba Mamoru. Per essere un chirurgo bravo, se non il migliore. Aveva studiato giorno e notte e mentre i suoi coetanei erano fuori a divertirsi, lui restava a casa a studiare, a preparare un esame o approfondire un qualche argomento che lo affascinava. Ancora oggi, ormai specializzato, passava gran parte delle sue serete nel suo appartamento, a studiare, anche quando i suoi amici si convincevano che, in realtà, fosse fuori con qualche ragazza.

Gli piaceva apparire sicuro, determinato, anche strafottente, ma in realtà la sua era solo una maschera. Una maschera dietro la quale nascondersi perché non gli andava che gli altri lo vedessero per ciò che era realmente: un trentenne solo.

Solo.

Stare troppo tempo da solo gli faceva male.

Con il cellulare in tasca, e cercando di tornare sereno aveva raggiunto Usagi che parlava in modo alquanto animato al suo telefonino.

- ...ti raggiungo subito, no. Ti prego!

- Problemi?!

Il modo in cui Usagi era saltata in aria appena avvertita la sua voce gli fece comprendere che, quasi di sicuro, non si era neanche accorta del suo ritorno.

- Un imprevisto di lavoro. Devo andare... il nostro pranzo lo trasformiamo in una cena. Stasera da me, ok? Io vado, ci vediamo alle venti! Scusami ancora, ma è urgente!

 

***** ***** *****

 

XXII giorno

Ore 17:19

- 8 giorni all'alba

 

- Allora?

La bottiglia di plastica contenente acqua, il suo pranzo di quel giorno, era stata maltrattata a sufficienza nel corso di quell'attesa.

- Allora c'è che stavolta non ti basterà un invito a cena! Per fortuna, sono riuscito a convincere il giudice!

Il sospiro di sollievo era seguito immediato, così come l'abbraccio stritolatore per Jadeite.

- Sei... sei... mi mancano le parole!

- Certo, certo. Comunque, dovrebbe uscire a momenti, sta finendo di firmare la documentazione e con lui c'è la direttrice dell'istituto.

- Quale documentazione? Hideyoshi è ancora minorenne!

- Lo so ma vedi... è decaduta l'accusa di offesa a pubblico ufficiale ma non quella per atti vandalici. Dovrà scontare una pena di trenta giorni. Trenta giorni di lavori socialmente utili, mi dispiace.

Trenta giorni di lavori socialmente utili. Era davvero misera cosa se raffrontato alla gravità dell'accaduto.

- Non fa nulla. Merita comunque una punizione!

- Usagi, questo ragazzino ha bisogno di attenzioni, di affetto.

Lo sapeva, lo sapeva benissimo. Hideyoshi era un ragazzino problematico era vero, ma era stato il passato a renderlo tale. L'abbandono da parte della famiglia.

- Affetto Jadeite, non pietà.

 

***** ***** *****

 

XXII giorno

Ore 17:19

- 8 giorni all'alba

 

 

Era fermo in macchina da quasi tre ore. Iniziava a sentire i crampi alle gambe e la gente lo aveva guardato in modo strano, come se fosse un poco di buono. Ma quale delinquente restava fermo di vedetta davanti la stazione di polizia? Solo un imbecille.

Usagi aveva fatto avanti ed indietro per tutto il tempo consumando la suola delle scarpe, ne era sicuro. Si era assentata giusto un paio di minuti per poi tornare dove si trovava adesso e dove stava abbracciando, con troppo affetto, Jadeite.

Erano stati raggiunti da una donna anziana e da un ragazzino che non poteva avere più di quindici, sedici anni al massimo.

Jadeite era andato via ed adesso restavano i tre che si dirigevano dalla parte opposta rispetto l'amico. Non restava che aspettare Usagi passare con la sua macchina e poi seguirla. Moriva dalla curiosità di sapere cosa stava succedendo.

 

***** ***** *****

 

XXII giorno

Ore 19:38

- 8 giorni all'alba

 

- Miki-chan! Che succede, perché piangi!?

Aveva tentato un contatto con Hideyoshi cercando di capire davvero cosa fosse successo in quel parco cittadino, ma il ragazzo non ne aveva voluto sapere di parlare. Si era trincerato dietro al silenzio e lei, non volendo rischiare di incrinare ancora di più i rapporti tra loro, aveva deciso di desistere, almeno per il momento.

Cercando di capire come instaurare un dialogo con Hideyoshi, non aveva badato all'arrivo di Miki che correva a testa china e con le spalle tremanti a causa dei singhiozzi che non riusciva a trattenere, ed alla fine ne era stata investita in pieno. Gli occhi colmi di lacrime e dolore la fecero sentire ancora più frustrata di come era.

- Sei una bugiarda! Sei cattiva!

Ed era scoppiata a piangere ancora più forte. I lacrimoni sgorgavano dai suoi occhi castani e lei non sapeva cosa fosse successo e non aveva idea di come calmarla.

Come sempre, aveva fatto affidamento sul suo istinto e si era abbassata all'altezza della piccola, accarezzandole i capelli bisbigliandole parole di conforto nel tentativo di calmarla ma, al contrario, l'effetto sortito era opposto aumentando ancora di più i singhiozzi della bambina.

Sato-san le aveva trovate sedute sul pavimento di pietra bianca, con Miki che si guardava insistentemente le punte delle scarpe, i singhiozzi placati ma le lacrime che continuavano a scendere irrefrenabili. Non aveva più aperto bocca dopo averla assalita poco prima.

Davanti quella scena la direttrice dell'orfanotrofio non aveva potuto fare altro che chiedere spiegazioni; tra l'altro il mutismo della piccola era qualcosa di inusuale, almeno per il suo modo di essere.

- Non saprei. Adesso io e Miki-chan parliamo un po' e poi le faremo sapere, va bene?

Aveva cercato di far apparire Miki padrona della questione. Come se le scelte dell'adulto dipendessero da quelle della piccola; forse c'era riuscita visto che, con la coda dell'occhio, aveva notato la bambina girarsi in sua direzione per poi tornare subito a fissarsi le scarpe non appena lei aveva smesso di parlare con la direttrice.

Rimaste sole aveva fatto un profondo respiro e poi aveva chiesto alla bamina cosa fosse successo.

Miki non aveva risposto subito ed aveva messo su un broncio che le aveva fatto sciogliere il cuore. In tutto ciò, con suo grande sollievo, le lacrime si erano arrestate.

- Tu sei una bugiarda, e sei pure cattiva!

- Questo già me lo hai detto. Ma sentiamo, quale bugia ti ho detto?

La bambina aveva posato i suoi occhi rossi su di lei e la guardava come a valutare la possibilità di parlare.

- Mi avevi detto che saresti rimasta con me...

- Ed infatti sono qui, con te.

A quelle parole la bambina aveva alzato gli occhi e l'aveva guardata indecisa: crederlo o no?

- Resterai con me?

- Fino a che non troverai una mamma ed un papà che ti vogliano bene come io ne voglio a te!

- E tu... tu non vuoi essere la mia mamma?

Aveva bisbigliato quelle parole come se avesse avuto paura della risposta.

La storia di Miki era simile a quella di molti altri bambini che si trovavano nell'orfanotrofio ma, per qualche strano motivo, Usagi le si era affezionata in modo quasi viscerale. Forse era merito della fervida immaginazione della piccola, o semplicemente si era legata a lei per mera simpatia, non lo sapeva ma era certa che quella bambina occupava un posto speciale nel suo cuore, un posto riservato solo a lei.

Ancora non era stata adottata. Miki aveva tutto ciò che un genitore potesse desiderare. Era dolce, ubbidiente, calma... aveva solo un piccolo difetto, la sua età le impediva di essere una bambina 'adatta'. I suoi cinque anni, in un modo che ancora le era difficile comprendere, la rendevano inadatta al ruolo di figlia. Troppo 'grande' agli occhi di presunti genitori. Troppo indipendente. Troppo per ciò che cercavano loro.

Adesso, tra le altre cose, si ritrovava costretta a sbatterle in faccia un'altra triste verità.

- Non posso essere la tua mamma.

- Perché?

Perché? Perché le voleva un gran bene ma non poteva adottarla, non bastava l'affetto per adottare un bambino: la legge lo impediva. Era una donna sola, senza un compagno... e non era pronta per fare la madre.

La verità era che non si sentiva pronta ad essere madre.

Perché aveva solo venticinque anni e non era pronta ad una vita di rinuncie perché aveva già rinunciato a tanto, a troppo nell'arco della sua vita.

Perché era cresciuta senza i genitori - anche se lei i genitori li aveva! - troppo impegnati per seguire la sua trasformazione da crisalide a farfalla.

Perché non voleva lo stesso per i suoi figli, per loro desiderava l'affetto di un padre e la carezza di una madre. Immaginava serate insieme, giocando, ridendo. Immaginava quell'infanzia che non aveva avuto mai, per loro desiderava il meglio, anche se ancora non erano qui.

Adesso il difficile era spiegarlo a Miki.

Si odiò per quel dolore che stava procurando a quella bambina, ancora di più odiò la propria immaturità.

- Non avresti un papà e tu non vuoi una mamma senza un papà, no?

Quella piccola bugia le era sembrata il suo faro nella notte, la via d'uscita da un intrigato labirinto ed il sorriso di Miki le aveva dato un minimo di fiducia, forse aveva toccato le corde giuste...

- Un papà...

- Sì, un papà. Serve anche un papà per formare una famiglia.

- Io conosco un papà... e lo conosci pure tu!

No, non aveva toccato le corde giuste.

 

***** ***** *****

 

XXII giorno

- 8 all'alba

ore 20:40

 

- Finalmente! Riesci ad essere in ritardo anche quando inviti la gente a casa tua!

L'aveva vista trasalire, la borsa caduta sul pavimento ne era la dimostrazione.

Sapeva di terrorizzarla se avesse parlato senza palesare prima la sua presenza, ma era stato più forte di lui, era da quando aveva saluto Arisa-kun che sognava quel momento: spaventarla.

- Chi diavolo ti ha fatto entrare! Sei un imbecille, per poco non ci restavo secca! Ma dico sei scemo o cosa? Mi hai fatto saltare le coronarie razza di deficiente che non sei altro...

Si era versata un bicchiere d'acqua e lo aveva buttato giù in una sola volta. Lo sbattere, poi, del povero bicchiere sul piano in marmo della cucina gli aveva fatto capire che la sua sfuriata non era ancora finita.

- Tu... - L'indice puntato contro il suo viso era come la canna di un mitra pronto a fare fuoco. - Tu, piccolo uomo senza un briciolo di cervello, che ragiona con le palle invece di usare la testa. Tu, razza di idiota che quando parla lo fa solo per dare aria alla bocca. Tu, sei la mia rovina!

- Non ti sembra di esagerare, era solo uno stupido scherzo!

- Uno stupido scherzo, dici?! Per te si riduce tutto ad uno stupido scherzo, è così?! È così?!?

C'era qualcosa che non andava perché quella non poteva essere la reazione ad uno scherzo, stupido sì, ma pur sempre una innocua presa in giro.

- Usagi, di cosa stai parlando?

Lo sguardo tagliente di lei, gli fece capire che no, quella reazione, non era dovuta al suo innocuo scherzetto.

- Miky Masaki, cinque anni. Abbandonata in ospedale subito dopo la nascita, è ospite della 'Casa del sorriso' da tutta la vita ormai! Ho impiegato due anni, dico due!, per instaurare un rapporto con lei ed ottenere la sua fiducia e poi arrivi tu e butti tutto alle ortiche in meno di cinque minuti! In questi due anni mi sono dedicata anima e corpo a quella bambina. Le sono stata accanto quando stava male perché gli altri bambini veniva adottati e lei scartata perché o troppo calma, o troppo vivace o troppo silenziosa. Ho asciugato le sue lacrime, ho raccolto i suoi singhiozzi, ho medicato le ferite del suo animo... e poi, poi arrivi tu e rovini tutto! Ho perso la fiducia di quella bambina per un tuo stupido capriccio. Adesso dimmi cosa volevi e perché mi hai seguita sino all'orfanotrofio!

D'un tratto, gli era passata la voglia di scherzare, si sentiva uno stupido e non era poi così contento di trovarsi lì con lei. Non valeva la pena restare lì se doveva vederla così abbattuta.

- Io... mi spiace, è meglio che vada...

- No! Dannazione no! Ogni maledettissima volta che abbiamo una discussione uno dei due batte in ritirata, e sai una cosa: odio questo atteggiamento così... idiota! Adesso dimmi una volta per tutte cosa vuoi da me perché io ho esaurito la pazienza!

Cosa voleva?

- Te.

Lo aveva detto, ad alta voce. E dopo quella confessione imprevista e spontanea, quel male che lo stava divorando dall'interno alla fine aveva trovato la via ed era emerso, lasciandolo piacevolmente rilassato.

- Cosa vuoi dire?

Era ovvio cosa volesse dire, cosa c'era di poco chiaro? Guardandola direttamente negli occhi aveva ripetuto quella confessione in modo calmo ma deciso.

- Ho detto che voglio te.

- Me? Io non sono un trofeo di caccia! Io non sono un nome da aggiungere alla lista delle tue conquiste. Io sono una persona!

In qualche assurda maniera, Usagi traeva sempre il lato negativo in ciò che lui le diceva.

- So perfettamente chi sei! È per questo che ti voglio! Perché nonostante il tuo carattere di merda, nonostante i tuoi sbalzi di umore, nonostante i tuoi difetti, nonostante tutto io voglio te perché so che non mi giudichi nonostante il tuo lavoro. Non mi costringeresti a fare qualcosa contro la mia volontà. Perché sai ascoltarmi!

- È questo che vuoi? Una psicanalista?

O forse, preferiva non capire.

- Voglio te, dannazione! Voglio Tsukino Usagi! Voglio la ragazza che quando è stanca gonfia le guance come fosse ancora una bambina. Voglio la ragazza che per non prendermi a pugni litiga di continuo con i suoi capelli. Voglio la donna che quando cammina per strada fa girare tutti gli uomini nel raggio di un chilometro. Voglio la donna che la notte scorsa non mi ha fatto chiudere occhio semplicemente perché riposava tra le mie braccia. Ti basta o vuoi che continui?

Era stato quasi catartico riuscire a dirle tutto quello che gli era passato per la mente in quel mese... in quegli anni. Era come quando una ferita infetta trovava da sola la via per drenarsi. Ok, non era il massimo come esempio, non era poetico o romantico ma rendeva al meglio l'idea. Il peso che gli gravava sul cuore era improvvisamente svanito e lui era tornato a respirare, dopo tanto tempo era tornato a percepire i colori e sentire gli odori.

L'aveva guardata e non aveva potuto fare a meno di intenerirsi di fronte alla sua espressione sorpresa, intimorita per certi versi.

- E ti prego, smettila di morderti il labbro perché, forse non te l'ho detto, ma lo trovo estremamente erotico.

A quel punto lei aveva indietreggiato come scottata, come se la portata di quella rivelazione le giungesse solo in quell'istante. Aveva portato una mano ai capelli ed era quasi certo che si stesse per tirare la solita ciocca dietro l'orecchio, ma a metà del gesto si era bloccata ricordando, forse, ciò che le aveva confessato pochi istanti prima.

 

***** ***** *****

 

XXII giorno

ore 21:00

- 8 giorni all'alba

 

- È uno scherzo? Certo come ho fatto a non capirlo prima! È uno scherzo organizzato da te e Minako! Benissimo, scherzo riuscito ed adesso esci fuori Mina-chan! Non ho tempo da perdere! Coraggio, dove sei?!

Non poteva essere che uno scherzo, uno stupido scherzo. Non c'era altra spiegazione alle parole di Mamoru. Non poteva essere diversamente, Mamoru non poteva davvero pensare quelle cose di lei, non poteva sentirsi attratto da lei.

È ancora attratto, le diceva una vocina interiore, ma lei non voleva neanche ascoltarla, era fuori questione. Lei e Mamoru erano due amici, no: lei e Mamoru erano due semplici conoscenti, e basta.

- Non è uno scherzo.

La voce sicura di lui le aveva tolto il fiato e giusto per un secondo l'aveva costretta a interrompere la ricerca dell'amica.

Non è uno scherzo. Quattro parole che decretavano la fine di un'illusione.

- Ok, è meglio che vada.

Era stato naturale cercare la via di uscita, non riusciva a rimanere lì con lui un secondo di più. Pochi minuti prima aveva bloccato la ritirata di Mamoru, ed adesso era lei quella che scappava perché non voleva affrontarlo. Convinta di poter andare, di poter scappare, non aveva fatto i conti con la presenza - oppressiva! - di Mamoru.

Come quella mattina, la mano calda di lui le aveva avvolto il polso in una morsa stavolta, però, non riusciva a comprendere se fosse piacevole o meno.

Lo aveva guardato in viso e le era sembrato di scorgere un sorrisetto ironico, come da presa in giro.

- Usagi, siamo a casa tua.

- Ah.

Perfetta idiota. È questo che si ripeteva da quando Mamoru le aveva fatto notare che sarebbe stato da imbecilli uscire dalla propria abitazione per fuggire da lui. Avrebbe voluto prenderlo a pugni per quel suo sorriso divertito. Aveva ripreso a parlare cercando di trattenere l'iralità che però rimaneva lamapante nell'espressione dei suoi occhi e nei muscoli contratti del suo viso.

- Non è uno scherzo, perché non provi a credermi?

Provare a crederlo? A che pro?

- Non è neanche una scommessa con uno dei ragazzi, vero?

Al diniego con la testa di Mamoru, non le era restato che chiudere gli occhi sconfitta.

- Come fai a dire di amarmi se neanche mi conosci?

- Non ho detto di amarti, solo che...

A quel punto lei non ci aveva visto più ed era esplosa.

- No! Io non sono una di quelle... ragazze! Non sono il giochino erotico di una notte e via! Ti è chiaro il concetto!

E solo in quell'impeto di rabbia si era liberata dalla stretta di lui.

- Io non ho parlato di giochi erotici... e sì, sono attratto da te, mi piaci, ma non ho parlato di amore.

- Sei bravo con le parole...

- E non solo con quelle.

Il suo sopracciglio si era sollevato ed adesso lo guardava con espressione irritata.

- E dimmi, questa non è forse un'allusione sessuale?

- Non lo nego.

- È assurdo! Tu ti stai prendendo gioco di me! Non puoi...

Ma non era riuscita a finire il discorso perché... lui l'aveva baciata.

Come nei suoi sogni di adolescente spensierata, lui aveva fermato sul nascere le sue proteste baciandola.

Come nei romanzetti rosa da quattro soldi, lui aveva bloccato la sua invettiva baciandola.

Come non doveva fare, stava ricambiando quel bacio che aveva desirato da tanto, troppo tempo.

Era persa in delle stupide riflessioni rischiando di perdersi il bacio che aspettava da tutta una vita.

Quel bacio che aveva desiderato da sempre era arrivato e lei non poteva ancora crederci.

Per un qualche assurdo mistero della fisica, le sue mani erano finite tra i capelli scuri di Mamoru e adesso li accarezzavano in modo delicato come se il tutto - come se lui! - potesse sfuggirle da sotto il naso.

Le labbra di lui, morbide e vellutate, erano leggere come ali di farfalla e ciò nonostante le lasciavano scie infuocate perché, la dove si fermavano, lei bruciava. Il loro sapore poi...

Era ancora intenta a metabolizzare quel bacio - ad assaporarlo! - ed ecco che Mamoru lo interrompeva.

Riaprire gli occhi era stato imbarazzante perché si era ritrovata il suo viso ancora a portata di baci.

- Adesso può essere vero?

- Tu... usi il burrocacao...

Tra tutte le cose che poteva dire dopo quel bacio, aveva detto l'unica che avrebbe distrutto la virilità di qualsiasi uomo. Qualsiasi uomo tranne Mamoru.

- È forse un problema?

- Perché mi hai baciata?

Si sentiva una stupida a porre quell'unica domanda che era riuscita a formulare nella sua mente.

- Perché mi piaci.

Oh.

- E baci tutte quelle che ti piacciono?

- Se posso, sì.

Sbruffone!

- Assurdo!

- Andiamo Usagi, non mi sembra che a te sia dispiaciuto!

No, dannazione! Non le era per niente dispiaciuto.

- E questo che vuol dire?

- Perché devi complicare sempre tutto? Ti prego di non fare la vergine del santuario depredata della sua castità!

- Ma come ti permetti?!

- Ma perché una volta tanto non ammetti quello che ti dice il tuo corpo? Io ti ho baciato e tu hai risposto senza perdere tempo! Tremavi tra le mie braccia e le tue mani erano completamente senza controllo! Vuoi forse negarlo?

- Vedi? Stiamo litigando anche dopo avermi baciato! Dimmi come potrebbe funzionare tra di noi!?

- Per un attimo potresti concentrarti sul bacio che ti ho appena rubato e dirmi cosa hai provato?

Dirgli cosa aveva provato? Mostrare il fianco con il rischio di essere ferita? Ne valeva la pena? No, non poteva rischiare, non ancora.

- Non posso, mi dispiace!

- Perché?

Bella domanda! La verità è che non lo sapeva neanche lei cosa aveva provato. Era ancora in piena metabolizzazione e le gambe le tremavano ed era pure difficile stare in piedi e non sapeva come riusciva ancora respirare.

- È qualcosa di personale, non voglio condividerlo con te... io...

Non aveva finito la frase perché aveva visto l'espressione mortificata negli occhi di Mamoru. Inconsciamente si era morsa il labbro inferiore e lui, a quel suo gesto, aveva risposto chiudendo gli occhi - quasi strizzandoli tra loro - ed inspirando rumorosamente, per poi allontanarsi di un paio di passi.

- Come preferisci... ti do una settimana. Otto giorni e tornerò qui e ti chiederò di dirmi cosa hai provato. Adesso è meglio che vada.

Senza dire altro se ne era andato. Si era diretto alla porta ed era uscito. Senza sbatterla.

Minako, una quantità imprecisata di tempo dopo, l'aveva trovata ancora ferma in mezzo la cucina; aveva posato sul ripiano di marmo la copia di chiavi che aveva avuto quella mattina tramite Shingo, e si era avvicinata ad Usagi in modo sospetto.

- Usa-chan che è successo?

Come risvegliatasi da un sonno millenario, Usagi aveva fissato il viso di Minako e in un soffio aveva risposto.

- Mi ha baciata. Mamoru mi ha baciata.

 

Una settimana. Otto giorni per mettere ordine nel suo cuore e capire quale sarebbe stata la strada da seguire.

 

 

L'angolo dell'autrice

 

Ok! Ditelo che non ci speravate in questo capitolo! Lo so, avevo detto che avrei aggiornato presto ed invece ho fatto passare un altro anno, perdonatemi!

Questo è il penultimo, il prossimo sarà l'epilogo... forse.

Non ho molto da dire. Preciso da subito che la situazione di Miki sarà ripresa nel prossimo capitolo e che anche la questione 'bacio' sarà approfondita più avanti.

Alla fine ho rispolverato la soluzione 'interrompo il litigio con un bacio', scontata e forse superata, ma se mi sforzavo di trovare un'alternativa valida passavano altri dodici mesi e poi, scusatemi, ma mi sembra molto una reazione alla Mamoru! Usagi, in questo ultimo paragrafo vi sembrerà un po' svampita ma cercate di capirla! Si è ritrovata a ricevere una pseudo-dichiarazione da quello che è stato il suo sogno per tutta la adolescenza, abbiate pietà per lei!

Ho cercato di entrare nella mente dei personaggi e di smussare le mie carenze, spero di esserci riuscita, adesso non mi resta che darvi appuntamento al prossimo capitolo che arriverà nonsoquando e che sarà l'ultimo!

Grazie ancora per la vostra infinita pazienza e...

Alla prossima!

   
 
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