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Autore: beautiful mind    20/09/2013    1 recensioni
Nel 2014, un Castiel già caduto ha paura di precipitare ancora ed annientarsi definitivamente solo per amore.
«Castiel aveva smesso di precipitare perché era stato afferrato – proprio come lui aveva fatto anni fa con Dean [...]»
DestielDay|End!verse.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quinta stagione
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Titolo: La mia pelle è carta bianca per il tuo racconto, scrivi tu la fine, io sono pronto.
Fandom: Supernatural.
Personaggi: Dean Winchester, Castiel.
Pairing: Destiel (Dean/Cas).
Raiting:
arancione (forse giallo?)
Warnings: End!Verse, Future!Dean, Future!Cas, probabile OOC
Words: 1699
Beta:
Il mio amico fantasma.
Note: Salve a tutti, eccomi qui con un giorno di ritardo e una OS praticamente insensata che però un po' mi piaciucchia. 
E' scritta per il contest di facebook: Destiel Dai 2013 - 5 anni di Destiel, sul prompt "How can I love when I'm afraid to fall" e niente, nella mia testolina è scattato l'end!verse (anche perché un paio di giorni fa ho rivisto la 5x04 #tantitroppifeels) e ho interpretato la frase, il verso di questa canzone, per Castiel. Un Castiel caduto che evidentemente non ha perso tutto ma è comunque disposto ad azzerarsi per Dean, quindi se vi interessa, se siete giù di morale e volete un po' di angst - non pesante eh - leggete e fatevi sotto!
Il titolo della canzone è tratto da una delle canzoni dei Negramaro: Cade la pioggia (ascoltatela che è magnifica, sono magnifici!).
P.S. Dedico questa OS anche a Key, è stato il suo compleanno un paiotanti di giorni fa e quindi è un po' anche per te!
Diclaimer: Nessuno mi appartiene, scrivo per il semplice piacere di farmi del male e farne a voi ♡♡

                                                              

                                                    




La mia pelle è carta bianca per il tuo racconto
scrivi tu la fine, io sono pronto.





 

 

Non tutti sapevano godersi il vento tagliente di novembre ed il fatto che gli individui che erano capitati lì un po' per caso e un po' per
sentito dire – per avere una speranza – fossero chiusi tutti nei propri alloggi ne era una prova.

Il Camp Chitaqua, quando il vento soffiava e la pioggia scendeva dal cielo di notte, cadeva nel silenzio e nella desolazione più totale e quel poco dell'umanità che era sopravvissuta spariva, facendo apparire quel luogo come una città fantasma, anche se città non era.
Castiel si accomodò meglio sul legno scuro del portico, incrociando gambe e braccia per proteggersi un po' di più dal freddo, di alzarsi e
recuperare una vecchia coperta, non ne aveva intenzione, tanto che quella pioggia e quei fulmini che squarciavano la notte lo incantavano.

Gli ricordavano di quando era caduto, per la prima volta, perché Castiel – dopo tanto tempo e dopo esser venuto a patti con se stesso, dolorosamente – aveva capito che era caduto altre tante volte da quando non era più un angelo.
Aveva perso un pezzo di se stesso, oltre le ali e la grazia, quando Dean non c'era stato per lui anni addietro, quando aveva trovato un amico in una bottiglia di Whisky.
Era caduto quando aveva cercato un po' di contatto, un po' di calore perché solo, e l'aveva trovato in quella moretta tutta occhi languidi e moine che dell'amore molto probabilmente non ne sapeva nulla; come Castiel,avrebbero detto molti, ma non era così.
Era caduto in molti modi, aveva lasciato una parte della propria essenza in ogni scoperta di quella vita nuova e in ogni rifugio che si era creato quando questa diventata troppo: Troppo da sopportare, troppo da affrontare, troppo crudele per uno che non aveva più niente e che aveva perso tutto - la fede, la speranza, fratelli e gli unici amici che avesse mai posseduto – e smarrito se stesso.
Il tempo scorreva e poco gli importava, avrebbe aspettato Dean fino all'alba e se non fosse tornato ancora, per tutto il giorno e la notte seguente e così via. Si teneva impegnato ascoltando il ticchettio della pioggia fitta sui tetti di legno, sul terriccio bagnato e sulle foglie e sulla propria mano. In nome dei vecchi tempi – quando era un angelo e poteva quasi tutto - provò a contare ogni goccia che si posava sul proprio palmo aperto rivolto verso il cielo ma rinunciò subito dopo ritraendo la mano con un sorriso amaro che da molto tempo, forse non l'aveva mai fatto, non raggiungeva gli occhi e si era perso di nuovo nei suoi pensieri. La notte man mano andava schiarendosi, la pioggia era diventata più sottile e meno violenta, un suono attutito e una carezza accennata sul viso di Castiel e i primi raggi del sole fecero capolino tra le coltre nubi che appesantivano il cielo di quell'alba dai colori smorti, spenti.
Sentì in lontananza il rumore di motore e ruote che scivolano sul fango, sportelli sbattuti, risate sommesse e passi che si strozzavano nell'erba umida da piovasco misto a rugiada.
L'ex angelo si mosse appena, giusto per stiracchiarsi la schiena e le gambe intorpidite e scrollarsi la polvere dai vestiti umidicci, per poi bloccarsi alla vista di Dean, un piccolo sorriso a fior di labbra, più una smorfia per esser precisi, che solo Castiel poteva cogliere e comprendere; la missione era andata bene e lo poteva capire da quello e dall'aria rilassata del ragazzo che un tempo era solo un cacciatore e che ora era il leader di un campo di sopravvissuti.
Non appena Dean incrociò il suo sguardo, camminando a passi pesanti e lenti, Castiel si ritrovò ad annaspare alla ricerca d'aria perché quegli occhi, quei dannati occhi così stanchi-martoriati-sofferenti-eppure così belli, gli facevano dimenticare come si facesse a respirare. E davvero non ci riusciva quando poi lo guardava come se fosse la cosa più importante, preziosa e spaventosa che avesse mai posseduto per poi scrutarlo con aria truce e distante.
«Hai dato spettacolo anche stanotte, angioletto?» disse Dean, fermandosi un paio di metri distante da Castiel, che ora tremava sia per il freddo che per la portata di quel sguardo o più semplicemente per la sola presenza del cacciatore.
Il biondo ridacchiò appena, seguito dai propri compagni di spedizione che dopo un attimo si ammutolirono sotto uno sguardo di fuoco del leader che non aveva bisogno di parole per ammonirli, e di tutta fretta ognuno andò alla propria capanna con il sol desiderio di affondare nel letto scomodo e cigolante e farsi una lunga dormita.
«Tutto bene?» chiese di nuovo il leader, scrutandolo attentamente. Castiel annuì e Dean se ne andò, spezzandolo di nuovo.
Tutto bene? Gli aveva detto anche la notte prima, stretti l'uno all'altro, proteggendosi a vicenda da tutto, tutti e loro stessi.
Dean aveva bussato alla sua capanna e Castiel aveva aperto: Occhi bassi rivolti verso gli scarponi sporchi e improvvisamente tutto il peso del mondo visibile su quelle spalle larghe e forti che però erano crollate.
Dean era crollato, prima di una delle spedizioni più importanti per trovare Satana - «Forse mi diranno dov'è Sammy» - ed era andato dritto da lui, da Castiel.
Gli aveva detto entra e Dean si era aggrappato con tutte le forze a quello che un tempo era stato il suo angelo custode e che ora, anche se non angelo, anche se non al massimo, continuava a proteggerlo.
Castiel l'aveva abbracciato, forte e stretto contro il proprio petto, mentre Dean mormorava che probabilmente quella sarebbe stata la sua ultima notte al mondo, ma ogni notte poteva essere l'ultima, e quella era solo una scusa perché anche il più intrepido e il più coraggioso poteva permettersi di dare forfait e lasciarsi andare, alla fine di tutto.
E tra le sue braccia stava cadendo un po' anche Dean, non era nuovo a quelle sensazioni, lui era caduto molte più volte di Castiel, prima di questo, e si era fatto così male perché era sempre stato solo e in quello si somigliavano e in quello si spaventavano a morte. Ma era okay, era tutto a posto per la prima volta, perché non stavano precipitando ma volteggiavano insieme, in quell'equilibrio precario che li caratterizzava da sempre, stretti mentre indietreggiavano fino al materasso che li accolse con un suono sinistro. Per la prima volta stavano, addirittura entrambi, bene, mentre l'equilibrio veniva a mancare come la terra sotto i piedi e precipitavano insieme, l'uno sulla bocca dell'altro, in un bacio disperato e bisognoso di attenzioni, che urlava tutto il dolore represso e mal celato, la rabbia e l'ingiustizia che li aveva colpiti.
E a Castiel stava bene cadere per un'ultima volta, perdere l'ultimo briciolo di se stesso e annientarsi in quegli occhi e in quelle labbra e in quel corpo che lo sovrastava e che necessitava del suo amore, l'ultima fiammella della sua essenza di angelo, dell'essere uomo che era diventato, amico e amante e tutto e niente insieme.
Si donò senza remore, in quel posto nascosto e sicuro che erano le braccia dell'altro, quel posto che pochi avevano il privilegio di permettersi nel duemilaequattordici, un posto che prima non c'era e dopo avevano creato, solo per loro.
Quella notte non era la fine ma forse solo l'inizio, e non era stato difficile crederci mentre con un sorriso leggero stampato sulle labbra venivano entrambi, con troppe parole aggrovigliate in gola che venivano fuori solo come ansiti e sbuffi stanchi ma appagati. Però poi quando Dean si era staccato, era uscito dal loro posto che non c'è, ed era andato via, il loro volteggiare prese forma di caduta libera e tutto bruciava: la pelle, le mani, gli occhi e tutta la sue essenza. Se n'era andato, era venuta la mattina e tutto quello che di notte succede – le paure che si materializzano e si sentono un po' di più, il bisogno che sempre veniva nascosto – venne spazzato via dai raggi di sole, violenti e senza clemenza. E tutto come prima, sguardi incazzati, parole spietate e al tempo stesso totale indifferenza.
Era caduto per Dean, prima, e lui neanche lo sapeva; ma questa volta era diverso perché a spingerlo era stato lui una volta messo piede fuori dalla capanna.

Ed era caduto per una giornata intera, ininterrottamente, e stava cadendo ancora. E aveva un po' accelerato perché Dean era tornato, lui l'aveva aspettato una notte intera, ed era andato via, di nuovo.
Espirò – aveva trattenuto per così tanto tempo il respiro? - e si diresse a passo lento sotto il portico, prendendo la postazione di pochi minuti fa e perdendosi di nuovo nei rumori muti della mattina: il vento che scuoteva le fronde degli alberi che sembravano quasi blu dalla poca luce, la pioggia era ritornata a cadere un po' più forte, picchiettando sui sandali di cuoio di Castiel, sul parabrezza della Jeep di Dean e su tutto il campo, e faceva un po' più freddo.
«Copriti, verrai con me anche se ti becchi la febbre» disse una voce che conosceva fin troppo bene e dopo un attimo una coperta pensate riposava sulle spalle di Castiel e quest'ultimo non sapeva se a riscaldarlo fosse stato quel pezzo di stoffa scolorito o il solo fatto che Dean gli avesse rivolto la parola.
Castiel non rispose e Dean prese posto accanto a lui, rubando un pezzo di coperta e gettandoselo malamente sulle spalle larghe e avvicinandosi a Castiel più di quanto dovesse, desiderando di stargli vicino più di quanto potesse fisicamente.
Entrambi se ne stettero in silenzio ad osservare la pioggia, il sole riscaldarsi e di conseguenza anche l'aria, i primi rumori di letti che stridono, coperte che cadono e sbadigli, mentre Dean si era assopito contro la sua spalla e la sua semplice presenza, il suo esserci lì, l'essere ritornato, aveva salvato Castiel che aveva smesso di precipitare perché era stato afferrato – proprio come lui aveva fatto anni fa con Dean - da quei sentimenti che nessuno dei due aveva il coraggio di dirsi a parole ma che si mostravano in tutta la loro potenza, in quel tempo senza futuro e certezze.

 


 
   
 
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