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Autore: orange    20/09/2013    4 recensioni
C'è una domanda. Una domanda enorme che a Ranchan non può più rivolgere, ma forse la può fare a lui, a questo vagabondo senza amore.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ryoga Hibiki, Ukyo Kuonji
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ok. Questa è sul computer da un po' – pare che alla fine mi sia decisa a pubblicarla. È un po'...come dire...triste-ma-non-del-tutto, ma capirete leggendo che forse è colpa del mio umore. Mah.

Continuo con i personaggi “secondari”. Dopo Mousse, ecco Ukyo. Chissà che non ci prenda gusto. Il titolo si ispira (o dovrei dire copia-senza-ritegno?) la canzone Same mistake di James Blunt, che mi sembrava azzeccata.

Approfitto di questo spazietto per ringraziare tutti quelli che hanno letto e recensito Stubborn love (pubblicità, pubblicità!). E grazie a chi leggerà queste tre paginette.

Buona lettura! ^.^

 

 

 

 

Same mistake

 

 

“Che cos'è che odi di più al mondo?”

La domanda di Ryoga la sorprende, quasi la spiazza, facendole tremare le mani che stringono ancora la spatola.

Si concentra, cerca le parole, pensa a una possibile risposta, ma la lingua è un pezzo di piombo nella bocca. Appoggia i palmi sul bancone, facendo scivolare le dita sulla superficie ruvida, serrando le labbra per inumidirle e riuscire a parlare.

“Non lo sai?”

Ukyo alza lo sguardo, cerca il viso di Ryoga sotto i capelli scompigliati, dietro al velo di quella tristezza familiare che ha imparato a conoscere, con amarezza e un filo di sollievo. L'ha fatta sentire meno sola, meno incompresa, e lo fa anche adesso. Per un istante si chiede se anche il suo sguardo sia velato dalla stessa pena.

“La cosa che odio di più? In assoluto?”

Ryoga annuisce, addentato un'altra volta la propria cena, riempiendosene la bocca.

“Sì, la cosa che più detesti, che ti fa soffrire, perdere il sonno e la ragione. Dev'esserci. Ce n'è una per tutti.” termina, deglutendo sonoramente.

A metterla in questi termini, la risposta le nasce dal cuore, corre nella gola e sboccia sulle labbra. Ukyo serra i denti per trattenerla, ma è forte, la sua risposta, così forte che, non potendo uscire dalla bocca, capisce che può uscire dagli occhi. Le sente, le sue lacrime scaltre e impietose. Le sembra ingiusto – di nuovo.

“No, non lo so.”

Parla senza pensare – deve riconoscere che le capita più spesso di quanto vorrebbe ammettere anche a se stessa – e mente. Mente sempre, mente ancora, e ormai ci è abituata. Ma a guardare Ryoga, a guardarlo negli occhi, per la prima volta davvero, si chiede che senso abbia mentirgli, ora che anche la realtà ha smesso di farlo. Che senso abbia ogni cosa, ogni giorno della sua vita lì, in quella periferia di una città che le è estranea, che, semplicemente, non è la sua. Che senso abbia credere di stare bene, quando dentro al petto il cuore muore di una morte lenta che a volte sembra piacevole, ma che è pur sempre morte. Che senso abbia fingere, anche quando non c'è nessuno a guardarla, anche quando l'unico a tenerle un po' di compagnia è un ragazzo con seri problemi sociali e la tristezza stampata sulla faccia smunta.

“Io sì.”

“Qual è?”

“Lo sai qual è.”

È fin troppo sincero, parla in questo modo solo quando la disperazione prende il sopravvento, prendendo a calci la determinazione, scaraventando l'amore giù per un burrone senza fondo. Vorrebbe chiedergli di stare zitto, di non dire più nulla, perché fa troppo male, ma una parte di lei – quella più grande, a quanto pare – la costringe a restare in silenzio, ad ascoltare con interesse, con necessità. Forse mi aiuterà, pensa. Forse mi alleggerirà, sapere che quello che prova lui è quello che provo io.

“La cosa che odio di più è un ricordo. È il ricordo di Ranma che stringe Akane tra le braccia, in lacrime, che la culla finché non capisce che è morta, e che anche allora non la lascia andare.”

Ukyo vorrebbe urlare, dirgli che quella storia l'ha già sentita, che gliela hanno raccontata in tanti, che però lei non ci crede...dirgli che si sente una stupida, che ha inseguito il sogno sbagliato per troppo tempo, senza neanche accorgersene. Che hanno commesso lo stesso errore, ma forse in questo c'è speranza.

“È il ricordo di Akane, che si risveglia e sorride. E all'improvviso è lei a cullare Ranma, perché lui non ha più fiato dalle urla che ha lanciato in cielo. Questa è la cosa che odio di più.”

Ora Ryoga la guarda, diversamente dal solito. Ha gli occhi chiari, pensa confusamente Ukyo, prima di vederli sparire dietro alle lacrime.

“Perché mi dici questo?” chiede, rinchiudendo i singhiozzi nello stomaco. “Io non c'ero.”

“Infatti, tu non c'eri. Proprio per questo te lo dico.”

Urlare è tutto quello che sa fare.

“Non capisco dove vuoi arrivare! Che cosa vuoi?!” sbraita, ascoltando la propria voce che rimbalza sulle pareti del locale vuoto, di quel posto così accogliente che è il simbolo di tutto quello che sarebbe stata pronta a dare. A Ranchan, ai loro figli, a se stessa.

“Mi dispiace.”

Ryoga si scusa come fanno i bambini, fissando un punto indefinito del piatto, senza degnarla nemmeno di un'occhiata di conforto. Si scusa come se fosse colpa sua, come se stesse chiedendo scusa a uno specchio in cui non ha il coraggio di guardare.

“Io sono sempre stato innamorato di Akane. Sai che farei di tutto per lei...”

Questo è troppo, ora è veramente troppo.

“Sì, lo so!”

Il tono è più acido di quello che vorrebbe, più collerico. Se ne pente subito.

“Scusami, è solo che sono stanca di sentir parlare di lei. Di come tutti l'amiate, di quanto sareste pronti a morire pur di vederla sorridere. Scusa, ma nessuno parla mai così di me.”

Si aspetta che Ryoga si alzi offeso e se ne vada, o che rida di lei, invece Ryoga sorride. Sorride, forse con dolcezza, ma di questo non può essere sicura. Sa che però si sente immediatamente più serena, come se avesse rivelato il segreto più terribile, la menzogna più infima, come se si fosse liberata di una cattiveria che non credeva di poter provare, ma che si è ritrovata a sfruttare senza scrupoli. Che, un giorno – nemmeno lei sa bene quando – è diventata sua, è diventata parte di lei. Parte della cara, gentile e buona Ucchan, che forse è un po' meno buona, anche se Ranchan non lo sa.

“Perché parli al plurale?”

Ukyo si sente avvampare, distoglie subito l'attenzione da lui e torna a studiare le venature del legno.

“Sai” continua lui. “Potrei dire la stessa cosa, cambiando l'oggetto.”

Ironico, pensa dentro di sé, davvero ironico. Anche in uno schifo di situazione come questa, sono riuscita a trovare una copia perfetta di me.

“Comunque...io sarei pronto a gettarmi nel fuoco, per lei, non lo nego. So che lei è innamorata di lui, ma non ho mai davvero perso le speranze, fino a pochi giorni fa. Sapere – o credere – che lui non la amasse, mi rassicurava, mi faceva pensare che un giorno avrebbe potuto amare me. Non importava cosa provasse realmente lei. L'unico amore determinante è sempre stato quello di Ranma.”

Ukyo sente la rabbia montare come un toro, prendere la rincorsa e abbattersi su quel messaggero inopportuno con tutte le energie disponibili, ma è più facile metterla da parte. Vuole davvero sapere dove Ryoga andrà a parare.

“Ma su quel monte ho capito. Ho capito che lui la ama.”

Ora lei lo vede, il suo cuore. È su quella piastra bollente, va a fuoco, brucia. Ma lei non ha voglia di tirarlo via dalle fiamme. Lo lascia bruciare, perché è ora che bruci.

“E ora che lei sa che lui la ama, io non ho più speranze.”

Ryoga si alza. Fa per pagare, ma Ukyo lo ferma con un gesto della mano. Ha già pagato con tutte le sue belle parole. Lui la ringrazia con un cenno del capo.

Lei si morde le labbra, un vizio che ha sin da bambina, per cui Ranchan l'ha spesso presa in giro. C'è una domanda. Una domanda enorme che a Ranchan non può più rivolgere, ma forse la può fare a lui, a questo vagabondo senza amore.

“E io?”

La sussurra, ma lui la sente lo stesso. Si volta a guardarla come si guarda un animale in gabbia, con un po' di fastidio e senso di ingiustizia, ma con segreta curiosità.

“Nemmeno tu hai più speranze.”

“Se mai ne ho avute...”

Ryoga si stringe nelle spalle, senza risponderle. Va verso la porta, la spalanca con un gesto secco, facendo un rumore che la fa impazzire. Vorrebbe solo un po' di silenzio, un tè caldo, una coperta sotto cui nascondersi. Invece ha avuto lui. Ha avuto la verità.

“Ryoga, aspetta!”

Gli corre incontro, trattenendolo per un braccio, aggrappandosi alla manica rattoppata della sua maglietta come una ragazzina lagnosa.

“Non ti ho detto qual è la cosa che odio di più.”

“Credevo non la sapessi.”

“Mentivo” risponde, sincera. Basta menzogne, stasera non ne ha voglia.

“Allora, qual è la cosa che odi di più?”

Prende un respiro profondo, freddo come l'aria che entra dalla porta aperta, come la mano di Ryoga che tiene la maniglia, e gli sorride.

“La cosa che odio di più è un ricordo. Il ricordo del giorno in cui li ho visti ritornare a casa, mano nella mano, del giorno in cui tutti mi hanno raccontato quello che è successo lassù.”

Ryoga le sorride a sua volta, capendola. Ukyo ne è felice, di questa comprensione, che è come un abbraccio gentile che non vorrebbe più sciogliere. Vuole solo ricambiare.

“La cosa che odio di più è il tuo ricordo, Ryoga.”

 

*

 

Si asciuga il viso nella manica. Si vergogna un po', a essersi mostrata così indifesa davanti a lui, ma in fondo non le interessa davvero, perché finalmente è stata se stessa. Lo guarda camminare lentamente sulla strada deserta, e si ritrova a desiderare che torni indietro, o che almeno si volti.

“Ryoga!” chiama, urlando.

Quando lui si volta, sorride, di nuovo. Le sembra di non fare altro che piangere e sorridere, nella sua vita.

“Io la speranza non la perdo!”

Lui la fissa spazientito. Ha l'espressione di uno che ha sprecato fiato per due ore, che ha provato a insegnare qualcosa a uno sciocco che non vuole capire, a un bambino che non sta fermo sui libri per più di un minuto.

“La speranza per me stessa, intendo! Se non posso pregare per Ranma, pregherò per me stessa!”

 

Ryoga alza un braccio, salutandola con la mano, felice. Ukyo rientra, sistema il locale e va a dormire. Rigirandosi nel futon, ripensa agli occhi di Ryoga, a quei denti un po' buffi che lo rendono così com'è.

Si addormenta pregando per se stessa. Pregando che lui ritorni presto, anche se per sbaglio.  

  
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