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Autore: _Frame_    21/09/2013    4 recensioni
I piccoli difetti che ce li fanno amare diventano delle vere e proprie patologie.
Otto pazienti rinchiusi in un ospedale.
Un ospedale da cui non si potrà più uscire.
Benvenuti alla clinica Welt di Berlino.
Genere: Dark, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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CAPITOLO 17
 
Il dottor Roderich mi guarda da dietro le lenti rettangolari, abbagliate dall’unico raggio di luce che filtra dalla tapparella abbassata. L’aggeggio che lui ha chiamato Transfert ciondola dalla sue dita, salde attorno alle fasce nere. I cavi penzolano sulle sue gambe, arrivando fin sotto le ginocchia.
Io deglutisco, stringendomi le mani sul petto. Quell’affare mette davvero paura. Chissà se farà male a me o a Ludwig?
Il dottore si sistema la montatura degli occhiali, premendola sulla base del naso. Il Transfert si incastra nel suo gomito.
“È sicuro di voler provare, Herr Vargas?” La sua voce morbida sembra quasi ovattata dall’aria pesante che aleggia nel piccolo ufficio buio e polveroso.
Io annuisco, buttando giù un’altra boccata di saliva.
“S-sì. Io...”
Cerco di fermare i tremiti che mi corrono sulla schiena, e raddrizzo le spalle, inarcando le sopracciglia.
“Lo so che è una soluzione disperata .Ma...ma voglio provarci. Se questo servirà a riportarlo indietro, allora sono disposto anche a rimetterci io stesso.”
Il dottore annuisce, e io lo imito.
Manterrò la promessa, Ludwig. Te lo giuro.
 
***
 
Mi sfilo il Transfert facendo scorrere le dita sulla stoffa ruvida, pregna del mio sudore sgorgato su tutto il capo. Trovo finalmente la chiusura in velcro e la strappo, pizzicandomi i polpastrelli.
Appoggio la fascia sulle ginocchia, i cavi colorati si raggomitolano sul mio grembo. Mi passo una mano tra i capelli, scuotendomi la frangia. Un leggero brivido mi corre dietro la nuca.
Il dottor Roderich si avvicina lentamente a Ludwig e allunga le mani verso la sua testa, ancora china sulle spalle appoggiate alla parete. Ludwig ha le palpebre abbassate, ma ogni tanto vibrano, come se stesse cercando di svegliarsi.
“Non ce l’ho fatta.” Mormoro di nuovo, distogliendo lo sguardo da quello di Ludwig, distrutto e stropicciato dalla stanchezza.
Il dottor Roderich inizia a far passare le dita sui cavi e sulla fascia.
Scuote la testa. “Non si disperi, Herr Vargas. Non ce n’è motivo.”
Anche la chiusura del Transfert di Ludwig geme, e la fascia nera gli scivola via dalla fronte, portandosi dietro i cavi che gli serpeggiavano sulle spalle e sul petto.
“Parlando sinceramente, Herr Vargas.” Continua il dottore, iniziando a raccogliere i fili di rame plastificati attorno al suo braccio. “Non mi aspettavo che ci sarebbe riuscito. Non al primo tentativo, per lo meno.”
Raccoglie anche l’anello di stoffa e se lo infila sulla spalla, facendolo passare sopra il braccio. Il tessuto del camice è tutto spiegazzato, sotto la stretta dei cavi.
Io mi alzo lentamente dalla sedia, barcollando un paio di volte. Getto un’occhiata fuori dalla finestra, ma il corridoio è deserto, non passa nessuno. Impugno con mani tremanti la mia fascia, e allungo il braccio leggermente piegato verso il dottore.
“Quindi... quindi, dottor Roderich, io potrei...” Deglutisco, e lui posa lo sguardo su di me, da sotto le palpebre semichiuse. “Io potrei riprovarci? Sono sicuro che ce l’avrei fatta per un soffio, e se lei mi desse il permesso, ecco, io...”
“Non oggi di sicuro, Herr Vargas.” Mi risponde lui.
Il dottor Roderich agguanta il Transfert dalle mie mani. La pelle delle sue dita mi sfiora, ed è calda, vellutata. Quasi una spalmata di balsamo sopra le mie dita fredde, ossute, e pallide come il latte.
“Siete entrambi molto stanchi.” Continua lui.
Ruota lo sguardo verso Ludwig, scrutandolo da dietro le lenti rettangolari.
“Sarebbe solo un inutile rischio, sia per lei che per Herr Beilschmidt. Ma ci saranno altre occasioni, non si preoccupi. Ora pensi solamente a riposare.”
Si sistema per bene i due strumenti intorno alle spalle e abbassa gli occhi, aggiustandosi il colletto del camice.
“Tuttavia, le chiedo di dedicarmi ancora un po’ del suo tempo e delle sue energie, Herr Vargas. Questo nostro esperimento è stato qualcosa di esclusivo, capisce? Vorrei...” Le sue pupille ruotano su di me. “Vorrei scambiare quattro parole con lei per esaminare insieme quello che ha visto dentro la mente di Herr Beilschmidt.”
Io esito, e mi stringo una mano sul petto. La stoffa della maglia è umida e fredda. Sento il cuore martellare ancora sotto il mio tocco. La cassa toracica vibra. Sento ogni singola vena che corre pulsare sotto i polpastrelli. Ho la testa ancora sudata, e mi salgono i brividi fino alla punta dei capelli.
Traggo un profondo sospiro. “Va... va bene. Credo di poterlo fare.”
Il dottor Roderich annuisce. “Molto bene, allora.”
Attraversa la stanzina, un semplice cubo bianco con le pareti spoglie e solo quella piccola finestrella rigata che dà sul corridoio. Il dottor Roderich si appoggia alla maniglia e volta il capo verso di me.
“Andiamo, Herr Vargas.”
Io scatto sul posto. I piedi sono ancora incollati al pavimento, incapaci di muoversi. Ruoto lo sguardo verso Ludwig, abbandonato nel letto bianco, smagrito e sciupato in viso.
Il labbro inferiore mi trema un paio di volte e il cuore mi si spezza in mezzo al petto, sciogliendosi tra le costole.
Perché è andata a finire così? Perché è andato tutto così male?
Muovo i passi felpati sulle piastrelle, lenti e timidi. Chino le spalle avvicinandomi a Ludwig, ma lui ha ancora gli occhi chiusi. Riesco a percepire a malapena il suo debole sospiro che passa tra le labbra socchiuse. Io piego la testa di lato, provando a disegnare un fragile sorriso sulla mia bocca vacillante.
“Lu... Ludwig, mi senti?” Sussurro.
Le sue palpebre si strizzano, le spalle vibrano, ma lui rimane addormentato.
Piego le sopracciglia, e il sorriso cede per qualche secondo. Poi allungo un braccio davanti a me, tendendo il mignolo leggermente piegato. Lo faccio scivolare con delicatezza tra le sue dita e lo avvolgo attorno al suo, accarezzandone la punta.
“Ti ricordi, Ludwig? Ti ricordi la nostra promessa?”
Una vena del mio mignolo pulsa sotto la pelle, ma la sua mano rimane immobile, abbandonata sul suo grembo. Il dito mi trema, ma provo comunque a stringere la presa.
“Svegliati, Ludwig. Anche se non ti ricordi di me, ti sto aspettando.”
Inarco le spalle, piegando il capo verso il basso. La frangia mi copre gli occhi. Strizzo le palpebre, arricciando il naso verso l’alto, e i denti si serrano.
Raccolgo tutti gli ultimi grammi di energia che mi sono avanzati e soffoco nel petto un lamento strozzato, che gorgoglia nel mio stomaco come una brace accesa. Il dolore mi stringe in una morsa lacerante, facendomi accartocciare su me stesso con il dito ancora legato a quello di Ludwig.
Herr Vargas.
La voce del dottor Roderich mi fa sobbalzare. Traggo un profondo sospiro e mi giro verso di lui, ancora appoggiato alla porta della stanzina. I suoi occhi mi scrutano da dietro gli occhiali.
“Ora dobbiamo andare.”
Io inarco le sopracciglia e annuisco con un debole gesto del capo. Quando lascio andare il dito di Ludwig, sfilandolo dalla mia presa, sento come se una corda del mio cuore si sia spezzata. I due estremi si separano, arricciandosi l’uno lontano dall’altro.
Mi avvicino al dottore, strisciando i piedi sul pavimento, con il capo chino come ad una marcia funebre.
“Non si preoccupi.” Mi dice lui. “Si sveglierà tra qualche minuto. Potrà tornare a vedere come sta quando avremo finito.”
Il dottor Roderich fa scivolare la porta sul pavimento, e l’aria fresca del corridoio mi solletica il viso ancora sudato. Mi passo la manica della maglia sulle guance e scuoto la frangia, arieggiando la fronte.
Con la coda dell’occhio lancio un ultimo sguardo a Ludwig. E accade qualcosa.
La sua palpebra si solleva, piano, e la luce spenta del suo iride mi inquadra da sotto le ciocche dorate tutte spettinate davanti al viso. Rimaniamo a fissarci, scambiandoci l’ennesima occhiata assente, vuota come la sua mente. Io non la rompo, quell’occhiata, con il cuore gonfio di speranza.
Le labbra di Ludwig si socchiudono, sottili e pallide, lasciando uscire solo un sibilo.
“È...  è strano...”
Anche il dottor Roderich si volta, e un luccichio brilla da dietro le sue lenti.
Io inarco le sopracciglia, sporgendomi verso Ludwig, ma il dottore mi trattiene la spalla.
“Ho come.. l’impressione di... di averti già visto.” Mormora Ludwig, con voce roca e spenta.
Di nuovo la speranza che si rompe. Di nuovo l’ennesima mazzata che mi uccide dentro.
Ludwig abbassa le palpebre e si stringe tra le spalle. I lineamenti del suo viso si distendono.
“Sarà stato un... un sogno.”
Io sospiro, abbandonando il capo ciondolante sul petto. La mano del dottor Roderich si stringe attorno alla ma spalla.
“Andiamo, Herr Vargas.” Mi ripete con voce piatta.
Io annuisco, obbedendo.
 
La porta si richiude. Il piccolo adesivo che raffigura il numero nove, incollato sulla cima dell’anta, viene attraversato da un riflesso bianco che lo fa risplendere per qualche istante.
Il dottor Roderich inizia a percorrere il corridoio, passando vicino alle finestre che danno sulle stanze degli altri pazienti. I cavi del Transfert ciondolano dalla sua spalla, rimbalzando sulle sue ginocchia.
Muovo passi lenti e pesanti. La testa è china verso il basso, il mento quasi appoggiato sul petto. Ruoto la pupilla alla mia destra, all’ombra dalla schiena del dottore che cammina davanti a me, e spio gli altri pazienti da dietro le ciocche della frangia.
Cella numero otto. Natalia è rannicchiata sulla brandina, con le ginocchia richiamate al petto e i capelli che le scivolano davanti alle gambe come un drappo, fino a toccarle i piedi. Un braccio stringe attorno al polpaccio, mentre l’altro è appoggiato sul muro. La mano batte colpi ripetuti, che picchiano sulla parete con cadenza regolare. È un rumore sfiancante, ma lei passa anche tutta la giornata così.
Dall’altra parte del muro c’è la cella di Ivan – numero sette – e gli passiamo velocemente di fianco. Il dottore lancia un’occhiata fulminea al suo interno, per precauzione. Ma Ivan è tranquillo, raggomitolato sul materasso come la sorella, ben lontano dalla parete che lo separa da lei. Si stringe le mani attorno alle gambe, tremando come una foglia, sotto i colpi che rimbombano sul muro.
Numero sei. Lovino. Quando ci passo di fianco spalanco le palpebre, strabuzzando lo sguardo.
“Dottore...” Sussurro, accelerando il passo.
Il dottor Roderich si limita a voltare il capo, senza interrompere la marcia.
“Dov’è Lovino?”
Lui solleva le sopracciglia, puntando di nuovo gli occhi davanti a sé.
“In terapia.” Risponde secco, con un tono distaccato.
Io abbasso lo sguardo, rattristandomi in volto.
“Ah, ho capito.” Mormoro.
È già il terzo elettroshock, questa settimana.
Poi c’è la numero cinque, quella di Antonio. Ci dà le spalle, abbandonato sulla parete con le braccia ciondolanti sui fianchi. I piedi scalzi sporgono dal bordo del letto, e le dita sono immobili. La chioma castana è sciupata, sbiadita. Gli cade sulle spalle come le foglie appassite di una pianta morente. Non riesco a incrociare lo sguardo con il suo, perché è rivolto verso il muro.
Già da qui si sentono i piagnucolii provenire dalla numero quattro. Francis si starà sicuramente lamentando per i fatti suoi. Il dottor Roderich raddrizza la schiena, allargando le spalle. Sa già che farà parecchia fatica ad ignorarlo. Quando passiamo di fianco alla finestrella della sua stanza, lui è già con i palmi incollati sul vetro. Lo sguardo è imbronciato, incorniciato dalla cascata di capelli dorati che gli ondeggiano sulle spalle. Non sento nulla di quello che borbottano le sue labbra sotto le guance gonfie dal nervosismo, ma faccio davvero fatica a non incrociare lo sguardo con il suo. Il dottor Roderich abbassa le palpebre davanti agli occhi, superando la stanza con la fierezza di un soldato in marcia. Francis ci segue con lo sguardo anche quando spariamo dalla sua vista, poi le sue lamentele ovattate svaniscono.
La numero tre. Kiku, avvolto tra il mucchio di coperte come al solito. Rallento il passo, non badando alla camminata del dottore che si fa sempre più spedita. Chino lo sguardo verso il fagotto bianco ammassato sulla brandina. Un occhio di Kiku emana un debole riflesso color nocciola verso di me, come se mi stesse spiando dalla sua oscurità. Le mie gambe si fermano,i piedi pestano il suolo. Si bloccano come trattenuti da una distesa di cemento ancora fresco e appiccicoso. Io e Kiku ci osserviamo a vicenda, quasi spiandoci, come se una scossa corresse tra i nostri sguardi. Poi, il mucchio di lenzuola si scosta leggermente, e la mano di Kiku emerge dalla stoffa infagottata attorno a lui.
Il mio cuore si ferma, il cervello si blocca, pietrificando ogni cellula del mio corpo. Il mignolo di Kiku volge la punta verso l’alto e si piega lievemente, abbassandosi verso le altre dita chiuse sul palmo.
La promessa.
Le mie labbra si schiudono, ma dalla bocca non esce una singola sillaba.
C’è qualcosa che non quadra. Io...
“Ciao, Feliciano.”
Una dolce vocina mi trapassa il cranio come un dardo rovente, riportandomi alla realtà. Ruoto gli occhi sul corridoio che serpeggia tra i muri, e incrocio lo sguardo di Matthew, chino davanti  a me.
Il ragazzo si appoggia lo spazzolone sopra una spalla, scostando con un leggero tocco del piede il secchio straripante di acqua grigia. Della schiuma galleggia sopra la superficie, incollandosi ai bordi del recipiente di plastica.
Matthew distende un lieve sorriso sulle labbra e una ciocca bionda gli ricade davanti agli occhi, finendo sopra una lente degli occhiali posati sul suo naso.
“Ah, c-ciao, Matthew.” Lo saluto, ricambiando il sorriso.
Lui si passa un dito sul ciuffo fulvo, scostandoselo dietro all’orecchio. La sottile ciocca gli ricade sulla spalla, sfiorando la divisa bianca.
“Sei stato a trovare Ludwig, oggi?” Mi domanda, sussurrando come un alito di vento.
Io inarco le sopracciglia, stringendo le spalle. I bordi delle mie labbra sono sempre lievemente piegati verso l’alto.
“Ehm, sì. Oggi... oggi abbiamo provato un nuovo tipo di terapia, ma...”
Abbasso gli occhi, celando tutta la sofferenza dietro ai capelli che mi ricadono sul viso.
“Ma non è andata molto bene. Sembra che ci vorrà ancora del tempo.”
“Ah, mi dispiace.” Sibila Matthew, abbassando le palpebre. “Vedrai che andrà meglio la prossima volta, ne sono sicuro.”  
Io annuisco, tornando a sollevare il capo.
“Sì, speriamo.” Sorrido, tentando di apparire più sereno possibile.
“E Lovino sta meglio?” Mi chiede lui, addolcendo lo sguardo. Per quanto possa risultare più dolce di così.
Al suono del nome di mio fratello, socchiudo le palpebre e mi mordo un labbro. Un sopracciglio si piega sopra l’occhio che torna lucido.
“N-no. Lui... lui è ancora...” Getto lo sguardo di lato, e le labbra iniziano a tremare. “È ancora grave, credo.”
Matthew si intristisce e china anche lui la fronte verso il basso, stringendo le dita attorno al manico in legno dello spazzolone. Di nuovo due ciocche di capelli si annodano attorno alla montatura degli occhiali.
“Mi dispiace. Non ti abbattere, dai.”
Abbassa le palpebre e mi sorride. Un sorriso sottile e debole che gli vela delicatamente le labbra.
“Andrà tutto meglio, vedrai:”
Io annuisco. “S-sì. Grazie, Matthew.”
Matthew sparisce alle mie spalle, portandosi dietro il suono trascinato delle rotelle del secchio che cigolano.
Faccio scorrere le dita sul muro, posando il palmo della mano sul vetro che mi separa da Kiku. Lui è tornato a ritirarsi sotto le lenzuola, e anche la luce del suo occhio si è spenta.
Kiku... cos’è successo veramente?
Il dottor Roderich è già sparito dalla mia vista e io mi affretto a seguirlo. Scollo la mano dalla finestra, lasciando un leggero alone dei miei polpastrelli.
Ecco la numero due che scorre al mio fianco. Arthur è seduto a gambe incrociate sul letto, una mano gesticola in aria, e le sue dita si agitano componendo cerchi e linee. Le sue labbra si muovono, borbottando qualcosa di confuso. Inarca le sopracciglia con fare imbronciato e le palpebre si strizzano davanti agli occhi. Gli passo vicino quasi correndo, e lui sparisce subito dalla mia vista. Ma, sono sicuro di aver visto, per un istante, un’ombra tozza ricoperta di peluria svolazzare attorno alla sua testa. Un luccichio smeraldino, poi, mi ha seguito proprio quando gli ho dato le spalle.
Il letto di Arthur è appoggiato alla parete che combacia con la numero uno, quella di Alfred. Infatti, lui se ne sta in piedi sulla sua brandina, con l’orecchio appoggiato sul muro una risata continua che gli scuote la schiena. Riesce sempre a trovare qualcosa per cui ridere, Alfred. Credo che ora stia cercando di chiamare Arthur, infatti ogni tanto batte il palmo della mano sulla parete. Ma lui non lo sente.
Nessuno è in grado di sentirli.
 
Il dottor Roderich chiude la porta dietro di me. La serratura scatta, e quel suono mi fa scorrere un brivido lungo tutta la schiena.
“Prego.” Mi dice lui, passandomi davanti.
Scosta la sedia davanti alla scrivania, spostando di lato lo schienale.
“Si accomodi.”
Il dottore lascia scivolare il Transfert dalla sua spalla e lo appende al bracciolo della sedia, dall’altra parte del tavolo. I cavi ciondolano, ma ora faccio fatica a distinguerne i colori. La luce che penetra dalla finestra è davvero pallida, e irradia solo poche strisce bianche che passano attraverso le tapparelle.
Il dottor Roderich si siede, appoggiando le spalle sullo schienale, e un debole raggio di luce gli sfiora gli occhiali, riflettendosi sulle lenti. Io obbedisco e mi lascio scivolare sulla seggiola che ha spostato. Richiamo le mani sul ventre e rannicchio le spalle, tendendo lo sguardo basso.
Un cassetto della scrivani scorre, e il dottor Roderich appoggia sulla superficie di legno scuro un blocco di fogli rigati da spesse linee nere. Sfila una penna scelta a caso da quelle riposte nella tasca cucita sul petto del camice – quella a sfera blu, con la serratura a scatto – e la impugna tra le dita ferme.
“Allora...” Comincia, premendo il pollice sul tappo retrattile.
Appoggia la punta della penna sulla carta e si aggiusta gli occhiali sul naso.
“Prima di tutto, com’era organizzata, la sua mente?”
Io aggrotto le sopracciglia e faccio scattare il capo, drizzandolo sulle spalle.
“P-prego?”
Lui sospira. “Voglio dire, dove vi trovavate? Avete rivissuto ricordi passati, magari riguardanti la sua infanzia? Oppure il momento dell’incidente? Insomma...”
Mi squadra da dietro le lenti, nascosto dall’ombra della stanza.
“Com’era fatta, la sua mente?”
Io esito, in un primo momento, poi traggo un profondo sospiro e mi preparo a rivivere tutto. Un’altra volta.
“Ecco... eravamo qui al Welt. Sì, e non erano dei ricordi, ma degli avvenimenti del tutto nuovi. Come una vita parallela nella sua testa.”
Il dottor Roderich abbassa lo sguardo sul foglio. La penna scorre, scarabocchiando segni a me incomprensibili tra le righe. Le sue pupille seguono attentamente ogni inchiostrata tracciata sul bianco.
Io proseguo. “Ma era un po’ diverso dal Welt. Era... era molto più pauroso, del tutto deserto. Le stanze e i corridoi, poi, erano del tutto bianchi e senza finestre. Le entrate, invece, avevano delle serrature molto più pesanti, come quelle che si vedono nelle casseforti. Ah, e sulle porte, poi, i numeri erano giganteschi, grandi quasi fino al soffitto.”
Il dottore annuisce, ma continua a scribacchiare.
“Mhm, certo.”
Solleva gli occhi al cielo e la penna si ferma.
“Ha ricreato dentro di sé la situazione attuale, ed è segno che sta vivendo molto intensamente il suo soggiorno al Welt. Poi, il bianco e le stanze vuote...” Si inumidisce le labbra. “Potrebbero rappresentare il suo stato mentale. Vuoto e senza ricordi che gli donino colori. Le finestre e le porte chiuse in quella maniera potrebbero rappresentare, invece, la sua condizione di prigionia che deve vivere qui al Welt.”
Torna ad abbassare gli occhi, e la sua penna va di nuovo a premere sulla carta.
“Bene. E lui che ruolo aveva in questa ambientazione? C’era qualcun altro con voi o eravate da soli?”
Io scuoto la testa, stropicciando con più forza le dita tra di loro.
“No. Ludwig era... era un medico, responsabile del Welt e dei pazienti.”
“Un medico?” Mi interrompe il dottore, sollevando un sopracciglio.
Io annuisco. “Sì. Lui era un dottore e si occupava dei pazienti rinchiusi nelle celle. C’erano davvero tutti, dottor Roderich! Anche Lovino, e Kiku, e...”
“Un momento. Vuole dire che lui ha ricreato perfettamente l’ambiente del Welt, anche con i pazienti reali ospitati qui?”
Le sue dita si stringono attorno alla penna, immobile sul foglio.
Io mi mordo un labbro.
“Sì, dottore. Ludwig si prendeva cura di tutti e noi abbiamo... abbiamo addirittura usato il Transfert su ognuno di loro. Li abbiamo esaminati uno per uno e, infine, Ludwig...” Mi stringo le spalle, accennando un sorriso. “Ludwig li ha tutti liberati dalle celle.”
Il dottor Roderich sospira, e abbandona il peso sullo schienale. Si mette una mano sotto il mento – quella che impugna la penna – e alza il naso al soffitto.
“Vediamo. Il fatto che lui si sia calato nel ruolo di un medico può significare che ha bisogno di imporsi come figura di riferimento, e in particolare per le persone che si trovano nella sua stessa condizione. Durante le sedute di gruppo...” Sospira a fondo. “Durante le sedute di gruppo è emerso più volte, questo lato del suo carattere. Evidentemente, nel suo subconscio nutre un profondo desiderio di evasione non solo per se stesso, ma anche per gli altri. Ecco perché li ha liberati, Herr Vargas. In più, il Transfert... beh... avrà capito che è uno strumento impiegato proprio per questo scopo e lo ha semplicemente proiettato dentro di sé per utilizzarlo sugli altri. Bene, molto interessante.”
Torna a chinarsi sulla scrivania, piazzando di nuovo la punta della penna sul foglio già mezzo scarabocchiato.
“Poi, lei che ruolo aveva, Herr Vargas?” Solleva gli occhi su di me, freddi. “L’ha riconosciuta, quando siete entrati in contatto?”
Io esito. Le mani giunte sul grembo si strofinano tra di loro, sciupando la stoffa della maglia.
“Ecco... io, all’inizio, ero lì solo per far visita a Lovino.” Dico, distogliendo lo sguardo dal suo.
Sento la penna che riprende a scrivere.
“Poi, quando ci siamo incontrati, Ludwig ha fatto una faccia strana, sconvolta, proprio come se mi avesse riconosciuto all’improvviso. Lui ha detto...” Mi porto una mano vicino alla bocca, trattenendo un risolino. “Lui ha detto che si era spaventato perché ero identico a Lovino, rinchiuso nella cella. Ma sono sicuro che, per qualche secondo, mi abbia riconosciuto. E succedeva davvero tante volte, dottore.”
Riprendo fiato, tornando a guardare davanti a me.
“E succedeva spesso anche che piccoli gesti o frasi facessero star male lui o me. Come dei giramenti di testa, o svenimenti.”
“Vuole dire gesti e frasi riguardanti i vostri ricordi passati?” Mi domanda lui, senza staccare gli occhi dal foglio.
Io annuisco. “Sì, proprio così.”
“È normale. Lei stava, appunto, provando a riportarlo indietro, anche se inconsciamente. Staccare un individuo dallo stato mentale in cui si trova non è sempre facile. Risulta sgradevole, il più delle volte, perché è come risvegliare improvvisamente una persona che dorme.”
Ruota le pupille verso di me. “Può essere anche doloroso, ed è per questo che i tentativi falliscono il più delle volte.”
Io sbatto le palpebre un paio di volte. Non credo di aver capito molto, ma non importa.
“Poi...” Continua il dottore, tornando con lo sguardo basso. “Lei cos’ha fatto, per trascorrere tutto il tempo con Herr Beilschmidt?”
Deglutisco, traendo una profondo respiro dal naso.          
“Io... io sono diventato un inserviente del Welt. Ho... ho sostituito...”
Strabuzzo gli occhi, trattenendo il fiato in gola. Punto l’indice sul dottore, e alzo il tono di voce.
“Matthew! Ecco, c’era anche Matthew, dottore!”
“M-Matthew?” Mi domanda lui, aggrottando le sopracciglia.
Si sistema gli occhiali, ricomponendosi. “Vuole dire Herr Williams?”
“Sì, esatto!” Rispondo io, annuendo. “Ma Ludwig non lo vedeva. Sapeva che esisteva un inserviente ma nessuno si accorgeva di lui. Io sì, però! Io sono stato l’unico ad incontrarlo, infatti.”
Il dottor Roderich traccia qualche segno sul foglio e si schiarisce la voce.
“I pazienti non incontrano mai il personale, è per questo che Herr Beilschmidt non ha potuto delineare un profilo corretto di Herr Williams, e quindi proiettarlo di conseguenza in questa sua, diciamo, realtà parallela. Tuttavia, Herr Beilschmidt sa che nel Welt reale esiste un inserviente, e svolge il suo lavoro saltuariamente, così ha solo riprodotto la sua funzione, ma senza una figura concreta.”
Il dottore continua a scrivere.
“Bene. Qualcun altro?”
“Mhm, sì: Gilbert! Si ricorda, è il fratello di Ludwig.”
Lui mi guarda con un sopracciglio inarcato e la bocca piegata in una smorfia.
Io provo a gesticolare, agitando le dita a mezz’aria.
“Ha presente il ragazzo che viene qui una volta al mese? Quello che fa un sacco di... di confusione.”
Il viso del dottor Roderich si deforma in una smorfia di disgusto. Abbassa le palpebre, arricciando il naso verso l’alto.
“Ah, Herr Beilschmidt.Ora ricordo.” Dice, con la fronte aggrottata.
Non credo che Gilbert gli sia molto simpatico.
“Probabilmente...” Sospira. “La proiezione del fratello simboleggia il profondo contatto con la vita precedente. È il legame che ha perso con ciò che gli era familiare. Le sue radici, ecco. I primi ricordi di un individuo sono relativi all’infanzia, ma Herr Beilschmidt ha perduto anche quelli, così ha provato a ricrearli incarnandoli nel fratello.”
La penna continua a scorrere, il rumore della punta che preme sulla carta sembra tagliare l’aria.
“Qualcun altro?”
Io alzo gli occhi al cielo, arricciando le labbra.
“Mhm, sì. Lei, dottor Roderich.”
Il dottore strabuzza gli occhi, facendo scattare il capo sulle spalle.
“I-io?” Mi domanda, inarcando le sopracciglia scure.
Annuisco. “Sì. Lei era il direttore generale, da quello che ho capito. È così che la vedeva Ludwig, da quel che mi ricordo.”
Il dottore ci pensa un attimo. Ruota le pupille al cielo, tamburellando la cima della penna sulle labbra.
“Direi che, visto che io ho assunto il ruolo della figura di riferimento, lui mi abbia proiettato sulla sommità della scala gerarchica anche nella sua realtà fittizia. Dato che è, in tutto e per tutto, una raffigurazione della sua mentalità.”
Di nuovo i suoi occhi che mi scrutano.
“Tutto qua? Nessun altro? Ci pensi bene.”
Io obbedisco e strizzo le palpebre, come sperando di concentrarmi di più. Poi spalanco gli occhi, e di nuovo il mio sguardo si incrocia con il suo.
“Ecco, forse non è importante, ma c’erano... c’erano delle infermiere. Erano le uniche, tranne noi, a girare per i corridoi ogni tanto. Erano...” Mi strofino la nuca, accennando un sorriso. “Erano molto carine.”
Il dottore aggrotta la fronte. “Infermiere?” Mi domanda.
Lascia vagare gli occhi nel vuoto per qualche istante, poi le sue guance si tingono di rosso e il suo viso diventa paonazzo.
Si schiarisce la voce, e si posa una mano sulla fronte, come per nascondersi. Il suo gomito è appoggiato di fianco al blocco di fogli.
“Ehm. È solo un’ipostesi, ma credo... credo che potrebbero rappresentare la sua... sessualità repressa.”
Io piego la testa di lato, poi mi porto una mano davanti alla bocca, quasi pentendomi di averglielo detto.
“Oh!”
“Un’ultima cosa.” Si affretta a dire lui, ricomponendosi.
Anche il suo tono torna serio, e il dottore mi guarda con occhi attenti.
“Ha detto che c’erano tutti i pazienti del Welt chiusi nelle rispettive celle. Ma, questo vuol dire che la cella numero nove, quella di Herr Beilschmidt, era vuota?”
Io esito per qualche secondo. Mi sembra ancora di sentire i brividi e i capogiri assalirmi di nuovo.
“Era una stanza strana.” Gli dico, stringendo le mani sul grembo. “Ogni volta in cui io e Ludwig entravamo, stavamo male. Proprio come se quella cella ci stesse risucchiando da un’altra parte. Ma faceva malissimo, la testa sembrava esplodere.”
“Capisco, capisco. È normale, Herr Vargas.” Risponde, riprendendo ad appuntare le informazioni.
“Vede, la cella numero nove era il vostro unico punto di contatto con l’esterno, con quella realtà in cui lei stava cercando di riportare Herr Beilschmidt. È lo stesso discorso che le ho fatto prima. Questo collegamento è fragile, e la sua rottura può risultare molto dolorosa.”
“Ah, già.”
Mi appoggio sullo schienale della sedia, e lascio ciondolare le braccia sui fianchi, allungando le dita verso il pavimento. La penombra della stanza è quasi soporifera.
“Ma non ce l’ho fatta a riportarlo indietro. Lui...” Deglutisco, sciogliendo il groppo alla gola. “Lui è rimasto lì, ed io l’ho lasciato.”
Il dottor Roderich smette di scarabocchiare e getta la penna di fianco alla pila di appunti. Anche lui mi imita, abbandonandosi sullo schienale. Incrocia le dita davanti alla bocca, con aria pensosa.
“Le ripeto che non deve preoccuparsi per questo.” Mi dice. “Il Transfert è una cura sperimentale del tutto nuova, e le informazioni che lei mi ha dato sono già risultate preziosissime. Avremo modo di riprovarci, Herr Vargas. Sa di non avere limitazioni, qui.”
“S-sì.” Rispondo, non del tutto convinto.
C’è ancora qualcosa. Il gesto di Kiku, lo sguardo fulmineo di Arthur, e anche le ultime parole di Ludwig.
No. È successo qualcos’altro, durante il processo.
“Ehm, dottor Roderich.”
Lui socchiude gli occhi, restando in silenzio.
Io mi inumidisco le labbra.
“Può essere che, durante il processo, tutte le menti dei pazienti si siano riuscite a collegare con quella di Ludwig, e ad entrare tutte in contatto fra di loro?”
Il dottore inarca un sopracciglio, e si sporge sulla scrivania.
“Non credo di capire.” Mi dice, squadrandomi con aria fredda.
Io mi schiarisco la voce. “Ecco, nel tempo in cui sono stato nella mente di Ludwig sono successe molte cose, ed è come... come se tutti gli altri pazienti avessero provato a contattarmi, e avessero fatto vedere sia a me che a Ludwig quelle cose per dimostrarci che in realtà...”
Traggo un profondo sospiro, provando ad organizzare i pensieri.
“È come se loro avessero voluto dirci qualcosa. Inviarmi un messaggio, una richiesta d’aiuto. E hanno usato la mente di Ludwig come... come...”
Mi porto due dita su una tempia, tamburellando sul cranio. Le mie sopracciglia si inarcano.
“Com’è quella parola?” Piagnucolo.
Il dottore aggrotta la fronte, alzando le spalle. “Ehm, connettore?”
“S-sì! Sì, ecco. Lo hanno usato come connettore, e grazie a lui sono entrati tutti in reciproco contatto.”
Mi sporgo in avanti e appoggio le mani sulla scrivania. Tendo il collo verso il dottor Roderich, assumendo un’aria pietosa.
“Mi hanno chiamato, dottore! Io sono sicuro che mi abbiano inviato un messaggio tramite Ludwig per chiedermi aiuto. Dobbiamo...”
Mi alzo dalla sedia, che trascino sul pavimento. Volto il viso sulla finestra oscurata dalla tapparella, e mi accorgo solo ora che sto tramando. I pugni stretti sui fianchi iniziano a sudare.
“Dobbiamo utilizzare il Transfert non solo su Ludwig, ma su ognuno di loro. E provarci fino a che non dimostreremo ciò che loro tutti hanno già fatto vedere a me, o a Ludwig. Possiamo liberarli. Sì, io posso...”
Herr Vargas.” Mi chiama il dottore.
La sua voce ferma, quasi serena, mi uccide le parole in bocca. Mi torno a voltare verso di lui, e il dottore mi squadra con due occhi di ghiaccio.
La sua sedia si strofina sul pavimento, spalmando sulle piastrelle un suono agghiacciante. Il dottor Roderich si alza, sistemandosi di nuovo gli occhiali sul naso, spingendoli con una nocca.
“Quelle che lei dice sono solo supposizioni. Non c’è nulla di certo, lo capisce?”
“Sì, ma... ma se ci fosse una probabilità, allora tutti potrebbero... e noi dobbiamo...”
“Non ci sono possibilità, Herr Vargas!”
Ha alzato il tono. Fa quasi paura.
Io scatto, riparandomi il petto con le mani chiuse a pugno. Il dottore trae un profondo sospiro, e le sue spalle si abbassano. L’aria serena scompare, quasi sciogliendosi, e lui si copre il viso con una mano, appoggiando le dita sulle tempie.
“Non volevo farlo, Herr Vargas, ma lei mi costringe a dirglielo.”
Sgrano gli occhi, sentendo il sangue ghiacciarsi nelle vene.
Deglutisco, sbattendo le palpebre.
“Dirmi... dirmi che cosa?”
Lui sospira, lasciando scivolare le dita dal viso. I suoi occhi sono chiusi, e hanno un’aria avvilita.
Herr Vargas, lei... lei sa perché ci sono così poche persone qui al Welt, e perché è una clinica così esclusiva?”
Io esito, poi annuisco.
“Beh, perché... perché è la migliore clinica psi... psichiatrica in Europa.”
Il dottore scuote la testa. Un gesto che mi fa sprofondare nel pavimento.
“Purtroppo no, Herr Vargas. Glielo abbiamo detto solo per... per farla aggrappare ad un qualche tipo di speranza. Vede, il Welt...” Inspira, sollevando la fronte verso il soffitto. “Il Welt si prende carico di tutti quei casi di cui nessuno può occuparsi perché totalmente incurabili. Le altre cliniche ci affidano questi pazienti perché noi abbiamo le strutture idonee per renderli inoffensivi, non perché utilizziamo sistemi all’avanguardia in campo medico. Nessuno può guarire qui dentro, Herr Vargas.”
I suoi occhi mi squadrano dall’alto. Uno sguardo gelido, quasi estraneo.
“Nessuno.”
 
Nessuno può lasciare il Welt...
 
Il cuore mi esplode in mezzo al petto. Rimango pietrificato, con gli occhi vuoti, sgranati nell’oblio.
“Co... cosa?”
Le mie labbra rimangono socchiuse, e non smettono di tremare insieme al resto del mio corpo.
Il dottor Roderich abbassa il capo.
“Mi dispiace, Herr Vargas. Le ho permesso di usare il Transfert solo sperando di darle un qualche conforto. Devo confessarle che, in parte, speravo che questo processo la convincesse a gettare la spugna, perché sapevo che non sarebbe andato a buon fine. Ma, la verità è che il Transfert è solamente un giocattolo. Un connettore di pensieri messo insieme dalla mente di qualche scienziato balordo.” Scuote la testa. “Nulla a che vedere con la medicina vera.”
Riprende fiato, portandosi le mani dietro la schiena.
“Ludwig Beilschmidt non riacquisterà mai più la memoria, e non c’è alcuna possibilità che Lovino Vargas guarisca dall’isteria. È per questo che i medici hanno acconsentito al suo trasferimento. È vero anche che nessun altro paziente tornerà alla normalità.”
Mi porto tutte e due le mani sul petto. Stringo la presa, piegandomi su me stesso come un riccio. Trattengo a fatica le lacrime che ribollono nello stomaco in fiamme, ma gli occhi iniziano già a pizzicare.
Credo sia questo che si prova quando si muore. Perché queste parole mi hanno appena ucciso. Non c’è altra spiegazione per questo dolore.
Il dottor Roderich mi dà le spalle, si volta lentamente verso il muro, appoggiando una mano sullo schienale della sedia. È lui ad interrompere questo silenzio tombale che ci avvolge.
“Torni a casa, Herr Vargas.”
Io strabuzzo gli occhi, ma senza sollevarli da terra.
“Lasci il Welt, lasci Berlino, e torni in Italia. Almeno lei...” Sospira a fondo. “Almeno lei riprenda a vivere la sua vita e cerchi di essere felice.”
Come può chiedermi questo?
Inarco le sopracciglia, chiudendo le palpebre davanti agli occhi. Le spalle si rilassano, e anche i muscoli del viso si distendono. Scuoto la testa, e i capelli ondeggiano davanti alla fronte.
 
... nemmeno tu potrai.
 
“No... io...”
Tento di sorridere, ricacciando il pianto in gola, soffocandolo nel petto.
“Io non posso abbandonarlo. Non posso abbandonare nessuno di loro. Non dopo quello che ho fatto, capisce? Non dopo aver dato a tutti un briciolo di speranza a cui aggrapparsi.”
Sollevo il capo, e il dottore mi sta guardando dalla penombra. Tiro su col naso, provando anche ad indurire il tono. I pugni stringono sui fianchi.
“Voglio riprovarci. Userò di nuovo il Transfert su ognuno di loro. E, se non funzionerà, lo farò ancora, e ancora, e ancora. Fino a che non li porterò tutti fuori.”
Scuoto di nuovo la testa, e seguo la luce che filtra dalla finestra. Mi avvicino al vetro con passi vacillanti.
“Non li abbandonerò, e non abbandonerò nemmeno Ludwig.”
Mi appoggio alla finestra, premendo una palmo della mano sul vetro.
“Ci siamo fatti una promessa. Io lo avrei aspettato fino a che lui non sarebbe tornato. E... e Ludwig non è ancora tornato. È perso in qualche angolino della sua mente, ma io lo troverò. Lo troverò e lo riporterò a casa.”
Piego un sorriso sulle labbra, lasciandomi abbracciare dalle strisce di luce che filtrano dalla tapparella.
“Io lo aspetterò. Lo aspetterò...”
Una lacrima rotola giù dalla palpebra, rigandomi la guancia. Solca una traccia di speranza nel mio dolore.
“... per sempre.”
 
 
FiNE
 
N.d.A. Innanzitutto, ti ringrazio per essere arrivato fino in fondo. ^_^
Questa storia per me è stato un vero e proprio salto nel buio. Quando  ho iniziato a scriverla, non avevo la più pallida idea di come sarebbe finita, nè tantomeno di cosa sarebbe successo nel corso dei capitoli.
È stata particolarmente divertente e stimolante da scrivere in certi punti, ma altrettanto faticosa in altri.
Dunque, se sono arrivata fino a qui è tutto merito vostro! E non è un modo di dire, lo giuro.
Desidero ringraziarvi tutti per il sostegno, e per le belle parole di incoraggiamento che mi hanno spinta ad andare avanti anche nei momenti di difficoltà.
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito, quelli che hanno inserito la storia tra le preferite o tra quelle da ricordare. ^_^
Questa storia non sarebbe mai esistita senza di voi!
Vi ringrazio un'ultima volta (anche se servirebbero migliaia di pagine per esprimere la mia gratitudine XD), e desidero scusarmi con quelli a cui non è piaciuta (ho fatto del mio meglio, perdonatemi ^^").
       Grazie di cuore, caro lettore. *inchino*
 
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