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Autore: KrisJay    22/09/2013    6 recensioni
"«Papà…»
«Sì, tesoro?» mi osservò, aspettando che continuassi a parlare.
Battei un paio di volte le palpebre, concentrandomi sui suoi occhi scuri. «Il signor Carlisle ci aiuterà?» chiesi.
«Sì, tesoro, ci aiuterà.» mi rispose, baciandomi i capelli."
1887. Sono sempre di più gli italiani che abbandonano la loro patria in cerca di fortuna, di una vita migliore, salpando alla volta del nuovo continente.
Isabella e suo padre, Charlie Swan, fanno parte di questo gruppo di persone.
Insieme raggiungeranno il Brasile, dove una vecchia amicizia li sta aspettando... e lì, la loro vita cambierà radicalmente, specialmente per Isabella.
Isabella, che non voleva partire.
Isabella, che pian piano ha imparato ad apprezzare quel nuovo paese.
Isabella, che ha scoperto cosa vuol dire amare, anche se tutto non va proprio come lo abbiamo sempre immaginato...
Genere: Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Carlisle Cullen, Charlie Swan, Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Sotto un cielo coperto di stelle - Capitolo4

Ciao ragazze! Come potete vedere, sono tornata a scrivere anche questa storia :D
Sono indietrissimo con la stesura del capitoli e per questo mi sento molto in colpa, ma cercherò di impegnarmi :) ora come ora do la precedenza all’altra mia long, che si sta dirigendo verso la fine, ma questo non mi fermerà e continuerò a scrivere anche questa. Gli aggiornamenti forse arriveranno più tardi, ma arriveranno, state tranquille ;)
Prima di lasciarvi al capitolo, come sempre, vi lascio il link al mio gruppo Facebook – siete sempre le benvenute :D
Vi lascio anche un piccolo riassunto, per ritrovare il punto della situazione…

1887: Isabella Swan è una giovane ragazza italiana di umili origini, che insieme a suo padre Charlie intraprende un lungo viaggio per raggiungere il Brasile, luogo dove le condizioni di lavoro e di vita sono più alte.
Ad attenderli, al loro arrivo, c’è un vecchio amico di Charlie, Carlisle Cullen. Lui raggiunse il Brasile anni prima, quando era ancora un bambino, e nel corso degli anni è riuscito a fare ‘fortuna’ e adesso è il proprietario di una grande fazenda di caffè.
Carlisle presenta loro la sua famiglia: sua moglie Esme, la figlia Alice e i suoi due figli gemelli, Emmett e Edward…

 

 

 

Sotto un cielo coperto di stelle

 
Capitolo quattro
 
Bella
Fazenda ‘Paraiso’, 1° Marzo 1887

Mi svegliai presto anche quella mattina, involontariamente: la forza dell’abitudine, come si soleva dire. Erano rare le volte in cui l’abitudine mi lasciava una piccola tregua e, quindi, mi lasciava dormire fino a mattino inoltrato… ma quella, non sembrava essere una di quelle mattine.
La finestra della mia nuova stanza, che avevo lasciato semiaperta la sera precedente, faceva entrare una brezza fresca e leggera, molto piacevole, accompagnata dalla luce chiara e caratteristica dell’alba. Non doveva essere passato molto tempo dal suo arrivo.
Sorridendo, scesi in fretta dal letto e altrettanto in fretta raggiunsi la finestra, spalancando completamente le imposte subito dopo. Lo scenario che mi si parò davanti agli occhi mi mozzò il fiato, per la bellezza che mostrava: un enorme mare verde baciato dal sole del primo mattino, quello che ero sempre stata abituata a vedere nella mia casa in Italia e che avevo così tanto imparato ad amare, e che adesso potevo ammirare anche lì, in Brasile.
Respirai l’aria della campagna, ancora più forte a quell’ora, e chiusi gli occhi. Non potei fare a meno di sorridere, e con un rapido movimento mi issai a sedere sulla soglia della finestra. Non era una mossa molto consigliata da fare, dato che mi trovavo al primo piano della casa e che sarei potuta cadere grazie al primo movimento brusco che avessi compiuto, ma non riuscii davvero a resistere.
Cullata dal cinguettio leggero degli uccellini cominciai a sciogliere i miei capelli, che avevo raccolto in una treccia prima di andare a dormire; li pettinavo tra le dita, e di tanto in tanto gettavo una veloce occhiata ai campi di caffè, che si andavano man mano popolando di gente. L’orario era mattiniero, sì, ma per chi era abituato a lavorare la terra era il momento giusto per mettersi all’opera.
In campagna era così, si lavorava da quando spuntava il primo raggio di sole fino a quando non se ne andava l’ultimo, dall’alba al tramonto, sfruttando tutte le ore del giorno possibili; delle volte si era costretti a lavorare anche di notte, e con il solo aiuto della flebile luce dei lumini.
Quando mi decisi a ritirarmi doveva essere passato già diverso tempo: l’aria era diventata più calda, il sole era più alto nel cielo ed il lavoro nei campi si era intensificato, ed in più tutti i contadini avevano cominciato a cantare qualcosa in portoghese. Mi sarebbe piaciuto moltissimo conoscere meglio quella lingua per capire cosa stessero cantando… un motivo in più per cominciare ad impararlo insieme all’aiuto di Alice.
Scesi dal davanzale con un piccolo salto, decisa a prepararmi e a scendere al piano inferiore. Volevo rendermi utile e aiutare nelle faccende di casa: ero sicurissima che in una grande casa come quella ci fossero molte cose da fare, e che una mano in più facesse sempre comodo.
Stavo per chiudere la finestra, ma bloccai di colpo i miei movimenti non appena vidi che qualcuno stava uscendo da casa e stava incamminandosi verso i campi di caffè, stringendo qualcosa tra le mani; i riflessi rossi dei suoi capelli mi fecero subito capire che poteva trattarsi di una persona sola…
Era Edward, il figlio di Carlisle.
Rimasi immobile ad osservarlo camminare, fino a quando la sua figura alta e slanciata non scomparve dietro a un insieme di alberi. Per tutta la durata di quel breve momento, qualche secondo o poco più, avevo trattenuto il respiro e il mio cuore aveva cominciato a battere forte, come un tamburo, dentro al mio petto… le stesse reazioni che avevo provato anche il giorno prima, quando lo avevo conosciuto e ogni volta che avevo incontrato di sfuggita il suo sguardo.
Come scottata, lasciai la presa sulle imposte della finestra e portai le mani alla bocca, coprendola come se volessi far tacere un urlo, solo che urlare era l’ultima delle cose che volevo fare in quel momento.
Era ridicolo reagire così soltanto perché avevo visto passare Edward, senza contare che, per me, lui era ancora uno sconosciuto. Avevamo scambiato solo poche parole, sì, ma era tutto lì… noi eravamo ancora degli estranei.
Come era possibile, allora, che la sua sola vista mi scatenasse dentro delle emozioni e reazioni così… strane, e che non avevo mai provato in vita mia?
 

***

 
Una volta che mi fui calmata, e dopo essermi finalmente vestita e pettinata, abbandonai la tranquillità della mia camera e scesi al piano inferiore. Mentre mi vestivo avevo sentito gli altri abitanti della casa parlare e camminare per i corridoi, quindi ero sicura di non essere la prima persona mattiniera che scendeva per fare colazione.
Beh, non ero proprio la prima a scendere… al ricordo di Edward che scendeva nei campi, le mie guance si accaldarono subito e le coprii istantaneamente con i palmi delle mani. Aspettai qualche secondo prima di abbassarle, e lo feci solo quando fui certa che il rossore fosse ormai sparito dalla mia pelle. Non potevo essere davvero certa che fosse accaduto, ma comunque non potevo restare tutto il tempo con le guance coperte.
Sarebbe apparso strano, più strano ancora delle reazioni che avevo avuto.
Qualche minuto dopo entrai nella cucina, scoprendola semivuota; erano presenti solo Esme, che era seduta a tavola, e Sarah, impegnata a rimestare qualcosa in una pentola che si trovava sul fuoco. Il dubbio che fossi scesa troppo presto si insinuò nella mia mente.
«Buongiorno, Esme.» dissi, avvicinandomi alla tavola.
Lei mise subito da parte il pane che stava imburrando e si alzò in piedi, stringendomi in un abbraccio. I suoi modi erano sempre così gentili e dolci, ancora non ci avevo fatto l’abitudine… anche se era normale. Dopotutto, la conoscevo da soli due giorni.
«Buongiorno a te, mia cara. Hai dormito bene? Siedi qui vicino a me e mangia qualcosa, sono sicura che avrai molta fame!» disse in fretta, indicandomi la sedia accanto alla sua e invitandomi a fare come mi diceva con un bel sorriso.
Lo feci subito, e lasciai scorrere lo sguardo sulle sedie vuote che circondavano la tavola. «Gli altri non scendono?» la domanda mi sorse spontanea e non riuscii a frenarmi dal dirla ad alta voce.
«Alice scende tra poco, si stava preparando. Gli altri, invece, sono già andati tutti a lavorare, anche tuo padre… ma non mangi, Bella?» mi chiese, dopo aver lanciato uno sguardo al mio piatto ancora vuoto.
«Oh… sì, certo.» afferrai subito una fetta di pane e il piattino della marmellata, cosa che la fece sorridere soddisfatta.
Alice ci raggiunse qualche minuto dopo, sorridente e allegra come solo poche persone potevano essere al mattino presto. La gioia e la vitalità che emanava quella ragazza erano incredibili, prima di lei non avevo mai conosciuto una persona che fosse così felice in ogni momento della giornata.
«Buongiorno mamma, buongiorno Sarah… ah, buongiorno Bella!» esclamò non appena si sedette, afferrando una teiera e versandosi una generosa dose di tè.
«Buongiorno tesoro.» replicò Esme, che prese la teiera dalle mani della figlia non appena lei finì di versare la bevanda.
«Oggi ho in programma moltissime cose: vorrei finire di sistemare il vestito celeste, e per questo compito ho bisogno anche del tuo aiuto, Bella, voglio che lo indossi per vedere come ti sta! E poi voglio anche cominciare qualche nuovo centrino per il mio corredo… ah, e voglio già cominciare le nostre lezioni di portoghese insieme!» disse velocemente prima di mordere un biscottino al burro.
«Tesoro, non starai esagerando un po’ troppo? Potresti spaventare Bella!» la ammonì scherzosamente sua madre.
«Ma non la sto spaventando! Non ti sto spaventando, vero?» mi chiese, apprensiva.
«No no, assolutamente no. Sono contenta di poter trascorrere un po’ di tempo insieme a te, Alice.» dissi, sincera. Una volta superato l’ostacolo che rappresentava l’esuberanza della mia nuova amica, non era così male stare in sua compagnia.
«Avete una giornata davvero molto piena, ragazze. Vi rivedrò solo durante i pasti così!»
«Cercheremo di finire prima, mi piacerebbe molto trovare il tempo anche per aiutare nelle faccende domestiche…» iniziai a dire prima che Esme mi interrompesse, stupita.
«Non essere sciocca, Bella, sei un ospite in questa casa, e gli ospiti non si occupano delle faccende. Ci penseremo io e Sarah a quelle, come abbiamo sempre fatto.» mi spiegò, pacata come sempre.
«Ma a me piacerebbe molto aiutarvi! Stare senza far nulla, con le mani in mano… non mi è mai piaciuto.»
«Oh, va bene allora. Quando avrete finito di svolgere i vostri compiti vieni da me, e se c’è rimasto qualcosa da fare sarai libera di occupartene.» posò una mano sulla mia spalla, carezzandola piano. «Ma sono comunque dell’idea che non dovresti occupartene.»
«Ma non è assolutamente un problema, per me! Mi piace rendermi utile…»
«Oh, insomma, quante chiacchiere inutili! Se hai terminato di mangiare, Bella, possiamo andare ad occuparci dei nostri lavoretti! Dai, andiamo!» rapida e scattante come una cavalletta, Alice fece il giro del tavolo e dopo avermi presa per mano mi tirò su dalla sedia, portandomi via dalla cucina.
«Buon lavoro, care!» ci gridò dietro Esme, divertita.
«Alice, non correre!» esclamai mentre cercavo di starle dietro: si muoveva velocemente ed io avevo già rischiato di cadere, inciampando nell’orlo del mio vestito.
«Ma abbiamo così tante cose di cui occuparci! Dobbiamo muoverci!» Alice lasciò la mia mano ma solo per potersi posizionare alle mie spalle e spingermi così lungo il corridoio e lungo le scale che portavano al piano di sopra.
«Mi farai cadere così!»
«No, non cadrai, e se dovesse succedere ci sono io dietro di te, no? Non ti farai del male!» ridacchiò, tornando a spingermi.
Cominciai a ridere anche io: la sua vivacità era contagiosa.
 

***

 
«Sono felice di conoscerti.» Alice scandì la frase parola per parola, facendomi cogliere in questo modo suono e pronuncia, alzando gli occhi per qualche istante dal suo ricamo.
«Sono felice conoscerti.» ripetei, cercando di concentrarmi, ma mi sembrava di aver sbagliato qualcosa…
«Hai dimenticato una parola, Bella!» ridacchiò lei, facendomi notare l’errore.
«Diamine!» da quando avevamo cominciato le nostre lezioni, che consistevano semplicemente nel formulare e ripetere frasi a caso in portoghese, non facevo altro che sbagliare. Eppure mi impegnavo. Sapevo anche di non aspettarmi chissà quali risultati, visto che avevamo cominciato solo un paio di ore prima, però...
Alice rise di nuovo. «Non preoccuparti, è normale. Hai tutto il tempo di questo mondo per imparare bene la lingua… e nel frattempo possiamo continuare ad usare l’italiano, non è un problema.» disse, carezzandomi il dorso della mano con la sua.
Le sorrisi, riconoscente, e ringraziai il fatto che conoscesse benissimo l’italiano: Carlisle lo aveva insegnato a tutti e tre i suoi figli, donando loro una parte delle sue origini. Era stato un bel gesto, il suo.
Ma per quanto fosse bello poter usare la mia lingua madre anche lì in Brasile, dovevo a tutti i costi imparare il portoghese: era la mia priorità in quel momento, non potevo continuare a non conoscere quella lingua. Mi ripromisi di impegnarmi ancora di più, da quel momento in avanti.
Io e Alice continuammo a parlare tra di noi, adesso usando l’italiano e l’istante dopo usando il portoghese; era divertente, ma mi confondeva molto e, così, spesso e volentieri mi ritrovavo a sbagliare pronuncia o parola, ripetendola diversa da come l’aveva fatto invece Alice.
Ero sollevata, un pochino, solo perché i miei errori si ripercuotevano sulla lingua e non sul cucito che tenevo tra le mani. Parlavamo, e nel frattempo cucivamo: fare entrambe le cose ci dava la possibilità di impiegare meno tempo e di distrarci, di tanto in tanto.
Quello a cui stavo lavorando era un semplice centrino di lino bianco, ricamato con un motivo di rose; Alice, invece, stava sistemando gli orli e il busto del mio nuovo vestito. Era stata molto contenta quando lo avevo provato per vedere se mi stava bene, ma era rimasta un pochino delusa quando aveva visto che era un po’ troppo morbido sulla pancia e sui fianchi: non pensava che fossi così piccola di vita. Si era ripresa quasi subito dallo stupore e, armata di ago e filo, aveva ripreso il lavoro.
Interrompemmo le nostre faccende solo quando Sarah, carica di biancheria da lavare, ci avvertiva di scendere perché si stava avvicinando l’ora del pranzo. Così posammo i nostri lavori e scendemmo insieme. Alice mi prese sottobraccio e, legate in questo modo, percorremmo il corridoio che ci avrebbe portate in cucina.
Come quella mattina, scoprii che saremmo state solo io, Alice ed Esme le uniche a mangiare; la mamma di Alice ci spiegò che gli altri, impegnati a lavorare alla piantagione, avevano fatto un salto per prendere un po’ di cibo e per portarlo nei campi. Avrebbero mangiato tutti lì, per risparmiare tempo, e sarebbero risaliti solo più tardi.
«Mi sarebbe piaciuto molto salutare papà.» mormorai tra me e me, con lo sguardo fisso sul mio piatto colmo di minestra. Non avevo ancora cominciato a mangiare, cosa che invece Alice ed Esme avevano già fatto da qualche minuto.
«Già, anche io volevo farlo… ma è sempre così, qui, non vedrai nessun uomo della famiglia prima dell’ora di cena. Lavorano tantissimo, specialmente adesso che si sta avvicinando il momento della raccolta!» si lamentò Alice, che aveva sentito quello che avevo detto.
«Il mese prossimo è quello più intenso, ma passa velocemente. Vedrai che da un giorno all’altro ti lamenterai perché avrai i tuoi fratelli sempre tra i piedi!» scherzò Esme.
«Oh, ma io sono contenta se passo del tempo insieme a loro! L’importante è che Emmett non mi faccia i soliti dispetti stupidi!»
«E’ così cattivo con te?» chiesi, mangiando finalmente un po’ di minestra.
«Non è cattivo, è solo che a lui piace scherzare e divertirsi… ma a volte esagera.» mi spiegò Alice. «Edward invece è più tranquillo, pacato, e anche lui alcune volte non sopporta Emmett!» rise, spezzando un po’ di pane.
Edward. Sentire quel nome scatenò dentro di me nuovamente le sensazioni che avevo provato quella mattina, quando lo avevo visto scendere alla piantagione. Chiusi gli occhi, cercando di calmare me stessa ed il mio cuore, che aveva cominciato a battere forte.
Perché mi accadeva tutto questo?
«Bella, tesoro, sei ancora sicura di voler darci una mano nei lavori domestici?» Sarah, che si era avvicinata al tavolo della cucina dopo essere rientrata in casa, posò una nuova brocca d’acqua davanti a me. «Ho appena messo i panni bagnati ad asciugare in cortile. Se vuoi, più tardi puoi raccoglierli e piegarli.»
«Lo faccio con piacere, Sarah!» esclamai.
«Bella, ma noi dobbiamo ancora finire di sistemare il tuo vestito!» mi ricordò Alice alzando la voce.
«Tesoro, non urlare! Potete fare entrambe le cose, basta che per l’ora di cena tornate qui entrambe e non fate tardi.» Esme sistemò la situazione, versandosi l’acqua nel bicchiere.
Più tardi, terminato il pranzo, io e Alice tornammo di nuovo nella sua stanza. Non appena chiusi la porta, però, lei mi si parò davanti guardandomi in modo strano.
«Sai che non sei costretta, vero? Voglio dire, ci sono la mamma e Sarah che si occupano della casa, e qualche volta lo faccio anche io… non devi sentirti costretta a farlo anche tu.» mormorò, stringendomi le mani.
«Ma io non mi sento costretta, Alice! mi piace aiutare, l’ho sempre fatto, anche a casa in Italia… lì, eravamo io e la zia ad occuparci della casa, e nessun altro.» sorrisi, tranquillizzandola. «È come tornare a fare qualcosa di familiare.»
«Oh, d’accordo allora! Sbrighiamoci a finire le modifiche al vestito così poi possiamo fare qualcos’altro!»
Fortunatamente, i nuovi ritocchi erano giusti e non c’era bisogno di tornarci su un'altra volta.
 

***

 
Da sola, senza che nessuno fosse costretto a dirmi di nuovo dove si trovasse il cortile, scesi e per fortuna lo trovai senza alcun problema. Era impossibile sbagliarsi, dopotutto: una volta fuori casa eri completamente circondata dal cortile.
Raggiunsi il punto che mi interessava, quello che era riservato al bucato. C’erano i panni che Sarah aveva steso in precedenza e che, grazie al sole cocente, dovevano ormai essere completamente asciutti.
Era così strano per me sentire tutto quel caldo nel mese di Marzo, quando invece ero abituata a sentire ancora il freddo ed il vento pungente in Italia. Preferivo di gran lunga questo clima a quello invernale, se dovevo essere sincera. Non mi era mai piaciuto il freddo.
Mi misi all’opera, smettendo di pensare, e con calma cominciai a prendere i vestiti e le lenzuola dai fili del bucato, ripiegandoli e posandoli in pile ordinate mano a mano che continuavo. Riconobbi alcuni dei miei indumenti e quelli di papà, tra gli altri. Chissà di chi erano, se quella camicia bianca apparteneva a Carlisle o se i pantaloni marroni fossero, invece, di Emmett.
Pensavo e sorridevo, non potevo farne a meno.
Avevo quasi finito di raccogliere tutto il bucato quando Sarah venne a controllarmi.
«Pensavo che avessi bisogno di una mano, ed invece hai già finito!» esclamò divertita.
«Non ci è voluto molto…» mi giustificai, anche se sapevo che non c’era bisogno di giustificarsi.
«Ti do una mano a dividere i vestiti, va bene? Così poi li portiamo nelle stanze dei proprietari.» mentre parlava aveva già cominciato a dividere i vestiti in diverse pile.
Pochi minuti dopo, piena di vestiti che tenevo tra le braccia, entrai in casa e salii le scale per posarli nelle stanze che mi aveva indicato Sarah, quelle dei fratelli Emmett e Edward. Sperai solo di non lasciare i vestiti sbagliati nelle camere sbagliate.
Dopo aver lasciato metà dei vestiti in una camera uscii e mi diressi verso la successiva, che si trovava proprio di fronte a quella che avevo appena lasciato. Entrai senza bussare e, lasciando la porta socchiusa, mi voltai per posare gli abiti sul cassettone ma mi fermai, vedendo che non ero da sola nella stanza.
Sussultai e lanciai un piccolo urlo, voltandomi di scatto per evitare lo sguardo dell’altro. Sentii le guance scaldarsi per l’imbarazzo mentre chiudevo gli occhi; avrei dovuto bussare prima di entrare, e mi stavo pentendo della mia scelta di non farlo…
«Ehi, va tutto bene?» la voce tranquilla e pacata di Edward mi raggiunse, facendomi capire che non era arrabbiato per via della mia intrusione nella sua camera.
Mi voltai, mantenendo però lo sguardo basso; mi vergognavo, e il fatto che Edward fosse nella stessa stanza insieme a me senza camicia rendeva ancora più forte il mio imbarazzo. Non avevo mai visto un uomo a petto nudo, mai.
«Avrei dovuto bussare, mi-mi dispiace…» balbettai, confusa.
«Non è successo nulla di grave, non giustificarti.» cercava di tranquillizzarmi, e sentii i suoi passi avvicinarsi a me.
Deglutii a vuoto, confusa a causa della sua improvvisa vicinanza e dei suoi modi tranquilli. Alzai finalmente lo sguardo e mi tranquillizzai un pochino quando vidi che aveva indossato la camicia; la teneva aperta, ma almeno era più coperto rispetto a prima.
«Sono passata a… lasciarti i tuoi vestiti…» mormorai, alzando di poco le braccia per mostrarglieli.
Edward sorrideva, ma non capii se lo faceva perché era divertito per il mio imbarazzo o lo faceva semplicemente perché era abituato a farlo. «Dalli a me, ci penso io a posarli. Grazie.» disse, prendendo gentilmente i vestiti dalle mie braccia.
«Senti, Edward… è tornato anche… mio padre?» domandai incerta. Non volevo mostrarmi così insicura ai suoi occhi, ma non riuscivo a calmarmi. Era la sua presenza che mi rendeva così nervosa…
«No, non ancora. Io sono andato via prima perché volevo leggere un po’ prima di cena.» mi spiegò, sempre sorridendo. Mi piaceva il suo sorriso.
«Oh, ho capito! Grazie mille, adesso… vado giù, si.» vergognandomi a morte, agitai velocemente la mano in segno di saluto e altrettanto velocemente uscii dalla camera, sbattendo forte la porta alle mie spalle e non dando il tempo a Edward di potermi salutare.
Corsi verso le scale e, una volta lì, mi fermai per sedermi su uno dei gradini. Cercai di riprendere fiato e di calmarmi, sentivo il respiro accelerato e il cuore battere forte. Posai le mani sul petto e rimasi così, seduta, per non so quanti minuti ad aspettare.
Mi sentivo indifesa e scombussolata, non riuscendo a capire la natura di quelle strane emozioni che facevano la loro comparsa solo quando mi trovavo accanto a Edward, o sentivo parlare di lui.
Stavo forse diventando pazza?

 
 
 
 

_________

Siamo ancora agli inizi, ancora un po’ di pazienza e cominceremo ad entrare nel vivo della storia :).

Un bacio a tutte, e grazie per essere arrivate qui.
   
 
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