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Autore: Glauco    22/09/2013    1 recensioni
....Immaginai quel signore giapponese, nella propria casa a Tokyo, mostrare le foto dell' Italia ai suoi amici. E tra quelle foto di gloriosi monumenti, di pizze e gondolieri, forse, c'ero anch'io. E ovviamente non poteva immaginare che da lì a poco quel ragazzo un pò sgangherato che gli rovinava l'inquadratura si sarebbe ucciso. Ero uno spettro, un ologramma. E forse non solo nella foto....
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ricordo ancora il giorno in cui mi tolsi la vita. Non fu un gesto impulsivo, dettato da un particolare evento. Lo meditai a lungo. Probabilmente se quel giorno non avessi avuto la casa libera a quest'ora sarei ancora in giro, con quella mia aria stanca e sfiduciata, disillusa, i capelli spettinati e la barba incolta, scontroso con tutti. Ma la sera prima, quando i miei mi informarono che sarebbero stati fuori tutto il giorno a causa di un convegno, decisi che era arrivata la giusta occasione. Ricordo che li salutai normalmente, forse anche un pò freddo. Non volevo destare sospetti. La giornata iniziò come tutte le altre. Era una fresca mattina di inizio estate e, nonostante tutto, decisi di andare all'università. Sorridevo, mentre passeggiavo tra i chiostri, contento di trovarmi lì per l'ultima volta. Quel posto mi aveva deluso fin dal primo giorno, per tre lunghissimi anni. L'estate dopo la maturità, prima di iscrivermi a Lettere, probabilmente fu il periodo più felice della mia vita. Passai i pomeriggi a fantasticare sul mio futuro, a prevedere i cambiamenti che la mia vita avrebbe subito. Nuove amicizie e nuovi amori, magari. Cultura, ovunque. Persone intelligenti, discorsi profondi. Incontri di lettura davanti a bicchieri di vino, discussioni filosofiche, critica d'arte, spettacoli teatrali in scantinati di periferia.Ero così eccitato anche solo nel pensare a tutte queste cose, che ero già felice ad immaginarmele. Ma non cambiò un cazzo. Anzi, forse tutto peggiorò. Diventai schiavo di una vita che non volevo, e che non potevo cambiare. O forse ero semplicemente troppo stanco per provare a cambiare ancora. A cosa sarebbe servito, poi? Quella era la prima volta che ero contento di trovarmi in quel posto. Strano, verrebbe da pensare. Ma sopportavo quegli ultimi attimi di inferno col sorriso, contento che tutto sarebbe finito. Quel giorno frequentai tutte le lezioni in programma. Salutai tutti, sempre sorridendo. Era come se li stessi prendendo tutti per il culo. Qualcuno persino mi invitò ad una festa, per quella sera. E io accettai, ovviamente fingendo. Quel giorno incontrai praticamente tutte le persone che, nel bene o nel male, avevano caratterizzato i miei ultimi anni. Qualche amico, qualche coglione. Persino qualche amore sognato, e mai realizzato. Sorridevo a tutti. Ed ero contento. Girai un pò per Milano, come se non l'avessi mai vista. Mi resi conto che non l'avevo mai guardata. Scoprii scorci bellissimi, angoli pittoreschi provenienti da epoche remote. Feci tre volte il giro del Duomo. Osservai ogni singola statua, ogni singolo volto. Mi sedetti all'interno della cattedrale, nel mezzo di quell'estatico vortice di pietra e vetro. Pensai che forse ero io il problema. E se fosse stata tutta colpa mia? E se avessi sbagliato a vivere? Così come mi ero accorto di non aver mai veramente guardato Milano, realizzai che forse non avevo mai veramente conosciuto il mondo, gli altri. Non avevo mai preso in considerazione questa possibilità. Se l'università era una merda lo era per colpa degli altri. Se ero diverso era colpa degli altri che non mi accettavano. Se la mia vita non aveva più ambizioni era colpa di tutta l'umanità. Avevo sempre incolpato gli altri, e mai me stesso. Forse i cambiamenti che tanto desideravo non erano avvenuti perchè ero io che non volevo cambiare, aspettando che lo facessero gli altri al posto mio. Questi pensieri e dubbi mi frullarono per la testa, mentre attorno a me turisti scattavano foto qua e là. Chissà, magari inavvertitamente un giapponese, nel fotografare la navata, aveva preso anche me. Immaginai quel signore giapponese, nella propria casa a Tokyo, mostrare le foto dell' Italia ai suoi amici. E tra quelle foto di gloriosi monumenti, di pizze e gondolieri, forse, c'ero anch'io. E ovviamente non poteva immaginare che da lì a poco quel ragazzo un pò sgangherato che gli rovinava l'inquadratura si sarebbe ucciso. Ero uno spettro, un ologramma. E forse non solo nella foto. Quei disagi, quei dubbi, non fecero altro che buttare ancora più sfiducia nella mia esistenza. La mia vita era stata privata di ogni senso, di ogni ambizione, di ogni certezza. Di chi era la colpa poco importava. Se poi, effettivamente, il problema ero io, allora non rimaneva altro da fare che sopprimermi, resettarmi. Non potevo più tornare indietro e rivivere gli ultimi tre anni come quel giorno, col sorriso stampato in faccia. Non potevo, o forse non volevo. Ma che differenza c'era, in fondo? Volere è potere? Bhe, io non volevo, e quindi non potevo. Oppure non potevo, e quindi, anche se lo volevo, non ero più in grado di fare un cazzo. Ero un debole, un impotente. Un infelice. Ritornai a casa, stavolta senza sorridere. Era ormai il tardo pomeriggio e il sole iniziava a tramontare, filtrando tra le veneziane. Vagai senza meta per la grande casa silenziosa. Forse stavo prendendo tempo, forse non mi sentivo ancora pronto. Una parte di me sperava che mamma e papà sarebbero tornati prima, che il convegno fosse stato annullato...Potevo anche rinunciarci, ovvio. Ma poi pensai a cosa avrei fatto il giorno dopo, o quella stessa sera. Teoricamente avevo accettato l'invito di un tizio in università. Pensai che fosse normale avere dei dubbi prima di compiere quel gesto, un pò come il matrimonio, insomma. Sono sempre stato curioso di sapere ciò che accade dopo. Ho sempre pensato che fosse come dormire. Non ti accorgi del momento esatto in cui ti addormenti e ti ritrovi in quella dimensione di non-esistenza. Ma poi? Mi sarei risvegliato da qualche parte? Avrei provato dolore? Continuai per un tempo indeterminato a meditare su queste domande. Come facevo a trovare delle risposte in poche ore quando uomini più saggi di me in secoli di speculazioni non ci erano riusciti? Io però avrei osato di più, avrei sperimentato la morte su me stesso. Non ricordo esattamente quando e come smisi di filosofeggiare. Forse ripensai alla mia vita, a darle un'ultima possibilità di redenzione. Indagai negli oscuri meandri del passato, cercando di trovare un episodio, un incontro per cui valesse la pena continuare a vivere, a sperare in un futuro migliore del passato. Non penso di averlo trovato. Infatti, forse anche piangendo, mi alzai e mi diressi in bagno, dove accesi la vasca. Portai anche le casse e misi su un pò di musica, in riproduzione casuale. Lasciai scegliere al destino la colonna sonora della mia morte, dei titoli di coda. Presi anche una bottiglia di vino rosso e un bicchiere. Quando l'acqua fu abbastanza calda mi spogliai ed entrai. Sul bordo della vasca un coltello giaceva minaccioso. Lo presi tremando, e lo adagiai sul polso. Non esitai e non pensai a niente. Chiusi gli occhi e tagliai, prima un polso e poi l'altro. Sospirai. Ormai ero a cavallo. Bevvi un generoso sorso di vino dello stesso colore del sangue, che ormai si stava spargendo in acqua. Un pò mi dispiaceva per i miei, anche se non avevamo mai avuto un rapporto molto intenso. Avrei provato la mancanza per qualcosa e qualcuno? Sarei andato in Paradiso o all'Inferno? O sarei rimasto sulla Terra a fare il fantasma? Ero spaventato ed eccitato allo stesso tempo. Davanti a me un abisso insondabile. Qualcosa dovrà pur esserci, pensavo. Un'altra dimensione, un diverso stato della mente. O forse il nulla, ma non me ne sarei nemmeno accorto. Difficile dire se fossi sicuro della mia scelta. Sapete, una volta immerso in una vasca rossa del tuo sangue qualche dubbio ti può venire. Ma ormai sentivo le forze venir meno. Erano i miei ultimi minuti da vivo, il punto di non ritorno. Provai grosso modo tutte le sensazioni possibili, dalla paura alla gioia. Mi sentivo in bilico su un filo, non ancora morto ma forse non più vivo. Riuscivo a sentire ancora lo stereo che avevo impostato prima di immergermi in quella vasca-tomba. Il caso si era dimostrato un buon intenditore di musica, dal momento che la playlist casuale aveva riprodotto una serie di brani che ben si associavano al momento. Classici del rock anni '60 '70, passando per le colonne sonore alla Vangelis. E qualche pezzo blues, anche. Mi afflosciai in acqua. Ormai mancava poco. Confesso che provai molta paura. La vista iniziava a farsi confusa e scura, e mi sentii tremendamente solo, indifeso. Ma poi fu un attimo, e una sensazione di serenità mi pervase. Dico serenità perchè è forse la parola che più si avvicina. Mi sentivo come se stessi volando, senza peso. Probabilmente ero ancora in vita, ma il mio cervello iniziava a incepparsi. Sentivo ancora la musica, la mia ultima canzone. Era "A horse with no name" degli America. Parlava di un viaggio. Sentivo la melodia spegnersi pian piano, ed io con essa. Ma gli America si interruppero di colpo, e lo stereo riprodusse la canzone successiva. Non riconobbi subito la melodia, ma fu questione di secondi. Non volevo crederci. Per gli ultimi attimi della mia vita, il destino aveva scelto di accompagnarmi con "Yes I know my way". Di Pino Daniele. Diciamo che avrei preferito un assolo di Jimi Hendrix o la voce di Jim Morrison, rispetto al napoletano misto a inglese di Pino Daniele. Bhe, almeno era una canzone allegra, e Pino mi tenne compagnia fino alla fine. Non ricordo bene come andò. Sembrava che tutto girasse. Si alternarono momenti di luce e ombra, finchè non fu completamente buio. E andai dove Pino, purtroppo, non poteva accompagnarmi. Successero molte cose che non capii, ma quando mi "svegliai" posso solo dirvi che mi sentivo finalmente bene. Non saprei descrivervi il posto in cui finii inizialmente. Un sorta di dimensione parallela, dalla quale potevo vedere ciò che accadeva attorno al mio cadavere. Fu straziante quando i miei mi ritrovarono. Forse mi amavano più di quanto avessi pensato. Osservai quello che fu il mio corpo, pallido e con gli occhi aperti, la bocca leggermente aperta come per sussurrare qualcosa. Mi osservai. Il mio cadavere mi osservò. Fui costretto ad osservare anche tutto ciò che accadde dopo, fino al funerale. Il mio suicidio aveva suscitato un pò di scandalo, forse anche a causa dell'importanza dei miei. Qualcuno cercò di trovare un movente, ma tutti si sbagliarono. Forse nemmeno io sapevo il perchè, figuriamoci degli estranei. Arrivò il giorno del funerale. Metà degli invitati nemmeno li conoscevo. I miei avevano smesso di piangere da giorni. In fondo alla chiesa c'erano i miei "amici". Compagni di università, di liceo, delle medie. Gente che magari non vedevo da anni, e di cui mi ero dimenticato. Fui sorpreso e contento di intravedere pure lei. Bella come sempre. Non piangeva, ma si capiva che aveva smesso da poco. Accanto a lei, il fidanzato, visibilmente annoiato. Fra me e quella ragazza c'è sempre stato uno strano rapporto, da quando le avevo confessato i miei sentimenti. A volte ci evitavamo, ma quando ci guardavamo non potevamo ignorare tutto. Nessuno lo sapeva, solo noi due. Lei però era da anni fidanzata con quel bestione annoiato, e quindi per me non c'era spazio. Forse si sentiva in colpa. Forse tutti quanti in quella chiesa si sentivano in colpa. Come se non avessero fatto niente per evitare la mia morte. Ma la mia morte non era un messaggio. Era l'ultimo, disperato gesto di un infelice. Una resa. Forse l'unico vero atto di libertà della mia vita. Ero morto infelice, solo ma libero. Mi seppellirono nella tomba di famiglia, e solo in pochi ritornarono negli anni. E lei? Si, anche lei venne qualche volta, a parlarmi. Forse provava più di quello che immaginavo. Ma ormai io ero un ricordo per lei, bello o triste, non importa. Anche tutto quello per me era un ricordo. La foto che avevano scelto per la lapide mi rappresentava completamente. Era una foto scattata da mia madre durante un'estate. Ma non un'estate qualsiasi. Quella tra la maturità e l'iscrizione all'università. L'ultima mia estate felice. Ero disteso sulla spiaggia, e scrutavo il mare. Sorridevo, ma era un sorriso a metà che, avvicinandosi agli angoli della bocca, si deformava progressivamente in una smorfia. Sembrava stessi prevedendo il mio futuro. Sono contento che il mondo mi ricordi così. Con quell'aria meditativa, assorta, solitaria. Una volta i miei incontrarono la ragazza davanti alla mia tomba. E lei raccontò tutto. Pulirono insieme la mia lapide e misero dei nuovi fiori. Poi i miei la lasciarono da sola. Baciò la mia foto. E per la prima volta la vidi piangere. E fui io ad avere i sensi di colpa, quella volta. Poi cambiai dimensione, e fui trasportato nel posto in cui mi trovo ora. Non so come descriverlo, ma è come lo immaginavo da piccolo. Forse per tutti è così. Non incontrai Dio, ma forse perchè non è ancora tempo. Da qui, in qualche modo, posso interagire con il mondo. Qualche volta compaio in sogno ai miei. A volte invece sussurro qualcosa a chi vedo in difficoltà. Non so se tecnicamente sono diventato un angelo. Seguii anche la vita di lei. La vidi sposarsi, ma non con il bestione. Era con un ragazzo che un pò mi somigliava. Ormai non posso più provare sensi di colpa o rimorsi. E' andata così, come probabilmente doveva andare. Ora sono finalmente sereno, non sento più il peso che mi tormentava. La mia vita, alla fine, è stata una bella avventura. Dentro la mia testa ancora riecheggia la voce di Pino Daniele. Del resto anche quella canzone parlava di un viaggio....

"Yes i know my way
ma nun’ è addò m’aie purtato tu
Yes i know my way
mo’ nun me futte cchiù
mo’ nun me futte cchiù
tu vaje deritto e i’ resto a pere
và tu va tant’io sbareo
Yes i know my way
‘e guaie mie ‘e saccio i’"

 
  
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