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Autore: _Them99    22/09/2013    5 recensioni
Storia autobiografica.
La storia inizia con un ragazzo. Continua con una ragazza.
Nel mezzo ci sono un altro ragazzo, qualche guaio ed un muretto.
Il muretto: il simbolo di un amore.
Storia dal gusto semplice, divertente e vera.
xTratta dalla raccolta "Sono innamorato di te"x
Scritta da un povero sognatore terribilmente innamorato.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Nice to meet you

Ero disteso sul mio piccolo letto ad una piazza, intento a riposarmi ed a fissare il soffitto.
La nostra casa è piccola per essere vissuta da quattro persone.
La mia camera in particolare, poteva accogliere al massimo due persone per volta.
Una sola, piccola finestra la illuminava. Una parate era ricoperta interamente da un’ armadio a due ante e da un piccolo comò. Sotto la finestra c’è un’ asse che funge da scrivania ed una sedia ripieghevole.
Le pareti sono di un giallo che si avvicina molto al verde, anche se sono piene di poster e foto incorniciate.
Tranne che per l’ albero che dipinse mia madre, ovviamente.
Mia madre dipinge divinamente. Fatto sta che è docente di arte ed immagine in un liceo artistico.
Iniziai a fare i compiti che ci avevano assegnato a scuola.
Era assurdo: la scuola era iniziata da meno  di due settimane e già ci avevano riempito di compiti fino al collo.
«Tristano, ce la fai a finire i compiti? Ti ricordo che oggi hai la prima lezione di atletica!» La voce di mia madre mi arrivò chiara, così sporsi la testa verso il salotto, la stanza che confinava alla mia, per osservare mia madre che stava lavando il pavimento.
«È oggi?» Le chiesi.
«Si, il martedì, il giovedì ed il sabato. L’ hai voluto fare tu questo sport!» Ed in effetti, non aveva tutti i torti.
Più o meno.
Era stato Tom a convincermi ad iniziare atletica con lui.

Avevo praticato per 2 anni pallanuoto, ma dopo gli allenamenti avevo sempre le gambe viola, così avevo deciso di andarmene. Certamente, quegli anni non erano stati del tutto buttati: avevo sviluppato un bel fisico, resistenza, anche se erano stati del tutto inutili contro la mia grazia da ippopotamo.
Finii per miracolo la versioncina di latino ed il tema di italiano, e mi preparai per uscire.
Speravo che andasse tutto bene. Avrei conosciuto nuova gente, avrei iniziato uno sport che, nel suo complesso, sarebbe stato divertente. Ed inoltre, c' era come sempre Tom, che mi spalleggiava in ogni cosa.
Quindi si, nella mia mente, tutto sarebbe andato bene. Anzi, ci credevo veramente.


Spaesato. Ecco come mi sentivo di fronte a quella moltitudine di ragazzi e ragazze che si stavano scaldando i muscoli, si abbracciavano e facevano conoscenza.
Quel traditore di Tom mi aveva detto che sarebbe arrivato con qualche minuto di ritardo.
Ed io non sapevo veramente che fare nel frattempo.
Mi appoggiai ad una panchina al lato del campo, vicino ad un borsone lillà.
Una ragazza dai lunghi capelli neri e perfettamente ondulati stava camminando su una ringhiera con tranquillità e naturalezza, come se lo facesse da tutta una vita.
Restai a guardarla per un paio di minuti, finchè non si voltò. Io distolsi lo sguardo, intento a guardare le mie scarpe da ginnastica, diventate in quel momento incredibilmente interessanti.

La ragazza parlò.
«Ehi riccioli d’ oro, mi passi la bottiglia d’ acqua?» Mi chiese.
Presi la bottiglia d’ acqua e gliela passai, senza guardarla negli occhi.
«Grazie» mi disse, dopo aver bevuto.
Sentii il suo sguardo su di me, così alzai gli occhi e vidi il suo viso: era leggermente tondo, con le guance paffute, ricoperte da tantissimi lentiggini. I capelli le ricadevano sulle spalle, incorniciandole il viso ed esaltandole il verde degli occhi. Un verde incredibilmente intenso: come le fogli di quercia in primavera.

Persi un battito al cuore, quando la vidi nel suo complesso.
«Ciao, io sono Maria Antonietta!» Si presentò lei, prima che potessi dire niente.
Nella mia mente avevo formulato una frase di presentazione decente. Ma la mia mente andò in completo tilt, così le risposi «Come la regina?»
Mi strozzai mentalmente.
Avevo fatto una delle solite figure di cavolo.
Lei, per fortuna si mise a ridere, e mi chiese come mi chiamavo io.
«Ehm.. Tristano» le dissi, con non poca incertezza.
«Come il tizio medioevale?» Mi chiese lei a mo’ di presa in giro.

Ci guardammo per un secondo e scoppiammo entrambi in una risata.
«Piacere di conoscerti, Tristano» Mi disse lei, porgendomi una mano ed asciugandosi una lacrima.
«Piacere tutto mio» Risposi io, stringendole saldamente la mano, incredibilmente piccola in confronto alla mia.
«Quindi, Maria Antonietta… » lei mi interruppe subito.
«No, non Maria Antonietta. Mi ricorda il nome di una vecchia. Chiamami Gatta» Mi disse lei mentre ci incamminavamo verso la pista.
Non capivo il perchè del nome 'Gatta'.
Però, guardai per un momento come camminava.
Non produceva un singolo rumore, e non poggiava il tallone sul suolo. Diedi una nuova occhiata al viso, che effettivamente mi ricordava quello di un gatto per il naso piccolo e gli occhi allungati e verdi.
Capii il significato del nominativo Gatta. Lei era un gatto. 

Da dietro sentii Tom che urlava il mio nome, con la sua solita “discrezione” che lo caratterizzava.
«Hey! Vedo che hai conosciuto sua altezza reale, la signorina Gatta! Mi permetta di dirle che ogni anno che passa, la sua bellezza diventa sempre più incantevole» Disse lui, facendo un mezzo inchino e porgendo la mano a Gatta.
Lei la prese ridendo, rispondendogli con un veloce ‘matto come sempre’, stampandogli un bacio sulla guancia ed allontanandosi poi con un sorriso, scuotendo la mano verso la nostra direzione.
Tom mi stava parlando, ma non lo ascoltavo.
La mia attenzione era rivolta tutta verso quella misteriosa, agile e bellissima ragazza, dagli occhi verdi come quelli di un gatto.

 
  
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