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Autore: Portuguese_D_Ace    22/09/2013    2 recensioni
Dolore.
Amore.
Paura.
Sì, paura.
Perché era quella che tutti in quel corridoio stavano provando.
[...]
Soul era agitato quanto lei.
Lo sentiva. La sua anima era irrequieta quanto la sua.
Avrebbe voluto essere abbracciata da lui. Rassicurata.
Solo Soul sapeva come tranquillizzarla.
[...]
Aveva un odore particolare, che lo aveva sempre colpito.
Particolare e straordinariamente…bello.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Death the Kid, Maka Albarn, Soul Eater Evans, Tsubaki, Un po' tutti | Coppie: Soul/Maka
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Distress




 

Il dolore è il gran maestro degli uomini. Sotto il suo soffio si sviluppano le anime.

Marie von Ebner-Eschenbach

Dolore.
Amore.
Paura.
Sì, paura.
Perché era quella che tutti in quel corridoio stavano provando.
Kid era seduto a terra, la testa fra le ginocchia, era in quella posizione da esattamente un’ora.
Patty, seduta alla sua destra, non mostrava il suo solito ed ingenuo sorriso, ma giocherellava con il filo di un bracciale colorato che teneva legato al polso destro. Lo ricorda, il giorno in cui lo comprò, anzi, il giorno in cui le fu regalato. Shinigami era di buon umore e aveva deciso di organizzare una fiera, cosa strana a Death City, che portava gioia ad ogni suo abitante. Era come un immenso luna park. C’erano la ruota panoramica, la casa degli orrori dove Liz era praticamente morta dalla paura, le montagne russe.
Gli occhi della piccola Patty avevano brillato per tutta la serata.
E tra lecca lecca giganti, sfide a chi avrebbe fatto cadere più lattine simmetricamente con Kid e risate a non finire, avevano comprato quel braccialetto, lei, sua sorella e il loro maestro d’armi.
Lo adorava. Le ricordava quella magnifica serata.
E adesso, giocarci, la aiutava a sopportare –almeno un po’- la paura che in quel momento la attanagliava. Già, la paura. E qua non si parla della paura che Liz ebbe quella sera vedendo spuntare improvvisamente un clown finto, ma di paura vera. Quella che sembra ti stia trascinando nell’oblio, in un regno fatto di oscurità.
Liz, invece, era seduta accanto a Tsubaki.
Cercava di confortarla. Aveva una mano sulla sua, fredda, immobile.
Dove la trovava tutta quella forza? La forza di non piangere, la forza di non sfondare quella maledetta porta di un bianco ormai tendente al grigio?
Lei non sapeva cosa avrebbe fatto, come sarebbe stata se Patty o Kid fossero stati sul punto di morire. Non lo sapeva. Non sapeva se sarebbe caduta in mille pezzi, se avrebbe tentato di ricomporli. Forse si sarebbe lasciata cadere sul pavimento freddo. A disperarsi. A piangere o strillare. O a stare semplicemente zitta.
Non lo sapeva.
Non poteva mettersi nei panni di Tsubaki.
Non poteva.
Per questo si limitava ad appoggiare la mano sulla sua e a stringerla quando la sentiva tremare.
Sperava di poterle infondere un qualche tipo di sicurezza, una anche sol minuscola quantità di calore.
Dall’altro lato, sempre accanto alla camelia, vi era Maka, con le gambe strette al petto, gli occhi verdi spenti, vitrei. Soul non era accanto a lei, era in piedi e camminava nervosamente avanti e indietro, riempiendo il silenzio del ticchettio discontinuo e strascicato dei suoi passi.
Erano andati in missione. Tutti insieme. A quanto pare, il Kishin che dovevano sconfiggere era molto forte.
La destinazione era Londra, in particolare, l’enorme metropolitana.
Maka, ad un certo punto, lo aveva sentito, con la percezione dell’anima, lo aveva sentito chiaramente.
Un brivido le percorse ogni singola vertebra della spina dorsale. Lo aveva detto agli altri. Black*Star le aveva dato della fifona e lei gli aveva risposto con un Maka-Chop ben assestato sul cranio.
Lo trovarono seduto, nel bel mezzo dei binari del treno, tranquillo come non mai.
Dava le spalle ai sette ragazzi, eppure capì subito che loro erano lì, si voltò sorridendo, come se li stesse aspettando. Quel sorriso era agghiacciante.
« Mi presento, sono Nauta Kensington(1) e questa è la mia stazione. Ogni singolo essere vivente che mette piede in questa metropolitana è mio. Benvenuta Shibusen, Londra sarà il vostro inferno. »
Inutile dire, che avevano cominciato ad attaccarlo, in ogni modo possibile ed immaginabile. Era ferito, tutti pensavano che lo avrebbero sconfitto da un momento all’altro, quando, improvvisamente, apparve un treno, un treno che Maka percepì solo un secondo prima che travolgesse Black*Star.
« Black*Star, spostati! » Aveva urlato; ormai, però, era troppo tardi.
Il treno si fermò. Le sue porte si aprirono e tanti piccoli Kishin scesero. Tutti alleati di Nauta Kensington.
Black*Star era esanime, sui binari. Perdeva molto sangue.
Tsubaki era subito accorsa a lui, con le lacrime agli occhi. « Dobbiamo portarlo via di qui! » Aveva urlato con la voce incrinata. Kid si era trovato in difficoltà. « Ma la missione…»
« Se non ce ne andiamo morirà! » Cercava disperatamente di farlo risvegliare, di spostarlo di lì.
Soul e Maka le si affiancarono. La shoukinin la strinse in un abbraccio materno, cercando di calmare quel suo pianto disperato. Soul sollevò l’amico in fin di vita.
Maka, tremante, con un braccio intorno alle spalle di Tsubaki che ancora singhiozzava sommessamente, aleggiò sul vetro di una finestra che dava su uno studio al buio, chiuso e disordinato. Vi scrisse sopra il numero della camera della morte, “42-42-564”.
« Makinaaaaa! Che avet- » Lord Shinigami si bloccò, notando le condizioni della povera camelia e la faccia stravolta di Maka. « Sapevo che avrei dovuto controllarvi con il mio specchio. Dico a Stein di preparare la sala operatoria. » E la chiamata si interruppe. Intanto, Kid, Patty e Liz, stavano intrattenendo i numerosi Kishin e il nemico Nauta.
« Brutto bastardo! » Esclamò Kid, totalmente fuori di sé. « La pagherai cara. Giuro che ti ucciderò con le mie stesse mani. » Le sue due armi, dovettero trascinarlo a forza fuori di lì, voleva ucciderlo, massacrarlo, in quell’istante, non lasciarlo in vita dopo ciò che aveva fatto a Black*Star.
Arrivarono alla Shibusen e l’azzurro fu subito operato da Stein.
In quel momento, era ancora in quella maledetta sala operatoria.
Nessuno di loro sapeva se sarebbe riuscito a sopravvivere: Stein aveva detto che era grave.
Tsubaki non aveva più pianto da quando se n’erano andati da quella metropolitana. Si costringeva a pensare al suo migliore amico, sorridente, che le diceva: “Sono un dio, Tsubaki! Io non muoio. Io vinco!” e la sua risata travolgente di seguito. Era questo a farla andare avanti. Questa immagine irreale che aleggiava nella sua mente. Non voleva essere confortata. Le dava la sensazione che qualcosa di bruttissimo sarebbe accaduto. Nonostante ciò, il calore della mano di Liz sulla propria la aiutava molto.
Maka non aveva osato toccarla, invece, dopo la stazione.
Si ricordò quando Soul fu ferito da Crona. Il suo sangue che zampillava fuori dal lungo taglio che gli era stato inferto lungo il petto e l’addome. Quel taglio che ancora le faceva male al solo vederlo.
Non voleva essere toccata. Da nessuno. Se non da Soul.
Perché se lui l’avesse toccata, avrebbe significato che lui si fosse svegliato, che fosse stato bene.
Che non fosse morto.
Ricordava di aver pensato che sarebbe dovuta essere lei al suo posto, in coma su quel lettino. Ricordava tutto questo. E ricordava anche quando percepì il treno.
In ritardo. Fottutamente in ritardo.
E adesso, in quel corridoio, mentre Black*Star era sotto i ferri, non sapeva quello che cazzo fare.
Quello che cazzo dire.
Così, imprecava mentalmente, si insultava e allo stesso tempo pregava, affinché il suo amico vivesse.
Anche se litigavano sempre, Maka gli voleva un bene immenso, molte volte era stato lui a spingerla a diventare più forte, a tirarla su nei momenti tristi.
Era Blak*Star. Un coglione patentato, egocentrico e pieno di sé, stupido e inopportuno. Così come un grande amico, un simpaticone dal sorriso smagliante, un ragazzo che sa volerti bene come pochi sanno fare.
Maka aveva paura. Maka poteva palparla la paura, in quell’aria maledettamente pesante.
Era così densa che avrebbe potuto tagliarla con un coltello.
La stessa paura che aveva avuto quando Soul stava venendo operato da Stein.
Sapeva cosa provava la sua dolce amica Tsubaki. Conosceva bene quei sentimenti.
La cosa che le faceva più male -dopo la colpa che sentiva per le condizioni in cui si trovava Black*Star- era la consapevolezza di non poter fare niente per cambiare quell’esasperante situazione.
Soul era agitato quanto lei.
Lo sentiva. La sua anima era irrequieta quanto la sua.
Avrebbe voluto essere abbracciata da lui. Rassicurata.
Solo Soul sapeva come tranquillizzarla. Era lui che l’ascoltava ogni volta che arrivava una cartolina di sua madre a casa. Quella cartolina, sebbene rendesse Maka immensamente felice, faceva nascere dentro di lei parecchi dubbi, teorie, rabbie. Faceva nascere dentro di lei della malinconia.
Era Soul che la sera le chiedeva: “Maka, si può sapere che diavolo hai?!” e rimaneva accanto a lei sul divano, ad ascoltare attentamente le sue parole, a farla sfogare.
Come avrebbe fatto senza di lui?
Alcune volte se lo chiedeva. Non riusciva mai a trovare una risposta a questa domanda.
Non vuole pensare ad una cosa del genere. E’ troppo doloroso anche solo immaginare che Soul potrebbe non esserci più.
Decise di alzarsi dalla sedia, di andare a prendere una boccata d’aria.
«Dove vai? » Chiese Liz preoccupata. Si erano così uniti quel giorno, che pensavano ancora fossero una cosa sola.
Maka sorrise debolmente, per quanto potesse riuscirci. « Esco un po’ fuori. » L’aria lì dentro stava diventando soffocante.
Soul la guardò allontanarsi. Stava impazzendo. Aveva troppi pensieri, troppe immagini –belle e brutte- che gli si stavano confondendo nella mente da un’infinità di tempo.
Non ce la faceva a stare seduto. Doveva muoversi, scatenare, seppur in minima parte, l’agitazione che aveva in corpo, che gli scorreva nelle vene.
Il suo migliore amico stava rischiando di morire.
Il primo migliore che aveva avuto. Era arrivato alla Shibusen spaesato, come un abitante estraneo in un altro mondo. Lo aveva accolto, fatto sentire a casa, perché, dopotutto, la Shibusen era sempre stata la casa di Black*Star. Era cresciuto qui.
Se fosse morto, questa scuola avrebbe perso un pezzo. Ne era convinto.
Soul, però, sperava con tutto se stesso, cercava di convincersi, del fatto che ce l’avrebbe fatta.
« Esco anch’io. » Avvertì gli altri. Gli avrebbe fatto bene parlare un po’ con la bionda.
Scese i numerosi scalini della gradinata e la trovò in piedi, a fissare il cielo, con le braccia conserte.
I codini erano ormai quasi del tutto sfatti, negli occhi verdi si riflettevano le nuvole.
«Ancora niente? » Gli domandò, senza cambiare espressione.
« No. » Le rispose.
Rimasero così, immobili, l’uno accanto all’altra, ognuno perso nei propri pensieri.
Dopo un po’, Maka abbassò lo sguardo e si girò decisa verso Soul.
« Non pensare nemmeno quello che stai pensando. » Sibilò lui.
«Soul. Avrei potuto evitare tutto ciò. »
« No, invece. Non puoi sempre salvare tutti. E’ andata così. »
Lei sospirò, disperata, sull’orlo di un pianto isterico. Soul era sporco di sangue, il sangue del loro amico. Aveva la giacca strappata in un punto e un’espressione avvilita stampata in volto.
Nonostante tutto, Maka pensò che fosse bello ugualmente. « E’ Black*Star. Io…io non lo sopporto. Ma lo adoro, capisci? Ho paura, Soul. »
Soul allora non ci pensò due volte: la abbracciò. Ne avevano bisogno tutti e due.
« Dillo che non vedevi l’ora che ti abbracciassi. » Maka gli diede un piccolo colpetto sulla schiena e sorrise un po’.
« Stupido. »
« Abbiamo tutti paura. Ma l’hai detto tu: è Black*Star. E’ l’uomo che trascenderà gli dei. Ce la farà. »
La strinse maggiormente. Quell’abbraccio, quella stretta era un’ancora di salvezza.
« Sicuro? » Affondò meglio il viso nel suo petto.
« Sì. » Non ne era sicuro nemmeno lui, eppure era sicuro di doversene convincere e di dover creare quella sicurezza di cui Maka aveva bisogno.
Maka odorava di parecchie cose in quel momento. Odorava di lavanda, come sempre, di combattimento e di sudore, odorava di cose belle e di cose brutte. Aveva un odore particolare, che lo aveva sempre colpito.
Particolare e straordinariamente…bello.
«Soul..? »
« Si? » Rispose lui distrattamente, ancora distratto da lei tra le sue braccia, dai suoi pensieri e dal suo profumo. Gli piaceva quando era indifesa, quando abbassava quel muro che era la sua forza, quando gli faceva notare che aveva bisogno di lui.
Gli piaceva sentirsi importante per lei.
« Tu non mi lascerai, vero? » Soul sentì che Maka si strinse a lui con più forza. Con poca più forza, talmente poca che lei era convinta che lui non l’avesse nemmeno notata.
Maka smise di respirare involontariamente, nell’attesa della sua risposta.
E se le avesse risposto che non gliel’avrebbe potuto promettere? O peggio, che non ci sarebbe stato per sempre?
« Mai. » Disse invece. 
La bionda sorrise e anche l’albino ghignò dolcemente, come solo raramente faceva.


E il loro sorriso fu destinato a non spegnersi, perché successivamente Patty arrivò saltellando sugli scalini, urlando loro che Black*Star ce l’aveva fatta, che si sarebbe svegliato. 






(1) Leggenda metropolitana londinese. Nel dicembre del 1928 alla stazione di South Kensington un passeggero sull'ultimo convoglio della sera diretto a ovest ha segnalato di aver udito un fischio di un treno. Pare che subito dopo un treno spettrale sia comparso improvvisamente con una figura vestita da marinaio alla guida. Il treno avrebbe continuato verso il tunnel, dopodiché sarebbe sparito senza più essere avvistato nuovamente.




 

Lo stupido angolino dell'autrice


Salveeee!
Eccomi qui, con una nuova fan-fiction su Soul e Maka.
Sono troppo carini, li adoro, non posso farci nulla :3
Se questa storia dovesse sembrarvi strana o insensata, 
sappiate che l'ho scritta mentre stavo studiando i Promessi Sposi.
COMPRENDETEMI. 
Comuuuunque, ringrazio tutti, anche quelli che la apriranno semplicemente.
Spero che possa piacermi e che possiate farmi sapere cosa ne pensate
con le recensioni. 
A presto 
Ciaooooo

P.S. Stavo pensando di scrivere una long o, comunque, una storia a più capitoli. Vedrò cosa fare :)


 
   
 
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