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Autore: Chimera in blue jeans    25/03/2008    9 recensioni
“Come si chiama, qui?” chiese infine, posando i begli occhi perlacei sui turbini di analogo colore.
“La Caina”
Ghiaccio intorno a loro, ghiaccio sui dannati.
“Per i traditori della famiglia” soggiunse, intercettando lo sguardo interrogativo di lei.
Rise parlandone, un riso glaciale e composto, dalla punta di cinismo.
“Credevo che ci arrivassi da sola!”
“Credevo che non mi considerassi parte della famiglia”

--- La mano del Demonio si tendeva spesso, tentatrice.
E chi oltre alle dita, ne prendeva tutto il braccio, arrivava dritto nelle fauci del nemico.
Arrivava dritto all’Inferno.
(Ninth circle of Hell & Chop Suey)
Genere: Drammatico, Sovrannaturale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Neji Hyuuga
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ninth circle of Hell

-



[Wake up
(Wake up)
Grab a brush
And put a little make-up
Hide the scars
To fade away the shake-up]


Ci fu un momento, quel giorno, in cui il suo sguardo fu richiamato dal movimento di una minuta figura, che risvegliò i suoi sensi in un guizzo di familiarità.
Risaliva le pendici gelate, strascicando nei propri passi incerti; e scivolava e si rialzava, slittando paurosa sul ghiaccio.
E lui la scrutò con interesse, assottigliando gli occhi nella concentrazione.
Intrecciò le dita intorpidite alle ginocchia, sollevando sui talloni i piedi scalzi, rimase ad osservare.
Le membra tremavano incontrollate, morse dall’eterna distesa di ghiaccio; il cuore, già fermo da tempo, sembrò rallentare il battito che per abitudine gli pareva ancora di sentire.
Come un orologio che ha esaurito la carica, ma su cui si getta un’occhiata di tanto in tanto, con la certezza di potervi leggere l’ora.
Attese. Veniva verso di lui, esponendo nell’avvicinarsi un colorito stranamente inumano.
Verde. Sembrava che la linfa le scorresse nelle vene sotto la pelle lattea, di un candore irreale che non poteva che essere il suo.
Fu certo di averla riconosciuta.
Lei gli si accovacciò di fronte.
Lui poggiò il mento alle ginocchia e la studiò da vicino.
“Credevo…” la guardò negli occhi, assorto per un momento.
“Credevo che sarei stato l’unico Hyuga a finire all’Inferno”.
Un sorrisetto incredulo innalzò gli angoli delle sue labbra devastate dal gelo.
“Sei fuori posto qui, Hinata”
.

Una Hinata più matura, più anziana di lui, gli restituiva lo sguardo senza parlare.
Tacquero a lungo, tremando, osservando l’una sul corpo dell’altro i segni della dannazione: la carne bruciata dal ghiaccio di lui, coperta di spaccature cutanee; le articolazioni di lei, colte nel corso di un’inquietante mutazione.
“Ho percorso nove cerchi per trovarti, Neji” mormorò, mentre il ragazzo osservava quelle gambe sottili, coperte di grottesche ramificazioni fibrose.
Neji spostò lo sguardo sulla cugina.
Mulinelli di vento gelato spargevano brina sui suoi capelli mori, tingendola della sua stessa condanna.
“Mio padre… mi ha detto che eri morto” sussurrò Hinata, sedendo cauta di fronte a lui “E avrei voluto salutarti… nonostante tutto.”
Il dannato non rispose.
Come poteva cercarlo ancora, dopo che lui aveva trascinato all’Inferno entrambi?
Il suo sguardo andò alla deriva, evitandola. Non avrebbe mai capito.
Attese indolente che la giovane donna parlasse ancora. Forse la morte aveva prosciugato quella sua timidezza, che tanto lui disprezzava in vita.
“Come si chiama, qui?” chiese infine, posando i begli occhi perlacei sui turbini di analogo colore.
“La Caina”
Ghiaccio intorno a loro, ghiaccio sui dannati.
“Per i traditori della famiglia” soggiunse, intercettando lo sguardo interrogativo di lei.
Rise parlandone, un riso glaciale e composto, dalla punta di cinismo.
“Credevo che ci arrivassi da sola!”
“Credevo che non mi considerassi parte della famiglia”
Affermazione inaspettata, che Neji soppesò.
“Effettivamente, no” sibilò con morbidezza.
Hinata abbassò lo sguardo.
“Ma di fronte alla Legge che ci sbatte all’Inferno, che io ti consideri mia parente o meno poco importa. Per il sangue nelle mie vene, e che è simile al tuo, tu sei mia cugina.
E ho tradito, e pago qui”.


[I don’t think you trust
In my
Self righteous suicide
I cry
When angels deserve to die]



Mentre il tono vellutato le scivolava addosso come acqua, Hinata assaporò con strano sentimento il freddo che le lasciava il disprezzo di Neji.
Permaneva il ricordo di quando lo provava sulle sue spoglie ancora corporee, di quando erano ancora in vita. Anche nella morte non pareva cambiato.
La Caina. Per i traditori della famiglia.
Gocce cristallizzate morivano di tanto in tanto, lasciando la presa dalla pelle di Neji; silenziose, andavano ad uniformarsi al ghiaccio solido che sosteneva il loro appoggio.
Un ghiaccio senza forze che sosteneva corpi senza peso.
“Ma ora parliamo dei tuoi, di peccati”.
Quando lui scosse la testa, scostando secco i capelli castani dal volto, le parve di tornare a esistere, a contemplare quel ghigno irrisorio illuminarsi vivo.
“Sembri ansioso di parlarne…” osservò, pacata.
“…Nii-san”.
Neji reclinò la testa da un lato, un giaguaro curioso che serba il sadismo per dopo.
“Se mai hai avuto una buona ragione per chiamarmi così, ora dimenticala”
Uno dei paradossi che in vita non aveva avuto occasione di sperimentare: chiamare fratello il dannato che le sedeva di fronte, e che pagava nel nono girone dell’Inferno la pugnalata che le aveva inflitto.
“Per assassinio” confessò poi, abbassando lo sguardo.
Quegli occhi così avidi e maschili, che poco prima si specchiavano nei suoi, si spalancarono dallo stupore.
“Hinata. Hinata che uccide… Hinata che uccide qualcuno.”
Neji sembrò rigirare le parole sulla lingua, come assaggiandole nell’aggiungere spezie man mano, e ad ogni modo svagandosene.
I brividi che lo scuotevano scivolavano sul bianco ghiaccio, contaminando in un convulso tremore anche lei.
“E chi avresti portato via?” chiese, riscuotendola dalla spiacevole sensazione.
“…me.”
“…dovevo immaginarlo”.
Esiste una pena per i suicidi. Il morto suicida, all’Inferno paga, così come un comune assassino.
Come se la sofferenza che in vita lo aveva spinto al disperato gesto non fosse stata abbastanza.
“Ti sei uccisa per quello che ti ho fatto?” s’informò Neji, col tono di chi rivolge un’innocente domanda sul tempo.
Perché in fondo, che importanza avrebbero dovuto dare a tutto ciò che riguardasse la vita?
Ormai era finita da un pezzo, e non sarebbe certo tornata.
“Perché vivere prigioniera era solo l’ennesimo fallimento” confermò, il tono innaturalmente deciso.
“E perché non avrei mai ceduto nulla di quello che sapevo a loro.”
“Ammirevole” rise l’altro, con sprezzo.
Neji Hyuga.
L’aveva gettata fra gli artigli del nemico, l’aveva costretta a una vita in catene che lei non aveva potuto sostenere.
Eppure, afferrato il coraggio del momento, aveva tagliato con l'unica via di fuga.
Eppure, non riusciva a portargli rancore.
Neanche lei pareva cambiata nella morte.

[Trust In my
Self righteous suicide
I cry,
When angels deserve to die…]


Tutto era così irreale.
Così impalpabile.
“Non hai freddo?”
“Al freddo ci si abitua”
Scrollò la brina dalla schiena, cingendosi le ginocchia con le braccia, tremando impassibile.
Non sarebbe stata una valida punizione, se l’Inferno avesse previsto l’assuefazione alle sue pene. Ma Neji non ammetteva di provare sofferenza derivante dalla sua condanna.
“E al rimorso? Ti sei mai abituato?”chiese la giovane, vaga dolcezza nel tono.
Il ragazzo esibì un sorriso fiero, come un generale farebbe mostrando una vecchia cicatrice di battaglia.
“Mai avuto, Hinata. Mai provato per te”.
Neanche l’impulso della rabbia attraversò Hinata, in quel momento.
Soltanto, serena, disse:
“Dimmi perché l’hai fatto. Sono qui per questo”
Lo sguardo di Neji le sfuggì, e ne fu lieta, poiché non aveva mai imparato a sostenerlo.
Parlò osservando le lontane colonne di ghiaccio, i compagni che soffrivano all’ombra di esse.
Il suo tono assunse una sfumatura vaga, giustificando un gesto di cui non avevano più avuto occasione di parlare.
“Una volta eravamo tutti aggrappati alla vita con gli artigli” osservò “Come pantere”.
Hinata lo fissò dolorosamente.
“Eravamo disposti a dilaniare tutto, pur di non cadere…”
Si fece brusco, rapido.
“Ho dovuto consegnarti”
Hinata sapeva già cos’era successo. Eppure non riusciva a portargli rancore, nemmeno sentendo quelle parole sgorgare dalle sue stesse labbra.
Era solo un debole, un debole che aveva venduto quella che in fondo era sua sorella… per un istante di vita in più.

Kiba, che strappava.
Naruto, che ciondolava.
Shikamaru, che sanguinava.
Uomini, senza nome, che morivano lentamente sotto i loro occhi spenti.
Fra bendature, erba gelata e terra bruciata, stavano l’uno contro l’altro.
Stringevano i denti, sopravvivevano.
Ascoltando l’animale pauroso che premeva contro ognuno di loro, di fronte all’incedere concreto della morte avrebbero venduto l’anima al diavolo. Per un attimo di vita in più.
La mano del Demonio si tendeva spesso, tentatrice.
E chi oltre alle dita, ne prendeva tutto il braccio, arrivava dritto nella fauci del nemico.
Arrivava dritto all’Inferno.
Neji ne accettò l’offerta.
Hinata ne pagò il prezzo.

Nella Caina faceva più freddo che sui campi di Konoha.
Hinata si strinse nelle vesti leggere, percependo il bruciore del sangue inquinato da geni estranei. Le ricordò atrocemente quei mesi di sofferenze, passati piangendo, passati pregando fra le rovine.
La guerra che aveva raso al suono Konoha, stroncato i suoi figli.
Spesso gli unici veri uomini erano stati i primi a morire, quell’inverno.
Più lunga la vita di uomo, più orribile la corruzione che gliel’aveva assicurata; e ognuno aveva dato del suo meglio perché la corruzione lo salvasse dalla morte.
Masochismo: inconsapevolmente, molti di loro avevano allungato una vita di sofferenza per poi assicurarsi un’eternità di sofferenza ancora maggiore.
E così Neji e Hinata si fronteggiavano, la voce affievolita dalla triste consapevolezza di quell’eternità che li attendeva.
“Hai avuto paura?”
Neji finse, finché poté.
“Io non ho mai avuto paura. Ho avuto odio, senz’altro, ma non paura”
E il velo di menzogna che lo avvolgeva…
Hinata sorrise appena, quasi con tenerezza.
“Hai avuto paura della morte?” pose nuovamente la domanda, ora più completa.
“No. Ma ho avuto paura di morire prima di veder realizzato il mio sogno” dichiarò lui in un sibilo.
E l’ombra del fallimento che calava su di loro…
“Avevi un sogno, Neji?”
“Sì. E non ti riguarda…”
Era stato così ingenuo.
Aveva pensato che quell’attimo di vita in più sarebbe bastato a realizzarlo.
“…e non mi sono mai pentito di averti tradita.”
Forse nell’aldilà non era consentito piangere. Hinata ne fu rincuorata, quando sentì la gola bruciare ma gli occhi rimanere asciutti, socchiusi e fermi contro la bufera.
Non sei morto da uomo.
Si ostinava a negare di aver avuto un’anima, così come negava di soffrire il freddo.
Tu non sei morto da uomo.
Le parole che Hinata non aveva il coraggio di esporre.
Rammaricandosene, voltò le spalle e si congedò. Neji le concesse di accarezzargli i capelli, l’espressione quasi materna, prima di allontanarla con un gesto e guardarla andare via.
Cosa ci facesse quella donna all’Inferno, lo sapeva solo il Signore.
“Non tornare”
“Non tornerò”
Strinse le vesti sul corpo di carne e linfa, ripercorrendo la coltre di ghiaccio.
Il settimo cerchio attendeva il suo ritorno.


[Father, Father, Father, Father
Father into you hands
I commend my spirit
Father into your hands
Why have you forsaken me?
…]


-



-
Angolo dell’autrice:
Non so da quale anfratto dimenticato del mio cervello sia uscita questa shot dall’impronta dantesca, di certo è assolutamente… strana. Ero indecisa se pubblicarla o meno, l’ho scritta per puro schiribizzo; poi ho pensato che in fondo, cos’ho da perderci? Magari ci guadagno qualche zucchina volante, ma non importa, almeno mi sono messa in gioco! xD
Passiamo alle spiegazioni.
Lo so, lo so che in teoria i dannati non se ne vanno a spasso per i vari scomparti dell’Inferno come fossero in treno… e so anche che la pena nella Caina prevede l’immersione dei dannati nel ghiaccio a testa in giù, e che i suicidi vengono trasformati in alberi. Ma detto fra noi, ce lo vedevate un albero a parlare con Neji immerso in un cubetto formato maxi a testa in giù? Io lo trovavo poco serio…
Quindi, il traditore della famiglia qui è immerso spoglio in una landa ghiacciata; lei, invece, subisce lentamente la mutazioni in pianta, mostrandone i segni a poco a poco.
Piccolo tributo a Ninth circle of Hell, una delle innumerevoli colonne sonore di X-Ray dog. Ringrazio con tutta l’anima Faina per avermeli fatti conoscere; non si trovano facilmente le loro musiche (non vendono al pubblico, solo per privati purtroppo), ma se ne trovate… be’, vale davvero la pena.
Sappiamo tutti che potevate fare una smorfia e premere la X rossa in alto a destra, ma se non l’avete ancora fatto… vi ringrazio allegramente! ^^
Ah, la canzone è Chop Suey, dei System of a Down. Ve la consiglio, è spettacolare, da quando l’ho sentita non davvero mai smesso di ascoltarla.
Un bacio!
Chime

  
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