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Autore: ImInAcOmA    25/09/2013    2 recensioni
Pardon, ma l'editor non si decide a funzionare -.- Ho dovuto aggiornare come fosse un'altra storia. D:
"Now We Are One...In Everlasting Peace"
Part. II
Genere: Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Matthew Bellamy
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Image and video hosting by TinyPic Quattro e zero due del mattino. Poteva sentire Dom russare nella stanza affianco. Si era dato così da fare che ora dormiva come un maiale, e le ragazze avranno dovuto andarsene per disperazione.
Lui niente, si era scolato mezza bottiglia di vino, e non riusciva a dormire.
Preservativi sparsi sul tappeto. Che schifo. E un reggiseno incastrato alla testiera del letto. Quello lo appese fuori dalla finestra del bagno, immaginando quanto sarebbe stato divertente se quella Betty avesse tentato di riprenderselo arrampicandosi fino al quinto piano.
Il Matt nello specchio attirò la sua attenzione mentre stava per uscire. Guardò il semi invisibile squarcio sopra l’osso dello zigomo. Ahia, gli faceva ancora un po’ male.
Due colpi sordi alla porta. Tum, Tum. Di solito se ne fanno tre per bussare. Matt stette fermo immobile sull’uscio del bagno. Forse si era sbagliato. Forse era il vino che gli stava dando un po’ alla testa. Effettivamente gli girava. Sdraiarsi sul letto gli sembrò l’idea migliore.
TUM. Questo era stato ben udibile.
Che cazz…?!”
Aprì.
Davanti a lui, la visione pietosa di cinque ore prima, che sotto la luce lo era ancora di più. Un sussulto. Si ritrovò il cuore annodato in cima alla gola, ed era “oh, cristo”, poi era arrabbiato, poi decise che non gliene fregava un cazzo.
Gli chiuse la porta in faccia.
Pensava davvero di meritarsi il suo aiuto? Gli aveva salvato la vita, a quel fottutissimo coglione, e in cambio aveva ricevuto una bella papogna in un occhio. Lui si drogava, ma quello doveva avere problemi seri per autodistruggersi così senza motivo. Viziato petulante, ecco l’opinione che aveva sempre avuto su di lui.
Il nodo c’era ancora. Adesso si era alleato con una vocina che gli sussurrava nel petto. Era inudibile, ma gli dava un gran fastidio. Decise di buttar giù l’ultimo mezzo di vino tutto ad un fiato e crollò con la schiena contro la testiera e la testa ciondoloni su una spalla.
Si svegliò non so quanto tempo dopo. Quattro e quarantadue. Così poco? Gli sembrava di aver dormito per giorni.
Si passò una mano sulla fronte e raccolse sudore freddo. Si alzò. Fece due passi. Si fermò con le mani ai fianchi. Andò vicino la finestra. Aveva smesso di piovere. Tornò vicino al letto. Fece due volte avanti e indietro per la stanza, sospirò, cercò con lo sguardo la sua Tylor acustica, ma no, non l’aveva portata su, fece avanti e indietro altre due volte, andò in bagno, si gettò acqua gelata in faccia, avanti e indietro un’altra volta, “okay.” , e aprì la porta.
Era accartocciato nell’angolo affianco all’uscio, era piccolo, e tutto bagnato.  I suoi capelli biondi erano scompigliati, il sangue sulle ferite scuro e secco. Dormiva, gli occhi chiusi e le labbra semiaperte, e pareva avesse fatto la guerra.
Matthew lo prese per un braccio, poi da tutt’e due, e lo trascinò dentro.
Si andò a chiudere in bagno. Per dieci minuti restò a fissare la tavoletta del wc. Poi cercò alcool e cotone senza successo e uscì. Lo guardò e realizzò che doveva essere proprio svenuto, si vedeva. Era pesante e il suo addome si alzava e abbassava lentamente.
Chi cazzo me lo fa fare………”
Posò le ginocchia sul pavimento e iniziò a disinfettargli le ferite con l’unica fonte di alcool a disposizione, il vino. Avevano menato proprio forte. Il sopracciglio e il labbro erano spaccati. Pensò “merda”, perché se neanche il bruciore dell’alcool lo faceva svegliare, allora era messo male. Il resto gli venne tutto in automatico, andò a prendere un asciugamano, gli levò di dosso i vestiti fradici – oddio, aveva lividi ovunque- e gli mise un pantalone e una maglia puliti –non aveva dubbi che gli sarebbero entrati. Forse la maglia era solo un po’ stretta di spalle-.
Bene. Ed ora?
Mancava un’ora all’alba e doveva inventarsi una scusa per spiegare ai suoi amici perché aveva Thom Yorke nella stanza, ma probabilmente sarebbe stato tutto più difficile del previsto dato che il testina di cazzo non dava segni di vita e magari aveva una commozione celebrale o una qualche emorragia interna e il giorno dopo tutte le testate di giornali avrebbero recitato “Thom Yorke ricoverato in gravi condizioni” e quindi magari era più sensato che si inventasse una scusa per spiegare il perché avesse Thom Yorke svenuto sul pavimento, con i suoi vestiti addosso e puzzolente di vino. Avrebbero pensato che lo aveva rapito, costretto ad ubriacarsi, e lo aveva violentato, se non avesse ripreso i sensi e non se ne fosse andato, subito. Oddio!
Svegliati e vattene, coglione”
Gli camminò affianco avanti e indietro. Gli appuntò un piede su una costola, così, indeciso. In viso era l’emblema della calma, ma aveva sempre avuto un talento, o meglio il bisogno di mascherare ciò che lo dilaniava.
Cazzo. Sto diventando paranoico. Paranoid Boy, ecco cosa. Contento, Yorke?! Sono come lo stupido robot della tua stupida canzone. Sei venuto qui a scatenarmi qualche maledizione, dì la verità. Dirai in giro che ti ho stuprato e immolerai i Muse sull’altare delle band fallite, è questo che vuoi”.
Quel peso che gli comprimeva lo stomaco dall’interno lo schiacciò contro il materasso, sdraiandosi a testa in giù. E restò così, sarebbe rimasto così per sempre. Se Thom si fosse svegliato in quel momento, avrebbe sentito un attimo di soggezione di fronte a quegli occhi blu, meravigliosi, che lo fissavano come se il mondo dovesse finire quella notte.
Seguì le linee del suo viso, lentamente…tanto non aveva niente da fare…i capelli non erano biondi come quelli di Dom…quelli di Dom erano d’oro come gli Angeli…i suoi erano come quelli dei bambini quando ti sorridono e ti viene voglia di proteggerli dal mondo…aveva gli occhi quasi a mandorla, la pelle sottilissima delle palpebre liscia, tirata, pareva di porcellana…quella dell’occhio sinistro appena un po’ aggrinzita…quella cicatrice che era il suo marchio, e la sua maledizione…il naso piccolo e dritto, non peccava di imperfezione…le labbra…….
Mosse una mano e con una smorfia aprì gli occhi. Matthew balzò a sedere come se gli avessero conficcato uno spillo nel fondoschiena.
Si girò su un fianco, lento. Si avvolse la testa con le braccia e poi se le guardò, aspettandosi di ritrovarsele macchiate di sangue. Poi alzò lo sguardo…e passarono forse due minuti buoni.
- Che ti è successo? –
Te lo chiedo solo per educazione”
- Cos’è questa puzza? –
- Non dirmi che sei così santarellino da non riconoscere neanche l’odore del vino –
- Pischello, io mi facevo di alcool in endovena ancora prima che tu nascessi –
- Uhmm, quanto ci passiamo, dieci anni? Quando voi eravate usciti con il primo album, noi avevamo appena iniziato a darci da fare seriamente. Non apparteniamo a secoli diversi come i Pink Floyd. Perciò non so quanto tu e i tuoi amici possiate essere credibili stando col culo piantato sul piedistallo –
Non ci fu replica. Non perché Matt fosse riuscito a zittirlo. Semplicemente a Thom non gliene fregava un cazzo. Non gliene era mai fregato un cazzo del mondo. E perciò non pensava niente a riguardo. E gli faceva male la testa.
Il biondo si guardò addosso, prese un lembo della maglia elasticizzata e poi lo lasciò di nuovo aggrapparsi alla sua pelle.
- Non pensavo esistesse qualcuno più piccolo di me –
- Sei più basso di me. E sei anche sproporzionato, perché di spalle ti va stretta, vedi? –
E Thom, l’essere meno autoironico sulla faccia del pianeta, lo guardò, e si mise a ridere, divertito. Aveva i denti storti. Era adorabile.
Gli esseri umani hanno il vizio di guardarsi negli occhi, quando ridono insieme. Perché nei momenti più belli ci si vuole sentire una cosa sola. E’ un brutto vizio, questo. Perché quei due non si erano mai guardati negli occhi, non si erano neanche mai incontrati a dir la verità, ed ora a Thom venne da pensare che quel Matthew Bellamy aveva davvero degli occhi bellissimi.
E si vergognò di se stesso.
Battiti accelerati, pulsazioni, via, nell’inconscio.
Non gli erano del tutto sconosciute, quelle sensazioni. Pensò a Jonny…Ma no, erano diverse. Matthew era uno estraneo, uno dei tanti ragazzini che aveva sempre il pretesto per criticare, semplicemente perché apparteneva al mondo del rock ed era venuto dopo di lui. Ebbene, a volte lo ammetteva lui stesso di essere insopportabile.
Distolse lo sguardo perché non ce la faceva, e non capiva, e stava cominciando a innervosirsi.
Matthew fece altrettanto.
Aria, mancava aria in quella maledetta stanza. Anche perché era intrisa dell’odore di vino. Thom fece per alzarsi, barcollò, e si trascinò fino alla finestra. Si piegò con lo stomaco sul davanzale come se dovesse vomitare.
Il tempo scorreva cavalcando le stelle e ricordando al cielo che l’alba era vicina. Dom e Chris erano due stanze affianco, avevano appena suonato da headliner al Reading, aveva note e viole e pianoforti in testa, erano i Muse, e domani sarebbero partiti per il tour, si, ma adesso non gli importava, era tutto annebbiato. Voleva solo capire il perché stava esistendo quella notte.    
- Nel parco c’era gente parecchio fatta…Io volevo solo starmene un po’ da solo…A dir la verità avevo bevuto, ma poco…Poi uno di quelli mi ha riconosciuto…ha cominciato a dire che gli faceva schifo la mia musica, a chiamarmi frocietto e cazzate varie, avevano delle siringhe, poi ha detto qualcosa e ha iniziato a far finta di cavarsi un occhio e mi ha sputato addosso allora io gli ho tirato un pugno e dopo non lo so…non lo so cos’è successo…non so che mi hanno messo…c’era una siringa a terra e mi usciva del sangue dal collo, ma veramente me lo sentivo dappertutto…Poi ho cominciato a vedere lingue di fuoco che cadevano giù dal cielo, ma non me lo spiego perché non avrei dovuto essere bagnato se pioveva fuoco…Ho pensato fosse la fine del mondo così mi sono addormentato e ho sperato di morire. –
Matt lo guardò in silenzio. Lo guardò non guardarlo, perché Thom Yorke aveva sempre avuto un’enorme difficoltà a guardare negli occhi le persone. Lo guardò dare un’ultima occhiata al cielo e poi alle pareti della stanza, come per trovare una via di fuga da una prigione. E lo guardò ancora avanzare verso il letto, e afflosciarsi sul pavimento, gli occhi chiusi.
Gli venne da piangere.
Matthew Bellamy, quante volte nella tua vita hai sentito una piuma sfiorarti il pneuma dell’anima in questo modo…?
Attraversò il materasso e prese il biondo da sotto le braccia, e lo tirò su, con quei suoi muscoletti rachitici. Thom buttò un gemito, la mano sopra la costola. Si fece aiutare a stendersi sul letto. Già che Matt avesse deciso di concedergli un posto più comodo del pavimento, che fin’ora era stato l’unico luogo che poteva meritare, era un bel passo avanti, pensò.
Sentiva il respiro pesante, come avesse un macigno piantato sul petto, da dover portare su e giù, su e giù…ma ad un tratto gli andava anche bene così…un soffio di vento gli portò alle narici il suo profumo…non ci capiva niente, ma sapeva solo che gli ricordava cosa vuol dire essere vivi.
- Hai mai pensato di lasciar perdere tutto? –
Sdraiati l’uno accanto all’altro, il fato che li respingeva, l’istinto che li fondeva. Lo sentivano. Sarebbero stati vicini ogni minuto un po’ di più. Atomi fatti collidere alla velocità della luce che plasmano la supersimmetria dell’universo.
- Ogni… secondo che passa… mi chiedo come sarebbe stato se lo avessi vissuto altrove. Puoi capire cosa possa essere per me la musica…perciò non posso vivere senza…ma mi porta a pensare troppo, a sentire troppo… -
Parlava lentamente, come se dovesse cercare ogni parola in fondo all’anima. Parlava guardando un punto fisso che non eri mai tu. Matt era l’opposto. Ma in fondo, volevano dire la stessa cosa…
- A me ancora piace questa vita. Ho i miei migliori amici, l’adrenalina, le ragazze. Me la sto godendo, non penserei mai di andarmi a isolare in un casolare di campagna, ad esempio. Magari tra dieci anni ci andrò, cambierò idea, ma adesso mi piace così –
- Io non ho migliori amici –
- Che coglioni, Thom…- , fece il moro battendosi due dita sulle vene del braccio.
Rise ancora. E si promise di non farlo più, perché quella notte davvero non stava riconoscendo se stesso. Fosse stato qualcun altro, in qualsiasi altra situazione, si sarebbe già incazzato. Lui…gli sconvolgeva il mondo.
- …Però a volte ho paura –
Ora era Matt ad evitare i suoi occhi. Piantò lo sguardo sulle sue stesse dita, con cui stava giocherellando in tutti i modi possibili. La sua voce era quasi un sussurro, e un sensibile orecchio da musicista ne avrebbe percepito anche il leggero tremolio.
- Ad un tratto ci hanno messi sopra un maledetto aereo e ci hanno spedito per il mondo. Non vedo casa da un anno. A diciannove anni giri in limousine e ti chiedi “hey, ma che cazzo sta succedendo?”, perché devi star dietro alle disposizioni della casa discografica e magari una sera hai i crampi allo stomaco che stai vomitando dal pomeriggio e ti imbottiscono di medicine e ti buttano di peso su un palco e tu devi suonare lo stesso, perché loro hanno pagato il biglietto e devi dargli lo show. Io li invidio…sono così spensierati, là sotto, e ridono, e si divertono, e cantano fino a che gli si spezza la voce, e sentono la pace…Cosa darei per averne almeno un po’… –
Quando Matthew alzò il capo perché sentiva silenzio, Thom lo stava guardando negli occhi. Cielo e cielo di due universi paralleli furono uno solo. In fondo, il colore era uguale, solo di tonalità diverse.
- Li odio, a volte. Continuano a cantare a squarciagola quando non hanno la minima idea di come ti senti –
- Non dire cazzate. Se non fosse per loro non saresti qui –
- Te ne accorgerai quando scriverai la canzone della tua vita. Quando arriverai talmente in alto da avere le vertigini e a un certo punto la voglia di buttarti perché non vedi altra via di ritorno. Non sto dicendo che lascerei perdere tutto…E’ solo che…Non…Non so che cazzo pensare –
Ai secondi interminabili di silenzio ci avevano fatto ormai l’abitudine. Ma perché gli andava bene così. Le parole che volavano via dalle loro labbra dovevano essere legate dall’etere, e trascinate via nella notte, perché rimanessero impresse nelle stelle e ricordassero loro tutto.
Insensato e irreale.
L’alba era vicina.
Non se ne rendevano conto.
- Ce l’hai la ragazza? –
- Si, Matt, ce l’ho la ragazza –
- Mmh! Pensavo fossi un ibrido asessuato –
- Da che pulpito…quanto forte bisogna strizzartele le palle per farti prendere quel falsetto in Sol diesis? –
- Abbastanza. Ma ho chi me le strizza per bene –
- Hai preso lezioni? –
- No, mai. Non resistevo a lungo alle lezioni di teoria. Mi annoiavo a morte. Non so leggere neanche la musica –
- Caso strano veniamo tutti dalla stessa strada… -
- E tu quando hai iniziato a suonare? –
- Avevo forse otto anni…I miei mi hanno regalato una classica da studio. In realtà l’ho fatta a pezzi contro il muro neanche una settimana dopo. Mi facevo male alle dita e mi ero spazientito. Ero un bambino molto irascibile…lo sono tutt’ora. Forse se avessi potuto imparare a suonarla prima, quando ancora giocavo coi Lego, avrei avuto più pazienza…-
- Se avessi potuto…? –
- Ero cieco da un occhio, Matt –
Questa volta il silenzio non era così rilassato. Thom lo guardò e sorrise. Matt vide quel cielo luminoso a metà e non riuscì a pensare a niente. Ma aprì il suo cuore, perché sapeva che lui avrebbe riniziato a parlare, e lo avrebbe ascoltato. Ma ci mise più del solito. Si tormentò i lembi della maglia. Si potevano sentire solo i loro respiri, a confondersi col vento là fuori.
- Sono nato con l’occhio sinistro completamente chiuso. Fino a sei anni ho girato con una benda enorme sopra l’occhio. Con l’ultima operazione avevano fatto un casino. Diventai quasi cieco. Praticamente non ci vedevo. Riuscivo a malapena a vedere se stavo andando a sbattere. Mi facevano andare in giro con una benda sull’occhio e dicevano “si sarà impigrito con tutte queste operazioni”…Stronzate, erano stati loro a fare il danno. Poi il soprannome dei compagni di scuola non era dei migliori. “Salamandra” - . Fece un risolino, guardandosi la punta delle scarpe. – Una volta una ragazza mi disse “hai degli occhi stupendi, ma sono tutti sbagliati”*…Ho avuto il terrore delle ragazze fino alla fine del liceo. Per un periodo ho iniziato a fare a botte, ma poi ho lasciato perdere. Ora succede che perdo il controllo solo quando bevo un po’ troppo o sono fatto e non lo so cosa diavolo mi hanno iniettato quelli al parco ma scusa se ti ho tirato quel pugno in faccia……….Non so neanche perché ti sto dicendo queste cose…..-
Aveva perso ogni timore di incontrare il suo sguardo. Matt poté vedere la sua anima nuda di fronte a lui. Il biondo allungò una mano, più volte accennò a ritrarla prima di sfiorare lo zigomo dell’altro, con una delicatezza da farti dimenticare di respirare. Era liscia, la sua pelle, e bianca, e le sue labbra minuscole e rosse, una rosa in mezzo alla neve. Thom le guardò, e si chiese se ancora fosse sotto l’effetto della droga, perché si stavano facendo sempre più vicine. Poi sentì male a un fianco, e allora capì che, maledizione, era stato lui stesso ad avvicinarsi. Alzò lo sguardo e pensò che quegli occhi avevano il colore del posto dove si va quando si muore, e allora gli venne voglia di morire adesso, e forse era morto davvero perché quando le loro labbra si incontrarono non capì più niente. Sapeva di mare, Matthew, e la sua lingua gli dischiuse gentilmente le labbra carnose, e ommioddio, maledetta quella notte, perché non lo avrebbe scordato mai.
Si staccarono e rimasero a respirarsi a distanza di un soffio, a riscaldarsi le labbra, e Thom abbassò il capo e posò la fronte sulla spalla dell’altro, assaggiando il suo odore, pregando che tutto finisse se era solo un sogno oppure che si sbrigassero a fare qualcosa perché sentiva già i pantaloni farsi troppo stretti. Con le labbra sfiorò il collo teso di Matt e gli sembrò di viaggiare tra le dune di una spiaggia tropicale, poteva sentire la giugulare pulsare contro la sua pelle, quella che si gonfia quando fai le note alte, e Matthew, oh, si, cazzo se aveva una bella voce…In quel momento gli sembrò la più bella che possa esistere quando lo sentì emettere un gemito di piacere che andava per i toni bassi. Ci vedeva annebbiato, scorse la pelle della spalla dall’apertura della camicia di Matt ed era così bella che gli venne voglia di toccarla, e finirono per iniziare una danza insieme, una coreografia che non avevano mai fatto e che già sapevano a memoria, l’uno tolse la maglietta all’altro, gli occhi chiusi, neanche vedevano dove fosse la zip dei pantaloni ma riuscirono a levar via anche quelli, e le mani lunghe e divine di Matt viaggiarono sul petto di quell’altro, piccolo, giovane, bianco come il suo, e quelle affusolate e disastrate di Thom sui suoi addominali, coi polpastrelli, sensibili a ogni striatura di quei muscoli che la pelle troppo sottile e trasparente non riusciva per niente a nascondere. Con l’altra mano Matt iniziò a tormentargli i capelli biondi, così, dietro la nuca, perché lo sapeva che l’avrebbe fatto impazzire, e Thom altrettanto, mentre lo baciava e l’universo minacciava di implodere, e scese lungo la schiena, e gli rese quei graffi che lui aveva dietro la sua. Matt buttò la testa all’indietro, gli occhi chiusi, in preda all’asfissìa, e continuarono, e già cominciava a nascere un ritmo, da qualche parte, ed erano in sincronia perfetta, una battuta l’uno e una battuta l’altro, perfetta, come la loro musica, e Matthew gli posò una mano sul petto e lo costrinse contro il materasso, lo costrinse a braccia aperte e ad aggrapparsi alle lenzuola, e si mise sopra di lui, perchè poteva sentire il battito del suo cuore contro la sua pelle, e l’attimo dopo facevano l’amore come mai nessuno avrebbe giurato di vederli, così, un’unica cosa immersa in una pace eterna. Le circostanze e i giornalisti avevano tentato in tutti i modi di separarli, ma loro stavano componendo la sinfonia più bella di tutte, ora, lo stavano facendo insieme. La pioggia che aveva ricominciato a battere sui vetri copriva i loro gemiti, e avevano preso l’odore della notte e della terra bagnata. Lo avrebbero portato per sempre intriso nella loro pelle, come un tatuaggio, ora che vennero assieme e l’alba era spuntata. Ora che quella notte era finita, e sembrava aver portato via con se tutti i perché che tanto si affollavano nelle loro teste. Perché…era successo e basta.
Matt si piegò a dargli un bacio sulla fronte. Poi sviò…e gliene posò un altro sull’occhietto malato.
Voleva dirgli che era bellissimo, e che era la gente ad essere sbagliata.
- Matt…-
- Hmm… –
- Sei bellissimo –
Il mondo avrebbe dovuto prendere esempio da quella notte perfetta.
- Che è successo, Thom…-
- Non lo so…ma…grazie…-
Matt gli sorrise.
- Hey…guarda che ancora ti considero un depresso presuntuoso –
Il biondo rise, infilandosi i pantaloni.
Era giorno. E non erano più Matt e Thom. Ora erano tornati delle rockstar.
- Dove vai? –
Nessuna risposta. Oh, che nervoso. Ora capiva perché Dom e gli altri non lo sopportavano quando faceva lui così. Ma aveva il vizio di penetrarti semplicemente con gli occhi, e allora capivi che le parole potevano anche non servire, perché tutto quello che c’era da dire te lo diceva solo così. La stessa cosa che fece Thom, prima di guardare nell’occhiello della porta, e poi abbassare la maniglia.
- In realtà, siamo troppo uguali, io e te –
 
 
 
*Pezzo tratto da un’intervista riportata sul libro “Exit Music. La storia dei Radiohead”
 

 
  
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