Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: alivinghope    26/09/2013    3 recensioni
«Quando metteva il broncio così, era uguale a Sherlock: labbra piene a forma di cuore che ricadevano all’ingiù, riccioli neri come la pece che contornavano quel viso dalla pelle diafana sugli occhi. Ovviamente, occhi cristallini. Era il bambino perfetto, tutti se ne innamoravano appena lo vedevano.»
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John, Watson, Sherlock, Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
«Ti odio!» urlò il piccolo Hamish all’uomo che si trovava sulla sua spigolosa poltrona in pelle nera.
Gli diede le spalle, mentre con passo frettoloso si diresse verso la sua camera, al piano superiore dell’appartamento.
L’uomo continuava a guardare nella stessa direzione, finché non vide sparire il bambino nel buio.
Hamish aveva ormai otto anni e si riteneva già un adulto da tempo.
Possedeva un’intelligenza fuori dal comune e una passione nel dedicarsi ad attività pratiche degna di nota.
Era la seconda volta nel giro di pochi giorni che litigava con suo padre, il grande consulente investigativo Sherlock Holmes: non riusciva a sopportare quell’uomo se si superava la soglia dei due minuti di conversazione.
Suo padre non gli aveva mai dato troppe attenzioni e, in un certo senso, era felice di questo. Ma, quando aveva bisogno di qualcuno si aspettava che potesse infrangere quella sua maschera di uomo-delle-nevi, e che accorresse ai bisogni del figlio. Invece no, rimaneva costantemente impassibile di fronte a qualsiasi tipo di incontro ravvicinato.

Il piccolo Hamish si chiuse con veemenza la porta dietro le spalle e si buttò sul suo lettino, piangendo.
Pochi minuti dopo, sentì la porta di casa aprirsi e poi chiudersi di nuovo e si ritrovò a sussurrare un «finalmente» tra i singhiozzi.
 
***

«Sherl…» sorrise.
L’uomo si alzò dalla sua amata poltrona ed andò ad aiutare il suo compagno con la spesa. Non era solito fare questi piccoli gesti, ma ogni tanto se lo concedeva perché al suo John piacevano molto.
Gli sorrise di rimando e posò un delicato bacio sulla bocca del dottore.
«Avanti, dimmi, cos’hai combinato questa volta? E, soprattutto, dov’è Hamish?» chiese insospettito John. Sherlock roteò gli occhi ed indicò le scale, come a dire “pensaci tu”.
John sapeva esattamente con chi aveva a che fare, e sapeva anche che forse era arrivato il momento di spiegare come stavano realmente le cose al loro figlio super intelligente.
Guardò con fare accusatorio il compagno che lo stava già fissando con le grandi sopracciglia aggrottate. «Beh?» disse, sostenendo il suo sguardo.
«Oh, ma su John! Sai benissimo che non ho fatto nulla. Vai a svolgere il tuo compito di madre. Ad ognuno il suo.» Sherlock roteò nuovamente gli occhi, dopodiché si strinse nella sua vestaglia e si rannicchiò in posizione fetale sul divano, dando la schiena al suo compagno.
«Tanto per cambiare…» John sospirò così rumorosamente da tremare. Si portò le mani ai lati della testa e si massaggiò le tempie, in previsione di una serata non del tutto piacevole.

***

Un leggero bussare di nocche fece lievemente tremare la porta della sua camera.
Hamish mugolò in risposta e il padre buono – così come amava chiamarlo lui – entrò nel suo spazio, invadendo l’atmosfera di pace e tranquillità.
«Ciao papà!» disse in un gridolino di gioia, andando ad abbracciare di corsa il suo papà buono.
«Hey piccola peste!» rispose John all’affetto di quel bambino iperattivo.
Hamish aveva gli occhi ed il naso arrossati dal pianto e suo padre non ci mise molto a capirlo, anche se il piccolo faceva di tutto per nasconderlo: dopotutto, era pur sempre un Holmes, la sua dignità veniva prima di qualsiasi cosa.
John lo prese in braccio e lo portò a sedere di nuovo sul letto insieme a lui.
«Allora, cos’è successo tesoro?»
«Papà non mi vuole bene.»
«Ma no, ma cosa dici. Ti vuole molto bene, lo sai.» John guardò il figlio con un’espressione pregna di affetto, comprensione e complicità. Sapeva come si sentiva, d’altronde c’era passato lui stesso con il grande Sherlock Holmes. Bisognava interpretare i suoi sentimenti e John lo sapeva bene, ma sapeva altrettanto bene che il piccolo Hamish ci avrebbe messo del tempo. Dopotutto, era pur sempre un bambino.
«Non è vero. Non è come te, lui è il papà cattivo.» disse imbronciato.
Quando metteva il broncio così, era uguale a Sherlock: labbra piene a forma di cuore che ricadevano all’ingiù, riccioli neri come la pece che contornavano quel viso dalla pelle diafana sugli occhi. Ovviamente, occhi cristallini. Era il bambino perfetto, tutti se ne innamoravano appena lo vedevano.
John rise, rise di gusto nel sentire quell’affermazione del figlio. Sherlock era tutto eccetto che cattivo, ma d’altronde agli occhi di un bambino poteva apparire in quel modo, così si mostrò paziente.
«Hai voglia di ascoltare una storia, Ham?»
Il bambino annuì, curioso di ciò che voleva raccontare il padre.
«Allora va bene, mettiti comodo, sarà una storia lunga» sorrise amorevolmente John.

***

La camera di Hamish aveva preso il posto di quella di John, nel preciso istante in cui aveva sfiorato loro l’idea di avere un figlio. Dopo Reichenbach, la (finta) morte di Sherlock e i tre anni che seguirono nel dolore più atroce, i due divennero una coppia di fatto. Con l’obiettivo di recuperare il tempo perso a causa della missione segreta di Sherlock, decisero insieme di sposarsi. Beh, in realtà fu John ad insistere su questo particolare. Il suo amato consulente investigativo aveva etichettato la faccenda come “noiosa” – come qualsiasi cosa che non aveva a che fare con un serial killer – ma, pur di accontentare i desideri di John, acconsentì a sposarlo.
John, dal canto suo, sapeva di star obbligando Sherlock a fare qualcosa che in realtà non si sarebbe mai lontanamente immaginato, ma per una volta in vita sua aveva deciso di agire egoisticamente, pensando a ciò che lui voleva. E poi, c’avrebbe scommesso la sua vita che Sherlock si sarebbe trovato bene nei panni di marito – a distanza di anni, magari.
Due mesi dopo, John iniziò a parlare di volere un bambino, di volere un piccolo Sherlock gironzolare nel loro appartamento di Baker Street.
Sherlock quasi inorridì all’idea di avere un marmocchio in casa che sporcava e che urlava e che – prospettiva alquanto spaventosa – contaminava le prove che portava a casa dai suoi amati casi di omicidio. Poco dopo – ovviamente senza capire bene per quale motivo lo stesse davvero facendo, i sentimenti non erano mai stati il suo campo, né prima e nemmeno dopo il matrimonio – si ritrovò in una stanza di una prestigiosa clinica specializzata (un dono di Mycroft) con un bicchierino di plastica in mano e con il tappo del suddetto bicchierino poggiato su un tavolino poco distante. C’è da dire che il tavolino in questione era letteralmente sommerso di riviste osè? Sherlock si schifò di tutto quel nudo femminile, ma doveva a tutti i costi finire quel lavoro. Ovviamente, come sempre, John si intrufolò di nascosto nella camera e “diede una mano” a Sherlock, riuscendo ad avere il campione necessario per la fecondazione assistita. Ebbene si, Mycroft aveva anche provveduto a trovare la perfetta candidata per il ruolo di madre-del-figlio-di-Sherlock-Holmes.
Ovviamente, il tutto dietro un compenso a dir poco generoso.
Impiantato il seme, bisognava solo aspettare. Alla notizia che la ragazza era davvero rimasta incinta, i due compagni di vita si commossero, perfino Sherlock non riuscì a trattenersi. Si era quasi abituato all’idea di un piccolo marmocchio che gli stava sempre tra i piedi.

Sul suo divano, Sherlock fece un sorrisetto ricordandosi gli eventi di nove anni fa, anni che in realtà passarono più in fretta di quanto avesse mai immaginato, in compagnia di suo marito e di quella piccola peste che era suo figlio. Tese le orecchie, ascoltando ancora tutto ciò che John stava raccontando al piccolo Hamish, rilassandosi.

***

«…appena ricevemmo la notizia di quella ragazza, ovviamente per mano di tuo zio Mycroft, ricordo che ci abbracciammo felici, perché sapevamo che tu saresti stato perfetto. Lo sapevamo e basta, ancor prima di conoscerti. Ricordo che anche tuo padre si commosse in quel frangente. È raro, sai? È raro, però quando succede … oh, Hamish, quando succede ha tutto il potere del mondo.» John guardava fisso il muro davanti a sé ora, ricordando lo sguardo innamorato del suo Sherlock, dando continui colpetti sulla spalla del figlio, con fare amorevole.
«Papà … quindi tu non sei mio padre e lui si?»
«Beh, tesoro … biologicamente no, ma in tutti gli altri aspetti che ti vengono in mente, lo sono. Tu mi appartieni esattamente nello stesso modo in cui appartieni a tuo padre.» sorrise John. «e avete in comune molto di più di quanto entrambi crediate. Hai otto anni e …»
«Otto anni e mezzo!» lo interruppe bruscamente e accigliandosi, gli occhi color ghiaccio ridotti a due fessure.
«Va bene. Hai otto anni e mezzo e stiamo parlando di una cosa che tu non dovresti capire alla tua età. Questi sono discorsi che vanno affrontati più in là, lo sai questo?»
«Ah, davvero?»
«Sì, Ham. Questo sta a dimostrare quanto tu sia intelligente e quanto davvero tu abbia ripreso da tuo padre. La tua intelligenza è grandiosa, i tuoi modi di fare anche. Non l’hai mai notato questo, vero?»
«No…»
«Oh, tranquillo. Questo sarà un piccolo segreto tra me e te, anche perché tuo padre è idiota, dobbiamo aiutarlo noi a capire certe cose» John gli fece l’occhiolino e rise con lui che era già visibilmente più tranquillo.

***

“Mi hanno appena dato dell’idiota”, pensò Sherlock sbuffando. Si alzò dal divano e si diresse alla finestra, vicino alla quale si trovava il suo amato violino. Lo imbracciò ed iniziò a far scivolare l’archetto sulle corde, producendo una nuova melodia a mano a mano che la musica andava avanti.
Chiuse gli occhi e si perse nel suo Palazzo Mentale per un bel po’ di tempo, mentre i suoi due uomini finivano la loro più che noiosa conversazione al piano di sopra.
Le dita scorrevano velocemente mentre lui apriva tutte le porte che si trovavano all’interno del suo Palazzo, in cerca di qualcosa.
Nella prima c’erano formule chimiche. Era quasi attratto da quella stanza ma decise che no, non era il momento di analizzare la composizione molecolare di quella sostanza che aveva trovato la sera prima sulla giacca di una vittima di omicidio.
Andò avanti, sospirando, e aprì la seconda porta: noioso. Un caso affidatogli da Mycroft, che Dio ce ne scampi.
La terza porta era quella giusta, lo sapeva, lo sentiva. Era la porta che si affacciava sulla sua vita da quando era legato a John. Teneva tutto chiuso in quella stanza, dal momento in cui lo vide per la prima volta al momento in cui, quello stesso giorno, si era recato in camera del figlio per farlo ragionare. Quando l’aprì, si ritrovò davanti il suo amato 221B, luogo di amore, formule matematiche e arti umani conservati nel frigorifero. Sicuramente, per uno stupido occhio umano l’insieme creerebbe una repulsione ed un disgusto non controllati verso Sherlock, ma per gli occhi di John … beh, per gli occhi di John era tutto normale. È sempre stato tutto normale, fin dall’inizio.
John è sempre stato colui che Sherlock avrebbe certamente amato, colui che l’avrebbe sempre sopportato nonostante tutte le stranezze.
Solo con John, Sherlock riusciva ad essere pienamente se stesso senza sentirsi giudicato o fuori posto. John era il suo posto, la sua casa.
Da nove anni, era entrato a far parte di quella segretissima stanza anche il piccolo Hamish. Guardando la questione con occhio clinico e distaccato, Hamish non era altro che una combinazione perfetta del suo spermatozoo e di un ovulo di quella ragazza assoldata da Mycroft. Una fusione andata a buon fine, visto il risultato ottenuto allo scadere dei nove mesi di gravidanza. Tutto regolare, nulla fuori posto. Hamish era il tipo di bambino in perfetta salute dalla carnagione rosea, dagli occhi chiari e dai capelli neri. Sembrava quasi uscito da una di quelle pubblicità che John guardava con tenerezza.
O meglio, questo era ciò che Sherlock pensava prima che Hamish, già dalla tenera età di 6 mesi, chiamava sia lui che John “papà”. In modo un po’ confusionario, certo, ma la sua incredibile intelligenza lo stava via via incuriosendo, finché anche lui se ne innamorò definitivamente. Amava suo figlio, magari non nel senso tradizionale del termine, con gesti plateali e voce da idiota annessa, ma lo amava. Non poteva fare altrimenti, era suo in tutto e per tutto. Era suo, ma se non fosse stato per John l’avrebbe fatto morire di una qualche strana malattia e, per di più, a stomaco vuoto. Sherlock non ci sapeva fare con tutto questo, ma John già si occupava di lui da tempo e occuparsi di Hamish non gli creava nessun fastidio, anzi, gli piaceva.
Certo, all’inizio non fu facile. Non avevano più tempo per i casi o per le loro notti da soli in casa che vivevano come fossero amanti in fuga presi dalla passione. Hamish per tanti aspetti riuscì anche a farsi odiare da Sherlock: attirava l’attenzione del suo John e faceva in modo di tenerlo occupato sempre così a lungo che Sherlock aveva persino iniziato a dormire, pur di ammazzare il tempo e per non mettersi a pensare sul serio all’eventualità di uccidere qualcuno – proprio come amava dire quell’insulsa di Sally Donovan quando parlava del suo genio e lo chiamava scherzo della natura.

Un forte rumore di gambe che correvano giù per le scale, lo distolse dai suoi pensieri e fece appena in tempo a riporre il violino nella sua custodia, che il piccolo Hamish gli si gettò letteralmente tra le braccia. Con un gesto automatico, Sherlock lo accolse abbracciandolo stretto e lo sollevò, guardandolo con fare interrogativo.
Hamish gli sorrise calorosamente e si accoccolò sul suo petto, scusandosi per avergli detto che lo odiava. Sherlock prese ad accarezzargli la schiena in risposta, e guardò con le sopracciglia aggrottate il suo John.
«Oh andiamo Sherl, togliti quell’espressione crucciata, per favore!» John lo fissò in tralice, con i piedi puntati per terra e le braccia incrociate sul petto.
«Di quale espressione stai parlando?»
«Di quella che ti fa avere la faccia a forma di punto interrogativo. Non c’è nessuna questione di importanza nazionale qui, o nessun cadavere nel salotto. Nessuna domanda intricata che aspetta una risposta, niente di tutto ciò. C’è solo tuo figlio in braccio a te, il che, per me, è molto più importante. Quindi, te ne prego Sherlock, togliti quell’espressione dalla faccia!» esplose il dottore, gettando le braccia in aria.
Sherlock lo guardò divertito e deliziato da quella sua sceneggiata. Hamish sollevò il capo verso di lui e gli sorrise complice e suo padre gli fece l’occhiolino «Batti il cinque!» disse. Il piccolo alzò la mano e la scontrò con quella del padre, e risero insieme.
John, a debita distanza, guardò la scena stupito, non capendo nulla di ciò che era appena successo.
«Ma…voi due…cosa…?»
Sherlock si chinò per far accomodare Hamish sul divano, mentre quest’ultimo disse «Ti abbiamo preso in giro, papà. Ci annoiavamo.» fece spallucce.
«Beh, John. Non solo ci annoiavamo, ma abbiamo colto l’occasione per farti raccontare di tua spontanea volontà tutta la storia. O quasi tutta.» ammiccò al compagno. John arrossì notevolmente, capendo i particolari a cui alludeva Sherlock, che gli dedicò uno di quei suoi sorrisi calorosi, uno di quelli che ti fanno sentire nudo. Con una risata nervosa e una mano tra i capelli si rivolse nuovamente ad Hamish «Piccola peste, hai iniziato presto a prenderti gioco della mente normale di tuo padre, eh?!»
«È stato interessante.» ammise raggiante.
Sherlock lo guardò con orgoglio, mentre gli poggiava la mano sulla testa come a complimentarsi per lo scherzo appena fatto all’ingenuo John e per l’utilizzo delle parole corrette.
John si sentiva il cuore pieno: c’era improvvisamente troppo calore in quella stanza, troppa bellezza. Aveva sempre voluto una vita del genere, ma se l’era sempre immaginata con una bellissima donna al suo fianco e tanti bambini che giocavano per casa. Dal momento in cui conobbe Sherlock, però, la sua vita cambiò drasticamente. Non riusciva ad immaginare di vivere lontano da lui, si trovava in una condizione di pura dipendenza. Era dipendente da Sherlock, lo era sempre stato. Quando, dopo la famosa riconciliazione, si rese finalmente conto di ciò che realmente aveva sempre provato nei suoi confronti, tutto divenne chiaro: amava Sherlock, lo voleva, più di ogni altra cosa.
Poi arrivò il matrimonio, Hamish … due piccoli miracoli che venivano direttamente dalla loro nuova consapevolezza. John si scosse dai suoi pensieri, e nonostante volesse fingersi arrabbiato con i suoi due uomini, si sciolse in un sorriso a trentadue denti, che contagiò i suoi occhi, increspandoli agli angoli esterni.
Sherlock in un momento gli fu accanto e lo strinse forte per la vita, guardandolo dritto in quegli occhi ridenti, l’espressione seria.
Il dottore per tutta risposta, gli strinse le braccia al collo e lo baciò delicatamente, mentre ascoltava divertito i mugolii di fastidio del piccolo Hamish che aveva entrambe le mani sugli occhi azzurri per coprire la vista da quella fusione perfettamente imperfetta dei suoi due papà.






_____________________

Angolo dell'autrice: okay, salve a chiunque abbia letto questa ... cosa D:
Non è il massimo, i know, e probabilmente sono finita nell' OOC but who cares? è da tantissimo tempo che avevo in testa di scrivere di Hamish e... beh, l'ho fatto. Ecco a voi il risultato. Spero non vi brucino gli occhi /sobs/ c.c 
Spero mi facciate sapere cosa ne pensate di questa allegra famigliola (?) a presto guys!



 
  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: alivinghope