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Autore: Drew Bieber    27/09/2013    0 recensioni
Jaydan è una ragazza di 16 anni. Lei è molto ricca e vive in una enorme villa ad Atlanta con i suoi fratelli Noah e Jake. I suoi genitori sono morti entrambi in un incidente aereo e quindi è lo zio a prendersi cura di loro. Ma nonostante tutto il destino la parta nelle parti povere della città dove conoscerà una nuova vita.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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È un mese ormai che esco di nascosto per andare da Justin. Inizialmente uscivo per conoscere il mondo fuori le porte di casa mia, ora esco solo per conoscere il suo di mondo. Lui è il mio migliore amico, gli dico tutto, tranne della mia vera identità, vorrei tanto dirglielo e sto iniziando a pensare di farlo. Sto andando di nuovo da lui, oggi dovrò dirglielo, ma quando lo vedo che mi sorride, mi faccio indietro, non voglio da quelle labbra esca un addio, quindi non dico nulla. Parliamo per po’ come al solito, lui capisce che c’è qualcosa che non va e cerca di capire. Cerco in tutti i modi di girarci intorno, ho paura di quella verità che gli ho tenuto nascosto. Appena prendo il giusto coraggio e mi escono le prime parole di un discorso che aveva preso possesso della mia mente, sfoggia un sorriso che annulla ogni mio pensiero, non voglio trasformare quel sorriso in uno sguardo freddo dalla delusione, aspetta un po’ e poi si ricorda di avere un impegno e se ne va dandoci appuntamento alle 7.00 lì, da lui. Lo vedo allontanarsi, mi sembra quasi che se ne stia andando per sempre, con un addio e mi scende qualche lacrima, le ore senza di lui mi sembrano inutili da contare perché mi sembrano una presa in giro, perché Justin non tornerà, non tornerà più. Faccio una passeggiata nei dintorni, ho un brutto presentimento, e riguarda Justin. Ritorno al parcheggio sono quasi le 7 e inizio ad avviarmi, più mi avvicino e più corro, vedo Justin che sta correndo inseguito da altri tre ragazzi, mi viene incontro mi afferra per un braccio e corro con lui, stanno per raggiungerci, mi dice di scappare, ma non lo faccio. Quei tre ragazzi si avventano su di noi, Justin cerca di proteggermi, ma riceve così tanti colpi che sta per cadere, allora lo difendo e non so come riesco a colpire molto forte due di quei ragazzi, così forte che cadono a terra stremati. Il terzo mi dà un pugno sulla faccia e sanguino, mi cade il cappello e i miei capelli mi scendono sulle spalle, Justin vede tutto, ma non ci penso molto, sferro un pugno nello stomaco di quel ragazzo e cade anche lui a terra. Vado verso Justin e senza fare caso al suo sguardo confuso lo aiuto ad alzarsi e lo porto in ospedale. Ora dorme e io sono fuori la sua camera, non ho idea se stia ancora dormendo o se è sveglio, vorrei entrare ma ho troppa paura, paura della sua reazione, paura di quello che farà, paura di quello che potrebbe dirmi. Poi però mi faccio coraggio e apro la porta e entro. Si è svegliato, lo vedo di spalle su un fianco, avanzo verso la finestra e guardo quello che sta guardando anche lui. Gli sono di spalle e non può vedermi bene, se non i miei lunghi capelli, che possono solo far capire la verità su di me, o meglio una metà della verità. Sento la sua voce: “allora, sei una ragazza”. Mi giro timidamente verso di lui appoggiandomi sul davanzale della finestra con lo sguardo basso, non ho il coraggio di guardarlo negli occhi e con un filo di voce gli rispondo: “ah … si …”. Dopo la mia risposta regna il silenzio, mi dà così fastidio, sembra che in quel momento non respiravo, l’aria era assente, perché anche la sua voce lo era. Non so come mi è venuta da dirgli una cosa così demenziale ma gli ho chiesto: “sei arrabbiato?”. Dio mi sentivo così stupida ad averglielo chiesto. “perché dovrei?”, non sapevo che rispondergli “perché ti ho mentito su chi sono davvero”, “avrai avuto sicuramente avuto le tue ragioni per tenermelo nascosto, certo mi dispiace perché pensavo che eri sincera con me, ma tu devi sentirti libera di fare quello che vuoi”, mi sentivo come una bambina che era appena stata rimproverata, ora mi sentivo in colpa, non ci posso credere, io gli ho mentito per tanto tempo e lui mi dice che devo sentirmi libera di fare quello che voglio. “io volevo dirtelo … ma avevo paura che poi … tu ti saresti arrabbiato”, “la paura limita tante cose”, “lo so di averti deluso e mi dispiace … mi dispiace davvero tanto … mi sento male … mi sento in colpa … ti giuro che alcune volte … … … alcune volte avrei voluto dirti tutto … avrei voluto dirti che ero una ragazza … che in realtà io ho una famiglia … ma da cui cerco sempre di scappare … che la sorella di cui ti avevo parlato ero io … ma avevo paura di perderti … perché … tu-tu … sei il primo vero amico che abbia mai avuto … e non volevo rimanere sola … non volevo perderti … scusami … ti-ti prego … scusami” la voce mi si spezzava continuamente, ad ogni parola piangevo sempre più forte, ormai ero fuori controllo, piangevo, piangevo e piangevo sempre più forte, sotto i suoi occhi. Mentre continuavo a piangere sentivo che mi stava abbracciando, mi stava asciugando le lacrime, mi stava consolando. “Non devi sentirti così, non mi importa, lo so che ti dispiace e non perché stai piangendo, ma perché lo si capisce da quello che hai detto, lo so che mi vuoi bene, me ne sono sempre accorto che a me ci tieni, e anch’io ti voglio bene, quindi ora smettila di piangere”. Non so se mi facevano sentire meglio le sue parole e il suo abbraccio, ma appena me lo disse, smisi di piangere. Mi teneva ancora stretta a se, ma il telefono interruppe quegli istanti che erano diventati i più belli di tutta la mia vita. Dovevo tornare a casa, era tardi, e anche se non volevo dovevo lasciare Justin da solo. Avevo ancora il segno dei pugni che mi sono procurata prima e non sapevo proprio come spiegarlo a Noah e Jake. Infatti, non me la cavai nel migliore dei modi, gli dissi che ero sbattuta per le scale, ma non se l’erano creduta molto. In ogni caso sono passata. Il giorno dopo era domenica e mi sono svegliata di ottimo umore, sono subito scesa in cucina e ho preparato dei biscotti. Ovviamente erano per un ragazzo che aveva bisogno che ora più che mai, aveva bisogno di attenzioni. Li misi tutti in una scatola e andai in ospedale. Justin si stava annoiando a morte e io avrei rimediato. Appena gli diedi quello che gli avevo portato mangiò tutto, a saperlo gliene avrei fatti di più. Restai lì per un po’ a parlare.
Justin: quindi ora come ti devo chiamare?
Io: che intendi dire?
Justin: tu hai detto che quando ho chiesto di tua sorella in realtà ti riferivi a te, e mi hai detto che ti chiami Angel, quindi devo chiamarti così?
Io: no, in realtà il mio nome è sempre Jaydan   
Justin: bene, almeno così non dovrò imparare altri nomi
Io: ahahahah, già è vero. Senti ma chi erano quei ragazzi? Quelli di ieri?
Justin: oh, nessuno, lascia perdere
Io: dai dimmelo
Justin: dei ragazzi che c’e l’avevano con me. E tu come hai fatto a mettere tutti e tre al tappeto
Io: beh, ho studiato varie arti di difesa, come karate, judo e box
Justin: allora devo stare attento a quello che dico o potresti uccidermi ahahahah
Io: si potrei ahahahah
Justin: perché fai tutto questo per me?
Io: che vuoi dire?
Justin: insomma, io e te non ci conosciamo da molto, eppure mi tatti come qualcuno di davvero importante per te, perché?
Io: perché ti voglio bene
Justin: lo so che mi vuoi bene, però io voglio sapere proprio il perché?
Io: beh, io, non ho mai avuto un amico vero, una persona di cui possa fidarmi e dire tutto, qualcuno che mi consoli, che mi consideri importante per lui, e vedi, tu, tu sei, l’unico amico che ho, certo ci conosciamo da poco è vero, però ti voglio bene, come tu ne vuoi a me
Justin: già è vero, anche tu sei la mia vera prima amica e ne sono molto felice
Ci guardammo negli occhi, e ci abbracciammo, sentivo che lui mi avrebbe resa felice, che mi sarebbe stato accanto, che mi avrebbe voluto bene. Con quell’abbraccio eravamo uno parte dell’altra. Justin: quindi ora come ti devo chiamare? Io: che intendi dire? Justin: tu hai detto che quando ho chiesto di tua sorella in realtà ti riferivi a te, e mi hai detto che ti chiami Angel, quindi devo chiamarti così? Io: no, in realtà il mio nome è sempre Jaydan Justin: bene, almeno così non dovrò imparare altri nomi Io: ahahahah, già è vero. Senti ma chi erano quei ragazzi? Quelli di ieri? Justin: oh, nessuno, lascia perdere Io: dai dimmelo Justin: dei ragazzi che c’e l’avevano con me. E tu come hai fatto a mettere tutti e tre al tappeto Io: beh, ho studiato varie arti di difesa, come karate, judo e box Justin: allora devo stare attento a quello che dico o potresti uccidermi ahahahah Io: si potrei ahahahah Justin: perché fai tutto questo per me? Io: che vuoi dire? Justin: insomma, io e te non ci conosciamo da molto, eppure mi tatti come qualcuno di davvero importante per te, perché? Io: perché ti voglio bene Justin: lo so che mi vuoi bene, però io voglio sapere proprio il perché? Io: beh, io, non ho mai avuto un amico vero, una persona di cui possa fidarmi e dire tutto, qualcuno che mi consoli, che mi consideri importante per lui, e vedi, tu, tu sei, l’unico amico che ho, certo ci conosciamo da poco è vero, però ti voglio bene, come tu ne vuoi a me Justin: già è vero, anche tu sei la mia vera prima amica e ne sono molto felice Ci guardammo negli occhi, e ci abbracciammo, sentivo che lui mi avrebbe resa felice, che mi sarebbe stato accanto, che mi avrebbe voluto bene. Con quell’abbraccio eravamo uno parte dell’altra.
  
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