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Autore: Carmilla Lilith    28/09/2013    3 recensioni
Ultime riflessioni della prima moglie di Vlad III di Valacchia, in procinto di togliersi la vita per non venire imprigionata dall'esercito ottomano.
Leggermente sovrannaturale nel finale.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Medioevo
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Signora del Fiume



La giovane donna cammina spedita, dirigendosi verso le mura di cinta del castello di Poenari.  Nella mano destra stringe con forza una freccia e nella sinistra un piccolo pezzo di pergamena, che tormenta nervosamente con le dita sottili.

I soldati osservano perplessi la loro Signora, incapaci di comprenderne l’affanno, ma non osano fermarla o domandarle alcunché. Benché l’apparenza della giovane sia fragile e delicata, infatti, ella è nota per la propria risolutezza e ostinazione: persino Vlad III di Valacchia, suo marito, sa quanto sia poco saggio affrontare la sua giovane moglie.
La fanciulla avanza, mentre la sua veste dorata ondeggia al vento. Sperava d’indossare il prezioso indumento per festeggiare il ritorno del marito nel loro castello, ma ciò non accadrà mai: l’hanno catturato.
Tutto è perduto, non v’è più alcuna speranza senza il Principe!
Le truppe ottomane stanno avanzando e, se ciò che il suo messaggero le ha comunicato è vero, domani giungeranno al castello. Come sperare di resistere all’assalto, senza la guida del suo amato Signore?
Certo, non oserebbero mai ucciderla, ma che cosa l’attenderebbe? La prigionia, il peggiore degli incubi, ecco che cosa.
No, non accadrà, non permetterà mai a nessuno di possederla e rinchiuderla. Nemmeno il Nero Principe, che tutti temono e venerano, osa definirla come una sua proprietà, egli sa che non è così: la Signora del Fiume lo ama e lo appoggia con tutte le proprie forze, ma non gli appartiene. Ella appartiene unicamente alla sua terra, all’ombroso bosco che si estende sotto il castello e al fiume che lo attraversa. Lì è nata e lì, ha deciso, vuole morire.
 
Finalmente giunta alle mura, la principessa scoppia in un pianto irrefrenabile. Mai avrebbe pensato di compiere un simile gesto, ma l’orgoglio che domina il suo animo non le permette alcuna scelta: troppa sarebbe l’umiliazione della prigionia e vana sarebbe l’attesa di un miracolo o di un soccorso.
Prende nuovamente tra le mani il messaggio, giunto grazie a quella freccia provvidenziale: sì, non si era ingannata! “L’Impalatore”, così chiamano suo marito, è stato imprigionato e le truppe ottomane giungeranno domani per piegare la resistenza della Valacchia. Ogni parola le strappa un singhiozzo e nuovamente gli occhi le si riempiono di lacrime.
 
L’orgogliosa dama vorrebbe credere che il suo dolore sia dovuto unicamente all’imminente perdita della sua terra e della sua vita, ma sa bene che non è così: ella piange anche la perdita del suo compagno, che aveva amato quanto la sua adorata Vallacchia.
Benché inizialmente fosse intimorita dalla scelta dei suoi genitori, voivoidi di un territorio confinante, di darla in sposa a Vlad Țepeș, ella si era ben presto ricreduta: già allora aveva visto ben oltre i suoi occhi scuri e alle sue crudeltà, riconoscendo quel bagliore dorato che talvolta illumina il suo sguardo di pece: era amore, uno sconfinato amore per la Transilvania.
Era stato necessario del tempo, ma l’uguale sentimento che provavano nei confronti della loro terra li aveva portati a innamorarsi l’uno dell’altra. Il voivoda era indubbiamente un uomo spietato e la principessa aveva compreso come si fosse guadagnato l’epiteto di “Impalatore”, dato che aveva assistito in sua compagnia alle feroci torture che aveva ordinato, eppure non riusciva a biasimarlo: talvolta sorrideva accanto al marito, osservando adultere e nemici perire tra atroci sofferenze.
Il popolo aveva preso a temerli entrambi, lo sapeva bene, ma non se ne curava più. Giorno dopo giorno era giunta a comprendere l’uomo che aveva al suo fianco e sapeva che senza di lui la Valacchia sarebbe stato dominio del sultano già da tempo.
 
Si siede sul bordo delle mura e lascia che l’aria fredda, che spira impietosa dalle montagne, giochi con i suoi lunghi capelli rossi. Guarda giù, avvertendo un sottile timore: la vasta foresta di conifere si estende al di sotto del castello e il vento le stava porta alle narici il leggero sentore del muschio e degli aghi di pino, così rassicurante e familiare! Cosa si proverà a non sentirlo più?
Il fiume non si vede, né si sente, ma lei sa che è laggiù, che scorre placido verso l’Argeş... sa bene che lo raggiungerà presto e tutto ciò le fa paura.
Osserva i lembi della sua veste dorata ondeggiare debolmente al vento, rapita dagli splendidi riflessi che gettano sulle mura della sua dimora: sembra passato così poco da quando il suo Signore ha insinuato le sue mani sotto il pregiato tessuto, così poco da quando l’ha presa, con i suo modi irruenti e passionali.
Ricorda le sue mani affondate nei capelli del voivoda, neri come la notte, mentre lui faceva danzare la sua bocca sul suo corpo candido. Sapeva bene che egli era rapito dal caldo colore dei suoi fulvi capelli, quindi accettava ben volentieri che l’assalto amoroso avvenisse alla luce delle candele, in modo che Vlad potesse godere della vista dei capelli di fiamma che risplendevano debolmente, muovendosi al ritmo delle spinte.
 
Trema debolmente, la giovane dama, e una mano corre ad accarezzarle i capelli rosso tiziano. Sospira, comprendendo finalmente il tormento del ricordo dei passati momenti felici in un presente d’angoscia e d’orrore. Attorciglia le ciocche intorno alle fragili dita, mentre lo sguardo prende nuovamente a vagare sopra la foresta.
La principessa si ritrova a domandarsi se proverà dolore, una volta toccato il suolo. Nel frattempo si alza, mantenendosi in equilibrio precario sul ciglio del precipizio.
Chiude gli occhi e prega, per un solo istante, che il suo amato sopravviva e che non si pieghi di fronte alla violenza dell’invasione ottomana, anche se sa bene quanto questo sia impossibile.
Il suo ultimo pensiero, prima di lasciarsi cadere nel vuoto, corre al suo unico rimpianto: non aver avuto un figlio, privando così suo marito di un erede per il suo casato e se stessa della possibilità di lasciare un segno del suo passaggio nel mondo.
 
***
 
Ciò che accadde dopo, è avvolto nella leggenda: molti dicono che la principessa morì nella caduta e che il suo cadavere venne sbranato dai lupi, altri dicono che ella svanì prima di toccare il suolo, tramutandosi in una nube dorata. Gli appassionati di vampiri dicono che si sia tramutata in una creatura delle tenebre, che infesta il castello di Promenai e si nutre prevalentemente del sangue delle giovani innamorate.
Eppure, onestamente, credo che io e gli alberi siamo gli unici a conoscere la verità: furono i forti rami delle conifere a salvare il corpo della nostra Signora dai danni della caduta e a depositarla, con gentilezza, nelle mie chiare acque.
Interruppi il mio corso, colpito dalla bellezza di quella chiara figura, e lasciai che il suo povero corpo galleggiasse brevemente: era già morta, il suo forte cuore aveva cessato di battere, sopraffatto dall’orrore della caduta nel vuoto.
Eppure sembrava che stesse dormendo, gli occhi chiusi e i rossi capelli scuriti dalle ombre gettate dai pini secolari. Solo la sua veste riluceva debolmente, illuminata dai rari raggi solari che si erano fatti largo tra le fronde.
La tenevo stretta a me, lasciandola risplendere per un’ultima volta in mezzo alle foglie delle ninfee. Riuscii ad impedire che affondasse soltanto per poco, poi l’accolsi nel mio letto e da allora veglio sul suo riposo.
Forse qualche essere umano conosce il mio segreto, dato che mi hanno rinominato Râul Doamnei, Fiume della Principessa, e ne vado silenziosamente fiero, mentre scorro silenzioso verso l’Argeş e veglio sulla mia Signora.
 
L’angolo dell’autrice
 
Salve creature! Eccomi di ritorno, dopo aver gloriosamente sconfitto gli ultimi esami ed essermi una goduta una meritata vacanza tardiva.
Vi lascio qualche noticina per meglio comprendere questo testo: il Râul Doamnei è un affluente sinistro del fiume Argeş (a sua volta affluente del Danubio). Nasce dalla confluenza dei fiumi Valea Rea e Zârna, a nord della città di Pitești.
Secondo un'antica leggenda locale la prima sposa del voivoda Vlad III di Valacchia morì suicida nel 1462 durante l'assedio del castello di Poenari. Infatti, dopo la cattura di Vlad III, un suo servitore inviò un messaggio con una freccia per informare la principessa che all'indomani le armate ottomane avrebbero invaso il castello. La moglie di Vlad, allora, si gettò dalla torre del castello nel fiume sottostante, preferendo la morte alla prigionia turca. In seguito il fiume fu ribattezzato col suo attuale nome in onore della principessa.
La mia protagonista è proprio la prima moglie di Vlad III, anche se l’idea dei suoi ultimi momenti è una rielaborazione molto personale.
Questo testo doveva partecipare è stato scritto per partecipare al contest “Arte, leggende e scrittura” indetto da _ovest_ sul forum di efp (http://freeforumzone.leonardo.it/d/10606338/-Originali-Arte-leggende-e-scrittura/discussione.aspx/1) ma non sono riuscita a rientrare nelle 2000 parole necessarie a partecipare, purtroppo.  I prompt a cui mi sono ispirata sono i colori oro, nero e rosso tiziano, la Romania come Paese (che strano, poi...) e l’immagine che trovate in cima al testo, della sublime Victoria Francés.
Qui (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2187692&i=1) trovate una poesia dal medesimo tema, consideratela la gemella di questo racconto.
A presto,
Carmilla Lilith.
   
 
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