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Autore: Tiger    28/03/2008    1 recensioni
tratto da un sogno, da cui mi sono svegliata con un senso di dolcezza incredibile, come quello che ti dà giocare con i bambini.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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amico


LUI era uno skater.

Portava i capelli corti, ribelli, sembravano neri. Non ti guardava quasi mai, e scivolava tra la gente come una piccola pozza d'olio. Vestito come tutti, la testa inclinata un po' di lato.

LUI dipingeva.

Quadri enormi con soggetti quasi umani, pennellate grosse, pesanti. Corpi di tempera e acrilico, talvolta vernice per i muri. Sagome stilizzate e sofferenti, la cui umanità si individuava appena.
Ci eravamo incontrati per caso, scappava - ancora - dalla sua famiglia in stile rococò. Non mi raccontò mai chiaramente il suo disagio, vidi forse un pomeriggio i suoi passare davanti al mio portone, uomini in cappotto e cappello, lungo la Galleria. Inseguitori di ombre. Non era un figlio. Aveva nello sguardo una consapevolezza troppo matura, disarmante, e quel linguaggio smozzicato da ricovero psichiatrico trasudava finitudine.

Regista di se stesso, vendeva ad un pubblico comune l'arte come video di skateboard dall'anima lenta, atmosfera cupa ma appena percepita. Non finivano mai, quei video. Si interrompevano, così, senza titoli di coda, senza musica. Operatori e tecnici entravano con lui nell'inquadratura, solo primi piani della tavola usurata.

Aveva fatto un'unica mostra, una personale. La critica si era sprecata in appellativi e citazioni fin eroiche. Dentro, le tele quasi si sovrapponevano, non uno spazio libero, non un quadro grande quanto il primo, tutti in fila, uno dopo l'altro, in ordine casuale di tempo, soggetto, colore.
L'aria era satura. Mi ci aveva portato il giorno dopo la chiusura, appena prima di smontare tutto. Le sale erano deserte, anche se noi, seduti lì in mezzo sul parquet lucido, potevamo ancora sentire il peso di tutti coloro che erano passati, la loro fisicità conservata nell'aria e fissata dall'essudato delle tele.

Una mattina, mi trovai con una busta chiusa in mano, aveva un timbro da notaio.
Uno strappo pulito del tagliacarte mi separava dalla partecipazione ad un testamento.
Era morto, n'importe pas pourquoi .

Mi aveva lasciato un quadro. Dipinto per LUI da suo fratello, in data.


Chi entra in casa mia nota un contrasto incredibile tra il divano e l'azzurro e bianco del quadro appeso là sopra. Vi chiedete come mai un accostamento tanto azzardato, e trovate il quadro magari anche brutto. Non avete mai chiesto ad alta voce. E io non ho mai risposto.
In fondo, è la firma di uno sconosciuto.
Ma è quello, il vero capolavoro del "nuovo Basquiat".


 

  
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