Fanfic su artisti musicali > Pink Floyd
Segui la storia  |       
Autore: EmilyPlay    28/09/2013    1 recensioni
"Sunday morning and I'm falling
I've got a feeling I don't want to know..."
The Velvet Underground, Sunday Morning
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Roger Waters
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il tragitto sull’87 non mi era mai sembrato così lungo. Non ci eravamo né visti né sentiti per quasi due mesi estivi ed ora non riuscivo a sopportare quei tre quarti d’ora di autobus che ci separavano.
Aveva chiesto di me. Non pensavo ad altro, se non che a volte mi assaliva la preoccupazione di ciò che poteva aver pensato quando aveva scoperto che stavo con un altro. Per assurdo proprio uscire con Sean mi aveva reso consapevole di quanto Roger fosse importante per me.
Mentre mi avviavo a piedi dalla fermata dell’autobus al suo appartamento, pensai a quanto stavo bene con lui, quanto mi piaceva stare ad ascoltare le sue canzoni che io sapevo essere così personali, come riuscivamo sempre a trovare argomenti di cui parlare animatamente, come scoprivamo di avere le stesse posizioni e opinioni, come sapeva essere dolce quando mi abbracciava…e quanto entrambi fossimo stupidi a non ammettere mai tutto ciò.
Mi ritrovai davanti alla sua porta senza neanche accorgermene e suonai il campanello, senza sapere chi mi sarei trovata davanti ad aprirmi. Roger cambiava inquilini molto spesso.
La porta si spalancò e due occhi grigi di ghiaccio mi fissarono. Con un sorrisetto sghembo il ragazzo mi chiese che cosa diavolo volessi.
“Cercavo Roger. Roger Waters”
“Judy!”
Il ragazzo dagli occhi di ghiaccio si scostò un poco per lasciare spazio ad un altro ragazzo dalla faccia simpatica.
“Ciao Judy! Come stai? Da quanto non ci vediamo?”
“Ciao Nick! Io sto bene, tu?”
Occhi-di-ghiaccio se ne tornò in casa senza una parola e Nick mi invitò ad entrare.
“Mi sono fermato qua a dormire stanotte”
Nick mi era sempre stato molto simpatico. Era un tipo socievole, pronto a scherzare in ogni momento. Era in classe con Roger al Poli e suonava la batteria nella sua stessa band.
“Vado a chiamare Roger, è ancora a letto” e sparì su per le scale.
Sentii Nick che cercava di svegliare Roger. Poi il suo tono si fece più sommesso e fu interrotto da un “fammi almeno andare a pisciare!”
Aspettai in quella stanza disastrata che era il salotto, guardandomi attorno. Riconobbi subito, in un angolo, la chitarra acustica di Roger, con la scritta “I believe to my soul”.
Subito dopo lo sciacquone del bagno, sentii dei passi sui gradini delle scale e senza avere il tempo di prepararmi mi ritrovai faccia a faccia con Roger Waters in maglietta e pantaloncini, in tutta la sua altezza, con i capelli arruffati un po’ più lunghi rispetto all’ultima volta che ci eravamo visti.
“Ciao”
“Ciao”
“Che c’è?”
Mi spiazzò. Lo stomaco si contorse.
“Ho saputo che sei tornato e sono venuta a salutarti”
Mi guardò fisso.
“Pensavo di vederti ieri sera”
Dritto al punto, come al solito.
“Mi dispiace che non ci siamo visti” sapevo reggere il suo sguardo.
“Hai passato una bella serata?”
Non demordeva.
“Non particolarmente”
“Neppure io”
Quella dannatissima espressione da io-capisco-bene-tutto, che non riuscivo ad odiare, ma che amavo perché apparteneva a lui.
“Volevo stare un po’ con te, Rog” ammisi tutto d’un fiato.
Non battè ciglio.
“Mi vesto e usciamo”
Con tranquillità, come se fosse una cosa normalissima.
Lo attesi per una decina di minuti sul divano, sfiorando di tanto in tanto la sua chitarra, piuttosto inconsapevolmente.
“Non fai colazione?” gli domandai, quando lo vidi dirigersi verso la porta, una volta sceso in jeans e giacca di pelle.
“Posso fare colazione fuori oggi, mamma?” mi rispose ridendo e uscì in strada. Lo seguii anch’io, incredibilmente rincuorata dalla sua risata.
Ci fermammo in un bar, dove io mi sedetti ad un tavolino mentre Roger ordinava la sua colazione al banco. Tornò con caffè e torta per sé e una tazza di tè per me.
“Offre Waters. Avrai già bevuto il tuo caffè stamattina e un altro non ti farebbe bene!” mi disse in tono scherzoso.
“Grazie”
Lo osservai zuccherare il caffè da sopra la mia tazza.
“Tutto a posto a casa? Come sta tua mamma?”
“Bene, grazie, tutto ok. Tu qui?”
“Tutto come al solito”
“E questo Sean?”
Portò la tazza alle labbra senza distogliere lo sguardo da me. Lo fissai a mia volta.
“É un noioso conservatore di merda pieno di sé”
Alzò un sopracciglio guardandomi divertito e io, invece, mi sentii avvampare, stupendomi della mia stessa franchezza. Dopo tutto non l’avevo ancora ammesso così chiaramente neppure a me stessa e bastava che mi trovassi sola con lui per…ciao ciao orgoglio.
“Bella scelta, allora”
Continuò tranquillo la sua colazione e io rimasi con le labbra attaccate alla tazza giusto per non essere costretta a trovare qualcosa da dire.
Dopo quella che mi parve un’eternità, Roger posò sul piattino la tazza vuota.
“Andiamo?”
Non aspettavo altro, per abbandonare quella situazione imbarazzante.
Ci mettemmo per strada avviandoci verso una meta imprecisata. Roger prese un pacchetto di sigarette dalla tasca della giacca.
“Vuoi?” mi chiese porgendomelo.
“Grazie, ma le ho anch’io”
Frugai nella borsa e trovai il mio pacchetto, ne estrassi una sigaretta, me la misi tra le labbra e rivolsi ancora l’attenzione alla borsa per trovare dei fiammiferi.
“Lascia, ce li ho io!”
Aveva già sfregato un fiammifero e quando si chinò su di me per accendermi la sigaretta, ebbi un fremito.
Camminammo per un po’, parlando del più e del meno, dei nostri studi, della sua band, delle mie opere, di politica, di musica. Non accennò più a Sean. Era bellissimo stare insieme a lui.
Quando ci avvicinammo a un parchetto gli proposi di entrare. Acconsentì.
C’erano solo dei bambini che giocavano, mentre i loro genitori chiacchieravano poco più in là, senza smettere di tenerli di d’occhio. Sembravano appena usciti da messa.
“Dan! Così ti sporchi! Non si gioca con la terra! Vieni qui immediatamente!” Una delle madri si alzò dalla panchina e si diresse minacciosa verso il gruppetto dei bambini, da cui si distaccò un bimbo di circa 5 anni sul cui viso si dipinse l’espressione tipica di chi teme di averla fatta grossa. Attirate dalle grida le altre madri rivolsero lo sguardo ai pargoli e subito un’altra di loro si mise a strillare: “John! Cosa diamine stai facendo? È pericoloso!” e afferrò per un braccio il figlio, che saltellava da una pietra all’altra.
Anche Roger aveva assistito alla scena e divertito, con un’altra sigaretta all’angolo della bocca su cui si disegnava un sorriso strafottente, si avvicinò ai bambini, che lo guardarono incuriositi e prese il posto di John saltellando sulle pietre. Scoppiai a ridere, mentre le madri proferivano espressioni di sdegno, portando via i figli che avevano iniziato ad incitare ammirati quello spilungone coraggioso.
“Bene, abbiamo liberato un po’ di spazio” fece, gettandosi sull’erba.
Mi sedetti al suo fianco e lui si sdraiò con le mani incrociate dietro la nuca.
Osservai il cielo, constatando che era una bella giornata e poi sentii il suo braccio cingermi le spalle.
Mi voltai e lo trovai seduto. Mi attirò a sé. Posai la testa sul suo petto ascoltando il suo respiro.
Lo amavo ed ero stata quasi due mesi senza vederlo né sentirlo. E lui non se ne era andato in capo al mondo, ma a Cambridge, a un’ora di strada da Londra. Entrambi fingevamo di non avere bisogno l’uno dell’altra.
“Mi sei mancata”
“Anche tu. Perché siamo così stupidi?” la mia voce si incrinò senza che potessi nasconderlo.
“Perché abbiamo troppa paura di dover dipendere da qualcuno, di deluderci, di fallire se prendiamo un impegno, di amare”
Alzai lo sguardo su di lui e sapevo che aveva ragione, così come sapevo che i suoi erano gli occhi più belli in assoluto. Non mi passò nemmeno per la testa in quel momento di paragonarlo a Sean, non pensai minimamente a Sean, il cui bell’aspetto era una sorta di copertina patinata, di facciata di cartone.
E quegli stessi occhi si chiusero, mentre le sue labbra si avvicinavano alle mie.

E baciarlo era ciò che di più bello al modo mi potesse capitare.

There's someone in my head...
Bè, è venuta fuori così. Se non si fosse capito: adoro Roger. Saluti! :)
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Pink Floyd / Vai alla pagina dell'autore: EmilyPlay