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Autore: charly    28/09/2013    5 recensioni
Umani e demoni sono due specie differenti con linguaggi differenti e a volte, purtroppo, qualcosa di importante viene interpretato in maniera errata. In un altro universo, un’altra Rin interpreta male le attenzioni del suo signore e il risultato è una tragedia.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rin, Sesshoumaru | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
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Note. Il titolo appartiene a una canzone dei Doors, i personaggi di InuYasha sono di Rumiko Takahashi.
ATTENZIONE. Il rating è dovuto alla menzione di una violenza e a un tentativo di suicidio e di infanticidio. AU e non prendo in considerazione le limitazioni di Tenseiga.
 
IL NOSTRO AMORE DIVENTA UNA PIRA FUNEBRE
 
Una ragazza correva nel bosco. Era notte ma la luna piena rendeva la fuga più facile, più semplice la sua ricattura. Ormai era già fuggita tre volte nell’ultimo mese e quando crollava esausta al suo risveglio lui era lì, seduto accanto a lei, così immobile e pallido da poter sembrare una statua di gesso. Si alzava senza staccare gli occhi gialli da quelli della ragazza e quando si allontanava lei lo seguiva. Non sembrava mai arrabbiato, solo irritato, forse considerava il suo comportamento infantile, a Rin sarebbe piaciuto essere ancora una bambina.
Non la puniva per le sue fughe, non credeva veramente che lei potesse fuggire. Rin odiava quella sensazione di disperata inutilità che la invadeva quando lui la trattava come una stupida bestia senza volontà, Rin odiava quando lui di notte la toccava, Rin odiava se stessa perché era umana e adulta: se fosse stata una youkai avrebbe avuto la forza fisica per respingerlo, se fosse stata ancora bambina… lui non l’aveva mai toccata quando era piccola.
Inciampò e cominciò a singhiozzare, le lacrime le scivolavano sulle guance arrossate dalla corsa. Lei lo aveva adorato da bambina, lo aveva amato come una figlia ama il padre e si era illusa che lui ricambiasse il sentimento. Ma quando era cresciuta le attenzioni del suo guardiano si erano fatte invadenti e lei aveva capito che la voleva come amante e non come figlia. Forse se lui l’avesse corteggiata o le avesse comunicato in qualche modo il suo interesse mutato, lei che lo adorava non si sarebbe negata. Ma il Signore dei Territori Occidentali non chiede, prende, e aveva preso Rin.
Si era sentita tradita e usata e da quel giorno aveva smesso di raccogliere fiori, danzare e cantare. Quando lui era vicino non parlava e si ritraeva se lui si avvicinava, terrorizzata all’idea che lui potesse interpretare un gesto o una parola sbagliata come un invito. Dopo le prime volte aveva imparato a stare zitta e ferma quando lui le stava sopra, per evitare che lui la graffiasse con gli artigli o che, come la prima volta, la mordesse per tenerla immobile. Fissava il cielo, oltre la sua spalla, e cercava di pensare ad altro. Ma pensare al passato, così felice e ignaro le faceva male, il presente era un incubo e il futuro senza speranza. Così aveva cominciato a scappare, più per esprimere il suo rifiuto a quella situazione che con l’effettiva speranza di riuscire a sottrarsi a lui. Lui la trovava sempre, l’avrebbe seguita ai confini del mondo e al di là della morte.
Questa volta, a differenza delle altre volte, aveva uno scopo e una meta precisa. Jaken le aveva sussurrato a pranzo che il suo odore era cambiato, che era incinta e Rin non voleva. Non voleva dentro di se un mezzo sangue bastardo che lui avrebbe odiato, non voleva la prova che lui, che un tempo aveva amato, l’aveva tradita.
Ansimando arrivò al laghetto da cui Jaken aveva pescato il suo pranzo. Questa volta gli sarebbe sfuggita. Se era riuscita a guadagnare abbastanza tempo, quando lui l’avrebbe trovata sarebbe già stato tardi. La sua anima sarebbe già stata portata via dai messaggeri dell’aldilà e la Tenseiga inutile. Entrò nell’acqua fredda avanzando finché non le arrivò alla gola. Disse un’ultima preghiera per la sua anima e per l’anima innocente di suo figlio e, esalato l’ultimo respiro, si immerse completamente.
Sesshomaru non era veramente preoccupato quando tornato al campo non trovò Rin. Era già successo. Jaken fissava il fuoco evitando di incrociare il suo sguardo, non approvava quell’unione ma sapeva stare zitto. Ovviamente non aveva neanche tentato di fermarla. Questa volta era diverso però, Rin era gravida e non poteva più permetterle simili comportamenti ribelli.
Quando l’aveva presa con se’ aveva saputo che sarebbe stato un errore. Non sarebbe per sempre rimasta piccola ma all’epoca era ancora convinto che lei lo avrebbe lasciato per trovarsi un compagno umano quando sarebbe venuto il momento. Lei però gli era rimasta vicino. L’aveva mandata spesso con Jaken in villaggi umani per procurarsi vestiti e altri accessori indispensabili per la sua razza, temendo e sperando che un giorno Jaken sarebbe tornato da solo. Quando aveva raggiunto un’età fertile era ormai chiaro che Rin voleva restare con lui e francamente lo youkai non se la sentiva più di allontanarla. Era rimasto incantato dalla bambina e aveva imparato a desiderare per se’ la donna. L’aveva corteggiata portandole la selvaggina migliore e pettinandole i capelli e lei non aveva mai rifiutato i suoi doni o le sue attenzioni. Era rimasto un po’ stupito alla sua reazione quando l’aveva presa ufficialmente come sua compagna, aveva sempre creduto che gli umani, a differenza degli youkai, non combattessero per la supremazia durante l’accoppiamento. L’aveva immobilizzata con zanne e artigli e aveva sentito l’odore della paura (pensava forse che l’avrebbe uccisa? Perché non aveva smesso di urlare?). Dopo un po’ di tempo si era accorto che qualcosa era inevitabilmente andato storto. Lei si ritraeva e sfuggiva ogni contatto con lui, aveva paura e aveva smesso di parlare, almeno in sua presenza. Il suo mutismo lo preoccupava, come lo preoccupava la vacuità del suo sguardo quando si accoppiavano. Era totalmente immobile. Se non lo voleva avrebbe dovuto ignorare i suoi doni e rifiutare le sue attenzioni prima, ormai era la sua compagna e lo sarebbe rimasta fino alla morte. Forse avrebbe dovuto prestare più attenzione a come suo padre si comportava con la cagna umana, forse adesso avrebbe capito cosa c’era che non andava, ma all’epoca l’idea che un giorno anche lui avrebbe preso in sposa un’umana non lo aveva mai attraversato.
Seguì con calma il suo odore nel bosco, lei non aveva neanche tentato di coprire le sue tracce. Questa abitudine alla fuga era per caso una prova a cui le femmine umane sottoponevano i loro compagni? Non ricordava che la madre di Inuyasha avesse mai fatto la stessa cosa. Sospirò esasperato tra se’, lei aveva pianto ancora, sperava che la gravidanza la calmasse un po’, non era mai stata così da piccola, sembrava davvero un’altra. Si accorse che stava per arrivare al lago che avevano superato quel giorno, magari lei aveva voluto fare un bagno.
Arrivò a lambire l’acqua con i piedi, le tracce si interrompevano lì e proseguivano in acqua. Non c’erano abiti, di lei nessun segno. Perlustrò il perimetro del laghetto ma non vi erano segni che la ragazza ne fosse uscita. Guardò con occhi sgranati la superficie placida delle acque: Rin era entrata e non era più uscita. Scrutò con frenesia il lago e poi lo vide, qualcosa di pallido tra lunghe alghe scure: una bianca mano tra capelli neri. Lei non respirava più quando la tirò fuori e la distese sulla riva, gli abiti appesantiti e scuriti dall’acqua appiccicati alla sua figura. Scostò con delicatezza i capelli bagnati dal viso bianco e immobile, freddo per la temperatura del laghetto e per la morte, un sorriso sul viso, odioso a Sesshomaru perché carico di pace*, prova innegabile che lei non aveva lottato per riemergere. Impugnò con mano tremante la Tenseiga, in quel momento non riusciva a far ordine nel mare tempestoso delle sue emozioni, un dolore senza nome gli contorceva le viscere e gli straziava il cuore, un dolore che non riuscì a cacciare neanche quando ebbe eliminato i messaggeri della morte, avendo la certezza che Rin sarebbe tornata in vita. Lasciò cadere la spada e prese in braccio la ragazza per proteggerla dalla frescura della notte, cullandola come fosse una bambina, come era stata solita fare sua madre per confortarlo, sussurrando il suo nome dolce e combattendo le lacrime: lei aveva tentato di lasciarlo nel peggiore dei modi possibili.
 
Cosa non aveva funzionato?
 
 
 
*Ispirato da “Forever”, lo trovate su fanfiction.net
  
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