Storie originali > Noir
Ricorda la storia  |      
Autore: ALEPH    28/03/2008    3 recensioni
Un vecchio cappotto di velluto nero, consunto dal tempo, gettato senza cura lì su una sedia appoggiata al muro. Macchie di bicchieri decoravano il tavolo di noce posto sotto la finestra… Buona lettura!
Genere: Mistero, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

                                                                                         

                                                                                       Sogno di un’ombra

 
Un vecchio cappotto di velluto nero, consunto dal tempo, gettato senza cura lì su una sedia appoggiata al muro. Macchie di bicchieri decoravano il tavolo di noce posto sotto la finestra…ne rimaneva solo uno, di bicchiere, ormai ingiallito da una qualche bevanda lasciata evaporare al calore della candela, ora spenta. Sulla polverosa scrivania si poggiava pesante un libro aperto, senza titolo e senza fine, che stava leggendo. Probabilmente data la sua situazione non lo avrebbe mai finito. Una scrittura incerta tempestava i tanti fogli sparsi intorno al libro; sembrava inutile e impossibile  leggerli: la calligrafia poco chiara e la soffusa luce me lo impedivano. Un brillante architetto di otto zampe aveva tappezzato con le sue opere filamentose gli angoli della stanza. Ne era quasi piena e il bagliore fioco della luna che traspariva dal piccolo lucernario ne faceva ammirare lo splendore della loro complessità…mi sono sempre chiesto come possano degli insetti, così piccoli e quasi insignificanti, costruire una struttura così perfetta che in natura non ha eguali. Il muro spoglio ormai aveva assorbito tutti gli odori della stanza; si poteva ancora sentire, se aguzzavi l’olfatto, l’acre odore di verde muffa misto a quello di nero fumo. Sul comodino era appoggiato un posacenere pieno di cicche consumate; sul bordo, in precario equilibrio, una sigaretta esalava l’ultimo respiro: la cenere indicava chiaramente che era stata sì accesa ma mai fumata. Né quadri né suppellettili ornavano la stanza; qualche chiodo e delle vecchie impronte ne indicavano la passata presenza. Dal soffitto pendeva un sol filo a cui era attaccata una lampadina. Provai ad accenderla, dato che il buio della notte non mi permetteva di notare su cosa camminavo. Premetti l’interruttore ma non avvenne nulla. Due erano le spiegazioni: o era rotta, o la padrona di casa aveva staccato l’elettricità, dato che lui non pagava più né l’affitto né le dovute spese. Gli aveva fatto credito per molti mesi: lo conosceva da tempo e non si sentiva di cacciarlo via. Sapeva che non aveva nessun altro posto dove stare e di amici nemmeno l’ombra. Era come un figlio per lei.

In fondo alla stanza, accanto alla porta, uno specchio opaco faceva trasparire la mia figura. Mi avvicinai per guardare meglio. Dalla finestra entrava, radente sul mio volto, una luce al neon blu. Erano giorni che non dormivo e i miei occhi spenti indicavano una certa stanchezza. La mancanza di un lavoro, i debiti accumulati e la necessità di trovare un posto economico dove poter riposare, mi avevano impedito di chiudere occhio. Ma ora questo posto sembrava l’ideale per acquietarmi. La signora sembrava gentile e disponibile a scendere a compromessi. L’avevo avvertita che non avrei potuto pagarla subito, al massimo tra un mese. Non appena l’agenzia avrebbe pubblicato il mio racconto avrei avuto i soldi necessari per pagare almeno tre mesi di affitto. Aveva accettato la mia proposta. Ed ora eccomi qui in questa stanza.

Di riflesso, dallo specchio, si vedeva, appoggiato al muro per due lati, accanto al comodino, il letto tipico delle stanze di chi vive da solo: un materasso non molto comodo, delle lenzuola, una volta bianche, e un guanciale senza fodera. Ma qualcosa aveva attirato la mia attenzione. Avvolto nella coperta e disposto di lungo sul letto, sembrava esserci qualcosa. Mi girai di scatto e, non senza qualche preoccupazione, mi avvicinai al letto. Con cautela iniziai a srotolare la coperta; la paura mi cresceva in corpo: com’è che non avevo notato fin’ora quel pesante fagotto? L’ombra della notte e i fumi dell’alcool mi aveva forse impedito di notarlo. Ancora pochi giri e avrei capito finalmente di cosa si trattava. L’impressione era quella di essere di fronte…no! Come era stata possibile una cosa del genere! Chi e come aveva potuto?

Un corpo rinsecchito dal tempo giaceva immobile, lungo, disteso su quello che sarebbe dovuto essere il mio giaciglio per quella notte e le altre a seguire. Cercai dei fiammiferi nelle mie tasche, ma non ne avevo. E’ vero! Avevo smesso di fumare da tempo! Cercai allora in lungo e in largo nella stanza; rovistai nel cappotto di velluto blu appoggiato sulla sedia e ne trovai un pacco ancora sigillato. Provai ad accenderne uno, ma il tremore delle mie mani mi tradì e lo ruppi. Riprovai col secondo. Si accese. Mi avvicinai lentamente al corpo. Il bagliore della fiamma mi fece notare la sua vecchia camicia bianca priva di bottoni. Salii lungo il corpo per vedere il suo volto, ma in quel momento la fiamma mi bruciò le dita. Ne accesi un terzo e stavolta andai diretto fino al volto. Un filo di barba cingeva il pallido mento; mi avvicinai ancora di più. Uno stupore misto a ribrezzo mi fece trasalire….quel volto! Come era possibile? E’ illogico e contro natura una cosa del genere! Quel volto bianco cadaverico era…era il mio! Cosa era successo in quella stanza e cosa stava succedendo in quell istante? Indietreggiai e non mi accorsi che dietro di me, appoggiata a terra, c’era una bottiglia di rum. La urtai, cadde e rotolò sul pavimento, spargendo quel poco di liquido alcolico che ne era rimasto all’interno. Stetti per un po’ lì ritto e immobile. Qualsiasi spiegazione mi sembrava assurda. Non riuscivo a pensare ad altro. Sono morto? Sono vivo? E’ un sogno o meglio un incubo!

Dalla porta si sentivano dei rumori che distolsero la mia attenzione dall’improbabile. Passi lenti e pesanti si avvicinavano alla stanza. Ecco un rumore di chiavi che gira nella serratura. Ruota il pomello della porta. Entra una persona bassa e tozza: la padrona di casa. Appoggia la mano al muro in cerca dell’interruttore. Lo trova e lo preme con decisione. Un rumore sordo e metallico risuona alle mie orecchie. Un lento ronzio precede l’illuminarsi della lampadina. Si fa dapprima fluorescente, poi un bagliore uniforme cade sulla stanza. Si sente un sospiro. “Mi sembrava di aver sentito un rumore quassù”, dice la vecchia signora. Quindi si avvicina all’unica finestra della stanza, apre le ante e fa entrare la luce del sole.

“Chissà perché nessuno mai viene a chiedere di prendere in affitto questa stanza”continua la vecchia. Resta pochi minuti nella stanza, il tempo di far cambiare aria, poi richiude le ante della finestra. Si avvia verso la porta; un’ultima occhiata alla stanza prima di chiudere dietro di sé la porta.

                                                                                                   

Ringrazio in anticipo tutti coloro che leggeranno e commenteranno questa shot, e un grazie particolare ad una persona senza la quale, avrei mai pubblicato questa storia: Sabrina(scricciolo91). Grazie!

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Noir / Vai alla pagina dell'autore: ALEPH