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Autore: Ephi    28/09/2013    4 recensioni
[Storia sospesa causa mancanza ispirazione.. AAAAH. Sigh.]
Ovvero: Come Annientare le Lagne degli Dei.

No no, non si può non tener conto di questa cosa. Com'è possibile che gli dei ne abbiano sempre una? E noi mezzosangue, scusate? Cioè.. rendiamoci conto! Imprese di qua, imprese di là.
E, infatti, una è toccata a me, che è già tanto se riesco a leggere un testo senza imprecare contro metà Olimpo. (ops)
Eppure, non riusciamo a dire di no, vero? Tutto purché la finiate di distruggere mezzo pianeta per ogni minima cosa che non vi sta bene. (sì, signor "zap-ti-fulmino", parlo principalmente a te!)
Genere: Comico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 4.
CAPITOLO 4.





Sedere al tuo tavolo era tutta un'altra cosa.
Immaginate di ritornare a casa dopo anni passati fuori, magari in un altro emisfero, causa studio universitario. Borsone in spalla, stessa scalinata da percorrere, con la stessa cassetta della posta fuori dalla stessa porta che varcavi ogni giorno per andare e tornare da scuola.
Immaginatelo bene, perché mi sono sentita proprio così.
Shila parlottava con Paige e Travis fuori dalla mensa e vedermi assieme al corteo dei figli del dio degli oracoli li fece sorridere soddisfatti. Insomma, sapevano quanto mi turbava questa storia del non essere riconosciuta. E nonostante da Ermes stessi divinamente, sapevo per certo non fosse il mio posto.
Ma comunque sia, adesso sedevo al tavolo con la mia vera e propria famiglia.
Michael, Lee e Hector stavano al bordo opposto al mio, ma il loro vociare li faceva sembrare esattamente accanto a me. Molti dei miei fratelli avevano storie totalmente diverse e alquanto strambe, rispetto alla mia, eppure mi trattavano come se avessimo condiviso da sempre la stanzetta accanto a quella dei nostri genitori, fino a che ognuno non avesse preso la propria strada.
Era meraviglioso.
A fine colazione avevo conosciuto tre quarti della casa e avevo preso una certa simpatia per due delle mie sorelle, Adele e Zoey.
Mi accampagnarono a fare il giro dei luoghi di cui i figli di Apollo avevano il compito di occuparsi. Avevo scoperto che l'infermeria era totalmente in mano nostra, così come il mantenere decenti le armi di tiro (arco e frecce e magari faretra, tanto perché non siamo megalomani).
Infine, mi indirizzarono alla nostra cabina: la numero sette.
Adesso, immaginate di nuovo. Un enorme, enorme blocco d'oro, completamente decorato e retto da colonne a capitelli dorici, ionici e corinzi. Ogni stile architettonico si trovava in perfetta sintonia con l'altro, come se ogni periodo artistico che ti colpisse di più si plasmasse a tuo piacimento.
Se non fossi stata figlia sua, avrei di sicuro dovuto indossare un paio di occhiali per non restare accecata da cotanto splendore.
Rimasi a fissarla qualche minuto imbambolata, finché un colpetto sulla mia spalla non mi fece rimettere i piedi per terra.
Mi voltai, poi gli sorrisi. - Ehi, Ruth. Ripreso dalla sconfitta? -
- Non ne parliamo - disse in fretta, ridendo. Ruth era un tipo apposto, mi andava a genio. - Piuttosto, mi è dispiaciuto non averti beccato prima, avrei potuto dirti del bracciale - aggiunse, facendo un cenno al mio braccio.
L'oggetto dorato era diventato, adesso, una piuma o parte integrande del mio stesso arto. Non lo sentivo più.
- Era un'arma di tuo padre, la prima per l'esattezza - continuò. Sembrava più entusiasta di me.
- Efesto aveva accennato a battaglie contro i Titani e gli Achei, penso di aver intuito quanto sia antico questo cosetto.. - affermai, alzandolo per specchiarmici.
- Beh, ti spetta di diritto, infondo, no? - mi sorrise - E spero di poterlo disintegrare alla prossima Caccia alla Bandiera -
- Ti piacerebbe, figlio della Cervellona -
Un tuono risuonò in lontananza. O forse una sottospecie di grido spastico di una qualche civetta.
Abbandonai Ruth per correre alla casa di Ermes il più in fretta possibile. Non avrei sopportato di ricevere, per ripicca, cacca di pennuti notturni sulla testa.


Okay, avevo traslocato. La cabina di Apollo era qualcosa di spettacolare non solo da fuori, ma credetemi se vi dico che a ogni angolo qualcosa scintillava come se dovesse ridurti la cornea a un filino e portarti alla cecità.
Così sarebbe stato per chiunque non avesse questa particolare protezione alla luce (sto parlando anche di me, già).
La cabina aveva quel non so cosa che mi ricordava un faro, la cui vista non lasciava escluso niente. Alle pareti, numerosi archi erano appesi, come se ogni arma dovesse davvero avere la benedizione di mio padre per poter avere un senso.
Mio padre.
Alcuni dei miei fratelli avevano conservato dei ritagli di giornale, fotografie o qualsaisi altra cosa avessero presupposto raffigurasse lui. Mi ero fermata a osservarli, uno a uno, e, cosa sconcertante, nessun volto era uguale all'altro.
In uno appariva come un bambino che aveva vinto il primo premio a uno di quei giochi che si fanno sulla sabbia, della serie "costruisci la migliore scultura di sabbia". E siccome era il dio delle arti, vi lascio immaginare (dietro di lui, la signora che gli stava dando il premio lo fissava sconvolta).
In un'altra aveva tanto l'aria di essere un fotografo fin troppo importante, sulla quarantina e non più di dieci anni. Giurai di averlo visto a una di quelle mostre che, a casa mia, fanno una volta ogni eclissi lunare (giuro). Non lui, ecco, ma quelle fotografie sì. Mi avevano colpito come solo un'opera perfetta riesce a fare. Niente di sfarzoso, finto o fuori luogo. Ogni scatto era la perfezione.
E fin qui, avevo comincianto a provare una profonda stima.
Andando avanti nelle fotografie e articoli di giornale, lo avevo visto fare da modello a una di quelle sfilate di alta moda con la stessa disinvoltura di qualcuno che sa di poter avere il controllo della sala intera. E ammetto che ne avesse tutte le ragioni (infondo sei anche il dio della bellezza maschile, no, paparino?)
Feci una smorfia, scorrendo senza darci troppo peso, poi qualcosa mi bloccò. Era la struttura di un ospedale, precisamente, la scritta diceva "Ospedale Pediatrico Morgan Stanley, New York". Un medico, sulla trentina, sorrideva all'obbiettivo, abbassato accanto ad un bambino che sorrideva anche più scintillante di lui. Strinsi forte il foglio.
Quell'uomo era mio padre.
Lessi in fretta l'articolo, captandone solo alcune parti: "Il dottor Helton ha restituito la vita al legittimo proprietario, Thomas Jefferson, attuando la sua nuova cura per la prima volta nella storia della medicina anti-tumorale." [...] "Il piccolo Thomas oggi è tornato a correre per le strade della sua città, giurando di ricevere la forza per credere di nuovo alla vita semplicemente guardando il sole ogni mattina, e che quello è un motivo più che sufficiente per continuare a sperare".
Deglutii rumorosamente, passando ad altri articoli simili. Dottor Helton, Dottor Jaymes, Dottor Takayama, Dottor Jones, Dottor Bandhura. Avrei potuto continuare per ore a elencare tutti gli interventi di mio padre nel campo della medicina. Non c'era continente, stato o regione del mondo in cui non avesse messo piede, almeno una volta, per rinfrescare la memoria e la speranza di possibilità a tutte quelle persone che, tra ricerche e studi, cercano soluzioni a quei mali che ti colpiscono, portandoti alla morte.
Mi ritrovai a sorridere. Non importava se apparisse come un uomo giovane, vecchio, saggio, solare. Era sempre lui, sempre attento, nonostante le voci della sua passione sfegatata al divertimento.
Ed era anche vero. Voglio dire, molti articoli affermavano di averlo visto a qualche party delle élites dei paesi più ricchi del pianeta o sopra un palco a far saltare la folla nel bel mezzo di un suo concerto.
Mio padre, era tutto questo. Era così tanto, che facevo fatica a credere che potessi essere davvero sua figlia.
Tutto questo mi aveva smosso dentro qualcosa per ciò che avrei voluto fare. E mi addormentai con questo pensiero.
Almeno, prima di sognare.


Mi trovavo in una casa dal sapore antico, davvero fuori dai miei canoni (non l'avrei mai arredata così, ma comunque).
Avanzavo lenta, forse perché l'enorme quantità di specchi appesi ai muri mi dava una certa ansia. Non sentivo voci, né rumori, né suoni, ma vedevo soltanto immagini di una figura riflessa ovunque. Sembrava stesse leggendo o comunque era china su qualcosa. Portava un paio di occhiali e sembrava uno di quegli scrittori stra convinti di loro stessi (presente Oscar Wilde o Gabriele D'Annunzio? I sexsymbol per eccellenza).
Afferrò un calice di vino rosso, facendolo roteare distrattamente sulla mano. non staccava gli occhi dal libro, a parte per specchiarsi di tanto in tanto e sorridersi dolcemente (sorridersi, esatto).
Non si accorse nemmeno della figura femminile che stava rassettando la stanza e attizzando di nuovo il fuoco nel camino.
- Serve altro, signore? - chiese, come se la sua voce venisse da lontano e sbattesse contro le pareti.
- No, mia cara - rispose lui, sempre con la stessa pochezza con cui dava retta al vino. - I miei gioielli sono al loro posto? -
- Certo, signore, come mi ha detto - confermò, sempre risultando lontana.
Lui le sorrise fintamente e lei si congedò. Era di una bellezza disarmante, perché non la degnava del dovuto sguardo?
Non feci in tempo a domandarmi altro che qualcuno mi scosse forte, facendomi svegliare di colpo.
E quel qualcuno era Kevin.


- Dove diamine sei stato?! - gli urlai addosso, scagliandoli il cuscino in faccia.
- Beeeh! - disse lui, abbassandosi in tempo (il cuscino colpì Hector, ma era ancora immerso nel mondo di Morfeo, nonostante le mie urla isteriche) - Calmati, Jenna! Ero in missione per conto di Tritone! Non è colpa mia! -
-Non ci sono scuse, caprone malandato! - urlai di nuovo, tirandogli qualsiasi cosa avessi a tiro.
- Ehi, ehi! - si abbassò lui - Devo parlarti, è una cosa seria! -
- Sentiamo, avanti, dimmi qualche altra scusa, sono pronta - dissi, afferrando una statuetta del dio del sole.
- Solo se poggi quella cosa d'oro di ventordici carati e ti fai un bel giro di rilassamento attorno al lago mentre ti ascolti -
Accettai. Non volevo mio padre mi maledisse per l'affronto al suo mezzobusto.
Camminammo per qualche centinaio di metri. Continuavo a non volergli parlare e sentivo che fosse seriamente dispiaciuto. Okay, va bene, ero troppo orgogliosa. Lo lasciai parlare a tutto spiano, mentre cercava di nascondere che fosse a disagio. Gli occhi verde foglia mi guardavano di tanto in tanto.
Quando finì, mi fermai sulla riva del lago e presi un sasso, facendogli fare qualche saltello sulla superficie.
- Quindi i fratelloni hanno litigato, mh? -
- Poseidone ha accusato Zeus di un furto...personale, sì -
Sembrava contento della mia domanda. Almeno aveva capito che volevo ancora parlare con lui.
- E che furto sarebbe? -
- Non lo sappiamo. Ho provato a contattare tutti i miei amici satiri, per sapere se nelle foreste, boschi o orti condominiali si sia visto qualcosa di diverso, ma niente. Tritone ha controllato i corsi d'acqua su richiesta di suo padre. Il dio degli oceani sembra davvero affranto.. -
- Doveva esserci parecchio affezionato, allora -
- Già, ma a quel che le divinità delle selve dicono, è un qualcosa che Zeus ha sembre bramato -
- Queste fonti sono certe? - chiesi, sempre più interessata.
- Tua zia è una fonte certa di sicuro, sebbene a noi maschi non dica praticamente niente di niente.. -
- Mia zia? -
Kevin annuì, diventando tutto gonfio e fiero, di pronunciare quel nome. - Artemide, dea della caccia e della luna -


Non avevo ben chiaro perché Kevin avesse scelto proprio me per parlare con Artemide (zia?). Sapevo fosse una divinità che aveva fatto foto di restare vergine e ripudiare il matrimonio, ma ero convinta fosse in qualche modo aperta al mondo, data la sua nomina di divinità nomade e cittadina del mondo.
Quella sera, aspettai che i miei fratelli rincasassero. Ma ovviamente Hector sembrò captare qualcosa.
- Non venite? - ci chiese Zoey a falò finito, una delle nostre sorella.
- Arriviamo subito - disse in fretta lui, mentre la spingeva dolcemente a rientrare - Il tempo di capire perché Jen sta facendo malamente quella che ha intenzione di farsi beccare fuori dalla sua cabina e procurarci chissà quale maledizione - concluse, dandomi un'occhiataccia.
- Ehm, ho da fare, Hector, per piacere, non farmi domande - dissi tutto d'un fiato. Mio fratello mi guardò esattamente nello stesso modo.
- Ha a che fare con l'idea che mi hai esposto stamattina? -
- No, no.. Non andrò di sicuro a esercitarmi all'infermeria alle undici e mezza di sera - dissi, ridendo.
Non ve l'ho detto, ma avevo deciso di diventare una guaritrice. Insomma, noi figli di Apollo sappiamo fare di tutto (vuoi mettere?), ma ognuno di noi prende una specializzazione in qualcosa. E vista la mia già super-vista (carina, questa!), avevo deciso di perfezionarmi in qualcosa che avesse potuto rendersi utile a tutti e non solo a me.
Ma comunque.
- Okay, okay, come ti pare, me ne vado a dormire -
- Te ne sono grata -
- Ma sappi che ti tengo d'occhio -
- Lo so benissimo -
- Buonanotte -
Il falò era completamente deserto. Mi sentii a disagio, mentre attendevo Kevin.
Il tacchettio dei suoi passi arrivò poco dopo. Si era messo tutto in tiro per l'udienza con la dea.
- Oh porco Tartaro, non ci posso credere.. - alzai l'occhio al cielo.
- Ehi, vacci piano con le imprecazioni. Là sotto ci sono mostri che non sono affatto simpatici, sai? -
- E non li voglio conoscere -
- Meglio così, credimi - disse lui, sistemandosi i ricci biondicci.
- Piantala Kevin, è una dea, non hai speranza -
- Non farmi sentire un minorato. Devo fare bella figura -
- Vai già bene così, guarda me come sono conciata.. - mi indicai eloquente.
- Effettivamente.. -
- Va' al Tartaro, capito? Tuffati di testa -
Mi voltai, offesa, e mi incamminai nella foresta.


I satiri avevano un altare dedicato a tutte le divinità devote alla natura. Era molto piccolo e semplice, ma brillava come l'argento, esposto alla luna. Il mazzo di fiori che avevo portato come offerta mi sembrava altamente ridicolo per una divinità, ma Kevin aveva giurato che Artemide preferiva altamente le cose essenziali più che i soliti rituali.
Li poggiai sulla pietra e mi sedetti a terra, cominciando un preghiera in greco antico. Non successe assolutamente nulla.
Kevin si sedette accanto a me, scattando ad ogni movimento del fogliame.
- E' solo vento, sta calmo e prega con me - dissi, stringendo di più le mani intrecciate.
A un certo punto, i raggi della luna sembrarono farsi più caldi e l'erba sembrò crescere a un tempo indefinito. Avvertivo i piccoli fili accarezzarmi le gambe, mentre concludevo l'ultima frase.
Davanti a me, una ragazza di circa la mia stessa età, armata di arco e frecce, accarezzava i petali dei fiori, ridandogli il loro naturale vigore. Era esattamente come nel mio sogno in quella foresta.
A guardarla in viso immaginai come potesse essere quello di Apollo (insomma, erano pur sempre gemelli, no?)
Kevin, al mio fianco, tornò in preda alla faringite.
- Divina Artemide.. - mi scappò, con un filo di voce.
La ragazza si voltò e mi sorrise dolcemente, afferrando tutto il mazzo su un braccio. - Jennifer, sono lieta di incontrarti -
- Come sa il.. Ah giusto, immagino sia un potere speciale dei suoi -
Artemide avanzò cauta e mi porse la mano. Non sapevo esattamente se prenderla o meno, ma lo feci. Mi sentii percorrere da un brivido: era fresca e profumava di muschio. Morbida come quest'ultimo e vellutata.
- Non ho potuto ignorare la tua chiamata, non si ignora mai la chiamata di una fanciulla. Non è vero, satiro? -
Kevin annuì, cercando di sbiascicare qualcosa con la sua faringite.
- So cosa vuoi chiedermi - aggiunse in fretta - E so che Tritone ne è immischiato, a causa di suo padre -
- Poseidone e Zeus sono divinità che hanno da sempre avuto motivo per discutere. Un motivo vale l'altro, tanto per capirci -
Lei azzardò una risata, cristallina, che riempì la piccola radura di brezza montana. - Lo so bene e per questo sto aiutando sia mio padre Zeus che Poseidone a cercare una soluzione. Ma quegli oggetti non si trovano. Da nessuna parte. Le mie Cacciatrici migliori sono sempre tornate a mani vuote e temo che ci sia una magia molto potente in mezzo a tutto questo -
- Cosa intende dire? -
- Intendo dire che questo furto potrebbe creare scompiglio nell'Olimpo non soltanto tra Zeus e Poseidone, bensì anche sui cosiddetti schieramenti. Siamo così infantili, a volte, noi divinità. Vecchi rancori, vecchie storie, ogni scusa è buona per tirarle fuori. Ma quando si tratta di divinità come Zeus e Poseidone non è il caso di prenderla alla leggera. Potrebbero scatenare una guerra anche per un non nulla - confessò Artemide, sforzandosi di non sembrare preoccupata.
- Divina Artemide, lei sa che cosa è stato rubato, vero? -
La dea annuì, pensierosa. - E' un qualcosa che conferisce a Poseidone il potere di mantenere le acque della loro naturale purezza, un qualcosa che è suo di diritto, di una bellezza estrema, anche anche di altrettanto potere. Se Poseidone non dovesse ritornare a possederle, il suo potere potrebbe cessare di esistere. E come ben sai, gli esseri viventi hanno bisogno di acqua per sopravviere -
Guardai la dea con lo stomaco contratto. Era davvero un brutto affare.
Dietro di me, Kevin scalpitò. - Mia signora, potreste pensare di affidare un'impresa a qualche eroe valoroso. Sono sicuro che anche i semidei del Campo non desiderano altro che l'equilibrio, specie sull'Olimpo.. -
Artemide spostò lo sguardo sul mio amico e un lampo le attraversò gli occhi argentati.
Sembrava non aver preso in considerazione quell'idea e la capico. Insomma, aveva uno stuolo di compagne con sé e sicuramente preparate a dovere. Eppure, non sembrava affatto dispiaciuta.
Percorse qualche passo, facendo spuntare qualche fiore candido ai suoi piedi, poi annuì, sempre più convinta.
- E sia, che i semidei abbiano il diritto di provare il loro valore - decretò. Poi mi poggiò una mano fresca sulla spalla - Mia cara, lascio a te il compito di portare a Chirone il mio messaggio. Abbiamo bisogno di voi per evitare una lite che potrebbe raggiungere un livello mondiale -
- Va bene, Artemide - annuii.
- Mio fratello ha proprio delle figlie volenterose - aggiunse, sistemando il suo arco d'avorio.
Un corno risuonò in lontananza.
- Il corno di Zoe, devo andare, le Cacciatrici mi chiamano - disse, allontanandosi.
- Ma Artemide non mi ha detto di che cosa si tratta! -
- Ogni cosa ha il suo tempo, Jennifer. Ci rivedremo presto -
La dea sorrise dolcemente e io chiusi gli occhi appena il tempo di vederla sparire nel suo raggio lunare. La radura tornò ferma, come se l'assenza del potere della dea l'avesse fatta riaddormentare.
Al mio fianco, Kevin sospirò sognante. E io ero diventata l'Ermione personale di mia zia.













weeeeilà!
allora, allora, allora.
sono particolarmente ispirata (non si vede?)
comunque sia, sono contenta di essere finalmente entrata nel succo della storia. cominciano ad avvenire cose più interessanti e ad essere citate divinità che spaccano (artemide, YEAH!)
sperando di ricordare tutti i dettagli, confido che voi captiate più indizi possibili.
mi costa studiarmi la mitologia greca, anche se ammetto sia una gran figata AHAHA
alla prossima u.u


Salve, qui è Dioniso che parla.

Siccome mi sento bellamente ignorato dalla suddetta Lennie, ho deciso di disertare le prossime chiusure finali.
Addio.
*Jennifer getta tutta la sua roba in dono agli dei* AVETE ASCOLTATO LE MIE PREGHIERE! SEEEEEH!
Ti piacerebbe.
fanculo, voglio stare con gli dei egizi. basta.




  
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