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Autore: Brida    28/09/2013    3 recensioni
One-shot che vuole approfondire un momento del passato di Hawke, Marian Hawke.
Una madre incinta, un lungo viaggio, una notte fredda e ventosa.
Eppure anche una grande scoperta, un'immensa felicità e la consapevolezza di avere una famiglia che le sarà sempre fianco, una famiglia da amare e per cui vivere, nonostante tutto.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hawke
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La campionessa dagli occhi blu ghiaccio'
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Immusonita cammino.
Papà mi prende per mano ma io continuo a tenere il broncio.

"Marian, piccola mia, non fare la capricciosa. È difficile per tutti, non pensi?".

Io lancio un'occhiata alla mamma che mi risponde con un sorriso ma capisco che è affaticata.
Lo so perchè dentro di sé porta il mio nuovo fratellino e ha una pancia grande grande.
Papà dice che sarà sicuramente un maschio e che io e lui diventeremo grandi amici.
Io non so cosa rispondergli ogni volta, solo non vedo l’ora che il fratellino nasca così la mamma sarà meno stanca.
Papà mi prende in braccio e io mi aggrappo a lui.

"Hai compiuto quattro anni tre mesi fa, vero?" mi chiede. Io annuisco.

"Quindi ormai sei abbastanza grande per non fare i capricci. Forza, togli quel musetto arrabbiato e fammi un bel sorriso" mi solletica la pancia e io rido mentre mamma dietro mi sorride ancora.

Partire però non mi piace, per nulla. Mi piaceva dove eravamo prima e c'erano dei bambini simpatici.

“Saremo sempre amiche, non è vero?” avevo chiesto solo qualche giorno prima ad un’altra bambina. E lei mi aveva sorriso e mi aveva risposto di sì.

Ora invece non l’avrei più rivista.
Odio cambiare casa, detesto partire.
E mi ricordo solo questo, da quando riesco a ricordare.
Mamma improvvisamente fa uno strano lamento, io tremo e ho paura.
Papà mi lascia andare e corre da lei.

"Leandra, come stai? Va tutto bene?"

Lei sorride "Sto bene, tranquillo. Non preoccuparti, devo solo riprendere fiato un attimo" si siede su una roccia vicina e papà la guarda triste.

"E’ tutta colpa mia" dice "Mi dispiace così tanto Leandra. Tu non sei nelle condizioni per camminare e io ho combinato tutto questo..." lei lo guarda, nello stesso modo in cui osserva me quando sono giù.

E la sua voce è dolce. "Malcolm non è colpa tua e io... Posso farcela benissimo"

"Mamma!" dico venendole vicino e sorridendole, voglio che sia allegra e felice.

Lei mi dà una carezza.

"Marian... Sei la bambina più forte che io abbia mai incontrato" mi dice e non sarà l'ultima volta che lei si rivolgerà a me con qualcosa di simile.

"Andiamo" annuncia mamma.

Entrambe diamo la mano a papà e con lui che ci sostiene non abbiamo paura di nulla.




Un forte vento.
Mi stringo forte la giacca che mi ha fatto mamma ma ho freddo molto freddo.

"Papà quanto manca?" ormai è buio e sono molto stanca.

Lui lo capisce al volo.

"Poco, pochissimo. C'è una locanda qui vicino, al caldo. Lì potremo riposare" io rabbrividisco mentre una sferzata gelida mi colpisce la schiena.

Allora le mani di papà diventano rosse. Lui si accovaccia e le avvicina al mio viso.
Sento finalmente caldo.

"Meglio?" io sorrido.

Lui rimane un po' così, poi si alza e mi fa segno di seguirlo.
Dobbiamo continuare a camminare.
Vedo che raggiunge mamma e fa qualcosa di simile anche con lei e mi chiedo perchè dobbiamo sempre scappare.
Papà dice che è per una cosa che lui ha in corpo, una cosa proibita.
Ma io non capisco bene, solo vorrei averle pure io le mani calde ora con cui sfiorarmi il volto.
Mentre penso questo mia mamma urla.
E si piega. Papà la sorregge.

"Leandra? Leandra? Stai bene? Amore mio..." io mi avvicino e ho tanta paura.

"Manca poco, dobbiamo arrivare... " dice lui.

"Malcolm sta per nascere... Non posso, non ci riesco..."

Vedo papà guardarsi intorno.

"Va bene, ci fermiamo" afferma sempre sorreggendo mia madre.

"Papà" indico alla nostra destra "Lì c'è una casa" urlo mentre il vento cerca di coprire la mia voce.

"Brava Marian, aiutami a portare la mamma" io mi affianco a loro e provo a sostenere mamma ma in realtà fa tutto papà.

Vedo che mamma è bagnata e non capisco. Voglio solo che lei stia bene.
Voglio solo che il fratellino stia bene.
Voglio che tutto finisca bene, stanotte.




La casa è fredda, vuota.
Mezza distrutta.
Il vento soffia anche dentro e io ho ascoltato papà anche se tremo e ho paura.
Sono ferma, zitta e seduta mentre papà è con mamma in un'altra stanza.
Sento lei urlare e piangere mentre papà prova a tranquillizzarla.
Prova ad aiutarla.
Io non piango ma ho davvero tanta, tanta paura.

"No, non farlo!! No!" sento mia mamma che urla e rabbrividisco mentre avverto i passi di mio padre.

Lui si avvicina a me. E’ sudato e stanco e i suoi occhi sono pieni di paura come  i miei.

“Marian, ascoltami è molto importante” si mette accovacciato davanti a me, mentre mia madre piange e urla, ma io ascolto solo lui.

“Devi correre, andare alla locanda che è poco distante. Basta che torni in strada e continui a seguirla. Lo so che è notte, è buio e fa freddo ma è molto importante che tu arrivi lì e chiami aiuto. Devi dire che tua mamma sta partorendo e che ha bisogno di aiuto, capito? Riesci a capirmi, piccola mia?” mi accarezza la testa e io cerco di ricordarmi tutto quello che mi ha detto.

“Devi essere coraggiosa e forte, devi farcela, capito? Io non posso far nascere tuo fratello da solo, la mamma ha bisogno di te, io ho bisogno di te”
Io annuisco.

Sono terrorizzata ma annuisco a mio padre e mi metto in piedi.

“Aspetta un secondo” dice lui prima che io esca. Lo vedo concentrarsi e creare una palla di luce che mi dà in mano.

E’ come fatta di vetro, fragile e delicata, ma illumina.

“La luce ti aiuterà a trovare la strada. Tu torna indietro, da dove siamo venuti, e continua fino a quando vedi una piccola casa. Entra lì dentro e chiedi aiuto. Ti sto chiedendo moltissimo Marian, lo so, ma non posso abbandonare la mamma, devi farcela da sola”.

“Va bene papà” rispondo io, ma la mia voce trema, come pure il mio animo.

Lui mi bacia la fronte e mi stringe un attimo a sé. “Vai, corri, fra non molto sarà tutto finito, tutto sarà a posto. Te lo prometto”.

“No, Marian, non andare, non da sola, non andare!!” sento mia mamma che urla, ma non l’ascolto.

Papà ha ragione, lei ha bisogno d’aiuto.
Comincio a correre e ho paura.
Le ombre scure mi circondano, sono sola e solamente questa palla di luce mi permette di vedere.
Ho paura di perdermi, ho paura di non arrivare in tempo. Ho paura di ogni cosa.
Rallento un attimo accorgendomi di non aver ancora raggiunto la via, com’è possibile?
Sto sbagliando qualcosa?
Ho il fiatone e tutto è scuro intorno a me.
Vorrei solo papà fosse qui, vorrei solo essere al sicuro tra le sue braccia.
Provo a camminare in una direzione ma vedo solo alberi e erba.
E poi improvvisamente accade, inciampo. In una radice.
La luce si rompe e io non so più dove sono, non so più nulla. Avverto il vento, i rumori degli animali, ma più cammino più tutto mi pare confuso e ho paura.
Terrorizzata mi blocco e comincio a piangere mentre mi sembra di vivere un incubo.
Un terribile incubo.
Mamma e papà sono lontani e io non potrò aiutarli, non potrò più fare nulla, tranne che rimanere qui per sempre, sola, circondata da ombre scure.

“Mamma, papà!!” chiamo impaurita ma nessuno mi risponde, solo il vento gelido soffia e soffia ancora.

“Papà, papà!” insisto, ma è tutto inutile, non mi troverà mai, nessuno lo farà.

Continuo a piangere a dirotto per qualche tempo, con le ginocchia strette al petto, seduta per terra e sconfitta.
Piango come se non avessi più nulla, come se avessi perso tutto.
E dentro mi sale una strana tristezza, una rabbia che quasi non conosco.
Singhiozzo sempre più forte e improvvisamente grido con tutta la mia voce, che non sembra più nemmeno quella di una bambina.

Urlo “Basta!!” e qualcosa accade, molte cose accadono.

Un’immensa forza si libera dal mio corpo, gli alberi che ho vicino cadono facendo un frastuono enorme e cominciano a bruciare.
Non ho mai visto nulla di simile ma improvvisamente noto che le mie mani sono strane.
Sono come ghiacciate, ma dentro questo ghiaccio una luce blu illumina i miei piedi e tutto intorno a me.
Non sento più freddo e il vento sembra bloccarsi quando tenta di raggiungermi.
Ma a me non importa. Smetto di piangere e comincio a correre, riuscendo a vedere dove sia la strada
La raggiungo velocemente mentre le mie mani di ghiaccio continuano ad illuminare davanti a me. Mi muovo e corro finché non trovo una casa a lato della via.
Entro e tra le lacrime e la paura urlo a tutti di aiutarmi. Urlo che mia mamma sta avendo mio fratello e ha bisogno d’aiuto.
Tutti mi ascoltano, qualcuno guarda le mie mani, ma nessuno si fa troppe domande e alla fine mi seguono, fino a dove ho lasciato mamma e papà.
Io entro nella capanna mezza distrutta e sento ancora la voce di mamma che urla. Mi siedo terrorizzata stringendo a me le mani ghiacciate piene di luce.
Molte donne e qualche uomo si precipitano ad aiutare papà e io rimango lì col cuore che mi batte a mille.
Voglio solo che ogni cosa finisca bene, voglio solo che il mio fratellino nasca e mia mamma stia bene.
Una strana stanchezza comincia ad entrarmi in corpo appena mi siedo.
Vedo il ghiaccio sciogliersi, la luce diventare sempre più tenue e i miei occhi chiudersi intanto piano piano.

In un attimo mi addormento e l’ultimo ricordo che ho è papà che urla felice “Sono due!”.
 
 
 

“Ehi sveglia, sveglia Marian” sento la voce di papà e avverto le sue carezze sul mio viso. Ha le mani tiepide, come sempre.

Apro gli occhi e lo vedo sorridermi. Non è più notte ormai, fa meno freddo e il sole è già sorto.

“Papà!” mi stringo a lui fortissimo e lui ricambia. Tutte le paure della sera prima scompaiono in un secondo, in quel dolce abbraccio.

“Dov’è la mamma?” gli chiedo poi.

“Sono qui” mia mamma mi chiama. Io alzo il viso e la vedo: ha in braccio un bambino.

Mi avvicino a lei di corsa, sono stanca ma sono felice, anche lei sembra stare meglio.

“Lui è tuo fratello, Carver” annuncia lanciando uno sguardo pieno d’amore a mio papà.

“Marian l’ha deciso tua madre come nome, ti ha voluta chiamare come tua nonna. E io ho scelto Carver invece” si avvicina alla mamma e le accarezza i capelli.
Che bello un fratellino.

L’osservo per un po’ curiosa e ora che lo vedo bene sono sicura gli vorrò tanto bene, gli starò vicino sempre e giocherò con lui. Non sarò più sola.
Poi però qualcosa accade, sento un pianto provenire dall’altra stanza della capanna in rovina.

“Vado io” dice papà e lo vedo scomparire per un attimo.

Io guardo mamma in silenzio e lei mi sorride. Papà poi torna e ha in braccio un altro bambino!

“Hai visto Marian? Questa è la tua sorellina” mi annuncia e io la osservo emozionata.

Un bambino me lo immaginavo, ma due no!
Mi avvicino per osservarla meglio. E’ così piccola tra le braccia di papà.

“Sai, io e tuo padre abbiamo deciso che se vuoi, puoi decidere tu il suo nome. Ieri sei stata di grande aiuto ad entrambi e te lo meriti. Che dici?”

“Davvero posso mamma?” domando mentre gli occhi mi brillano di felicità.

“Certamente piccola mia” conferma mio padre, dandomi una carezza sulla testa mentre ancora tiene la neonata tra le sue braccia.

Io alzo gli occhi di nuovo verso di lei.

“Nel villaggio in cui eravamo prima c’era una bambina... Era molto simpatica e si chiamava Bethany. Posso chiamarla così?” la stessa bambina che mi aveva sorriso e che era diventata mia amica.

“Bethany, mi sembra proprio un bel nome” conclude mamma, mio padre le cinge la vita con un braccio, e io guardo colma di gioia la mia famiglia.

Ora ho un fratellino e una sorellina con cui giocare e passare il tempo. Non sarò mai più sola.
Sorrido e sono felice siano entrambi al mondo. Sono felice tutto sia andato per il meglio.

“Forza, dobbiamo partire. Ci fermeremo solo un attimo alla locanda per ringraziare tutti per il loro aiuto” afferma papà.

Annuisco e mi precipito fuori per prima. Il cielo si è ingrigito e l’aria è molto umida, ma non soffia più il vento.
Corro ridendo verso la strada, quella stessa strada che la notte prima mi pareva spaventosa e piena di ombre e che ora invece sembra così diversa.
Mamma e papà mi raggiungono. Due fasce legate al loro collo sostengono i miei due fratellini e tutti noi siamo ormai pronti per andare avanti, per cercare una nuova casa.
Siamo pronti per essere una famiglia.
 
 
 

“Che è successo? Perché questi alberi sono tutti bruciati?” mia mamma chiede guardando lo spiazzo dove mi ero messa a piangere la notte prima.

Anche papà osserva la terra annerita e gli alberi secchi più che confuso.

“Sarà stato un fulmine? Ma ieri non c’era il temporale. Un incendio forse?” continua a domandarsi mamma.

Io sorrido “Sono stata io!” e saltello allegra in mezzo ai resti affumicati della foresta.

Mamma e papà si lanciano una strana occhiata e io continuo a sorridere.

“Sono stata io!” dico ancora e non ho paura di ammetterlo, non ho paura di quello che ho fatto.
Perché è così che ho aiutato mamma e Carver e Bethany.
Sono felice.

Quando arriviamo alla locanda mio padre si ferma a parlare con altri uomini. Le persone lì dentro mi guardano un po’ strano.
Io mi avvicino a Bethany che papà ha lasciato un attimo su una panca, avvolta in vari panni, al mio fianco.
La guardo attentamente e ad un certo punto avvicino un mio dito ad una sua manina.
Un piccola saetta si scarica tra di loro.
Sorrido.

“Non temere Beth” le sussurro “Non lo dirò a nessuno, sarà il nostro piccolo segreto”.
 
 
 
 
Mesi e anni passeranno prima che io davvero capisca cosa sia quella saetta, quegli alberi che bruciano.
Imparo in fretta a darle un nome, magia, imparo in fretta a darmi un nome, maga.
Ma cosa davvero significa avere certi poteri? Cosa davvero significa possedere questa magia?
Difficile a dirsi, forse non riuscirò mai a comprenderlo davvero.
Ma una cosa so per certa, mentre cresco e cambio.
Quel giorno in cui usai per la prima volta la mia magia ero felice.
E quella felicità non me la potrà portare via mai nessuno.
Quella felicità appartiene a me soltanto.
Per ricordarmi che essere una maga non è una maledizione, non è un terribile errore.
E’ ciò che ha permesso ai miei fratelli di nascere, a mia madre di stare bene e a me di sorridere, quella mattina grigia.

La prima mattina di Carver e Bethany.

 
 



 
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L'avevo detto che mi stavo affezionando ad Hawke ed eccomi buttata a capofitto a scrivere one-shot su di lei e sul suo passato. :) 
Avevo già pensato da molto tempo a questi piccoli momenti che costellano l'infanzia e la giovinezza di Hawke e mi è venuta voglia solo ora di metterli per iscritto. Adoro la famiglia Hawke, adoro proprio il concetto stesso che Hawke e la sua vita, a differenza di quella del Custode, ruotino in un certo senso intorno alla sua famiglia e alle questioni familiari. Quindi ecco qui, la nascita di Beth e Carver, durante la quale una piccolissima Marian riesce a scoprire la propria magia e, dunque, a tirare fuori una parte di sé molto importante. 
Le stesse circostanze che la portano a questa scoperta non le permetteranno mai di considerarsi un errore, di vedere la magia come qualcosa di sbagliato, e anche questo è un tratto caratteristico della mia Marian, che certamente ha svariate conseguenze anche dal momento in DA2 si ha a che fare più volte con i maghi e i loro problemi. 


Spero abbiate apprezzato. :) Un saluto! 



Brida
 
 
 
 

 
  
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