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Autore: Sammy_    28/09/2013    2 recensioni
MOMENTANEAMENTE SOSPESA
Grace Ellis è una sedicenne qualunque che affronta i problemi di tutti i giorni: una madre stressata, un patrigno troppo giovane, un padre quasi del tutto assente, una migliore amica esageratamente perfetta, la scuola, l’ochetta di turno che si diverte a perseguitarla … per fortuna ha il suo adorato lavoro al Bohemian Records, insieme all’eccentrico Malcom e gli incorreggibili Dean e Beth.
Poi un giorno arriva lui, Josh Levonne, dal sorriso irresistibile.
La bacia. La confonde. Le dice che sono soltanto amici.
Grace riuscirà a tenergli testa?
*
«“Un uomo può essere felice con qualunque donna a patto che non ne sia innamorato”» citò «e se lo dice anche Wilde allora mi fido»
Per un attimo rimasi senza parole. Essere scaricata con un aforisma di Oscar Wilde faceva un certo effetto. Ma stavolta Josh non poteva averla vinta.
«Certo, a quei tempi si usava sposarsi per convenienza. Qualsiasi coinvolgimento amoroso avrebbe solo complicato le cose » obbiettai fingendomi impassibile «perché l’amore è pazzia, è sofferenza, è mettere qualcun altro al primo posto anche a costo di sacrificare la propria felicità. Ecco quello che ho fatto per te Josh: ho reso me stessa infelice pur di continuare a vederti sorridere»
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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TEENAGE DIRTBAG

 
“But he doesn’t know who I am
and he doesn’t give a damn about me”
TEENAGE DIRTBAG – WHEATUS
 
CAPITOLO 1 – Listen to Iron Maiden
 
Infilai le chiavi nella serratura e solo dopo aver dato uno strattone deciso  riuscii ad aprire la porta difettosa che Malcom ancora non aveva fatto riparare.
Nel negozio c’era odore di muffa. Mi ero raccomandata più volte di aprire le finestre ogni tanto, anche durante il periodo di chiusura, ma era evidente che nessuno avesse seguito il mio consiglio.
Alzai tutte le serrande per lasciare entrare un po’ di luce. Il Bohemian Records era rimasto tale e quale a come l’avevo lasciato, un piccolo negozio di dischi situato a Camden Town che da due anni a questa parte era diventato per me come una seconda casa. O forse la mia unica  casa dato che in quella vera ormai era impossibile avere qualche minuto di tranquillità tra i pianti disperati del piccolo Dylan e le crisi isteriche di mia madre.
Al Bohemian Records avevamo di tutto. Le dimensioni non contavano poiché i nostri clienti riuscivano sempre a trovare ciò che cercavano.
Sul bancone trovai due scatoloni pieni con i nuovi arrivi che cominciai subito a riporre negli appositi scaffali in ordine alfabetico.
Tra le mie mani avevo tutte le ultime novità del mondo musicale, Cd delle grandi pop star del momento. Il mio reparto preferito però era sempre stato quello dei dischi in vinile, quelli dei gruppi rock che avevano fatto la storia della musica. Della vera musica come avrebbe detto mio padre.
La stanza principale del Bohemian Records era di forma quadrata, due pareti di mattoncini rossi e altre due dipinte di bianco. Il pavimento era di legno ma coperto da un sottile strato di moquette verde muschio. Dietro al bancone della cassa erano appesi i poster delle band preferite da Malcom, proprietario del negozio e mio carissimo amico, ovvero i Ramones, i Clash e i Led Zeppelin, poi c’era il mio angolino con la foto di un Mick Jagger agli esordi e una dei Beatles durante il concerto di Londra nel 1964.
Stavo finendo di riordinare tutti i Cd che iniziavano con la lettera “p” quando qualcuno aprì la porta del negozio facendo tintinnare il campanello.
« Grace? Sei tu? » riconobbi subito la voce roca di Malcom e zigzagai tra i vari scaffali per raggiungerlo.
Lo trovai poggiato al bancone con una caffè Starbucks tra le mani. La barba incolta, gli occhi verdi cerchiati da profonde occhiaie violacee, i capelli scompigliati. Indossava una canottiera sdrucita che metteva in bella mostra i tatuaggi colorati sulle braccia, un paio di jeans a sigaretta con il risvolto e delle vecchie Vans rosse ormai scolorite.
« Hai un aspetto orribile » gli feci notare « da quanto tempo non ti  fai una bella dormita? »
« Buongiorno anche a te signorina Ellis, io sto bene grazie e tu? » scherzò lui allungando una mano per scompigliarmi i capelli già abbastanza spettinati.
« Sono arrivata mezz’ora fa e praticamente ho già finito di sistemare i nuovi arrivi » dissi con una punta d’orgoglio.
Amavo il mio lavoro. Ero l’unica dipendente a frequentare ancora il liceo. Non mi aspettavo una bacio sulla fronte e tante lodi ogni volta che portavo a termine un compito, per me era un piacere, ma Malcom spesso mi faceva sgobbare come una schiava egiziana senza mai darmi alcun credito.
« Brava piccola Grace » mi scompigliò nuovamente i capelli facendomi sbuffare « ma tutti gli altri dove sono? »
« Ho scambiato il mio turno con Dean dato che la scuola non è ancora cominciata e posso venire anche di mattina. Lui inizia dopo pranzo. Beth invece non l’ho sentita »
« Oh, mi pare di averla vista al pub ieri sera … si sarà presa un’altra delle sue sbornie colossali! » Malcom sorrise perso nei suoi ricordi.
Circolavano varie leggende su Beth e le sue folli serate da ubriaca. Non avevo mai assistito  ma da quello che mi raccontavano non doveva essere un bello spettacolo.
« Comunque in questo periodo non viene quasi nessuno » dissi mentre tornavo a lavorare tra gli scaffali, alzando appena la voce affinché Malcom mi sentisse « quindi per me non è un problema lavorare da sola »
Lui non rispose. Probabilmente si era accasciato con la testa sul bancone per schiacciare un sonnellino. Se c’era una cosa che avevo imparato subito di Malcom, era che riusciva ad addormentarsi ovunque e nei momenti più impensabili.
I primi tempi pensavo soffrisse di narcolessia e invece era semplicemente la persona più pigra che esistesse sulla faccia della terra.
 
Il resto della mattinata trascorse lentamente senza che accadesse nulla di esaltante. Il nostro unico cliente fu un uomo sulla cinquantina che, preso da un’improvvisa nostalgia, era venuto per comprare un Cd degli Smiths perché proprio durante un loro concerto aveva conosciuto la moglie. Ci raccontò che da tre mesi l’aveva lasciato.
La cosa bella dell’avere un piccolo negozio, era che si poteva socializzare molto più facilmente. Solitamente avevamo una clientela fissa ma quando qualcuno si imbatteva nel Bohemian Records per la prima volta se ne innamorava e potevi star pur certo che sarebbe tornato spesso.
Verso l’ora di pranzo mangiai un panino al volo. Malcom mi diede il permesso di tornare a casa con un quarto d’ora di anticipo, non che fossi impaziente di farlo ma dovevo ancora finire di leggere un paio di libri per le vacanze e scrivere la tesina su Dorian Gray.
Presi la metro in direzione del borgo londinese di Harrow, dove vivevo e andavo a scuola, ascoltando musica dall’iPod e scribacchiando alcuni appunti ai lati delle pagine di Grandi Speranze.
Durante l’estate la nostra professoressa ci aveva dato da leggere le opere di tutti i più grandi autori inglesi, Wilde e Dickens erano i suoi preferiti.
Con i compiti ero rimasta un po’ indietro ma per fortuna avevo ancora una settimana prima che la scuola ricominciasse. Certo, studiare a casa mia non era il massimo …
Esattamente come mi aspettavo, già mentre percorrevo il viale d’entrata in giardino sentii le urla del piccolo Dylan.
Aveva solo undici mesi e tecnicamente era il mio fratellastro. Un anno prima infatti, cinque anni dopo il divorzio da mio padre, mia madre aveva sposato Damien, un uomo più giovane di lei di quindici anni.
Volevo bene sia a lui che a Dylan, erano la mia famiglia dopotutto, ma dovevo ammettere che entrando nella nostra vita avevano portato un bel po’ di scompiglio.
Quanto a mio padre … lo vedevo raramente. Viveva dall’altra parte della città ma a sentir lui era come se a dividerci ci fosse un oceano intero. Mi chiamava quasi tutti i giorni e non potevo dire che se ne fregasse completamente di me ma neanche che fosse un genitore particolarmente attento.
« Sono tornata! » annunciai richiudendomi alle spalle la porta d’ingresso.
Damien lavorava come architetto. Aveva un discreto talento e il suo stipendio era buono, grazie a lui ci eravamo trasferite in una casa molto più grande e bella.
« Tesoro! Puoi venire un attimo qui? »
Lasciai cadere la borsa a terra e appesi il giubbotto jeans all’attaccapanni prima di raggiungere mia madre in cucina. La trovai seduta al tavolo con le mani tra i capelli e la camicia imbrattata di omogeneizzato alla frutta.
Il piccolo Dylan invece se ne stava seduto nel suo bel seggiolone e un bavaglino legato al collo con su scritto “io sono il re”. Il bello è che lo era veramente. A casa comandava lui praticamente.
« Cosa succede? »
« Non vuole mangiare » mia madre sembrava sul punto di scoppiare a piangere « ti prego pensaci tu, sei l’unica a cui da retta »
« Veramente io dovrei … »
« Grace » il tono di mia madre era supplichevole « ti prego … »
Come dirgli di no quando mi rivolgeva quello sguardo da cucciolo abbandonato?
Sbuffando sonoramente accostai una sedia al seggiolone di Dylan e presi in mano un barattolo di omogeneizzato e un cucchiaino.
Gli occhioni azzurri del mio fratellino seguivano ogni mia mossa, sembrava ipnotizzato. Non sapevo da cosa fosse dovuto l’effetto che avevo su di lui, prima della sua nascita non mi erano mai piaciuti molto i bambini.
« Coraggio principino, apri la boccuccia! »
Obbediente come una scimmietta ammaestrata, Dylan spalancò la bocca e si lasciò sfamare.
Mia madre nel frattempo mi osservava con un misto di gratitudine e invidia. Con me non aveva mai avuto problemi, ero stata una bambina tranquilla, e durante la sua seconda gravidanza tutti si chiedevano come facesse a essere sempre così rilassata. “Sono nata per fare la mamma” rispondeva lei “Grace era un angelo, perciò perché preoccuparmi che stavolta le cose vadano diversamente?”
E invece …
« Non mi ha fatto chiudere occhio per tutta la notte » si lamentò « e Damien doveva svegliarsi presto per andare a lavoro perciò non potevo chiedergli di intervenire »
« Anche perché un bambino non può accudirne un altro » le feci notare.
« Grace! »
« Scusa, non sono riuscita a trattenermi »
Prendevo sempre in giro mia madre per la sua differenza d’età con il nuovo marito. Non che Damien non sapesse essere un uomo maturo e un buon padre, ma a vederlo sembrava ancora un ragazzino.
« Bravo bimbo, visto che ha mangiato tutto? »
Dylan scoppiò a ridere come solo i bambini sanno fare e prese a battere le manine paffute con aria compiaciuta.
« Adesso per l’amor del cielo lasciatemi studiare in pace! » esclamai alzandomi « sai mamma, dovresti prendere una baby sitter … »
Me ne andai prima che potesse lanciarmi addosso qualcosa.
L’argomento “baby sitter” era molto delicato dal momento che mia madre aveva abbandonato il suo lavoro di interior designer, che adorava, per restare a casa ad accudire Dylan.
Salii in camera mia e chiusi la porta, poi mi stesi sul letto a pancia in giù armata di carta e matita, con Dorian Gray a portata di mano nel caso mi servisse di rivedere qualcosa.
Passarono quindici minuti e il foglio era rimasto immacolato. Il libro l’avevo letto e mi era anche piaciuto ma la mia mente quel giorno non faceva altro che fantasticare rifiutandosi di collaborare a scrivere la tesina.
“Concentrati Grace” mi dissi “mancano solo sette giorni all’inizio della scuola. ‘Morirai tra sette giorni’ … in quale film lo dicevano? Ah in The Ring. Per l’amor del cielo ma che stai dicendo Grace? Devi finire i compiti!”
Eh già, litigavo spesso con la mia coscienza. Georgia aveva ragione a dire che era un po’ stramba.
Per la cronaca, Georgia Sullivan era la mia migliore amica. Pensandoci bene non la sentivo da un bel po’, forse avrei chiamarla … dopo aver scritto la mia tesina su Dorian Gray naturalmente.
« Grace! Il tuo cellulare continua a squillare!» urlò mia madre dal piano di sotto « ti prego fallo smettere prima che svegli Dylan, sono appena uscita a farlo addormentare!»
Non la sopportavo più. Per lei tutto girava intorno a Dylan. Fui colta da una rabbia improvvisa così violenta che stringendo il pugno spezzai la matita che tenevo in mano. Mi alzai dal letto continuando a maledire chiunque stesse ostacolando ogni mio tentativo di terminare, o meglio cominciare, quella dannata tesina.
Corsi al piano di sotto e recuperai il cellulare dalla borsa ancora abbandonata in un angolo dell’ingresso.
« Pronto? »
« Ehi Grace, sono Dean » trillò una voce maschile dall’altro lato della cornetta « mi chiedevo se potessi farmi un favore … »
Quelle parole non promettevano nulla di buono. Mi appoggiai allo stipite della porta che portava in cucina alzando gli occhi al cielo.
« Che tipo di favore? » chiesi mentre, con il telefono in bilico tra l’orecchio e la spalla, osservavo le mie unghie mangiucchiate.
« Mi sono ricordato solo adesso che oggi pomeriggio devo fare da animatore alla festa di compleanno di mia cugina. Sai, compie sette anni »
« Interessante … e quindi? » domandai sebbene sapessi già dove volesse andare a parare.
« Potresti sostituirmi tu a lavoro? » disse tutto d’un fiato dopo qualche secondo di esitazione.
« Ma l’ho già fatto stamattina! » protestai « non puoi chiedere a Beth? »
« Credimi, ho provato a chiamarla diverse volte ma non mi risponde. Probabilmente sta ancora dormendo nella vasca da bagno, lì dove l’ho lasciata ieri sera » non sentendo alcuna risposta da parte mia, dopo un po’ aggiunse « ti prego Grace, fallo per me! Malcom ci ammazza a tutti e tre se lo lasciamo solo per un intero pomeriggio! »
La tentazione di dire no e mandarlo sonoramente a quel paese era molto forte. Non ero mai stata una ragazza particolarmente generosa o altruista e sicuramente non permettevo a nessuno di approfittarsi di me. Ultimamente però dicevo sempre di si e la cosa stava diventando snervante. Forse era dovuto al fatto che una parte di me, quella più ingenua, sperava davvero che chi fa del bene riceve del bene.
Lo diceva sempre il pastore della nostra chiesa ma ormai erano anni che non andavo a messa.
« Okay » mi arresi infine « ma che sia l’ultima … »
« Grazie, grazie, grazie! » mi interruppe Dean. In quel momento me lo immaginai mentre saltellava tutto elettrizzato nel suo appartamento. Chissà se la storia della cuginetta era vera … « sei la migliore Grace! »
« Mi devi un favore Dean! »
« Certo, lo so. Ti presenterò uno dei miei amici fighi »
« Ma non sono tutti gay? »
« No, altrimenti sarebbero più che amici, non credi? »
« Immagino di si » sorrisi perché nonostante tutto Dean era una forza della natura. Se non fosse esistito avrebbero dovuto inventarlo « allora divertiti alla festa di tua cugina! »
« Quale festa? » sembrò preso di contropiede « ah si! Si certo, lo farò … ciao Grace!»
Ecco appunto. Avevo sprecato un pomeriggio di studio per nulla.
Tornai in camera mia e sfilai la tuta da casa che praticamente avevo appena messo e tirai fuori dall’armadio qualche vestito a casaccio: un paio di short di jeans e una semplice t-shirt a righe bianche e nere, mentre ai piedi indossai i miei vecchi  e fedelissimi Dr Martens con la suola ormai consumata dal tempo.
« Mamma, io esco! » urlai mentre riprendevo il mio giubbotto jeans e aprivo la porta di casa.
Lei subito accorse in punta di piedi, probabilmente per non svegliare Dylan.
« Ma non dovevi studiare? » bisbigliò.
Io alzai gli occhi al cielo mordendomi la lingua per costringermi a non risponderle male. In fondo non era colpa sua. Non del tutto perlomeno.
« Ciao mamma … »
 
Venti minuti dopo ero di nuovo al Bohemian Records.
Malcom se ne stava stravaccato su una sedia girevole con i piedi poggiati sul bancone intento a leggere l’ultimo numero della rivista Rolling Stone, quella che lui definiva “l’unica bibbia che mai leggerò”. La bibbia del rock per intenderci.
C’era qualche cliente in negozio ma lui naturalmente non sembrava preoccuparsene.
« Ancora qui? » chiese divertito osservandomi da sopra la rivista.
« Lasciamo perdere » sbuffai.
Adoravo Malcom ma era una di quelle persone capaci di farti perdere la pazienza anche con una semplice e innocua frasetta dai toni canzonatori.
Non aveva neanche un soldo in tasca, quel poco che guadagnava lo spendeva tutto in sigarette, alcool e cinese take away, viveva in un monolocale a Notthing Hill in cui per fare pipì bisognava scavalcare il lavandino e mettersi con le gambe in aria, non aveva una storia seria da anni, rischiava di far morire sua madre di crepacuore ogni volta che la povera donna lo andava a trovare e si rendeva conto delle sue condizioni eppure … eccolo lì a crogiolarsi nel suo dolce far niente. E sembrava felice nonostante tutto mentre io, che avevo tutto e lavoravo solo per sentirmi un po’ più indipendente, ero depressa il novantacinque per cento delle volte. Ma probabilmente finivo sempre per confondere la depressione con la noia.
Cosa mi ci sarebbe voluto per portare un po’ di brio nella mia vita?
Bèh, probabilmente non l’avrei mai ammesso (e difatti nessuno lo sospettava) ma io ero davvero un’inguaribile romantica e sognavo, se non proprio il principe azzurro, un ragazzo che mi facesse sentire speciale e amata. Un ragazzo che mi baciasse sotto la pioggia, che venisse a trovarmi di nascosto a notte fonda entrando dalla finestra e che la mattina si presentasse sotto casa mia con un caffè preso da Starbucks per colazione.
Volevo litigare per gelosia e altri motivi stupidi. Volevo soffrire giusto un po’ e poi fare subito pace.
Volevo fare l’amore per la prima volta con qualcuno che tenesse davvero a me.
In fondo non chiedevo troppo, giusto?
« Ehi, pianeta terra chiama Grace » mi ridestai dal mio sogno a occhi aperti solo quando Malcom cominciò a sventolare una mano in aria per attirare la mia attenzione « non vedi che ci sono dei clienti? »
« Fottiti Malcom »
« Se potessi lo farei ma a quanto pare in questa società non è considerato normale avere una relazione amorosa con se stessi »
E dopo quella profonda perla di saggezza che quasi mi fece accapponare la pelle, Malcom tornò a leggere la sua rivista mentre io, sistemata la mia roba, mi misi subito a lavoro.
Girovagavo per il negozio chiedendo ai clienti se avessero bisogno del mio aiuto. Una ragazzina di circa quattordici anni mi chiese se avevamo il Cd di un cantante mai sentito che a quanto pare, e mi fece sentire una grande ignorante, stava spopolando in tutto il mondo. Avrei voluto risponderle che nel nostro negozio cercavamo di assecondare i gusti di tutti ma vendere certa spazzatura era davvero troppo. Alla fine non dissi nulla solo perché la ragazzina, leggermente delusa, decise di prendere un altro Cd. Non uno dei miei preferiti ma istruire le nuove generazioni su quale fosse la musica veramente bella non rientrava tra i miei doveri.
La ragazzina pagò e se ne andò, io ripresi i miei giretti fermandomi di tanto in tanto per recuperare un Cd fuori posto e riportarlo dove doveva stare.
Poi a un certo punto lo vidi. Ero sicura che non ci fosse quando ero arrivata ma proprio non l’avevo visto né sentito entrare, occupata com’ero con la mia mania di mettere sempre tutto in perfetto ordine.
Si trovava nel settore dell’heavy metal e sembrava interessato a un paio di Cd degli Iron Maiden.
« Posso aiutarti? » chiesi avvicinandomi.
Il ragazzo si voltò verso di me. L’avevo riconosciuto subito ma ebbi comunque un colpo al cuore quando i suoi occhi color nocciola incontrarono l’azzurro dei miei.
Il suo nome era Josh Levonne e frequentava la mia stessa scuola ma era di un anno più grande. Non ci avevo mai parlato, avevo solo sentito parlare spesso di lui. Era un ragazzo misterioso e socializzava con pochi, non di certo per timidezza. Quelle che circolavano su di lui erano tutte storie inventate probabilmente, fatto sta che si era guadagnato la fama del ragazzaccio bello e dannato, proprio per questo tutte le ragazze della mia scuola gli sbavavano dietro. Io lo trovavo un ragazzo interessante, perlomeno nell’aspetto dato che, come già detto, lo conoscevo solo di nome, ma non mi aveva mai attirato più di tanto.
Vederlo nel mio negozio comunque mi fece un certo effetto.
« Questo posto è grandioso, avete di tutto! » esclamò sventolando una copia dell’album Fear of the Dark.
Mi sentii lusingata come se mi avesse fatto un complimento strettamente personale.
 « È la prima volta che vieni? »
« Si, strano non averlo notato prima … » rispose distrattamente spostando di nuovo la sua attenzione sui Cd.
Mi accorsi che non aveva ancora risposto alla mia prima domanda ma mi sarei sentita stupida a ripeterla.
« Bèh, se cerchi qualcosa in particolare chiedi pure »
« Certo … grazie … » ormai era totalmente preso, non faceva più caso a me.
Mi allontanai silenziosamente e tornai da Malcom trovandolo ancora immerso nella sua lettura. Era così buffo: il medico gli aveva imposto di portare gli occhiali ma lui si era categoricamente rifiutato di farlo perciò quando leggeva strabuzzava gli occhi e aggrottava la fronte a tal punto che le due sopracciglia folte si univano a formare un’unica linea.
Poggiai i palmi sul bancone e mi diedi la spinta per saltare e mettermi seduta con le gambe a ciondoloni. Da quella postazione riuscivo benissimo a vedere Josh. Non si sa mai, avrebbe potuto darsi al taccheggio proprio nel nostro negozio …
Naturalmente ciò che non volevo ammettere neanche con me stessa era che in realtà mi incuriosiva parecchio osservarlo.
Aveva i capelli castano scuro, un ciuffo modellato col gel che spuntava da sotto il berretto nero. Portava un piercing al naso e il dilatatore all’orecchio sinistro.
Aveva la pelle chiara e le guancie arrossate. La bocca carnosa, il naso ben proporzionato. Fisico asciutto, statura nella media. Indossava una camicia beige e dei pantaloni neri a sigaretta. In poche parole gli stavo facendo la radiografia completa.
 « Ti piace, eh? » bisbigliò Malcom dandomi una leggera gomitata.
Non mi girai di proposito sicura che stesse sorridendo divertito.
« Cosa? Ma che dici! »
« Lo stai fissando! »
« E questo che vuol dire? »
« Che lo trovi attraente »
« Forse » mi strinsi nelle spalle « ma non significa che mi piace. Lo conosco di vista, sai? Sta a scuola mia » spiegai a voce bassissima tanto che Malcom dovette sporgersi in avanti per sentirmi « non credo sia il mio tipo »
« Pazienza. Magari è anche dell’altra sponda » gli occhi di Malcom si illuminarono come se avesse appena avuto l’idea del secolo « potremmo presentarlo a Dean! »
« Non credo proprio che sia gay. Mi dispiace per Dean »
« Oh … bèh fa niente! »
Malcom si mise comodo incrociando i piedi sul bancone e le dita dietro la nuca.
Quando alzai di nuovo lo sguardo verso Josh per poco non mi venne un colpo: stava venendo verso di noi.
Balzai giù dal bancone e mi posizionai dietro la cassa. Mi sentivo imbarazzata e avevo le guancie rosse come se Josh avesse potuto sentirci parlare di lui ma era impossibile.
« Prendo questi due » disse facendo scivolare verso di me un paio di Cd.
« Fanno ventitre sterline e sessantanove » dissi porgendogli lo scontrino e una busta di cartone con il logo del negozio. Josh pagò e vi infilò dentro i suoi acquisti.
« Grazie, arrivederci »
« Grazie a te. A presto Jo … » mi bloccai appena in tempo. Non volevo che sapesse che conoscevo il suo nome dato che lui probabilmente non mi aveva mai neanche notata.
Poco prima di uscire, Josh si girò verso di me rivolgendomi un minuscolo sorriso.
Quando la porta si richiuse, Malcom fischiò.
« Che c’è? » sbottai girandomi di scatto verso di lui.
« Niente … » ecco apparire il suo irritante sorrisetto malizioso « sei solo diventata rossa come il culetto di un babbuino »
« Bel paragone Malcom, ti ringrazio! »
Mi finsi offesa ma dopo qualche secondo scoppiai a ridere insieme a lui.
E comunque non ero arrossita! 

Nel prossimo capitolo:
« Ma guarda che simpatica, Barbie ha fatto una battuta! Da quando sei diventata così arguta? A proposito, sai cosa significa arguta? Dovresti cercare sul vocabolario…»
« Tu invece dovresti cercare un nuovo chirurgo » intervenni sentendomi improvvisamente ispirata « ti si vede ancora il pomo d’Adamo, non vorrai che tutti scoprano che il tuo vero nome è Robert, vero? »
Una volta tanto Katy rimase senza parole e mentre le sue guancie diventavano rosse dalla rabbia, io e Georgia la oltrepassammo lanciandole un’ultima occhiata sprezzante.
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