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Autore: miss dark    29/09/2013    1 recensioni
La Strana era un attacca-stacca, uno di quegli adesivi che potevi attaccare quante volte volevi, ma che poi si staccavano sempre.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'I miei personaggi in cerca d'autore'
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La Strana

 

 

 

La Strana stendeva ogni settimana tutti i suoi abiti neri e li lasciava sgocciolare giù dal balcone, nel cortile pieno di bici, presunte rubate, benché chi le rubasse non fosse ben chiaro.

Aveva gli occhi infossati e le mani piccole, era piccola tutta, a dire la verità, sembrava un topo, e lo pensavano tutti. Quando si truccava sembrava meno topo e più donna, ma dire che fosse bella era difficile anche per tutti Gli Strani che frequentava.

Stava con un tipo che a volte si vedeva e a volte no e che forse nemmeno c'era. Non si poteva definirlo Lo Strano, perché non si poteva essere sicuri che fosse uno solo; magari più Strani, che si alternavano, chi lo sa. A volte sedevano sul balcone e si guardavano, trincerati ai lati di un tavolino. Forse mangiavano fuori, ma era sempre vuoto: a voi le conclusioni. Credo che nessuno ci stesse con la testa, se capite cosa intendo, e anche quando c'erano, forse non c'erano mai.

Una sola volta ho incontrato La Strana fuori dal suo regno, dalla sua tana, che per me si riduceva a tre metri quadri di balcone, e l'ho inquadrata un po' meglio.

Io credo che non sia sempre stata strana o, perlomeno, che non lo sia stata continuativamente. Una certa cura nel vestire quegli abiti sempre rigorosamente neri, quelle calzette tirate su con precisione e i pantaloncini carini, non quelli larghi e sdruciti degli altri tipi, suoi amici, che si vedono in giro. Forse per questo, da subito, la si chiama "strana", perché non è né come noi né come loro, è un po' un misto di tutte e due le razze, ma sembra tenersi alla larga da entrambe. Anche lì, in mezzo alla strada, con i sacchi dell'immondizia in mano e quel pallore malaticcio della pelle, sembrava distaccata dal contesto. Come una figurina incollata sullo sfondo sbagliato, che stona completamente dal resto del paesaggio e delle figurine. Una figurina per sempre fuori posto, che ha rovinato l'album e che tutti guardano storcendo gli occhi. Eppure, secondo me, più che figurina, La Strana era un attacca-stacca, uno di quegli adesivi che potevi attaccare quante volte volevi, ma che poi si staccavano sempre: li potevi spostare dove preferivi, cercare lo sfondo migliore in cui farli interagire. Ecco, lei non era sempre stata la figurina fuori posto, forse ora si trovava lì perché la colla sul retro si era impressa troppo forte sulla pagina e, per staccarla, si sarebbe dovuta rompere l'intera figurina.

Ho immaginato che per un certo periodo fosse stata dall'altra parte del confine, nelle pagine delle principesse, con uno sfondo di castelli color del diamante, Rolls-Royce e maggiordomi al seguito. Non so perché, ma ho sempre pensato che La Strana abbia vissuto nella bambagia, per un po' di tempo, e che poi, non ho ancora ben capito perché, abbia cercato di scollarsi di dosso tutto quel calore, si sia colorata tutta di nero e se ne sia andata. Non all'improvviso, ma comunque in fretta. Uno shock, certamente.

A vederla dava l'idea di essere molto giovane, quasi bambina, ma la pelle appariva segnata dal tempo. Un tempo diverso da quello che tutti noi sentiamo, un tempo che non ha a che fare con le stagioni e con gli orologi. D'altronde, per La Strana, il significato di "ora del pranzo" e di "momento di mandare via gli ospiti" non sembravano essere molto importanti. Doveva trattarsi di un tempo interno, autogeneratosi a partire da un istante preciso, come un tàc improvviso, una piccola spinta, che abbia azionato un complesso meccanismo di rotelle e di ingranaggi, via via perfezionato dalla strana solitudine che circondava quella strana ragazza. Sempre che di una ragazza si potesse parlare. Si comportava come se sul suo esile corpo pesasse la stanchezza di mille vite vissute senza freno, di mille esistenze sparpagliate nella memoria, fra ingranaggi che non fanno altro che masticare e masticare avvenimenti diversi fino a renderli uguali.

Sono passati mesi e La Strana non si è più vista.

Dubito sia andata in vacanza - al mare? troppo sole per la sua pelle delicata; montagna? così cagionevole, potrebbe arrampicare? -, dubito sia stata lontana da casa. É come se quell'appartamento fosse il suo rifugio, la sua tana, e raramente un animale se ne allontana volontariamente. Molti altri Strani si sono avvicendati, tutti molto simili, alti e scuri nei loro abiti neri, quasi misteriosi, non fosse per la somiglianza che li lega. Qualche giorno fa si sono levate della grida, la sera dopo delle risate: sembra vivano una soap opera, là dentro, fatta di ritagli di giornate normali mescolate a formare caleidoscopi di vita recitata.

Forse La Strana è un'attrice, e io non l'ho mai sospettato! E forse Gli Strani sono attori che giocano sempre la parte del Primo Strano, andato via tempo fa, forse assieme a quel famoso tàc, forse qualche atto prima, forse qualche atto dopo.

E forse La Strana conduce strani provini per sostituire quell'amore (?) partito, che l'ha lasciata incollata in un appartamento con balcone, vista cortile.

Come se la vita fosse questione di attimi e bastasse un nonnulla, uno Strano qualunque, a portartela vita, a inceppare il tempo, a generarne uno nuovo che, lento, ti vota, inesorabile, al nero.

 

 

 

 

  
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