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Autore: Ranessa    29/09/2013    2 recensioni
Barty Crouch Jr. striscia sul pavimento di pietra nuda. Si abbandona sfinito contro la parete ricoperta di salsedine e ruggine e affonda le unghie rotte nella carne del Marchio.
Non c’è più niente in lui. Solo pensieri confusi, attimi malvagi.

Un uomo e Azkaban.
[Storia scritta per il contest ‘I fiori del male’ indetto da Risa Lilian Slytherin, Mitsuki91 e Moonspell]
Genere: Angst, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bartemius Crouch junior
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Note: Storia scritta per il contest ‘I fiori del male’ indetto da Risa Lilian Slytherin, Mitsuki91 e Moonspell che ringrazio tantissimo per aver organizzato una sfida così bella! :) Il pacchetto che ho scelto è Barty Crouch Jr. + Ossessione.
La traduzione in prosa del brano è di Attilio Bertolucci, da ‘I fiori del male - con testo a fronte’, edizioni Garzanti.




Voi m’impaurite, grandi boschi, come foste delle cattedrali; voi urlate come l’organo, e nei nostri cuori maledetti, stanza d’eterna doglia in cui vibrano antichi lamenti, risponde l’eco dei vostri De Profundis.

Te odio, Oceano! Il mio spirito ritrova in sé le tue impennate e i tuoi tumulti: il riso amaro dell’uomo sconfitto, pieno di singhiozzi e d’insulti, lo ritrovo nella risata enorme del mare.

Come ti amerei, o Notte, senza le stelle la cui luce parla un linguaggio così noto! Perché cerco il vuoto, il nero, il nudo!

E le stesse tenebre sono tele in cui vivono, uscendo a migliaia dai miei occhi, esseri ormai spariti agli sguardi famigliari.

«Ossessione», Charles Baudelaire


[ Collapse the light into earth ]


E se dovessi per sempre vivere dell’eco feroce di questo mare crudele, cosa ne sarebbe infine di me, legato indissolubilmente ormai alla ruggine, prigioniero più della salsedine che delle pareti in pietra.
E se potessi dimenticare per un giorno, un momento fugace, della voce di questo mare assassino, delle sue onde alte come cattedrali, della magia che spuma tra le sue acque torbide, forse qualcosa della mia mente ancora rimarrebbe?
Azkaban.
Se questa torre ingrata potesse essere investita d’improvviso, avvolta dalla carezza perpetua della notte, risucchiata nell’oblio dall’innaturale bacio di un Dissennatore, potrei dirmi morto?
Vivrei finalmente del silenzio, di un’oscurità assoluta e claustrofobica che non cede mai il passo alla luce brillante delle stelle, squarci di memoria a ricordarmi ogni notte di cosa ci sia ancora al di là delle mura, degli scogli, della schiuma, delle alghe.
Madre.
Vivrei del sangue puro che scorre nelle mie vene, delle voci sottili che circondano ogni mio gesto e incatenano ogni flebile speranza. Della mia carne, delle mie vesti spoglie, delle unghie scavate nelle pareti, degli occhi socchiusi al sale e allo scorrere del tempo.
Non è vero, lo giuro.
Se le onde smettessero in un momento di cristallina follia il loro costante infrangersi e una figura mitologica sorgesse imponente dagli abissi, armata di ogni cosa che sa ferirmi.
Una cella in cima alla prigione. Un punto di osservazione privilegiato nel teatro della sofferenza umana dove le maschere d’argento sono coniate dello stesso materiale della falsità e il gran maestro di serata mi assomiglia.
Sono tuo figlio.
E se il Marchio ricominciasse a pulsare sinistro e la mia risata non fosse più quella dell’uomo sconfitto. Se non fossi più spirito ma solo spirito d’abnegazione e il mio Signore potesse risorgere in me, una fitta rete di neri artigli pungenti ad intrecciarsi dalle orbite del teschio, a inseguire il serpente, ricoprire ogni lembo di pelle putrida e trasparente alla luce delle stelle che non ci sono, a insinuarsi nella pietra grigia impastata di ruggine e distruggere pezzo per pezzo la torre baciata dal Dissennatore; allora precipiterei nel vuoto colmo dell’oceano dei peccati. Vivrei di una spirale d’aria gelida nel momento infinito della caduta e saprei annegare nelle acque muschiose del mare, io che sono già morto.
Tu non hai figli.
Io che non ho origine (può essermi concessa una fine?). Io che ho servito in ginocchio e che soffro in silenzio, osservando le catene invisibili che mi costringono i polsi. Io che ho giudicato e condannato e che mi chiedo adesso se può esserci tortura senza dolore. Può esserci prigione senza la mia mente? Può esserci sconfitta senza il mio sangue? La ricompensa senza il sacrificio. Il Marchio senza la Maschera.
Può esserci silenzio senza l’oceano che ci abbraccia, l’umidità a scorrere liquida tra le mura, il blu, il nero, il bisbigliare di creature marine, di persone che non sono io, di menzogne intessute tra gli spalti di un tribunale ostile. Mortale.
Può esserci conclusione alla nostra missione divina, al nostro rantolare nel buio, allo scopo superiore di ogni nostra azione? Una sentenza senza bugia. La salsedine senza la ruggine. La ruggine senza la salsedine.
Ego obsideo.
L’assedio della mente.
L’assedio continuo e inesorabile delle onde del mare scuro, del cielo plumbeo sopra Azkaban, dello stridere aspro e atavico dei gabbiani.
E se diventassi un gabbiano.
E se il Marchio si tramutasse in ali di seta nera a stagliarsi impavide contro le nubi e le correnti di acqua ed aria. Se ogni cosa intorno a me fosse materia mobile, viscosa, plasmabile dal battito doloroso delle mie ali di lana infeltrita. Se volassi nei cieli più alto delle cattedrali, più alto dell’Oscuro, più alto delle anime che ho circuìto.
Ego transcendo.
Vivrei dei pensieri lattiginosi di cui i Dissennatori mi hanno derubato, ne seguirei le fugaci tracce argentee attraverso l’aria ispessita della prigione, i suoni sommersi, gli odori estranei.
Ego prodo.
Io tradisco.
Mai.

*

Una cella in cima alla prigione. Un punto di osservazione privilegiato nel teatro della sofferenza umana.
Barty Crouch Jr. striscia sul pavimento di pietra nuda. Si abbandona sfinito contro la parete ricoperta di salsedine e ruggine e affonda le unghie rotte nella carne del Marchio.
Non c’è più niente in lui. Solo pensieri confusi, attimi malvagi.
Il rombo malato delle onde del mare.

   
 
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