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Autore: ferao    29/09/2013    5 recensioni
- Fame?
- Da morire.

*
Niente, ti invidio.
*
Sette vizi capitali, sette modi per conoscersi meglio.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Percy Weasley | Coppie: Audrey/Percy
Note: Lime, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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Note iniziali:
questa raccolta è iniziata assolutamente per caso. Non era in programma, non ci avevo mai pensato e, soprattutto, ho mille altre cose da scrivere (del tipo, c'è gente che aspetta da EONI l'aggiornamento di "Zio per un giorno"... Ehm), eppure è nata e non posso buttarla via. Anche perché, strano a dirsi, mi piace un sacco.
La storia si colloca, as usual, nell'universo di Una brezza lieve (monotonia FTW), ma potete leggerla anche indipendentemente da questa serie. Sappiate solo che questi due si conoscono al Ministero perché lavorano assieme e che dopo la battaglia ad Hogwarts lei sta in ospedale per motivi che potete capire benissimo leggendo qui.
Sto già lavorando ai capitoli successivi e la prudenza mi consiglierebbe di aspettare di averli finiti per pubblicare, ma c'è una parte di me che dice "Oh, senti, questi capitolo è la prima cosa che ti soddisfi da SECOLI e poi Moon ha detto che va bene, quindi vai", e niente, ho deciso di dar retta a questa parte qui.
Sperando che non sia la parte malvagia di me.
Oh, who cares.

Per adesso il rating è arancione, ma non escludo che possa alzarsi per adattarsi al capitolo dedicato alla lussuria. In quel caso ve ne accorgerete.
Spero che l'idea di un'altra Percy/Audrey da parte mia non vi faccia troppo ribrezzo e vi saluto. Se trovate errori di ogni sorta, segnalate pure.
Si ringraziano Moon Lady per il betaggio e Agne per l'approvazione.

 







Gluttony
 
 

- Fame?
- Da morire.
- Dove andiamo?
- Dove vuoi tu.
Avevano iniziato così. Quel giorno Percy aveva saltato il pranzo, causa impegni, mentre Audrey si era dovuta accontentare di quanto era rimasto nella sua dispensa: una carota e una scatoletta di tonno. Troppo poco, per l'appetito di una ventenne.
Quella sera avevano placato la fame divorando due panini a testa, in un chiosco Babbano a un paio di metri dal Ministero. Non era inusuale che i dipendenti ministeriali lo frequentassero, per cui avevano potuto mangiare insieme senza dare eccessivamente nell'occhio.
- Com'è il tuo?
- Squisito. Ne vuoi un po'?
- No, tranquilla, va bene così.
- Sicuro? Secondo me dovresti assaggiarlo, è una bontà.
- No, dai, non mi piacciono i peperoni...
- Su, non farti pregare!
- ... Solo un morso.
- Buono, eh?
- Diamine, sì! Ne voglio uno anch'io!
 
La volta successiva bastò un solo panino per sfamarli. Quella dopo ancora, Audrey fece notare che non le sarebbe dispiaciuta una bistecca alla griglia; Percy, che aveva voglia di carne al sangue, non disse di no. Si fermarono alla prima steak house che trovarono, ma non ne rimasero soddisfatti.
- Questa sarebbe al sangue? Dov'è il sangue?
- Credo sia finito tutto nel mio piatto. Tieni.
- Uffa. Non riesco mai ad avere una bistecca come dico io. La prossima volta la chiedo direttamente cruda.
- Oppure puoi farti portare una mucca viva e un coltello, già che ci sei.
- ... Sei disgustosa.
- No, la carne cruda è disgustosa. Allora, lo vuoi questo sangue oppure no?
 
Un’altra volta decisero di provare un ristorante cinese dalle parti del Paiolo Magico, visto che a lui l'avevano consigliato in molti. Il proprietario era un Magonò e fece loro un ottimo prezzo, anche se, per qualche ragione, Percy non ci tornò più tanto volentieri.
- Non hai mai mangiato cinese?
- Mai.
- Allora devi assaggiare gli involtini primavera e i wonton, assolutamente. E i ravioli al vapore. Sono una delizia.
Assaggiare? Percy l'avrebbe fatto di buon grado, ma quelle stupide bacchette che gli avevano dato sembravano opporsi in tutti i modi a quell'idea. Il poveretto passò una buona mezz'ora ad osservare Audrey, a farsi spiegare la tecnica giusta e a provare a metterla in pratica: tutto inutile. Al terzo raviolo finito per terra, sbuffò e spazzolò il resto della sua cena con le mani, ignorando - per quanto possibile - le risatine soffocate di Audrey.
Fu solo più tardi, mentre lui l'aiutava ad indossare il cappotto prima di uscire dal ristorante, che lei ebbe la bontà di dirgli:
- La prossima volta, chiedi una forchetta.
Le orecchie di Percy diventarono furiosamente rosse, e Audrey rise ancora di più prima di schioccargli un bacio d'incoraggiamento. Guardarlo mangiare con le dita, in fondo, era stato tenero.
 
Quando Percy ebbe rotto un po' il ghiaccio con le bacchette, fu il turno del giapponese. Da pochi mesi, in un paese poco fuori Londra, era stato aperto un ristorante a prezzo fisso; per andarci scelsero una sera in cui erano entrambi particolarmente affamati. Percy sapeva che Audrey era una buona forchetta, ma quella volta scoprì anche la sua temperanza: in un primo momento si lasciava trasportare dalla ghiottoneria e assaggiava qualsiasi cosa, poi però si placava e sceglieva con esattezza i piatti migliori e che non la riempissero troppo. La carne cruda la schifava, ma col pesce non aveva alcuna difficoltà - e anche Percy, dopo un po', iniziò a difendersi piuttosto bene.
- Sai, avevo paura che non volessi venire qui. Molti sono diffidenti verso la cucina giapponese.
- Perché? È buonissima.
- Lo so, ma alcune persone pensano "Bleah, pesce crudo" e si rifiutano.
- Peggio per loro. Per un pregiudizio si perdono qualcosa di fantastico.
- Infatti.
- Tu quando l'hai scoperta?
- Un paio di anni fa, era prima che iniziassi il settimo anno. Coi miei compagni di classe siamo usciti a cena, volevamo provare qualcosa di nuovo e siamo andati in un locale proprio simile a questo, solo un po' meno caro.
- Uscivi coi tuoi compagni di classe? Noi non l'abbiamo mai fatto...
- Eravamo un gruppo molto unito, sì. Poi... Beh, Diggory è morto, e noi ci siamo persi un po' tutti di vista.
- Cedric Diggory?
- Sì. Hai... sentito parlare di lui, immagino.
- Di più, conoscevo sia lui che suo padre. Siamo andati alla Coppa del Mondo di Quidditch assieme.
Alla fine Percy aveva capito come fare con le bacchette: era una semplice questione di equilibrio. Bisognava solo stare attenti a non stringere troppo o troppo poco e a prendere il boccone nei punti giusti.
- Bravissime persone, vero?
- Già.
- È stato... assurdo. E c'era gente che neanche credeva fosse successo davvero. Ti rendi conto? Dicevano che Harry Potter si era inventato tutto, ma che ne sapevano? Noi abbiamo visto il suo cadavere. Avevamo pranzato assieme, aspettavamo di festeggiarlo in sala comune, e invece... non c'era più. E dicevano fosse morto per sbaglio. Si può essere così stupidi da non credere all'evidenza di un cadavere?
- Sì. Io non ci credevo.
- ... Ah.
- È stato stupido da parte mia, lo so.
- Sì. Decisamente sì.
Il sushi che Percy teneva tra le bacchette gli sfuggì di mano - lo aveva stretto troppo, o troppo poco, o nei punti sbagliati. Cadde dritto nella ciotola di salsa, schizzando tutt'attorno. Per qualche secondo nessuno dei due ragazzi parlò, poi Audrey usò le sue bacchette per raccogliere il pezzetto di pesce.
- Tieni - disse con un mezzo sorriso, accostandoglielo alla bocca. E poi aggiunse: - Succede a tutti di sbagliare, non preoccuparti - tuttavia Percy non capì a cosa si riferisse.
Wasabi, salsa di soia e malinconia. Il pesce era eccellente, ma il condimento di quella serata era davvero troppo salato.
 
Dopo il giapponese toccò al turco, poi al coreano, poi all'indiano... Poco alla volta, Percy e Audrey esplorarono tutto ciò che Londra poteva offrire dal punto di vista gastronomico. Era divertente fare esperienze simili, ma ancora di più lo era farle insieme.
- Fame?
- Che domande. Dove andiamo?
- Ho sentito parlare di un posto...
Venne il giorno, però, in cui Audrey si stancò di quel vagabondare. Scoprire gusti nuovi era bello, ma il suo stomaco implorava un po' di pietà e, soprattutto, una parte di lei le suggeriva che era ora di fare qualcosa per Percy. Niente di che, voleva solo... provare ad occuparsi di lui, in qualche modo. Quando erano in ufficio non poteva far altro che sistemare i libri sui suoi scaffali in modo che non cadessero, o portargli qualsiasi documento gli fosse necessario; dopo un mese e mezzo che si frequentavano, decise che voleva di più.
- Allora, che ne dici se torniamo da quell'indiano a Floral Street? Ti era piaciuto, vero?
- Niente ristorante. Stasera cucino io.
- ... Scherzi?
- Credi che non ne sia capace?
- N-no, non intendevo questo, solo... Ma non vorrei disturbare, io...
- Sta' tranquillo, ho già pensato a tutto. Ci vediamo a casa mia tra un'oretta. Ricordi l'indirizzo, vero?
Naturalmente, all'inizio tutto andò malissimo. La prima volta che Audrey cucinò per Percy, la carne era troppo cotta. La seconda volta, troppo poco. La terza volta, bruciata. E così via.
Eppure, nonostante lei si scusasse in modo sempre più affranto e desolato per quei disastrosi tentativi, lui mangiava sempre tutto fino all'ultimo boccone, senza una lamentela. Sottolineare i difetti di quelle cene improvvisate sarebbe stato sin troppo facile, ma erano secoli che nessuno cucinava per lui, e il sapore della riconoscenza per quelle attenzioni gli avrebbe fatto sembrare buono qualsiasi piatto in qualsiasi condizione.
- Come puoi mangiare questo schifo?
- A me piace tanto. Lo giuro.
- Non mi prendere in giro, per favore! Sono... un'incapace, maledizione, non so fare nulla di nulla, e tu non dovresti star qui a perdere tempo con una cretina come me che non è buona neanche a...
Al che Percy era costretto ad alzarsi, aggirare il tavolo e darle un bacio sulla guancia, senza aggiungere nulla. Solo in questo modo Audrey la smetteva di parlare e lui poteva mangiare in pace, gustando fino in fondo la dolcezza di quell'affetto imbranato e immeritato.
- Ma ti piace... davvero?
- Lo adoro.
Lo adorava. La adorava.
 
- Dovresti mangiare qualcosa.
- Non ho fame.
- Perce, sono tre giorni che non metti nulla sotto i denti, per favore...
- Non ho fame.
Quanto tempo era passato, dalla sera in cui avevano divorato insieme quei panini vicino al Ministero? Troppo, pensava Audrey. In quei mesi era cambiato tutto, dalle loro abitudini alle loro stesse vite: lei aveva imparato a cucinare, lui non credeva più così ciecamente al Ministero, tutto aveva cominciato ad andare per il meglio.
Poi era successo quello che non doveva succedere.
- Dici sempre che non hai fame, ma guardati: sei tutto smagrito. Fallo per me.
- No, davvero, non ho fame.
Non aveva mai fame. Da quando suo fratello era morto, Percy non aveva fatto altro che rifiutare costantemente e testardamente quel che gli veniva offerto, sempre con la stessa, stupida scusa.
- Non ho fame.
Che poi era anche vero. La sola idea di avvicinarsi al cibo, qualsiasi cibo, lo disgustava e gli arrotolava le viscere. Da quella notte a Hogwarts tutto per lui aveva sapore di sangue, cenere e polvere; era qualcosa che nulla riusciva a cancellare, in nessun modo. Beveva un bicchier d'acqua e lo ingoiava a fatica, storcendo il viso per quel gusto amaro. Assaggiava una pietanza e la sputava, schifato.
In quelle condizioni non riusciva neanche a pensare al cibo, figurarsi a mangiarlo.
Audrey, ovviamente, non lo sapeva; pensava si trattasse di un'inappetenza momentanea derivante dal lutto e quindi, dal suo letto d'ospedale, faceva di tutto perché gli passasse.
- Se non mangi tu, non mangio nemmeno io.
- Non essere stupida. Tu devi farlo per Molly.
- Odio pranzare da sola, tienimi compagnia!
- Va bene, ma ti guarderò e basta.
E la guardava davvero, mentre lei masticava con rabbia e ostinazione quel che le passavano. Infilzava i bocconi con cattiveria, come se fosse colpa loro che il suo uomo avesse perso l'appetito; ripuliva il piatto con una minuzia vicina alla maniacalità, perché doveva mangiare anche per lui, per quel bambino capriccioso così diverso dal Percy che conosceva.
- Che ti succede?
- Nulla. È questo periodo. Non ho fame.
Era cambiato; erano cambiati. Da quando si erano rivisti, Percy non l'aveva mai sfiorata o baciata. Era come se avesse paura a riavvicinarsi a lei e temesse un rifiuto. Ogni tanto le accarezzava i capelli, le prendeva la mano, ma nient'altro. Audrey, da parte sua, non lo incoraggiava: ogni giorno che passava si sentiva sempre più debole, fiacca e snervata - e poi aveva la sua bambina, adesso, era a lei che doveva pensare più che a chiunque altro.
Si erano amati, si erano separati e adesso si riconoscevano a malapena. Erano stati una coppia di golosi pronti a scoprire tutto ciò che potevano, ma era bastata una guerra ad uccidere tutti gli appetiti e la curiosità.
Neanche Audrey aveva fame, in quei giorni.
 
- Ti hanno detto tra quanto sarai dimessa?
- Un paio di giorni al massimo. Ormai sto bene.
- Non vedo l'ora.
Il tono di quelle parole era così lontano e distaccato che Audrey non ci credette neanche un po'. D'altro canto, magari era solo dovuto alla debolezza di Percy. Il lungo digiuno lo aveva logorato da dentro: ormai era evidente che non si trattasse di testardaggine, ma di qualcosa ben più grave.
Magari era vero che la rivoleva con sé, solo non aveva le forze per esprimerlo.
Forse.
- Lo pensi veramente?
- Certo.
- E allora...
E se invece non l’avesse più voluta?
- Allora?
- Niente.
- Avanti, dimmi.
Seduta sul letto con la schiena appoggiata ai cuscini, Audrey tentennò.
- È che… niente. Vorrei solo…
- Sì?
Osservò Percy a lungo, poi decise di togliersi il dubbio. Si spostò verso il lato destro del suo piccolo letto.
- Voglio che mi abbracci, Perce. Vieni qui.
D'istinto, lui si ritrasse. Sapeva che quel gesto le avrebbe dato dispiacere, ma… Si era interrogato molto su quali fossero i suoi sentimenti per Audrey, in quei giorni: non aveva mai dubitato di amarla, e tuttavia... Se si fosse trattato solo di nostalgia? Se in realtà fosse cambiato anche quello? O se lei si fosse sentita, in qualche modo, costretta a stare con lui soltanto per via della bambina, o viceversa?
Per questo motivo in quei giorni non l'aveva mai abbracciata, né baciata. Voleva prima essere chiaro con se stesso, sapere cosa provava davvero. Adesso, però, Audrey lo stava invitando esplicitamente a riavere un contatto con lei, a riavvicinarsi, e questo no, non se lo poteva permettere, non era ancora pronto...
Nonostante ciò, qualcosa lo costrinse a togliersi le scarpe ed accoccolarsi accanto a Audrey. A quanto pareva c'era ancora una parte di lui che preferiva abbracciarla e basta, piuttosto che chiedersi se farlo o meno.
Le circondò la vita con le braccia e appoggiò la testa sulla sua clavicola, lasciando che lei lo stringesse e gli accarezzasse i capelli. Il naso di Percy sfiorò la porzione di collo che la camicia da notte le lasciava scoperta; in tutto quel tempo aveva quasi dimenticato che profumo avesse la sua pelle, tuttavia ricordava di non essere mai riuscito a resistervi - forse fu per questo che, quasi senza rendersene conto, sporse il viso e appoggiò le labbra alla base del suo collo, sebbene qualcosa dentro di lui gli dicesse di fermarsi, perché anche lì avrebbe trovato il solito sapore nauseante e no, no, no, non voleva sentirlo pure sulla pelle di lei…
Ma quello che le sue labbra assaggiarono, quando la baciò per la prima volta dopo mesi, non sapeva di sangue, né di cenere, né di polvere. Sapeva di lenzuola appena cambiate, di lana e sapone, di pulito. Sapeva di dolce, di panna, di burro. Sapeva di cose che Percy aveva smesso di conoscere nel momento in cui si erano separati, sapeva di tutto ciò che gli era mancato, di quello che la morte di Fred aveva definitivamente spazzato via. Continuò a baciarla, sfiorandole la pelle sottile con la lingua e i denti come se volesse mangiarla, perché all'improvviso non avvertiva più quella sensazione di disgusto perenne nella bocca - e la cosa lo sorprendeva, lo deliziava, gli faceva desiderare ancora; quando poi lei gli alzò il viso e lo baciò sulle labbra, tutto ciò che Percy sentì fu la voglia di ricominciare da dove si erano dovuti interrompere, di andare a casa ad assaggiare le sue cene improvvisate, oppure in un chiosco a provare i panini più disparati, oppure in qualsiasi luogo a fare qualsiasi cosa, purché ci fossero anche lei e il suo sapore. Il suo gusto, quello che Percy preferiva ad ogni altra cosa nel mondo.
- Audrey?
- Sì?
- Ho fame.
La ragazza ridacchiò. Ne aveva anche lei.


 
   
 
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