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Autore: Neryssa    30/09/2013    8 recensioni
Sulla strada che dai Monti Azzurri porta al Decumano Ovest scorre un lungo fiume dalle acque limpide e vivaci, poco profonde ma difficili a guadarsi; e seguendone il corso verso Nord, si giunge ai Colli di Vesproscuro, un modesto gruppo di dolci declivi che si stende per appena un miglio e mezzo o poco più. Thorin non li ha mai visitati, né durante le sue lunghe traversate della Terra di Mezzo né durante la permanenza sui Monti Azzurri. E se fosse per lui una giornata di lavoro alla fucina non andrebbe di certo sprecata per una scampagnata sulle colline! Ma da qualche tempo Fíli ha cominciato a cogliere al volo ogni possibile scusa, anche la più futile, per sgattaiolare nei boschi, e Thorin sa che i passi di suo nipote sono inevitabilmente rivolti verso quei Colli misteriosi.
Gli ultimi anni sui Monti Azzurri prima della partenza di Thorin, Fíli e Kíli con il resto della Compagnia, in un vortice di incontri, fughe e sentimenti contrastanti vissuto all'ombra dei Colli di Vespruscuro, nel cuore dei quali sorge una bella casetta di pietre e legno, abitata da...
Genere: Sentimentale, Slice of life, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fili, Kili, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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1-Nel cuore del bosco

Sui Colli di Vesproscuro: Smaointe

 

 

I Parte

2935 T.E.

 

 

 

 

 

 

 1-Nel cuore del bosco

 

Lila, i lunghi capelli scuri raccolti in una treccia un po’ sfatta che le ciondolava al fianco del viso, si chinò a sbirciare nell’oscurità della legnaia sotto al camino, ma tutto ciò che vide fu un ragnetto che zampettava allegramente, indisturbato. Con un grugnito di disappunto si buttò in ginocchio sul pavimento, risolvendosi a cacciare la testa e le braccia nella grossa nicchia alla ricerca di qualche ciocco di legna con cui alimentare il fuoco: il ventre di pietra del camino soffiò, ringhiò e strillò, e in uno sbuffo di fuliggine e schegge di legno Lila ne riemerse insieme ad un enorme gatto grigio che si piazzò sulla bocca della legnaia con i grossi occhi tondi spalancati, agitando stizzosamente a destra e sinistra la grossa coda gonfia come a volerla minacciare di non provare a rientrarci. La giovane lo guardò stranita, ignorandone le piccole zanne snudate in un soffio silenzioso.
“Beh? Si può sapere cos’hai visto là sotto?” domandò, come se stesse rivolgendo la parola ad un proprio simile; poi sembrò decidere che la legna le interessava più di qualunque cosa ci fosse sul fondo del ripostiglio sotto al camino, e facendo spallucce allungò la mano per spostare il gattone.
“Avanti, togliti che de…”. Con uno scatto fulmineo quattro piccoli artigli acuminati le si conficcarono nel polso lacerandole la pelle e anche stoffa della camicia da notte.   
“FERUMBRAS!” ruggì Lila, dolorante, scrollandosi di dosso il gatto che si diede alla fuga. “Gatto della malora, NON AZZARDARTI A SCAPPARE!”.
Allarmata dal trambusto, Brid si affacciò sulla cucina con la vestaglia infilata soltanto per metà e lo sguardo semi-assente di chi è appena rotolato giù dal letto: lo spettacolo di sua sorella in camicia da notte che rincorreva il gatto per tutta la stanza lanciandogli dietro qualunque cosa le capitasse sottomano non la sorprese nemmeno la metà di quanto si era ritrovata a sperare mentre si precipitava giù dalle scale, e la vista del fuoco morente sotto un paiolo d’acqua che nemmeno fumava la fece addirittura sbuffare.
“…brutto sacco di pulci insubordinato, VIENI QUI CHE HO UNA MEZZA IDEA DI FARMI UN PAIO DI PANTOFOLE PER L’INVERNO CON LA TUA PELLICCIA!”.
“Allora mi sa che ne ricaveresti anche un paio di guanti e un cappello coordinati. E gatto arrosto per una settimana” borbottò Brid dalla porta, già di cattivo umore; Lila abbandonò subito i suoi propositi di vendetta e si voltò verso di lei, incurante del cupo gorgogliare emesso dal gatto rimasto incastrato nella gattaiola.
“Brid! Siamo senza legna!” fece subito, inspiegabilmente festosa. Sua sorella si domandò se ad elettrizzarla fosse l’idea di non avere di che scaldarsi oppure l’idealizzarla come la soluzione al problema. Decise di evitare qualsiasi inutile giro si parole e di venire subito al dunque.   
“Ho notato. È soltanto una mia impressione…o mi stai pregando con lo sguardo di andare a prenderne dalla legnaia sul retro?”. Lila non osò fiatare, ma il sorrisino colpevole che le spuntò sul viso non lasciò a Brid nemmeno qualche piccola possibilità di scampo.  
“Oggi i piatti li lavi tu” concluse, lanciando un’occhiataccia all’indirizzo della sorella quando questa provò a protestare; si sistemò addosso la veste da camera e agguantò la cesta con cui erano solite movimentare la legna per il fuoco. Lila, dal canto suo, si mise ad armeggiare nella credenza, in cerca del pane e del miele, rampognando concitata.
“… che io i ragni e i millepiedi non li sopporto! Non c’è bisogno di farmelo pesare tutte le volte, e poi io mica la costringo a lavare i piatti quando finisco per fare qualcosa al posto suo…”.
“Guarda che ti sento!” vociò Brid sulla porta, infilandosi gli stivali alla meno peggio; si chinò ad assestare una sonora pacca sul sedere a Ferumbras che ancora soffiava incastrato nella gattaiola, e subito quello sgusciò fuori di casa, veloce e silenzioso come una serpe.
“Ecco, allora sentiti in colpa!” sbottò scura in volto Lila, sbattendo il tagliere con il pane sulla tavola. “E adesso saluta mamma e papà!” fece poi, puntandosi una mano sul fianco mentre con l’altra indicava i due grossi ritratti ovali appesi accanto alla porta d’entrata. Brid sospirò, e dopo aver sventolato distrattamente una mano davanti alle due figure che sembravano guardarla dall’alto delle proprie cornici, uscì nella fredda ma accogliente alba autunnale.

 

 

Mentre adocchiava due grasse pernici rosse appollaiate sui rami di un albero non troppo lontano, Fíli maledisse mentalmente quell’idiota di suo fratello per averlo abbandonato con la futile scusa di volersi allenare. Negli ultimi tempi Kíli sembrava preferire la compagnia del proprio arco a quella del fratello, e sebbene Fíli fosse il primo a scherzarci sopra la cosa cominciava a dargli seri problemi, dato che se a Kíli tutto era concesso, lui non poteva dirsi altrettanto fortunato e oltre al lavoro alla fucina gli spettavano incombenze di cui avrebbe potuto occuparsi quel suo fratellino ingrato, come la caccia e il procurarsi la legna per il fuoco. La fatica di certo non l’aveva mai spaventato, ma se solo Kíli si fosse degnato, per una volta, di accompagnarlo, sarebbero bastate due delle sue frecce della malora per risolvere il problema di cosa mettere in tavola per cena, e senza nemmeno troppe sofferenze!
Prima ancora di poter fare qualunque cosa per impedirselo, il giovane Nano si lasciò sfuggire uno sbuffo frustrato che mise in allarme le due pernici: per un istante interminabile Fíli rimase immobile, acquattato sulla terra ancora umida di rugiada e con il cervello che lavorava tanto in fretta da fargli quasi temere che i due uccelli potessero udirne il lavorio. Poi le pernici spiccarono il volo verso il cielo con un frullo d’ali che suonò come un grido di terrore, e allora si concesse il lusso di saltare in piedi con un’imprecazione, facendo quanto più chiasso possibile. Non poté fare a meno di figurarsi l’espressione di vivo disappunto che avrebbe assunto sua madre se solo l’avesse visto comportarsi in modo tanto infantile, ma non appena a quell’immagine si sovrappose quella dello sguardo truce dello zio nel vederlo tornare dalla caccia a mani vuote, a Fíli passò immediatamente la voglia di accanirsi contro il fato avverso, le giornate storte e l’insana passione che il suo fratellino idiota nutriva per il tiro con l’arco. Si scoprì stanco e più che mai consapevole che se non intendeva deludere nessuno avrebbe fatto meglio a tornare a casa con almeno un fagiano, o anche solo una quaglia. Giusto per gradire.
Un tonfo improvviso lo costrinse a lasciar perdere qualunque cruccio lo stesse affliggendo e a mettere immediatamente mano alle armi: strisciò lungo il tronco rugoso dell’albero che poco prima l’aveva tenuto nascosto dalle pernici e con la prudenza degna di un cacciatore esperto si sporse quel tanto che bastava per gettarsi un’occhiata intorno. Non riuscì a scorgere niente, né il movimento di un qualche animale in fuga né un tronco che rotolava sul letto di foglie secche; arrivò perfino a dubitare di aver veramente sentito quel rumore, ma quando si ripeté non ebbe più alcun dubbio: non era solo. Chi ci fosse, là con lui, rimaneva un mistero, ma non si lasciò spaventare e cominciò a farsi strada tra gli alberi nel modo più silenzioso che i suoi pesanti stivali da caccia gli permisero.
Seguendo i tonfi giunse fino ad un piccolo gruppetto di betulle, nel mezzo del quale una figura curva e bardata in quella che sembrava una vestaglia da camera troppo grande, si accaniva con un’ascia sul tronco di un albero abbattuto.
Lì per lì Fíli rimase quasi deluso di aver trovato soltanto un bizzarro taglialegna intento a lavorare, ma poi qualcosa attirò la sua attenzione, e immediatamente cambiò atteggiamento: adagiate sul ceppo della betulla abbattuta, giacevano quattro lepri dal manto fulvo, legate insieme per le grosse zampe con un laccio di cuoio. Senza pensarci due volte, cominciò ad avvicinarsi sgusciando di albero in albero, approfittando dei colpi secchi dell’ascia contro il legno per coprire il rumore dei propri spostamenti, e quando fu tanto vicino da poter toccare le lepri semplicemente allungando una mano, Fíli parve improvvisamente ricordare chi era e cosa stava per fare: la mano tesa verso le prede gli si bloccò a mezz’aria, e la testa gli si riempì di voci spaventosamente simili a quelle di sua madre e suo zio che sembravano urlargli insulti e improperi a gran voce.
Per un momento rimase come sospeso, combattuto tra l’istinto di sopravvivenza e quelle voci che gli intimavano di comportarsi come il Nano d’alto rango qual era. Provò a dare la colpa al proprio buon cuore, al proprio fiero senso dell’onore, alla lealtà che aveva sempre mostrato a coloro che amava ma prima di tutto a se stesso…ma poi si disse che non sarebbe mai stato capace di rubare, non in questa vita né in un’altra. Non era un discorso di educazione, era semplicemente incapace di farlo.
Perciò chiuse gli occhi e si costrinse a serrare le dita intorno alle orecchie della lepre più vicina, tirandosele inevitabilmente tutte e quattro dietro l’albero: i tonfi dell’ascia contro i rami di betulla continuarono imperterriti, e Fíli fu veramente tentato di muovere un passo verso casa. Ma poi il cuore vinse in modo definitivo sulla mente, e gettando alle ortiche ogni prudenza si ritrovò alle spalle del taglialegna, senza nessun albero a nasconderlo e nella compromettente posizione di tendere una mano verso il bottino di caccia di qualcun altro: che lo stesse in realtà posando invece che prenderlo sarebbe stato un dettaglio di poco conto se il legittimo proprietario di quelle quattro lepri l’avesse sorpreso alle proprie spalle. E, in effetti, fu proprio così che Brid interpretò la scena che le si parò davanti quando si voltò per riprendere fiato.
Uno sconosciuto basso, biondo e con le trecce ai baffi stava tentando di soffiarle la cena dal piatto: lo fissò sconcertata per un attimo e subito gli puntò l’ascia alla gola, tentando di non sembrare troppo minuta e impacciata nella vecchia vestaglia di suo padre.
“Lasciale!” gli intimò sferzante, non badando ai palmi delle mani che lo sconosciuto le mostrava, in segno di resa.
“Non le stavo rubando!” si affrettò a specificare lui, con una fretta che quasi parve sospetta. “È…è che…mi sembrava di averne vista una muoversi!”. Fíli si dette dell’idiota per non aver saputo fare di meglio, ma non riuscì a prendersela troppo con se stesso, frastornato com’era dal ritrovarsi faccia a faccia con una donna: quello che di spalle gli era sembrato un taglialegna mingherlino e anche un po’ curvo sotto il peso degli anni e dell’ascia, gli si era invece mostrato come una ragazza in camicia da notte, avvolta in una veste da camera per lei decisamente troppo grande e con ai piedi pesanti stivali da uomo; continuava a puntargli alla gola l’ascia con cui aveva tagliato i rami di betulla e nel farlo i polsi non le tremavano, ma i suoi occhi scuri tradivano confusione.
“Co…cosa sei, tu?” domandò incerta, quasi come se si vergognasse. Fíli si concesse un sorrisetto.
È evidente che sono un Nano!” fece in tono ovvio. “E tu perché te ne vai a zonzo per il bosco in camicia da notte?”. La ragazza spalancò gli occhi, avvampando.
“È colpa di mia sorella…” la udì borbottare confusamente, riottosa, prima di riaversi e rinsaldare la presa sul manico dell’ascia. “Questo però non cambia le cose! Tu sei un Nano e io sono in camicia da notte, quelle lepri sono mie e tu stavi cercando di rubarle!”.
“S…NO! Cioè, io…” Fíli si morse la lingua, dannando per l’ennesima volta la propria incapacità di fare qualunque cosa di scorretto ci fosse al mondo. Poi gli venne un’idea.
“Se me le cedi ti taglio la legna” propose, e non poté fare a meno di sogghignare quando la vide indecisa.
“No! Le ho cacciate io e le tengo io! Con quelle ci mangiamo due giorni!” sbottò lei, scuotendo la testa come a volersi costringere a non cedere. Il Nano, dal canto suo, inarcò le sopracciglia in un’espressione scettica.
“Quindi anche la legna te la tagli tu…”. Lei gli rivolse un’occhiata talmente colma d’odio che per un momento Fíli credette di essere in pericolo, ma nonostante continuasse ad avere la lama dell’ascia a meno di due dita dal collo gli venne da ridere: quella ragazza non avrebbe potuto fargli del male nemmeno se fosse stata armata fino ai denti. Eppure continuava a comportarsi come se un’ascia impugnata maldestramente potesse fare di lei una guerriera.
“Fai ancora in tempo a cambiare idea: dammi le tue lepri e io taglio la legna per te” tentò con un sorrisetto, divertendosi a guardarla dibattersi tra il dubbio e il dovere.
“Te ne do una” azzardò lei per tutta risposta.
“Tre”.
Due!” ringhiò Brid assottigliando gli occhi in due fessure scure. “E mi aiuti a portare la legna a casa”.
Fíli sospirò rassegnato, mentre scuoteva la testa e ancora una volta alzava le mani in segno di resa: con due lepri in quattro di certo la sua famiglia non avrebbe banchettato, ma una volta a casa avrebbe sempre potuto cavarsela dicendo che un taglialegna rumoroso e fastidioso gli aveva fatto scappare tutte le prede…
“Affare fatto” concesse infine: dopo un’ultima occhiata sospettosa, la ragazza in camicia da notte allungò velocemente una mano a recuperare le quattro lepri e poi abbassò l’ascia, lasciandolo libero di muoversi. Fíli scrollò le spalle indolenzite dall’immobilità forzata e le sorrise affabile.
“Posso almeno sapere per chi avrò l’onore di tagliare la legna?” fece baldanzoso, sfilandosi la pesante giacca da caccia e gettandola sul ceppo di betulla. La ragazza lo guardò, improvvisamente timida, e senza mai lasciare la presa sul manico dell’ascia si afferrò i lati della camicia da notte, chinando il capo e accennando un inchino.
“Brid figlia di Breodvan, dei Colli di Vesproscuro” fece gentilmente, per poi recuperare l’atteggiamento diffidente di poco prima. “E il tuo nome quale sarebbe, Nano?”.
“Fíli figlio di Díli, mia signora” rispose prontamente lui, inchinandosi con un sorriso. “Al vostro servizio!”.
“Serva vostra, mastro Fíli. Ma solo quando avrete finito di tagliare la legna come promesso”. Prima ancora di potersi stupire per quel repentino cambio d’atteggiamento, Fíli si ritrovò con l’ascia in mano e un mucchio di legna da tagliare: Brid sedette comodamente sul ceppo, accanto alla sua giacca, con le lepri in grembo e una luce soddisfatta negli occhi scuri, e solo allora il giovane Nano parve notare quanto fosse minuta, di statura troppo modesta per essere una donna della Gente Alta. Represse un sogghigno nel constatare quanto fosse assurda quella situazione, e senza perdere altro tempo attaccò gli ultimi tronchi di betulla, ringraziando intimamente i Valar di avergli concesso di incontrare l’unica ragazza disarmata e con quattro lepri da scambiare nel giro di miglia.    

 

“È lì che abiti?” ansò Fíli quando giunsero sul limitare di un’ampia radura, al centro della quale sorgeva una casetta di pietra con una curiosa porta tonda provvista di gattaiola e una rimessa di legno rivolta ad est, con la porta spalancata: un piccolo gregge di capre, sparpagliato tra l’orticello verdeggiante opposto alla rimessa e il prato davanti alla casa, brucava serafico qualunque cosa fosse di aspetto commestibile, e una ben più consistente famiglia di grasse chiocce becchettava allegramente l’erba ancora intatta, senza risparmiare i nasi delle capre imprudenti che si azzardavano ad intralciare il loro cammino.
D’un tratto dimentica della presenza del Nano, Brid si bloccò sul limitare della radura e lanciò qualche occhiata critica in giro, come a volersi accertare che tutto fosse in ordine. Poi, chiaramente insoddisfatta, buttò in terra i ciocchi di legna che si era faticosamente caracollata appresso per tutto il bosco e cacciò un urlo che fece volare via tutti gli uccelli nel raggio di centinaia di metri.
“LIIIIIILAAAAAA!” tuonò, e Fíli quasi giurò a se stesso di aver visto una delle galline nere mollare un uovo sul prato, per lo spavento. Da dietro la porta tonda della casa provenne una cacofonia metallica, e subito dopo, accompagnata da un cigolio gentile e da una lunga treccia, la testa della sorella di Brid fece capolino dall’uscio.
“Brid? Per tutti i Soffiatromba, che diavolo hai da urlare?” borbottò attonita, spalancando gli occhi in due perfetti cerchi celesti. “E chi è quel bel tipo?” aggiunse poi, accennando alla figura silenziosa di Fíli.
“Cosa ho da urlare? LE CAPRE E LE GALLINE STANNO BANCHETTANDO NELL’ORTO, ECCO COSA HO DA URLARE!” strepitò la minore, paonazza in viso dalla rabbia e dall’imbarazzo; gli occhi di Lila si spalancarono ancora di più, tanto che Fíli temette di vederglieli rotolare fuori dalle orbite.
“NO! Veramente?”.
“Per Eru, Lila, corri a salvare il salvabile e stai zitta!”. Brid represse gli istinti omicidi che sentiva montare nei confronti della sorella e, incurante della legna, di Fíli, della colazione che ancora non aveva consumato e persino della veste da camera troppo grossa che le intralciava i movimenti, si mise a correre da un lato all’altro della radura, nel tentativo di recuperare quante più bestie le riuscisse prima che i danni divenissero irreparabili. Finalmente Lila si decise ad unirsi a lei, e Fíli ebbe soltanto una manciata di secondi per domandarsi perché diavolo si fosse portata dietro una padella, prima che una gallina gli planasse tra le braccia in un estremo tentativo di fuga. Senza nemmeno accorgersene si ritrovò invischiato in quel bailamme di capre e galline, con un braccio stupidamente ancora carico di legna, ma decisamente troppo impegnato ad evitare di pestare qualche pulcino per accorgersene.
“Lila, ma com’è possibile che appena mi allontano qui scoppia il finimondo?” berciò Brid tentando con tutte le proprie forze di trascinare il caprone riottoso nella stalla; dall’altra parte del prato, Lila batté il fondo della padella sul sedere di Ferumbras, che stava puntando una gallina terrorizzata nei pressi della porta di casa.
“Esagerata! Solo perché mi sono dimenticata di chiudere la stalla!” replicò guardando il gatto sfrecciare via terrorizzato, costringendo Fíli ad incespicare per evitarlo.
“ESAGERATA? Guarda che se fosse stato soltanto per il coro di ‘cooo’ e ‘beee’ mi sarebbe anche andata bene, MA QUESTE INGRATE CI STANNO BRUCANDO L’ORTO!”.
Fíli si ritrovò inevitabilmente a ridere, divertito dalla situazione che gli parve ancora più assurda di quella vissuta nel bosco, quando Brid l’aveva incastrato senza che lui se ne accorgesse; nel recuperare le ultime due galline i ciocchi di legna gli sfuggirono di mano, ma non ci fece caso: aiutò le due ragazze a stipare gli animali nei rispettivi recinti all’interno della rimessa e solo quando un chiocciare infastidito lo costrinse a tornare sui propri passi si accorse di aver abbandonato sul prato la legna portata dal bosco.
“…la prossima volta che combini un guaio come questo te lo sistemi da sola, razza di grattacapo ambulante che non sei altro!” sentì Brid che borbottava acidamente alla sorella trascinandola fuori dalla stalla, mentre si chinava a raccogliere una gallina particolarmente cocciuta che se n’era rimasta per tutto il tempo rannicchiata sull’erba, chiocciando rabbiosamente. Un rumore attutito di passi in avvicinamento e Brid gli fu accanto.
“Ah, Fíli! Ti ringrazio per averci aiutato” fece, liberandosi dell’ingombrante vestaglia e ravviandosi i lunghi capelli castani dietro le spalle, per poi tamponarsi la fronte con il dorso della mano. “E ti domando scusa per lo spettacolo impietoso. Di solito mia sorella non è così sbadata…non così tanto, almeno…” mugugnò con una smorfia. Lui le sorrise.
“Non scusarti, è stato divertente!” rispose sincero, porgendole la gallina che teneva tra le braccia. “Questa è rimasta tutto il tempo sull’erba, non si è mossa. Forse è ferita o malata…”.
“Grazie, adesso ci penso io”. Brid gli concesse un sorrisetto un po’ impacciato mentre si sporgeva a recuperare la gallina, e Fíli si sorprese a pensare che fosse piacevole stare in sua compagnia.
“Non c’è di che. Ora, se non ti dispiace, tolgo il disturbo prima che tu possa trovarmi qualche altro lavoro da fare” ridacchiò, piacevolmente stupito nel vederla arrossire un poco. Con un ultimo sorriso le voltò le spalle e s’incamminò verso il bosco; gli sembrò di sentirla borbottare qualcosa a proposito del dover tornare a far legna nei giorni successivi, dato che sua sorella non aveva messo da parte nemmeno un ciocco per tutta l’estate, ma non si voltò a chiederle di ripetersi. Qualcosa sul prato, però, esattamente davanti alla punta del suo stivale, lo costrinse a fermarsi.
“Ah, Brid…questo è tuo! L’ha fatto la gallina nera per la paura, quando prima ti sei messa a strillare…” fece, lanciando sovrappensiero l’uovo che aveva trovato in terra. Il suono che gli arrivò in risposta non fu troppo rassicurante, e quando si voltò a cercare l'uovo con lo sguardo, quel fastidioso presentimento che l'aveva gelato sul posto divenne realtà: l'uovo era piombato sul volto di Brid come anni addietro, quando ancora erano dei Nanetti e credevano di poter volare come tordi, la testa di Kíli era piombata contro la testata del letto di Thorin. Con la stessa, identica precisione da cecchino.
“Oh, per tutti i Va…Brid, ti chiedo…scu…” cominciò, mortificato e tremendamente divertito al tempo stesso, ma si dovette bloccare quasi subito per impedirsi di scoppiarle a ridere in faccia. Brid, dal canto suo, non fece una pega: si sistemò meglio la gallina contro il petto, e con la mano libera corse ad impugnare l’ascia che nella foga dell’inseguire le capre aveva conficcato nella staccionata dell’orto.
Fortunatamente Fíli ebbe il buonsenso di voltarsi e gettarsi tra gli alberi correndo a perdifiato, prima che fosse troppo tardi per dire addio alle montagne che l’avevano visto nascere e crescere; ad accompagnarlo per il primo tratto di strada, ci fu l’urlo di commiato di Brid.
“NANO DELLA MALORA, IO TI UCCIDO!”.





















*NOTE*
Buonsalve! Ecco che finalmente 'debutto' sul fandom de 'Lo Hobbit', che emozione! >.< Erano soltanto...sette anni che desideravo scrivere qualcosa sulle storie di Tolkien, cosa volete che sia. BAZZECOLE!
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto almeno un pochino, anche se stilisticamente parlando è evidente che si tratta dell'opera di una dilettante (purtroppo non sarò MAI in grado anche solo di emulare lo stile certosino del Professore, perciò mi limiterò a mantenermi il più fedele possibile ai fatti e alle trame dei suoi lavori) e anticipa ben poco di quello che sarà poi il vero svolgimento della storia...ma da qualche parte si deve pur cominciare, no? E direi che un vago quadro generale su chi siano Lila e Brid e come abbiano conosciuto Fíli è un buon punto di partenza. Ci tengo però a precisare che nonostante il tono di questi primi capitoli possa essere rilassato e addirittura comico sotto certi aspetti, la trama non sarà allegra e ridanciana fino alla fine (ahimè!), perciò...beh, se questo inizio è stato di vostro gradimento godetevi l'atmosfera tranquilla finchè dura! :) Intanto se vi va potete scrivermi due righe con le vostre prime impressioni, mi farebbe un immenso piacere!
Vi prego di perdonare gli eventuali errori di battitura o di distrazione, mi attiverò al più presto per correggerli! Grazie a tutti!



 
  
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