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Autore: Blackmoody    30/09/2013    0 recensioni
[...] e sulla parete si delineò una fenditura dai contorni danzanti, una sorta di stretto uscio aperto su stelle e oscurità che vacillavano e svanivano a tratti. Qualcuno allora si fece avanti attraverso quel nulla, titubante e forse sorpreso, e il Dio degli Inganni distinse una robusta creatura dalla pelle cerulea coperta da una leggera armatura di cuoio scuro. Un manto di pelliccia gli pendeva dalle spalle e una corta daga dal fianco sinistro, e le sue iridi sanguigne lo fissavano prive di astio.

Circa un anno dopo l'ultima grande battaglia contro il Folle Titano, la vita di Loki di Asgard ed Erin di Galway scorre pacifica – in attesa, forse, di nuove opportunità di conquista da cogliere. Ma c'è qualcosa del suo passato con cui l'Ingannatore ha ancora un conto aperto: qualcosa che giungerà dal buio di vaste e antiche lande di ghiaccio e neve.
SEGUITO DI THE MAJESTIC TALE, post-Avengers, sedici capitoli.
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Loki, Nuovo personaggio, Thor
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Majestic Tale of the Mischief Maker and the Flute Maiden'
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1.

A giant’s at the door in amazement

 

 

 

 

 

 

«Salute, dama Erin!»

L’irlandese allontanò le labbra dal flauto e sorrise affabile ai cortigiani che dal basso la guardavano rispettosi, le mani alzate in segno di saluto.

«Salute a voi, signori.» rispose loro; «Mi auguro che la mia musica non vi disturbi.»

Gli asgardiani scossero la testa quasi all’unisono:

«Giammai, altezza. È un piacere udire le vostre note nell’aria.» garantirono, e per quanto tutto ciò rientrasse nei rituali di cortesia della gente di corte Erin capì che erano sinceri. Dopotutto nemmeno gli Æsir avrebbero storto il naso di fronte all’Entracte della Carmen, e lei eseguiva quel pezzo con grande gusto, si disse.

Il gruppetto di dignitari s’inchinò e la giovane donna li osservò andar via dall’alto della sua postazione, ancora sorridente: essere trattata con tale deferenza era oltremodo piacevole – bizzarro, specialmente all’inizio, ma piacevole. Le comunicava una netta sensazione di potere, le rammentava che tutto era reale, forse addirittura la rassicurava.

Su Midgard era passato quasi un anno da quando Thanos era stato sconfitto e lei, la musicista di Galway, era divenuta la prima nuora del Padre degli Dei; in Irlanda e a Boston era inverno inoltrato, adesso, un febbraio di vento secco e irrequiete nubi grigie, e l’aria gelida le pungeva le guance ogni volta che la cascata iridescente del Bifröst la depositava sulla Terra.

Ad Asgard, invece, soltanto le cime dei monti lontani erano imbiancate. Il Reame Eterno non conosceva una vera e propria stagione fredda, benché da qualche tempo le ancelle avessero tirato fuori dai guardaroba sontuose pellicce e pesanti coperte di lana e broccato e fosse gradevole stare seduti vicino ai braceri bevendo vino caldo.

Erin aveva scandito il trascorrere del tempo con le proprie visite sul pianeta che l’aveva vista nascere, che fosse da sola o col marito, per lavoro o per diletto.

Fare la pendolare usando il Ponte Arcobaleno si era rivelato assai meglio del muoversi in treno o autobus: il segreto era abituarsi a quell’assurdo viaggio tra i mondi e tenere a bada lo stomaco. Heimdall le riferiva puntualmente le comunicazioni della sua famiglia e degli amici orchestrali, e lei rideva sempre nell’immaginarsi sua madre o Sylvia che cercando di non dare nell’occhio gridavano al cielo i propri messaggi, qualunque essi fossero. C’erano stati altri concerti, il suo compleanno che cadeva d’agosto, le festività natalizie e quelle per l’anno appena iniziato, e altrettanti erano stati gli impegni asgardiani: banchetti, cerimonie, ricevimenti con ambasciatori provenienti da territori più o meno leali a Odino, allegre scorrerie in compagnia del suo roboante cognato e dei suoi compari – e tutti i giorni e tutte le notti che viveva al fianco del suo amato, intrigante sposo.

Eppure non era accaduto niente di particolare, non ancora. Sembrava voler pazientare, il principe suo consorte, e studiare e ponderare sopra molte cose prima di mettere in pratica qualsiasi mossa, prima di elaborare nuovi piani. Non che a Erin dispiacesse quella pace, ma sapeva che lo avrebbe seguito ovunque e comunque, quando fosse giunto il momento.

La brezza fece frusciare gli spartiti sul leggìo di legno che aveva di fronte e l’irlandese scrollò le spalle, riavvicinando lo strumento alle labbra e tornando a concentrarsi sulle note.

 

 

Loki guardò la sagoma della moglie appollaiata sul balcone di una delle alte torri del palazzo, il lucore argenteo del flauto ben distinguibile tra le sue mani, e rise appena. La donna d’Irlanda era rimasta sfrontata e sicura di sé, come a lui piaceva, e l’irriverente garbo con cui si rapportava alle genti del regno gli dimostrava che non era affatto cambiata.

«La tua giovane signora si è abituata in fretta alla vita di Asgard.» disse una voce pacata alle spalle del dio: Odino era entrato nella stanza, vestito con abiti informali, e raggiunse il figlio alla finestra per godersi il sole del meriggio; «Grande è invero la sua tempra.»

«Lo so.» annuì Loki con una certa, compiaciuta ovvietà. «Hai messaggi per me, padre?»

«Solo di rammentare il banchetto di questa sera. L’inverno sta finendo ed è tempo di festeggiare.» replicò il re sorridendo, e toccandogli una spalla si congedò.

Il Dio degli Inganni distolse lo sguardo dalla figura lontana di Erin e fissò lo scintillìo d’acqua e oro che si apriva sotto di lui. Era placido, indolente, e così lui si sentiva – ed era insolito, eppure da circa tre stagioni sentiva che era giusto non avere fretta, e osservare, e comportarsi come tutti si aspettavano da colui che, risorto dalla propria rovina, li aveva salvati.

Sapeva che la sua sposa aveva iniziato a scalpitare, chiedendosi quando l’avrebbe finalmente messa a parte di rinnovate, esaltanti idee di conquista, ma sapeva anche che quando si ha l’eternità dalla propria non si ha motivo di correre: aveva compiuto abbastanza azioni avventate, in passato, e raramente gli avevano giovato. Era pur vero che l’eternità non riguardava l’irlandese, rammentò, e nonostante questo riteneva che essere nell’universo da ventisette primavere terrestri fosse un tempo sufficientemente breve da permetterle di restare con lui per molti altri anni ancora.

La morbida melodia suonata da Erin gli giunse tremolante alle orecchie attraverso l’etere limpido, e al contempo un sentore completamente diverso gli punse la nuca: era gelido, strisciante e appena accennato, e sembrava provenire dal buio di quei sentieri tra i mondi noti a lui soltanto. Dopo le infauste vicissitudini causate dal Folle Titano aveva ritenuto saggio bloccare la maggior parte dei segreti ingressi alla Dimora degli Dei, tranne quelli che avrebbero potuto servirgli; erano pochi, giusto un paio, e strategici, e in quei mesi non ne aveva mai fatto uso né vi aveva colto segnali che potessero preoccuparlo. In quei mesi, fino a quel preciso momento. Molto probabilmente non si trattava di alcunché di allarmante o minaccioso, e tantomeno di allettante, vantaggioso per lui, ma doveva controllare.

Così si allontanò di malavoglia dalla grande finestra affacciata sul cielo, gettando un’ultima occhiata al punto distante e luminoso dove la donna d’Irlanda si trovava, e senza fretta si avviò lungo i corridoi ombreggiati della reggia. Il velluto verde del giustacuore che indossava gli frusciò sulle gambe nello scendere le innumerevoli scale che conducevano ai piani inferiori: era diretto alle sale riservate ai suoi studi, dove conservava tomi e cimeli preziosi al pari di quelli compresi tra i tesori di Odino e da dove avrebbe potuto intercettare qualunque essere o cosa si stesse avvicinando, poiché era da lì che le sue vie nascoste si dipartivano.

Nessuno tra dame e cortigiani gli domandò dove stesse andando, impegnati com’erano coi preparativi del convito serale; s’inchinarono e basta, nell’incrociarlo, e il principe scivolò oltre con altera concentrazione.

 

 

La stanza, ampia e lunga, era immersa nel silenzio, e perfettamente immota.

Loki lasciò accostata un’anta della grande porta ricca d’intarsi che ne delimitava la soglia, certo che nessuna guardia si sarebbe arrischiata ad avvicinarsi senza essere chiamata, e avanzò fino all’unica parete cieca del salone. Il chiarore del giorno prossimo a calare filtrava dai trafori di marmo e ottone che chiudevano le alte monofore, e lui ne calpestò il disegno sul pavimento lucido quasi senza fare rumore. Superò tavoli e scaffali carichi di libri e oggetti dalle molteplici forme che si confondevano nella poca luce, e quando raggiunse il fondo del locale pose una mano sul muro fresco e liscio, tastandolo; quindi socchiuse le palpebre e prese a mormorare parole che da tempo non pronunciava, dall’ultima volta in cui aveva concesso ai Giganti di Ghiaccio di penetrare ad Asgard.

Il pensiero degli jotun lo colpì, scioccamente: il sentore gelido che gli aveva solleticato la nuca una manciata di minuti prima era sempre lì, e si faceva più intenso.

La voce gli crebbe nell’enunciare le sillabe finali della formula e con le dita premette appena sulla pietra, allontanandosi di un passo – e sulla parete si delineò una fenditura dai contorni danzanti, una sorta di stretto uscio aperto su stelle e oscurità che vacillavano e svanivano a tratti. Qualcuno allora si fece avanti attraverso quel nulla, titubante e forse sorpreso, e il Dio degli Inganni distinse una robusta creatura dalla pelle cerulea coperta da una leggera armatura di cuoio scuro. Un manto di pelliccia gli pendeva dalle spalle e una corta daga dal fianco sinistro, e le sue iridi sanguigne lo fissavano prive di astio.

«Credevi di passare inosservato, Gigante?» lo apostrofò Loki, aspro. Se non fosse stato per lo strano sguardo dell’altro non si sarebbe fermato a parlare, si disse. Il disprezzo che provava nei confronti delle genti di Jotunheim gli arroventava già le viscere, eppure qualcosa nello jotun che aveva di fronte lo incuriosiva in maniera quasi malsana.

«Credevo che avrei faticato a trovarti, principe.» fu la risposta.

«Io non ho faticato a trovare te. Non sai che la strada che hai percorso è sotto il mio controllo? Quale stolto motivo ti spinge a cercarmi qui, nella casa degli Æsir, con tanta sfrontatezza?»

Il Gigante si avvicinò, abbandonando la zona d’ombra, e l’asgardiano notò che i tratti del suo volto, per quanto spigolosi, erano nobili e armonici, adatti all’età non avanzata che dimostrava di avere. Gli rammentava qualcuno, ma d’altronde quegli esseri erano tutti simili tra loro.

«Per vederti, conoscerti. Per convenire con te.» replicò l’intruso, e quella che sembrava una totale assenza di propositi ostili nei suoi modi e nel suo tono indusse il dio a rimanere fermo dov’era, arrovellandosi sull’enigma vivente che stava fronteggiando.

«Chi sei, Gigante?» sibilò.

«Býleistr è il mio nome, principe.» l’altro dichiarò, e un lieve sorriso gli si dipinse sulle labbra sottili: «Býleistr, figlio di Laufey.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note

Salve salve salve. Avevo promesso che il Duo degli Inganni sarebbe presto tornato, ed eccoveli qui!

In realtà il mio piano originario prevedeva che iniziassi la pubblicazione di questa seconda storia soltanto dopo averla finita di scrivere, ma ho dovuto cambiare idea: il fatto è che più ne sappiamo (o non ne sappiamo) su The Dark World e più noto certe inquietanti coincidenze tra le mie trovate e quelle che sono o potrebbero essere quelle della Marvel. Ergo, per quanto tele(s)pa(s)tici possiamo essere io, Taylor, Feige e compagnia bella, ho ritenuto opportuno dare alle stampe la mia opera prima che il film esca, anche se con il film non ha davvero niente a che spartire.

E visto che s’inizia col botto… beh, Býleistr è un personaggio esistente nella mitologia norrena. Altro non dirò ;)

Precisazione importante numero Uno: per ragioni di continuità, e visto che comunque entrambe le mie storie si inseriscono sulla scia della linea narrativa degli Avengers, ho inserito anche questa nella sezione a loro dedicata, sebbene sia di stampo ben diverso dalla prima e molto, molto più asgardiana. Se trovate che ciò violi le regole del sito la sposterò.

Precisazione importante numero Due: se siete giunti qui senza leggere la Majestic Tale bisogna che rimediate, o vi sarete persi tutta la vicenda primigenia che ha portato Erin e Loki a conoscersi e tutto il resto. Anche se questo significherà leggere la suddetta Majestic con un notevole spoiler sulle spalle. Pardon!

Il titolo Kill the Irishwoman! è una citazione del titolo del film Kill the Irishman di Jonathan Hensleigh, e se vi sembra che non prometta niente di buono non vi resta che proseguire la lettura.

Il titolo del capitolo è invece un verso di Soul wars degli Awolnation. E come ‘ouverture’ musicale consiglio Shock to the system di Billy Idol, che sarà anche uno dei brani portanti di tutta l’avventura.

Bene, a questo punto non mi resta che incrociare l’incrociabile, sperare che vi piaccia/intrighi/incuriosisca e darvi appuntamento al prossimo capitolo, presumo tra una settimana. Attendo responsi :)

Ossequi asgardiani, signore e signori!

 

  
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