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Autore: RoseDust    30/09/2013    4 recensioni
La storia di un uomo vissuto nei primi decenni del 900, tra povertà, mancanza d'istruzione e vane speranze.
Genere: Angst, Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ovidio, seduto sulla riva del fiume, ripensava alla sua vita: era l'ultimo di sette fratelli, quello mai desiderato, del quale sua madre si sarebbe sbarazzata volentieri, se solo avesse potuto.
Suo padre, un uomo buono e paziente, era morto il giorno del quinto compleanno del suo ultimogenito, lasciando così una moglie e sette figli, tutti minorenni, senza sostentamento.
Quello fu il periodo più infelice della vita di Ovidio, poiché, ancora troppo piccolo per lavorare, il bambino sembrava solo essere un peso per tutti.
La sua famiglia si trasferì a casa della nonna paterna, rimasta vedova anch'ella tanti prima.
Ovidio non piaceva a sua nonna, forse per il nome insolito che non comprendeva o forse per la sua timidezza, che gli imponeva di parlare poco.
La storia del suo nome, effettivamente, non era mai stata chiarita: lui stesso scoprì chi fosse Ovidio solo in tarda età, ma suo padre, che aveva a mala pena finito la quinta elementare, doveva averlo sentito da qualche ricco borghese acculturato e scelto per il figlio, pensando probabilmente di poterlo destinare a qualcosa di grande semplicemente con un nome importante.
Quando il bambino compì sette anni, fu mandato a lavorare nei campi: mieteva il riso in autunno, con l'acqua che gli arrivava fin quasi alle ginocchia, mentre durante il resto dell'anno aiutava i contadini con la semina e la raccolta di qualsiasi altra cosa. Il lavoro che divertiva maggiormente Ovidio, che viveva tutto come se fosse un gioco, era la coglitura della frutta: si arrampicava rapido su peri, fichi, prugni e albicocchi, senza bisogno delle scale di legno a pioli che gli portavano i padroni dei campi e lassù, guardando il mondo sottostante, gli sembrava quasi di non farne parte, di essere un uccello pronto a librarsi in cielo. Durante il poco tempo libero che aveva, Ovidio amava sostare sotto uno dei tanti gelsi presenti nella zona, che costituivano il cibo dei bachi da seta.
Il giorno successivo al suo nono compleanno, il bambino fu messo a lavorare nella filanda della città più vicina.
Ovidio detestava quell'occupazione: selezionare i bachi da seta dividendoli per qualità era noioso e lui non era fatto per stare fermo 12 ore al giorno, muovendo solo le mani.
Tre anni dopo, ebbe modo di rimpiangere quel mestiere così facile e poco faticoso: i padroni della filanda non volevano maschi che avessero compiuto i dodici anni di età nella loro azienda; così, Ovidio finì a lavorare da un meccanico.
Quando l'uomo lo vide la prima volta gli chiese quanti anni avesse; il bambino, pronto, rispose di averne appena compiuti quattordici.
La bugia, però, non dovette convincere il padrone: il suo corpo gracile, già poco adatto a un dodicenne, era assolutamente impensabile per un ragazzo di quattordici anni; probabilmente fece delle ricerche, perché due settimane dopo cacciò Ovidio, in quanto troppo piccolo per svolgere determinate mansioni.
Il bambino era molto triste e preoccupato: se fosse tornato a casa con la notizia del suo licenziamento, la madre l'avrebbe sicuramente picchiato.
Cominciò a piangere, seduto sul ciglio della strada, quando un uomo gli si avvicinò, chiedendogli cosa fosse successo: in pochi minuti, Ovidio ottenne un nuovo lavoro.
L'uomo che si era fermato, incuriosito dal suo pianto, era infatti il padrone di una carrozzeria.
Il bambino, certo che si sarebbe occupato della riparazione delle carrozze, rimase sconcertato nel vedere tante automobili incidentate nel suo nuovo posto di lavoro.
Il padrone rise di gusto, vedendo lo sguardo rapito di quel bambino di campagna.
« Che, non l'hai mai vista un'automobile? » chiese con un forte accento del sud.
Inizialmente, Ovidio fu messo a lavorare come garzone, lavando le pistole che spruzzavano la vernice o passando gli attrezzi ai veri lavoratori della carrozzeria, ma il bambino era molto curioso e possedeva un grande desiderio di imparare cose nuove: ben presto, cominciò a osservare il lavoro degli stuccatori, che lo incuriosivano più di ogni altra figura che vedeva all'opera.
Un giorno, il padrone stava lavorando attorno a un'automobile, quando chiese a Ovidio di leggergli la percentuale di diluizione di una certa vernice.
Al bambino vennero i brividi, mentre si avvicinava lentamente al barattolo e lo fissava con aria ebete.
Si chiese per qualche secondo se dovesse mentire; si rispose che le conseguenze avrebbero potuto essere disastrose, così si risolse a dire:
« Io… Io non so leggere. Non sono mai andato a scuola. »
Il padrone, preso alla sprovvista da quella notizia, gli ordinò di imparare almeno a leggere e scrivere.
Ovidio chiese quindi a sua zia, che lavorava come maestra nella scuola elementare del paese, di insegnargli qualcosa la sera, prima di andare a dormire.
La donna, che comprendeva l'esigenza del nipote, acconsentì.
Scoprirono presto che Ovidio era particolarmente sveglio e portato per l'apprendimento.
La zia riuscì a fargli fare gli esami di quinta elementare da privatista e l'anno successivo il ragazzo fu iscritto, con due soli anni di ritardo, alle scuole medie serali.
Ovidio, in quel periodo, era moderatamente felice: era addirittura riuscito a comprarsi una bicicletta di seconda mano, grazie alla quale poteva concedersi mezz'ora in più di sonno ogni mattina e sul parafango della quale fece i suoi primi esperimenti di stuccatura quando nessuno lo vedeva, notando con sorpresa che non se la cavava per niente male.
Un mercoledì mattina, durante il suo quindicesimo anno di vita, un uomo venne a sollecitare il lavoro di stuccatura che andava fatto alla sua automobile: Ovidio era da solo in carrozzeria, così, per non perdere il cliente, decise di farlo lui stesso.
Quando il padrone arrivò, trovò che il parafango laterale dell'automobile su cui stava lavorando era già stato stuccato e stava asciugando in attesa della carteggiatura.
Sorpreso, domandò chi avesse fatto quel lavoro; quando Ovidio, facendosi coraggio, spiegò come erano andate le cose, l'uomo rispose semplicemente:
« Bene, bravo! Da oggi stuccherai e vernicerai tu! »
Il ragazzo, quella sera, tornò a casa sorridendo.
Terminate le scuole medie, Ovidio decise di proseguire gli studi serali e si iscrisse a una scuola superiore; scelse di frequentare ragioneria per gli sbocchi dati da quella scuola, nonostante la difficoltà delle materie per uno studente lavoratore.
Fu in quell'edificio già vecchio e troppo sporco che Ovidio conobbe Caterina.
La ragazza, che aveva due anni meno di lui, durante il giorno lavorava nella stessa filanda da cui Ovidio era stato cacciato a dodici anni.
La famiglia di Caterina era molto povera e lei non voleva un futuro come quello che l'esempio della madre le preannunciava: casalinga, senza la possibilità di guadagnarsi qualche soldo, con quattro figli a cui badare e neanche un minuto da dedicare a se stessa.
I due ragazzi svilupparono presto una forte amicizia, che nel cuore di Ovidio sfociò pian piano in tutt'altro sentimento.
Quando, a 19 anni, il ragazzo si fece coraggio e chiese a Caterina di sposarlo, lei impallidì: gli spiegò che gli voleva molto bene, ma che lui era per lei come un fratello; inoltre, ribadì di voler terminare gli studi per trovare un lavoro adeguato alle sue capacità.
Rattristato da questo rifiuto, Ovidio si chiuse maggiormente in se stesso, concentrando tutti i suoi sforzi nello studio, pensando che, magari, se fosse riuscito a ottenere un buon lavoro, Caterina avrebbe cambiato idea.
A ventuno anni, il ragazzo riuscì finalmente a diplomarsi; venne contattato da una banca e lasciò, un po' a malincuore, la carrozzeria dove aveva imparato tanto.
Il lavoro in banca rendeva molto, così Ovidio riuscì, nel giro di un anno, ad acquistare una casa tutta per sé, pur continuando ad aiutare economicamente il resto della famiglia.
Aveva perso di vista Caterina; la cercò, ma scoprì che, non riuscendo a trovare lavoro, pochi mesi dopo il diploma si era sposata con un ricco commerciante che viveva nel centro della città e sembrava solo desideroso di mostrarla come trofeo ai soci d'affari.
Ovidio venne anche a conoscenza del fatto che Caterina aveva quindi rinunciato a ogni aspirazione lavorativa, preferendo gli agi della vita da mantenuta, pur senza amore, che il suo bell'aspetto le aveva permesso di ottenere.
Disperato per l'ennesimo tiro della sorte, l'uomo cercò tra le sue conoscenze una donna da sposare, cercando, più che l'amore, bellezza e manualità, desideroso com'era di non soffrire mai più.
La scelta ricadde sulla figlia di un'amica della madre, una ragazza capace di fare bellissimi ricami e deliziosi manicaretti.
Qualche mese dopo il matrimonio con Elisa, Ovidio scoprì che Caterina era incinta; dopo qualche altro mese, che era morta di parto.
Alla fine, Elisa si dimostrò una moglie migliore di quanto il marito si aspettasse prima di sposarla, ma non riuscì mai a colmare il vuoto che Caterina aveva lasciato dentro di lui; morì, senza dargli eredi, dopo venticinque anni di matrimonio.
Ovidio, seduto in giacca e cravatta su quella riva malinconica del fiume che l'aveva visto crescere, pensò che in fondo sarebbe dovuto essere felice della sua vita e di ciò che era riuscito a diventare, ma non ci riuscì: il pensiero dell'unica donna che avesse mai amato continuava a tormentarlo, non dandogli tregua neppure nei suoi sogni.
Forse, se non avessero perso i contatti, lei lo avrebbe sposato, vedendo il lavoro che era riuscito a trovare; forse, se fosse diventata sua moglie, non sarebbe morta in quel modo…
Ovidio, rimasto solo, avendo tutto, ma non avendo niente, camminò verso il fiume; il buio era sceso lentamente, mentre lui ricordava la sua vita, addolorato, e ora lo nascondeva perfettamente ai passanti. Le scarpe e i calzoni eleganti si bagnarono, ma l'uomo non si fermò: così, in un attimo, Ovidio andò incontro alla morte.



L'immagine è l'autoritratto di Matteo Pedrali.
Questa storia ha partecipato al contest "Scegli il tuo prompt" di Fabi_Fabi.
 
  
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