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Autore: __Sabotage    01/10/2013    1 recensioni
Santana Lopez è la stronza per eccellenza, colei che appare tanto forte e ha sempre una parola cattiva su tutti che però poi si è scoperta più fragile di quanto immaginasse, lasciandosi sotterrare sotto strati di dolore.
Finn Hudson è il ragazzo creato a immagine e somiglianza dalla massa che con il passare degli anni è riuscito a riscattarsi e a trovare la sua strada.
Quando le loro strade si incontrano, scopriranno come salvarsi a vicenda.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Finn Hudson, Santana Lopez
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“Forza ragazze, un po’ più di grinta, so che sapete aprirle bene quelle gambe!” Esclamò Santana Lopez con un ghigno.
La coach Sylvester l’aveva messa a capo delle Cheerios mentre lei era in viaggio “di lavoro”. Ora che aveva trovato l’amore della sua vita, cercava di sfruttare ogni momento per passarlo insieme a lui e Santana non si faceva certo pregare, stare al comando era una delle sue attitudini migliori. Ma non era tanto questione di sbraitare contro le sue compagne di squadra, cosa che adorava, ma ci teneva davvero che le Cheerios vincessero le Nazionali.
Era una persona orgogliosa e competitiva ma ci teneva davvero alla sua squadra, per quello la Sylvester l’aveva nominata capo cheerleader, suscitando le invidie delle altre. Ma alla fine tutte adoravano e rispettavano Santana, sapevano anche loro che era la persona giusta per quell’incarico.
“Kayla, potrai riposarti quando sarai morta, ora continua con quelle flessioni, quelle caramelle gommose che osi chiamare braccia non riuscirebbero a sostenere nemmeno mia nonna, figuriamoci due Cheerios!” La malcapitata era una delle ragazze alla base della piramide, una novellina che per guadagnarsi la fiducia del capo doveva sorridere e annuire a tutto quello che dicesse, lottando contro l’istinto di insultarla fino alla morte.
“Ehi, non credi di star un po’ esagerando?” Se fosse stata una voce comune si sarebbe girata e avrebbe rivolto a quella ragazza la peggiore delle sue fulminate, ma si trattava di Brittany, la sua ragazza, quindi poteva fare un’eccezione.
“Non si stanno impegnando abbastanza, mancano due settimane alle Nazionali, è pochissimo tempo!” Esclamò la latina, gesticolando con enfasi, per poi venire calmata dalle mani della bionda, la quale si premurò di massaggiarle le spalle. Santana piegò la testa e fece un sospiro di piacere, Brittany sapeva sempre come comportarsi con lei.
“Stai tranquilla piccola, ce la faremo. Con una capo cheerleader brava come te, potremmo sconfiggere chiunque. E non metterle troppo sotto pressione, potrebbero non arrivare preparate mentalmente alla gara.” Disse Brittany con la sua soave voce che aveva un effetto calmante su Santana.
“Hai ragione, ce la faremo.” La latina le sorrise e le lasciò un leggero bacio sulle labbra. “Cinque minuti di pausa!” Urlò e gli occhi delle altre Cheerios stavano per uscire dalle orbite dato che non avevano mai sentito quelle parole uscire dalla bocca di Santana.
Brittany la prese per mano e si avviarono insieme verso il corridoio per una sessione privata di “sweet lady kisses”. Durante il tragitto incontrarono un’altra coppia che sembrava aver avuto la loro stessa idea.
“Ehi Rachel, ehi Finn!” salutò Brittany allegra, agitando l’altra mano.
“Uh, i Finchel.” Esclamò sarcastica, accentuando l’ultima parola “Che bello vedervi!”
“Ciao Brittany e ciao anche a Santana, se vuoi insultarmi di nuovo per il mio abbigliamento o il mio naso fai pure, sappi che i tuoi insulti non possono scalfirmi!” Affermò Rachel decisa, incrociando le braccia al petto, ricoperto da un eccentrico maglione con le renne.
“Oh no, non potrei mai!” Santana si portò la mano al cuore con fare melodrammatico “Adoro il tuo maglione, è così bello che per poco non notavo il tuo naso.” Aggiunse con un sorriso soddisfatto, nella lista dei suoi hobby preferiti punzecchiare Rachel Berry era decisamente ai primi posti.
La ragazza mise il muso e si allontanò impettita insieme al suo ragazzo, Finn Hudson. Non si capacitava ancora come il quarterback potesse stare con la sfigata del liceo. Certo, aveva una bella voce e tante altre belle doti, quello era innegabile, però non la smetteva mai di parlare e tutto quello che diceva la annoiava.
Si voltò verso Finn mentre con Brittany stava andando dalla direzione opposta e notò che anche lui la stava guardando. I loro occhi si incontrarono per qualche secondo di troppo e così Santana ruppe subito l’imbarazzo, voltandosi nuovamente verso la sua ragazza. In ogni caso, con chi stava Finn Hudson non era un problema suo.
 
Erano buffi i pensieri che riaffioravano alla mente da ubriachi, pensò Santana mentre tintinnava il bicchiere contenente l’ennesimo drink della serata.
Era passata da tutto a niente, da capo cheerleader super popolare a sfigata assurda e non sapeva nemmeno dire con esattezza quando era iniziato il crollo.
“Ehi bella, vieni a ballare?” L’ennesima voce maschile monocorde le parlò da dietro e lei si girò sul seggiolino da bar per poter vedere in faccia la sua preda.
Era ben piazzato, si poteva fare. Così annuì e si lasciò guidare dall’ennesimo sconosciuto innamorato del suo corpo.
Era da parecchio tempo che Santana si comportava così, devastandosi nei club fino all’alba per poi dormire fino alle quattro di pomeriggio, mangiare una pizza davanti alla televisione e poi riprendere da capo. I soldi non le mancavano di certo, i suoi genitori si premuravano che le sue carte di credito fossero sempre belle piene ma del cuore, beh.. quello speravano di riempirlo con qualche centone.
Era successo dopo che fu buttata fuori dall’università di Louisville per rissa. Ebbene sì, era riuscita a farsi cacciare persino dall’università più pidocchiosa.
Non poteva cambiare il suo carattere aggressivo e impulsivo e di certo non poteva cambiare l’odio che provava nei confronti di Beverley Kingston, quella troietta che credeva di poter comandare la scuola.
L’avevano avvertita, le altre ragazze della squadra, che Beverley si divertiva a stuzzicarle, ma bastava rimanere al proprio posto e tutto sarebbe andato a posto.
Ma lei non poteva stare lì a guardare mentre umiliava tutte, una per una, lei compresa, solo perché erano tutte troppo rammollite per affrontarla.
Così una sera, si decise ad andare a parlarle. Non voleva prenderla per i capelli, solo farle capire che non poteva comportarsi in quel modo perché lei non accettava di farsi mettere i piedi in testa da lei. E la cosa buffa era che era stata Beverley ad iniziare la rissa, ma ovviamente il revisore del campus aveva creduto alla bionda ossigenata figlia di papà piuttosto che alla latina dal sangue caldo.
Avevamo deciso di sospenderla per un mese, sarebbe potuta tornare il mese successivo se avesse accettato di frequentare un corso per la gestione della rabbia ma no, lei non ci pensava nemmeno.
Si ritirò dalla scuola e si trasferì New York, città più adatta a lei. Ormai tutti i corsi erano iniziati, quindi non c’era modo di potersi iscrivere in una nuova università così tentò di fare qualche stage.
Lasciò annunci ovunque, fece milioni di colloqui ma niente, New York sembrava rifiutarla.
Poi arrivò la batosta che segnò l’inizio del crollo di Santana Lopez, la morte di sua nonna. Colei che le era sempre stata vicina, colei che l’aveva cresciuta e poi l’aveva allontanata per averle parlato con il cuore in mano. E non era tanto il fatto di non poterle più parlare a turbarla, quanto il fatto di non poterle spiegare che forse si era sbagliata.
Sì, com’è possibile sbagliarsi su una cosa tanto importante? Ma aveva diciotto anni e Brittany era l’unica persona che non l’aveva mai respinta nella sua vita e lei si era convinta di amarla. E l’amava davvero, con tutto il suo cuore, ma non amava il resto del genere femminile.
No, lei non era lesbica. Bisex, forse, ma provava una grande attrazione per gli uomini, infatti se ne faceva uno diverso ogni sera, al club.
Brittany non era presente al funerale di sua nonna, una cerimonia semplice tenutasi a Lima, dove viveva. Aveva cercato di contattarla, ma ormai la bionda viveva in un mondo differente, non aveva più tempo per lei.
Santana si rifiutò di piangere, era una cosa che odiava. Preferiva che il dolore le marcisse dentro piuttosto che rigarsi le guance e doversi soffiare il naso ogni cinque minuti.
Lei era forte, poteva sopportarlo. Avrebbe infilato quell’ennesimo dolore in un posticino del suo cuore che poi avrebbe chiuso a chiave, come faceva sempre.
Ma non poteva ignorare un dolore così grande e non aveva le forze per combatterlo, così lasciò che fu il dolore a combattere contro di lei e a dominarla.
Passò dalla Santana che viveva ogni giorno come se fosse l’ultimo alla Santana che sopravviveva e non distingueva neppure più un giorno dall’altro.
La sua televisione diventò la sua migliore amica e il divano il suo ragazzo, dato che ci passava la maggior parte del tempo.
Si dice che una persona sia morta quando il suo cuore smette di battere e l’ossigeno smette di arrivare al cervello. Beh, Santana era morta da tempo.
Dopo essersi accaparrata uno sgabello e essersi scolata due Long Island iniziò a giocare con il telefono. Voleva sembrare occupata, ora che anche gli sfigati ci provavano con lei. Non che lei non fosse, ma almeno era bella. Erano dei totali rospi e Santana non aveva ancora toccato il fondo, in quel modo.
Non usava mai il telefono, le serviva solo per salvare i numeri dei tizi che si portava a letto e che poi non richiamava. Non si accorse però che mentre era impegnata a umiliare mentalmente quei tipi le era partita una chiamata.
Una voce maschile dall’altro capo del telefono rese tutto più reale. Spaventata, cercò di chiudere la telefonata premendo tasti a caso, dato che la sua vista era offuscata dall’alcool. Ci riuscì e tirò un sospiro di sollievo.
Non voleva parlare con nessuno, tanto meno con quegli stupidi che la usavano solo per vantarsene con gli amici.
*
 
“Pronto?” Finn Hudson ripetette quella parolina per un minuto buono dato che nessuno sembrava rispondere. In compenso sentiva della musica molto alta in sottofondo, probabilmente si trattava di una discoteca.
Lavorando al turno di notte, a Finn era capitato molte volte di rispondere a telefonate come quella e nel 90% dei casi si trattava di uno scherzo, ma c’era quel 10% che faceva sempre rimanere Finn sull’attenti. In fondo perché lui era, quel 10%.
Ridevano tutti sotto i baffi quando diceva di voler diventare un agente di polizia. Dicevano che aveva paura persino della sua stessa ombra e che se gli davano delle manette in mano si sarebbe messo ad arrestarla.
Ma lui non aveva dato retta a nessuno, si era arruolato nell’esercito, prestando servizio per un anno nel Medio Oriente e poi aveva partecipato a uno di quei concorsi per far parte della polizia.
C’era gente molto più valida di lui, dei veri e propri eroi, eppure nessuno aveva il suo cuore. Era sempre a lui che si rivolgevano quando dovevano far mantenere la calma ai bambini, alle donne e a volte anche ai padri di famiglia. Si rivolgevano a lui perché lui sapeva parlare ai cuori e risultare così puro e cristallino, anche con un mitra in mano. Le persone si fidavano di lui e così era sempre stato, sin dai tempi del liceo. Solo in quel modo era riuscito ad evitare un suicidio sociale, prendendo parte sia del Glee Club che della squadra di football e risultare una stella in entrambi.
Non era stato facile per i suoi compagni, accettare che il loro quarterback cantasse canzoni da musical invece che allenarsi e lo stesso valeva per i ragazzi del Glee che ritenevano spacconi quelli del football, ma Finn era riuscito a conciliare tutto. Questo grazie anche a Rachel, doveva ammetterlo.
Rachel Berry era stato il suo amore del liceo, oltre a Quinn Fabray. Col senno di poi, si accorse che forse, in quelle relazioni ci era stato un po’ trascinato, perché gli altri si aspettavano che le cose andassero in quel modo.
Ma poi Finn aveva deciso di pensare con la sua testa; gli altri non avevamo mai avuto ragione su di lui.
E così ce l’aveva fatta, certo era un novellino e si prendeva tutti i turni di notte che i suoi colleghi non volevano, però aveva realizzato il suo sogno, alla faccia di tutti coloro che non avevano creduto in lui.
Era quell’uno su un milione di cui la gente parlava tanto, il temporale in agosto, la neve in California, l’eccezione che confermava la regola.
Per quello volle controllare da dove proveniva quella telefonata. Inserì alcuni dati nel computer e aspettò che l’apparecchio li elaborasse.
Il nome del proprietario lo lasciò di stucco, Santana Lopez, residente a New York. La foto confermò che si trattava della sua ex compagna di liceo, quella per cui aveva sempre avuto una cotta ma mai le palle per dichiararsi.
Inoltre, il suo coming out e la sua relazione con Brittany l’avevano del tutto convinto a farsi da parte.
Non immaginava che abitasse a New York, l’ultima volta che aveva avuto sue notizie era stato al liceo e sapeva che frequentava l’università di Louisville, nel Kentucky.
Fare scherzi alla polizia, però, era troppo infimo, persino per Santana Lopez. E se si fosse trovata davvero nei guai? Dio, gli sembrava di essere tornato al liceo quando si faceva mille pippe mentali su di lei. Non era più un ragazzino, ora era un uomo e aveva cose più importanti a cui pensare.
La bolletta della luce, il riscaldamento, la spesa, gli alimenti per Tommy. Tutti lo chiamavano incidente di percorso ma lui era contento di avere quel bambino nella sua vita.
Non lo vedeva spesso perché Angie, la madre, viveva a Brentwood, però ci era affezionato, era suo figlio.
L'aveva conosciuta a una festa, quattro anni prima. Il suo migliore amico, Noah Puckerman, ce l’aveva portato e l’aveva fatto bere un po’ troppo. Lo stesso era successo alla ragazza e così si erano incontrati, dimenticandosi le precauzioni.
Finn voleva chiamarla, non che la conoscesse bene ma sembrava una ragazza simpatica. Puck glielo proibì, diceva che era vietato da qualcosa, tipo il codice dei fratelli, chiamare le ragazze che ci si faceva alle feste, erano solo da una botta e via.
Alla fine fu Angie a chiamare lui, tre mesi dopo, dicendogli che era incinta. Avevano diciannove anni lui e venti lei, però riuscirono a gestire quella cosa in qualche modo. Però senza avere una relazione, Angie non lo amava e lui non gliene faceva una colpa, in fondo non si conoscevano nemmeno.
Non gli negò mai di vedere il bambino, infatti ogni momento libero che Finn poteva ritagliarsi dal suo lavoro lo occupava per andare a trovare Tommy. Negandosi così l’opportunità di vivere la sua vita.
Tra il lavoro e i treni per Brentwood a tutte le ore, non aveva mai il tempo di pensare alla sua vita, magari frequentare qualcuna e mettere su famiglia, una famiglia che non si trovasse a 4.518,9 km da lui.
Era stato troppo tempo su una giostra senza riuscire a scendere ed era giunto il momento di fare qualcosa, riallacciare qualche rapporto.
Non aveva alcuna speranza con Santana Lopez ma magari, lei lo avrebbe condotto dalla donna della sua vita.
 
*
 
Aspettò il mattino per richiamare quel numero di telefono senza ottenere risposta, per poi darsi dello stupido dato che se Santana era andata in un club, probabilmente stava ancora dormendo.
Riprovò verso le quattro del pomeriggio e questa volta ottenne un annoiato pronto?
“Ehi Santana, sono Finn Hudson. Andavamo a scuola insieme, ricordi?” La latina si tolse il telefono dall’orecchio per poi guardarlo stranita e riagganciare.
“Pronto Santana?” Non gli ci volle molto per capire che gli aveva chiuso il telefono in faccia. Non si diede per vinto e riprovò, in fondo era nella natura di Finn non arrendersi.
“Pronto?”
“Santana, non riattaccare per favore, volevo chiederti come mai hai chiamato la polizia ieri notte.”
Questa era matto da legare, pensò Santana, era scomparso dalla sua vita il giorno del diploma e ora pensava di ritornarci con quella domanda idiota?
“Non so di cosa tu stia parlando, Hudson.” Rispose sgranocchiando qualche pop corn davanti alla televisione.
“Lavoro al turno di notte come agente di polizia e ieri sera verso l’una hai chiamato il 911. Mi è sembrato di sentire la musica da discoteca in sottofondo, quindi magari non eri.. in te, quando hai fatto quella telefonata.” Spiegò Finn, cercando di essere più delicato possibile. “Senti Hudson, mi fa davvero tanto piacere che tu sia diventato uno sbirro” disse annoiata con una punta di sarcasmo “e se devi arrestarmi perché ho fatto quella chiamata da sbronza persa, fai pure.”
“No, non devo arrestarti. Volevo solo sapere se era tutto okay, ricevo chiamate di quel genere una notte sì e una no, la maggior parte è inconsapevole, come la tua, ma non si sa mai.”
“Sì, è tutto okay Hudson. Va tutto a meraviglia.” Il solito tono sarcastico e i soliti pop corn masticati tra una parola e l’altra.
“Non sapevo abitassi a New York.” aggiunse Finn qualche secondo dopo.
“Oh, siamo passati alle chiacchiere futili ora? Già, abito a New York, grazie per avermi spiata grazie ai computer della polizia.”
“Oh, non c’è di che.” Rispose Finn, adeguandosi al suo tono. “I computer della polizia mi hanno anche detto che sei disoccupata e noi stiamo appunto cercando-“ “Hudson frena, nessuno ti ha chiesto di interessarti alla mia vita, quindi stanne fuori. Solo perché sei ora sei uno sbirro non sentirti autorizzato a salvare tutti.”
Si aspettava una reazione del genere, Santana aveva sempre tenuto tutti a larga ma.. aveva bisogno che qualcuno la salvasse?
“E tu devi essere salvata?”
“Nessuno deve essere salvato, è solo una cosa stupida che dicono le persone senza cervello perché non riescono a stare senza qualcuno che faccia loro da balia.”
“Tutti hanno bisogno di essere salvati.” Santana fece uno sbuffo sonoro e poi riagganciò.
“Al diavolo!” urlò Finn al telefono senza nessuno dall’altro capo che potesse sentirlo.
Si era stancato, lui aveva davvero cercato di essere gentile, voleva bene a Santana, gliene voleva ancora nonostante non si vedessero da cinque anni, ma anche la sua pazienza aveva un limite e la latina l’aveva superato.
Non ci avrebbe più pensato, per una volta tanto avrebbe pensato solo a sé stesso.
 
*
 
Incredibile, pensò Santana, una volta riattaccato il telefono in faccia a Finn. Cioè, faceva sul serio? Finn Hudson veniva a parlare di salvare la gente dopo che aveva avuto quattro anni del liceo per farlo? Era troppo impegnato con Rachel Berry allora, per capire che si stava aggrappando a lui come un’ancora, nel suo modo bislacco.
Sì, gli aveva preso la verginità, sì, lo insultava più e più volte ma quello era il suo modo per dirgli che pensava a lui e lo voleva nella sua vita, il metodo Lopez insomma, più contorto era meglio era. Solo che lui non aveva mai capito e questo in parte l’aveva ferita, così aveva lasciato correre, lo aveva lasciato correre e si era concentrata su altro.
Cristo, come poteva pensare ancora ad Hudson dopo cinque anni che non si vedevano né sentivano? Stupida, stupida che non era altro. Urgeva una terapia d’urto, per fortuna che aveva un po’ di “calmante” alla vodka in casa.
 
*
 
Neanche a farlo apposta, quella sera stessa mentre era di turno in centrale chiamarono Finn dall’ospedale. Si trattava di Santana.
Non si capacitava del perché avessero chiamato lui, probabilmente avevano visto l’elenco delle chiamate ricevute e lui risultava l’ultimo della lista.
Chiese a un suo collega di coprirlo per il turno, mostrandogli la chiamata da parte dell’ospedale e dopo che ebbe ricevuto l’okay, si avviò verso il Lenox Hill Hospital.
Era preoccupato e anche se aveva promesso a se stesso di non pensare più alla latina, quella poteva essere un’eccezione più che valida.
Si meravigliò del poco tempo che ci impiegò per fare quel tratto di strada, ora che era un poliziotto poteva direttamente farsi la multa da solo ma si perdonò, date le circostanze.
Alla reception chiese di lei e l’infermiera gli indicò il numero della stanza. Era impressionante vedere Santana in quello stato, con quei tubicini infilati nel naso, il trucco sbavato e i capelli arruffati.
Sembrava quasi umana, per una volta.
Avvicinò una sedia al suo letto e si protese per prenderle la mano. Non sapeva cosa fare in quelle occasioni, così si limitò ad accarezzarle il palmo con un dito.
“Signor Hudson?” Una dottoressa sulla quarantina di carnagione scura fece capolino alla porta e lo fece trasalire.
“Sì, sono io.” Si alzò per andare a stringere la mano alla donna.
“Scusi non intendevo spaventarla e stia pure comodo. Immagino sia un amico della signorina Lopez, abbiamo trovato il suo numero nel telefono.”
“Sì, sono.. un amico.” Era un po’ difficile definirsi tale, ma in quel momento le imponevano le circostanze.
“Bene, le spiego cos’è successo. La signorina Lopez ha fatto abuso di alcolici e così è diventata incosciente, è stato il barista di un club a chiamare l’ambulanza. Abbiamo riscontrato un tasso alcolico di 4 g/l nel sangue, il coma è dovuto all’ipoglicemia ovvero a un basso livello di glucosio nel sangue e all’acidosi, ovvero alla diminuzione del pH, ora non sto a spiegarle tutto ma in pratica stiamo fornendo alla paziente glucosio per via endovenosa e stiamo controllando la respirazione tramite mezzi artificiali.
E’ stato un brutto colpo ma ce la farà, dovrebbe svegliarsi a breve ma ha bisogno di riposare. La tenga lontano dall’alcool, per favore.” La dottoressa rivolse un sorriso professionale a Finn.
“Mi chiami se ha bisogno di qualcosa.”
“Certo, grazie mille dottoressa.” Finn annuii e strinse ancora una volta la mano della donna per poi avviarsi nuovamente accanto al letto di Santana.
Non era uno psichiatra e non voleva esserlo però prima quella telefonata brusca, la voce impastata dal sonno e poi il coma etilico, c’era seriamente qualcosa che non andava nella vita della ragazza.
Era mercoledì, quindi non poteva usare la scusa che era uscita a divertirsi il venerdì sera.
Un mugolio da parte di Santana lo scosse dai suoi pensieri, si stava svegliando e lui non poté fare a meno di sorridere, si era davvero preoccupato a morte.
“Huds-“ sillabò incerta con la voce flebile, interrotta subito dal ragazzo. “Shh, non ti sforzare. Sei in ospedale, sei finita in coma etilico ma ora stai bene. Devi solo riposare.”
“Grazie.” Sussurrò la latina, prima di chiudere nuovamente gli occhi. Finn non seppe se era perché era ancora sotto l’effetto dei medicinali ma poteva giurare di non aver mai sentito Santana Lopez rivolgergli quella parola e di certo non la sua mano debole, che strinse dolcemente come per farle capire che apprezzava.
La mattina dopo si risvegliò nella stessa posizione, con la sua mano stretta in quella di Santana e la schiena a pezzi per aver dormito su una sedia d’ospedale.
La lasciò andare per potersi alzare e stiracchiare e si lasciò scappare uno sbadiglio. Gli serviva decisamente un caffè dopo la nottata trascorsa così si avviò verso la porta ma fu bloccato da una voce femminile che chiamava il suo nome.
“Ehi, ti sei svegliata.” Disse Finn avvicinandosi nuovamente al letto della latina.
“Cosa ci fai qui?”
“Mi hanno telefonato, era l’ultimo numero presente nel registro chiamate. Vuoi che chiami qualcuno?”
“No, non ho bisogno di nessuno.” Santana scosse la testa, o meglio non sarebbe venuto nessuno.
“Potevi morire Santana, ci sarà pur qualcuno preoccupato per te, i tuoi genitori, un’amica..”
“Non c’è nessuno, okay?” Disse velenosa, puntando i suoi occhi castani contro quelli del ragazzo, sollevandosi sulle braccia e sedendosi con la schiena appoggiata contro la testata del letto. Quello sforzo le provocò una fitta di dolore.
“Ehi, non ti affaticare.” La prese per un braccio, cercando di aiutarla. Doveva essere ancora debole.
“Ce la faccio da sola.” Come immaginava, Santana tentò di liberarsi dalla sua presa.
“E’ per questo che hai bevuto fino a star per morire? Perché ce la fai da sola? Pensala come vuoi Santana, ma devi convincerti che nessuno può farcela da solo, nemmeno se sei una Lopez. E devi accettare il fatto di aver bisogno di una mano, ogni tanto.”
“Chi mi ha mai teso una mano, eh?! Quegli stronzi dell’università che mi hanno espulsa, eh? O forse tutti i datori di lavoro di New York a cui ho fatto domanda? Nemmeno Dio mi ha dato una mano portandosi via mia nonna e se vuole fulminarmi per averlo nominato faccia pure, tanto non ho nulla da perdere.” Sputò fuori tutta la verità, alzando la voce. Non sapeva perché stava dicendo tutto quello a Finn Hudson, forse perché non ce la faceva più a tenere quel vulcano dentro di sé o forse perché Finn aveva quell’aurea di bontà che induceva la gente a fidarsi di lui. Lo dicevano tutti che era buono.
“Mi dispiace. Mi dispiace che il dolore si sia insinuato dentro di te e che abbia controllato la tua vita in questo modo ma ora è giunto il momento di dire basta e combatterlo.”
“Tu non sai niente della mia vita.” Rispose Santana, guardandolo sospettosa.
“E’ vero e tu non sai niente della mia, quindi recuperiamo il tempo perduto. Dopo il liceo ho perso qualche mese utile partecipando alle feste insieme a Puck, non volevo perdere il mio migliore amico ma poi ho capito che ci stavamo trascinando in qualcosa senza un futuro e così ho dovuto lasciarlo andare.
Mi sono arruolato nell’esercito americano, ho fatto parte di una missione in Medio Oriente per un anno, ho visto morire molta gente, madri che vedevano i loro figli strappati dalle loro stesse braccia, padri che vendevano la loro famiglia al nemico per poter campare un giorno in più.
Non ero sicuro di farcela, andavo sempre a dormire con una fitta al cuore, più col pensiero di come salvare le loro vite piuttosto che la mia. Ma avevo un obiettivo, volevo entrare a far parte della polizia, era quello il mio ruolo.
Oh, non volevo impressionarti né farti pensare – oh Finn, è proprio un eroe -, non lo sono, volevo solo parlarti di me in modo da sentirti dire qualcosa di te. E ora non puoi più tirarti indietro perché non posso rimangiarmi quello che ho detto.” Un sorriso furbo comparve sul suo volto mentre Santana gli lanciava occhiatacce a non finire.
“Vuoi davvero conoscermi? Vieni a letto con me.” Gli rispose, con tutta la naturalezza possibile.
“Mhm, credo che passerò.”
“Sei gay, per caso?”
“No.”
“E allora? Quale uomo rinuncia a del sesso gratis?”
“Magari nessuno dei tuoi amici del club ma credimi, esistono ancora.” Santana fece una faccia schifata. “Rammolliti.”
Finn ridacchiò. “Vieni a cena con me.”
“La mia cena consiste in pop corn scaldati al microonde.” Rispose la latina, roteando gli occhi.
“Mi piacciono i pop corn. Passo da te alle sette?”
“No!” Rispose sorpresa e un po’ divertita dalla perseveranza del ragazzo.
“Allora non me ne andrò finché non mi avrai raccontato di te e non te ne puoi andare nemmeno tu perché sei ricoverata.” Finn accentuò la parola ‘ricoverata’ mimando il gesto della pistola con il pollice e l’indice, da vero cowboy, cosa che fece scoppiare Santana dalle risate. Era bella quando rideva e le sue guance diventavano piene, era una cosa che lo riempiva di gioia.
“Nuovo patto, ogni bacio vale una domanda su di me. Bacio bene, sai?” Santana alzò un sopracciglio e un secondo dopo si trovò le labbra di Finn sulle sue. Erano delicate e piacevoli, tutto il contrario di quelle dei tizi del club.
“Questo non vale, era una prova.” Disse per poi avvicinare nuovamente le sue labbra a quelle del ragazzo.
“Responso?”
“Baci bene.” Lo baciò di nuovo, portando la mano sul suo collo per avvicinarlo ulteriormente a lei.
“Grazie.” Passò a baciarle il collo, perché in fondo era pur sempre un uomo e Santana era una tentazione, seppur bellissima.
“Come mai sei stata espulsa dall’università?”
“Per colpa di una rissa, una ragazza mi ha incastrata.” Rispose con il fiato corto e facendo lunghi sospiri. “Siediti accanto a me.” Gli ordinò, facendogli un po’ di spazio e indicandoglielo con la mano nella quale era inserita una flebo.
Finn ubbidì e si mise a mordicchiare il lobo di Santana, lasciandole numerosi baci sulla guancia. “Che fine ha fatto Brittany?”
“Ci siamo lasciate dopo che finisse il liceo. Lei aveva i suoi sogni, io i miei e non comprendevano la nostra relazione. Tu e Rachel?”
“Devi venire a cena con me per scoprirlo.” Rispose ridacchiando, guardando la latina negli occhi. Erano così belli ma erano carichi di una tristezza infinita e questo pesava molto a Finn, voleva trovare il modo di farli brillare nuovamente.
“Non molli mai, eh.” Santana roteò gli occhi.
Non immaginava che Finn Hudson fosse un tipo deciso, ma in fondo dei conti non lo conosceva affatto. Si era limitata a dare ascolto ai pettegolezzi, come avevano fatto gli altri quando si trattava di lei e Brittany.
“Ti passo a prendere alle sette?”
“Popcorn e film?” Ribatté Santana, le abitudini, seppur malsane, erano dure a morire.
“Prima o poi ce la farò a farti fare un pasto decente.” Annunciò stringendo la mano fredda di Santana per poi alzarsi dal letto e ricomporsi un attimo. Quel gesto era così puro e innocente che la latina sentì un calore pervaderle tutto il corpo, non era abituata a gesti del genere e men che meno alla felicità, ma Finn Hudson stava rendendo tutto questo possibile.
“Ora riposati, a dopo.” Concluse prima di uscire dalla stanza che parve illuminata dal suo sorriso.
 
JULS.
Ehiii, c'è nessuno? *sbuca da dietro la porta* Non riesco una one shot da così tanto tempo che mi complimento con me stessa per il fatto che sono ancora in grado (ma davvero?) di scriverle, sì insomma, qualcosa del genere.
FINNTANA, FINNTANA EVERYWHERE. Ebbene sì, mi erano mancati i miei babies. Se devo essere sincera, non ero sicura di riuscire a scrivere di nuovo su di loro ma poi dopo aver letto la bellissima one shot della mia picci (You're an asshole but happy new year, damnhudson. Andate a leggerla, su.) ho capito che non potevo lasciarmi perché sì insomma, sono la mia definizione di amore quindi.. è nata questa cosa.
In effetti ci tengo molto, sia perché è la prima dopo tanto tempo, sia perché ho creato un legame affettivo con questa OS (sì, è possibile.) e quindi mi auguro davvero che possa piacere anche a voi.
Un supermega gigantesco abbraccio, __Sabotage.
   
 
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