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Autore: Hupa    02/10/2013    4 recensioni
Ok...una introduzione che sia tale...vediamo... Russia, notte... nuooooooo...non so che scrivere apparte che c'è Kei che di punto in bianco prende e se ne va di casa, naturalmente il nonnino ciò non gliela fa passare e il porello dovrà decidersi se stare dietro al suo orgoglio (e quindi morire congelato) oppure chiedere aiuto ai suo compagni... oh... si dai...non sono fatta per queste cose! xD
Genere: Drammatico, Azione, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kei Hiwatari, Max Mizuhara, Rei Kon, Takao Kinomiya, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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VENTISEIESIMOt.docx

VENTISEIESIMO

 

"Oh! Lady Doll, Lady Doll!

Is this the end?

Under blue skies and shining eyes.

When a call changes your life…

And decides your destiny.

Did you even care?”

 

- Da dove hai tirato fuori quell’aggeggio? –

Max stava sulla soglia tra il soggiorno e il bagno. I capelli umidi gli ricadevano sulle spalle in grossi ciuffi scomposti, il viso era ancora arrosato dal tepore della doccia, il suo fisico snello era invece fasciato da un accappatoio blu scuro. Aveva i piedi nudi, ma il pavimento freddo non sembrava dargli fastidio mentre attraversava la stanza a lunghi passi avvicinandosi sempre più al tavolo del soggiorno.

Rei alzò sorpreso lo sguardo oltre lo schermo del portatile. Le sue iridi si assottigliarono mentre l’amico si avvicinava, tuttavia sfoggiò come suo solito un sorriso gentile.

- Era nell’armadio della dispensa. L’ho trovato per puro caso… sono persino riuscito a rubare la connessione ai vicini! – Un sorriso felino gli incurvò le labbra esponendo alla vista i suoi canini pronunciati.

Max si avvicinò con rinnovata curiosità al pc, aggirando il tavolo per mettersi alle spalle dell’amico. La sorpresa del momento gli fece quasi scordare il motivo della sua inquietudine, ma, non appena vide la pagina web che Rei stava visitando, tutta la serietà del caso gli incupì nuovamente il volto.

Cogliendo il significato dell’improvviso silenzio del biondino, l’altro si affrettò a spiegare.

- Volevo farmi un’idea di come stanno le cose. La notizia ormai è di dominio pubblico e ovviamente è arrivata fino al Giappone. –

L’americano muoveva su e giù i profondi occhi blu, in maniera quasi frenetica, passando rapido da una notizia all’altra, scorrendo gli articoli e talvolta soffermandosi più a lungo su qualche espressione o vocabolo che maggiormente attiravano la sua attenzione. Era felice di poter finalmente riuscire a leggere, in una lingua a lui comprensibile, quello che stava accedendo nel mondo, ma, tristemente, nessuna di quelle notizie sul “caso Hiwatari” lo faceva sentire meglio.

Nulla di nuovo, sia chiaro, i fatti ormai li conosceva; accusato, fuggiasco, ricercato, sospetti su eventuali complici, ricerche ancora in corso… C’era tuttavia un aspetto totalmente nuovo di quella vicenda a cui finora, si rese conto, non aveva dato il giusto peso.

Ovviamente loro, lontani dal comprendere le notizie in cirillico dei quotidiani russi e interessati principalmente alla parte “concreta” dei fatti, non avevano ancora avuto occasione di saggiare la vera tragedia che si stava compiendo.

Kei era semplicemente rovinato.

La sua immagine, la sua reputazione, tutto il rispetto che aveva accumulato in quegli anni… distrutti.

I giornalisti sembravano in competizione fra loro; una macabra concorrenza impegnata a distorcere e a storpiare le notizie riguardanti il famoso blader. Lo dipingevano come un ragazzo disturbato, avido, viziato, violento… tutte quelle occasioni in cui Kei si era inavvertitamente messo in cattiva luce erano state riproposte attraverso un filtro di scherno e diffamazione. Prima era il teppista, ex capo di una banda, che si divertiva a distruggere i bey blade dei giovani aspiranti giocatori, poi diventava il ragazzo bramoso, capace di attentare all’incolumità del suo unico parente per ottenere l’eredità. Era stato scavato nel suo passato in cerca di ogni suo possibile sgarro e talvolta ai fatti reali si affiancavano vere e proprie calunnie. I suoi fan erano abbattuti, delusi, confusi da tutta quella denigrazione, in pochi mantenevano ancora una certa fiducia. Nondimeno, l’opinione pubblica, soprattutto di chi, alla fin fine, poco importava se aveva vinto qualche gara di trottole, era davvero, davvero, impietosa.

- E’ orribile… -

Fu solo un sussurro, ma esprimeva tutto ciò che in quel momento Max provava.

Rei si accigliò comprendendo appieno i sentimenti dell’americano. Scorse con il touch pad fino in fondo la pagina; in un angolo, un breve trafiletto di poche righe parlava di loro.

“Sono ormai quasi una conferma i sospetti della polizia riguardo i possibili complici di Hiwatari. Secondo la dichiarazione di un dipendente della corporazione, il direttore del noto monastero gestito dall’impresa in Russia, Yuri Ivanov avrebbe aiutato Kei nella fuga. Per quanto riguarda i componenti della sua squadra, i Blade Breakers, restano ancora dubbi riguardo il loro ruolo nella vicenda, nonostante le testimonianze schiaccianti, aggravato sicuramente dalla loro irrintracciabilità. A loro favore si schiera il presidente della BBA, il sig. Daitenji, assicurando la completa innocenza dei tre ragazzi. Il magnate del Bay non ha lasciato alcuna dichiarazione ufficiale riguardo a dove i campioni possano trovarsi, tuttavia, secondo alcuni che lo hanno udito, sembra convinto che anche questi siano impegnati nelle ricerche del loro compagno.”

- Sta guadagnando tempo… -

Max si sedette sul bordo del tavolo guardando Rei di sottecchi. Sapeva a chi si riferiva.

- Daitenji sa che stiamo aiutando Kei. – Continuò il moretto. – Sono convinto che stia temporeggiando per permetterci di prendere una decisione. Capisce quanto sia difficile per noi e vuole darci tempo per fare la scelta giusta. –

- Pensi che anche lui voglia che lo denunciamo? Denunciare un nostro amico sarebbe la scelta giusta? Non stai forse presupponendo un po’ troppe cose da un semplice trafiletto? –

Rei incrociò lo sguardo con Max, lesse disappunto nei suo occhi, ma anche comprensione.

- Perché esporsi in questo modo se non per mandarci un messaggio per spronarci? Per dimostrare la sua fiducia in noi? –

Max abbassò il capo sviluppando un improvviso interesse verso le sue dita dei piedi. Le mosse distrattamente mentre rimuginava tra sé.

- E quel coso da dove salta fuori? -

I due ragazzi alzarono il capo all’unisono in direzione della cucina. Rei vide il giapponesino sulla soglia con due tazze fumanti di caffè. Il suo volto era teso, ma sembrava meno ansioso rispetto a un’ora prima. Si avvicinò un po’ impacciato verso di loro prestando attenzione a non rovesciare il liquido bollente. Appoggiò le bevande di fronte ai due amici e con un balzò piombò loro alle spalle per meglio osservare lo schermo del computer.

- E’ di Evan… -

Max stava per aggiungere altro, ma si accorse che il moretto non lo stava più ascoltando tanto era intento a leggere le notizie dei quotidiani virtuali.

Sul suo volto Rei vide passare le stesse emozioni che poco prima avevano alterato i lineamenti del biondino: curiosità, ansia, preoccupazione, orrore, ira.

- Ma stiamo scherzando?! Sono tutte bugie! -

I suoi due compagni di squadra sapevano bene che il loro capitano stava chiaramente riferendosi a Kei, ma prima di parlare attesero che l’altro leggesse fino in fondo. Takao si impossessò del portatile inserendosi quasi con prepotenza tra loro, scorrendo le pagine e assimilando tutte quelle nuove informazioni. Sconsolati, Max e Rei si fecero da parte ben consapevoli dell’impulsività del loro amico. Il biondino cominciò a sorseggiare il caffè preparato da Takao, il cinese invece si limitò a scaldarsi le mani con la tazza ancora calda; quando vide una smorfia di disgusto arricciare il naso lentigginoso del biondino, capì di aver agito bene scegliendo di non bere la brodaglia di Takao. L’americano riappoggiò la bevanda sul tavolo e non la toccò più.

- Che il presidente Daitenji abbia in mente qualcosa per aiutarci? –

Max lo osservò con interesse, non avendo ancora interpretato le azioni dell’uomo sotto quel punto di vista. Tuttavia Rei lo aveva già fatto e, in ogni possibile scenario che aveva delineato, l’aiuto del loro presidente sarebbe valso a poco, se non per garantire la loro buona fede.

- Non credo Takao. E’ probabile che stia semplicemente guadagnando tempo nella speranza che riusciamo a risolvere questo problema. -

Ovviamente sapeva che il signor Daitenji non era uno stupido; sicuramente aveva già immaginato che il loro primo pensiero sarebbe stato quello di dare soccorso al loro amico, tuttavia sapeva anche meglio di loro che di fronte a una simile situazione avrebbero avuto ben poche possibilità di dare un aiuto concreto. Rei era convinto che Daitenji confidasse nel loro buon senso, ovvero che fossero in grado di capire quando era il momento di farsi da parte e tirarsi fuori da quell’impiccio, così da non restare travolti da quella bufera di diffamazione che aveva già rovinato il loro amico.

E quale modo migliore se non denunciarlo direttamente alle autorità?

Sembra convinto che anche questi siano impegnati nelle ricerche del loro compagno.” Era questo che diceva l’articolo. 

Perché cercarlo se non per consegnarlo alle forze dell’ordine?

Sebbene in maniera non ufficiale, Daitenji cercava di mostrarli positivamente al pubblico. In fondo era proprio l’opinione “del popolo” che avrebbe potuto aiutarli in quel momento. Passando per dei bravi cittadini che volevano solo riconsegnare alla giustizia un loro amico finito sulla cattiva strada, poco importava se non avevano collaborato con la polizia, se la sarebbero cavata forse con qualche sanzione minore, ma la loro immagine sarebbe rimasta immacolata.

Ma questo poteva accadere solo consegnando effettivamente Kei.

Rei si passò nervosamente la mano fra i capelli, ormai era diventata un’abitudine, e i nodi prolificavano.

L’intera squadra era a rischio. Uno di loro era irrimediabilmente perso, ma il resto poteva ancora essere recuperato.

Era una scelta crudele, che andava contro tutti i suoi principi di amicizia, ma Kei era colpevole. Lo diceva la polizia, lo diceva Yuri, lo diceva persino lo stesso Kei. Se davvero era così, se davvero aveva compiuto un simile gesto, era giusto che ne rispondesse.

Tuttavia Rei aveva un terribile presentimento, quella quasi certezza che vi fosse qualcosa che doveva essere ancora loro svelata, qualcosa che solo il russo poteva raccontare, ma, soprattutto, temeva che, una volta venuti a conoscenza di questo fatto, per loro sarebbe stato impossibile agire secondo logica e restarne incolumi.

Ne aveva il terribile sospetto.

Eppure non voleva dare ascolto a quel presentimento. Forse era meno forte di quel che credeva; forse era veramente più interessato alla sua incolumità che alla sorte di un suo amico.

Si chiese se Takao si rendesse davvero conto di tutto ciò e se la sua ostinazione fosse un’altra prova della sua prontezza di spirito. Aveva davvero quella forza che a lui mancava? In fondo, non era un caso se alla fine era lui il loro capitano. Takao era irruento: agiva, pensava poco e seguiva i suoi principi, che finora non lo avevano mai tradito. E’ sempre il solito dilemma: genio o follia?

In quel momento tuttavia non lo invidiava per nulla, sapeva bene che alla fine sarebbe stato lui a mettere fine a quel discorso. Si domandò solo se lui stesso sarebbe stato in grado di seguirlo in caso la sua decisione si fosse rivelata diversa dalle proprie aspettative.

Max a un certo punto afferrò il portatile voltandolo verso di sé. Ignorando le proteste di Takao cominciò a smanettare. Sia il cinese che il nipponico non avevano una visione diretta dello schermo e non potevano farsi un’idea di ciò che il loro amico stava combinando.

- Eccolo! -

Il biondino sorrise incurvando le labbra in quel suo tipico ghigno felino e, dalla sua posizione di sbieco, Rei lo vide digitare sulla tastiera la sua mail. Prima che i due moretti potessero interrogarlo sulle sue intenzioni un suono attirò la loro attenzione. Era l’effetto acustico che annunciava l’avviarsi di Skype.

Rei e Takao si accigliarono.

- E’ online! – Esultò di nuovo fra sé il biondino.

Ecco che partiva la suoneria di chiamata.

Qualcuno rispose.

 

- _ . - ° * ° -  . _ . - ° * ° - . _ -

 

Quando aveva visto il nome del contatto che lo stava chiamando non credeva ai propri occhi.

Aveva passato giorni nel tentativo di rintracciarli e ora riapparivano magicamente dal nulla.

- Hiromi! Hiromi! Vieni qui, presto!! –

La ragazza alzò incuriosita la testa dal quotidiano e avvertendo il tono di urgenza dell’amico si precipitò al suo fianco.

Nel frattempo Kyoju aveva appena accettato la chiamata e proprio in quell’istante il faccione lentigginoso di Max apparve sullo schermo della conversazione.

- Max!! Sei proprio tu! Dove siete finiti?? Dov’è quell’imbecille di Takao!? – Hilary aveva cominciato a strillare con enfasi contro il portatile scuotendolo quasi si trattasse dell’americano in persona.

- Hiromi, datti una calmata, così lo distruggi! -

Il tecnico della squadra le strappò il proprio pc dalle mani riappoggiandolo con cura sulle proprie ginocchia, con un gesto che sembrò quasi paterno passò una mano lungo i bordi dell’aggeggio assicurandosi che non avesse ricevuto botte.

- Scusami tanto Prof. K, mi sono fatta troppo trasportare dalla sorpresa… – La ragazza si rese conto di aver agito in maniera troppo impulsiva e per scusarsi si sedette accanto a lui in un silenzio religioso, poggiando la schiena sul parapetto della terrazza.

Si trovavano sul tetto della scuola. Era una giornata splendida; cielo terso di un celeste splendente, senza una nuvola e con un sole caldo che non faceva troppo pesare la fresca aria di fine autunno.

- Max? Mi senti? –

Kyoju vedeva il biondino parlare, ma non sentiva la sua voce. Abbassando lo sguardo sulla spia della tastiera si diede da solo dello stupido e con un colpetto del dito attivò l’audio del pc.

- …lary? E’ Hilary quella vicino a te? Mi senti? – La voce suonava un po’ ovattata e il suo accento americano risultava così più marcato, tuttavia le sue parole erano comprensibili.

- Si sono io Max! – La ragazza si sporse verso la webcam salutando con la mano il biondino. Era così entusiasta che sembrava quasi una bambina delle elementari.

- Ma stai parlando con il Prof. K!? - Dietro l’americano comparvero improvvisamente due testoline more, che presto si rivelarono essere Takao e Rei. Sembravano stupiti tanto quanto loro.

- Siete tutti li! – Il volto del tecnico si rilassò per il sollievo, era felice di poter finalmente rivedere i suoi amici. – E’ da giorni che proviamo a contattarvi! Abbiamo visto i notiziari! Dov… - Hiromi lo precedette. – Come sta Kei? E’ lì con voi?! –

- Lo stavo chiedendo io! –

- Shh! Non sento quello che dicono! –

Il ragazzino incrociò infastidito le braccia al petto, esasperato da tutta quella esuberanza femminile.

- Kei è qui con noi, ma è malato… - Questo era Rei.

La qualità della chiamata era relativamente scarsa, così come la risoluzione video, tuttavia Hiromi e Kyoju si resero ugualmente conto del livello di stress che stavano affrontando i loro amici. Tutti e tre avevano l’aria distrutta; il volto sfibrato, gli occhi cerchiati da ore di sonno mancate e, nonostante non si vedessero da un sacco di tempo, non sembravano così entusiasti di rincontrarsi come avevano sperato. Avevano l’aria di aver passato davvero dei brutti momenti.

Qualcosa di grave stava accadendo e i due giapponesi se ne resero conto quando videro Takao farsi avanti e, fissandoli con uno sguardo carico d’angoscia, chiese loro notizie riguardo il presidente Daitenji.

Anche Hiromi cambiò atteggiamento facendosi improvvisamente seria. – Se vuoi delle risposte, dovrai prima spiegarmi quello che sta succedendo Takao. –

Passò una mezz’ora buona prima che i Blade Breakers ebbero finito di raccontare le vicende che li avevano tenuti impegnati fino a quel momento. Il Prof. K e Hilary erano rimasti concentrati sulle voci dei loro amici, in parte perché l’audio ogni tanto vacillava e in parte perché non riuscivano a credere alle loro parole. Quell’aria di spensieratezza e di gioia che li aveva visti rispondere eccitati alla chiamata dei loro amici si era presto dissipata. Anche loro erano ora appesantiti da quelle nuove rivelazioni; la consapevolezza che Kei fosse realmente colpevole e non un mero equivoco, come avevano sperato, era davvero terribile e la prospettiva che si proponeva loro era tutt’altro che di conforto.

La cosa tuttavia peggiore era che i due non avevano nessuna alternativa, nessun consiglio, nessuna idea in grado di aiutare i loro amici. Se ne stavano lì, tutte e tre in attesa di una loro opinione, ma tutto quello che potevano offrire era unicamente la loro solidarietà.

Dopo un breve attimo di silenzio il ragazzino col pc decise di dare voce ai suoi pensieri.

- Mi spiace Takao. Non so cosa abbia in mente Daitenji, ma posso dirti che qui sono tutti preoccupati per voi. Tuo nonno, tuo fratello, i tuoi compagni di classe, i vostri fan. Sono tutti angosciati da quello che potrebbe accadervi se si confermassero le accuse contro di voi. – Il Prof. K si sfilò sconsolato gli occhiali da vista. Soffiò su una lente e li inforcò nuovamente. – Non credo abbiate molta scelta… -

Era davvero dispiaciuto per Kei, ma se quello che gli avevano raccontato era vero, non c’erano molte alternative.

- Takao, se non lo denunci tu, lo farò io! – Nonostante la ragazza fosse consapevole della vacuità della sua minaccia, il tono di Hilary era sprezzante, ma sotto le sue sopracciglia corrucciate i suoi occhi castani erano lucidi. – Devi farlo per il resto della tua squadra e per tutti quelli che tengono a voi! –

- Ti ci metti pure tu, Hilary? – Takao era incredulo. Hiromi fu turbata dallo sguardo carico di delusione che le rivolse, ma rimase salda nelle sue convinzioni e continuò con testardaggine a ribattere.

- Dovresti vedere le infamate che sparano qui su Kei! Non li sopporto! Mi mandano in bestia! Mi fanno stare male da quanto fanno schifo... Vuoi davvero che tutto il resto della tua squadra subisca un simile trattamento? Vuoi davvero trascinare con te anche loro? Io non potrei sopportarlo… Svegliati! Voi non avete nessuna colpa! Non è giusto che veniate accusati anche voi! – Max, Rei e Takao la ascoltavano con attenzione, vedevano il suo volto afflitto, ma allo stesso tempo accusatore, e non avevano proprio il coraggio di controbattere alla sua voce spezzata. – Takao! Sei tu il caposquadra! Il tuo dovere è quello di badare ai tuoi compagni. Non puoi più aiutare Kei, ma puoi ancora salvare il resto della tua squadra! Fallo per loro… pensa a quello che passerebbero i tuoi cari. Pensa a come mi sentirei io… -

Hiromi fu fortunata perché, nell’istante esatto in cui la prima lacrima cominciava a rigarle il viso, la conversazione si interruppe.

Kyoju sfilò un fazzoletto dal suo pacchetto e lo porse gentilmente alla ragazza. – Sono andati… -

- Vorrei essere lì con loro… - Si soffiò rumorosamente il naso, passandosi la manica della camicia sugli occhi. Era frustrata e purtroppo quando si innervosiva le lacrime si attivavano spontaneamente rendendola ancora più furiosa. – Takao farà la sua scelta… -

Il ragazzo fece qualche tentativo per ristabilire la chiamata, ma già si era reso conto che non sarebbe stato più possibile ripristinarla; chiuse lo schermo del pc senza nemmeno preoccuparsi di spegnere il sistema. Alzò il viso al cielo inspirando l’aria fresca del tardo pomeriggio. Improvvisamente, quella serena giornata d’autunno non gli sembrava più tanto bella.

- Peccato che purtroppo Kei non ne abbia… -

 

- _ . - ° * ° -  . _ . - ° * ° - . _ -

 

La camera era luminosa, inondata dalla luce del sole che filtrava senza impedimenti attraverso i vetri delle finestre.

La figura sul letto parlò con voce stanca, quasi seccata.

- Ho sentito quello di cui stavate discutendo… e sinceramente non mi importa. -

Effettivamente, tra l’agitazione e i diversi conflitti di opinione susseguitisi quella mattina, non si erano troppo preoccupati di moderare i toni della discussione.

Kei tuttavia non sembrava per nulla turbato dalla loro decisione.

Takao sperava in una sua reazione. Sperava che si alzasse, che cominciasse a urlargli contro, non certo per implorarlo di non farlo, ma per insultarlo, per schernirlo, per dargli una qualsiasi ragione per non agire. Ne aveva bisogno. Voleva sentire da lui quelle parole, “traditore”, “vigliacco”, “egoista”, che continuavano a ronzargli nella testa da quando aveva accettato il suo destino.

Kei invece era una maschera di indifferenza, anzi, tutto ciò sembrava quasi sollevarlo. Non lo guardava nemmeno. Se ne stava seduto sul materasso, con il respiro pesante, il volto magro, sciupato dalla malattia, ma abbastanza in forze per fissare ostinatamente un punto fuori dalla finestra e trattarlo con la sua insopportabile sufficienza.

Aveva una buona ripresa… ma doveva ringraziare solo le cure di Vilena e la rivoluzionaria invenzione dell’antibiotico se ora riusciva ad atteggiarsi a quel modo. Così smagrito e tenace sembrava quasi un animale bastonato che tuttavia ancora opponeva resistenza ai suoi aguzzini.

Solo che loro non erano i suoi aguzzini, ma i suoi amici.

Sul comodino la zuppa che gli aveva preparato Rei si stava raffreddando; ovviamente il russo ancora non se la sentiva di mangiare, anzi, solo il profumo del pasto sembrava dargli fastidio.

Takao aveva insistito per parlargli da solo, per comunicargli la loro decisione, era il minimo visto che tutto il peso della scelta era ricaduto su di lui. Sperava che senza un audience Kei si sarebbe sentito più tranquillo e più propenso a parlare, magari raccontandogli come erano andate le cose fra lui e suo nonno.

Inutile.

Kei non voleva parlargli e non voleva ascoltarlo.

Cominciava a sentirsi a disagio in quella stanza. Si sentiva malissimo, non per la notte insonne, per l’ansia o la tensione provata in quei giorni, ma per la decisione presa. Quando finalmente aveva acconsentito alla scelta di denunciarlo si era sentito svuotato, spossato, come se avesse appena concluso un’importante incontro di Bey, ma ne fosse uscito perdente. Anzi, non era un’emozione comparabile con una sfida di trottole, era infinitamente peggio. Era andato contro tutti i suoi principi di amicizia e ora si sentiva unicamente un vigliacco traditore egoista.

La sua ultima speranza era Kei stesso. Se in quel momento gli avesse chiesto di non farlo, lui lo avrebbe ascoltato. Avrebbe gettato tutto al vento se solo il russo glielo avesse domandato… ma lui se ne stava semplicemente lì a fissare quel dannato punto fuori dalla finestra! 

Forse cogliendo i suoi pensieri o, più facilmente, incuriosito da quel lungo silenzio, davvero insolito per il nipponico, Kei si voltò a guardarlo. Sul suo viso pallido ricadevano scompigliati i ciuffi argentei della chioma. I suoi occhi scarlatti erano calmi, profondi, ma stanchi. Capì che lo stava studiando. Riusciva a leggerlo in maniera quasi troppo imbarazzante e Takao cominciò a sentirsi sempre più a disagio. Stava per dirgli qualcosa, ma scorse un cambiamento nello sguardo dell’amico: compassione? Non importava… era già sparito.

Forse si sentì in dovere di dire qualcosa perché il russo cominciò con voce calma e roca: - Purtroppo, non sono in condizione di scappare e piantarvi in asso. – Takao si accigliò, ma lo ascoltò in silenzio, quasi con bramosia. Quasi stesse ascoltando una profezia. – Non ho posti in cui scappare e non ho posti dove andare. Sono un ricercato e, anche se a malincuore, ho sempre vissuto sotto l’ala protettiva di mio nonno. Non saprei cosa fare o a chi rivolgermi e il vostro aiuto è solo un peso che mi costringe a dover pensare all’incolumità di altri oltre che alla mia... e io non ho più voglia di pensare. Non mi importa nulla. Non ho più nulla. Fai quella fottuta telefonata e lasciami in pace. –

 

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Tadadadaaaan!

La suoneria del suo cellullare lo fece sobbalzare. Non riceveva spesso delle e-mail e non si era mai accorto di quanto fosse insopportabile il tono di chiamata a esse associato. Si ripromise di cambiarla non appena avesse avuto tempo; al momento era troppo ansioso di aprire il messaggio per occuparsi di simili inezie.

La connessione non era delle migliori, il contatore mostrava solo due tacchette delle quali l’ultima scompariva e riappariva alla minima oscillazione dell’apparecchio. Aprì la mail, fortunatamente la pagina non ci impiegò troppo a caricarsi. Il nome del mittente era sugar_star99, piuttosto insolito e alquanto fuorviante, ma era certo si trattasse di Evan. D’altronde quella era una casella di posta elettronica che Yuri aveva creato da poco e che comunque non aveva mai utilizzato, era solo piena di messaggi spam che finivano direttamente nell’apposito cestino. La bodyguard era l’unica persona a conoscerla poiché gliel’aveva comunicata via sms un’ora prima.

Mancava il nome dell’oggetto. Non c’era testo, si aspettava di vedere un allegato, ma vi trovò solo un link che rimandava a un sito di storage. Il file era in una cartella di condivisione dati sotto il nome di my lovely pet <3”.

Evan aveva un pessimo senso dell’umorismo.

Quando tentò di scaricare la registrazione un messaggio lo informò che il proprietario non gli aveva consentito tale privilegio.

Fece una smorfia e aprì direttamente il file dal web.

Colto da un improvviso fermento tese l’orecchio in ascolto.

 

La porta dello studio si aprì lasciando entrare la figura slanciata del giovane blader.

Quando Kei Hiwatari mise piede nella stanza aveva un sguardo sospettoso, ma non poteva certo immaginarsi il reale motivo per cui era stato convocato. Teneva la sua sciarpa immacolata attorno al collo, ma il suo abbigliamento era sobrio: un semplice maglioncino grigio e un paio di jeans scuri. Fino a quel momento era stato impegnato ad allenarsi con i bey, nel campo sul retro della residenza.

La prima cosa che vide fu quel mostruoso bodyguard che sempre accompagnava suo nonno, Akula. Quest’ultimo lo osservò con sufficienza, mentre il ragazzo ricambiava con un’espressione gelida. Se ne stava appollaiato dietro la scrivania, alle spalle del vecchio.

Hito si mosse sulla poltrona quando ormai gli era di fronte, fingendo di essersi accorto solo in quel momento dell’arrivo del nipote. Si sfilò gli occhiali da vista e li gettò con noncuranza sulla scrivania.

- Eccoti qui ragazzo, ti stavi allenando? E’ tardi ormai… –

Kei annuì lanciando una rapida occhiata all’orologio appeso alle sue spalle. In effetti era tardi, quasi le dieci di sera ormai.

- Direi che è tardi anche per una riunione di famiglia. Di cosa mi devi parlare di così urgente? –

Il vecchio sorrise. Si alzò dalla scrivania aggirandola e sfiorando la spalla del nipote gli fece cenno di accomodarsi insieme a lui sulle poltrone accanto la libreria.

Mentre si spostava Kei vide delle buste e un tagliacarta sul tavolino li vicino; evidentemente Hito aveva già fatto sistemare tutto l’occorrente per quella serata. Si chiese se avesse già pianificato tutto il resto dell’incontro.

Se davvero le cose stavano così non significava niente di buono.

Una leggera tensione cominciò a ronzargli nelle orecchie.

Kei seguì il nonno fino alle poltrone, ma non si sedette, si appoggiò allo schienale osservando insospettito il parente.

Akula prese posizione alle spalle del vecchio, silenzioso, a malapena si accorse di lui.

- Allora? – Kei cominciava a sviluppare una certa impazienza, ma il vecchio Hiwatari procedeva rilassato, mettendosi comodo sulla poltrona, osservandosi attorno, pensando con cura alla parole da utilizzare.

- Siamo in fallimento Kei. –

Quel pensiero non lo sconvolse più di tanto, ma non riuscì comunque a trattenere un’espressione di sorpresa. Quella era la conferma che non si sarebbe trattato di un normale incontro di circostanza. Cominciando a fare mente locale, si passò una mano tra i capelli argentei.

Suo nonno era avvantaggiato; era sicuro avesse già preparato ogni singolo particolare di quel discorso e lui era stanco per l’allenamento e troppo privo di informazioni per riuscire a reggere il confronto. Inoltre era da un paio di giorni che non si sentiva molto bene: quasi sicuramente stava covando qualche malanno.

Finalmente si scostò dallo schienale e si sedette sulla poltrona piegandosi in avanti verso il nonno.

Vedendolo disorientato, Hito continuò compiaciuto: - L’impresa, il monastero, le scuole e le palestre di Bay, la gestione dei tornei… abbiamo fallito alcuni investimenti e purtroppo non siamo in grado di mantenere efficientemente ogni cosa. –

- E’ per questo che hai chiuso le palestre in Brasile? – Kei aveva letto quella notizia la mattina precedente.

- Era un’attività nata da poco che doveva ancora dare i suoi frutti. E’ stata una delle scelte più logiche per ridurre le spese. –

- Peccato che fossero diventate la casa di un centinaio di orfani, che ora si ritrovano di nuovo sulla strada… – La voce di Kei era fredda, il suo volto di pietra. Non sopportava il modo in cui suoi nonno sfruttava i bambini. Si faceva ben volere dal pubblico dimostrandosi attento ai meno fortunati, facendo vedere di dar loro una casa, un futuro, ma alla fine era solo un modo per sfruttare le persone.

- Sarebbero trascorsi anni prima di addestrarli al Bey e altri anni ancora perché le palestre cominciassero a sfornare campioni degni della nostra società. –

- Non è questo il punto! – Il giovane aveva alzato la voce di un tono stringendo i pugni sopra i braccioli della poltrona. Rendendosi conto dell’eccessiva enfasi si rilassò, agitò la mano come per scacciare un pensiero e sussurrò. – Non importa… i soldi sono tuoi, fai quello che vuoi. –

Sentiva gli occhi di Akira su sé. Lui sapeva cosa aveva in mente suo nonno; riusciva a leggerlo nella sua aria compiaciuta. Ciò significava solamente una cosa: stava cascando nel gioco del vecchio. Per quanto si sforzasse, Kei stava finendo nella trappola di Hito e la cosa peggiore era che pur rendendosene conto non riusciva a evitarlo. Cominciò a innervosirsi, ma si sforzò di riacquistare subito il controllo.

Stava cercando di metterlo a disagio, ma non glielo avrebbe permesso.

Il vecchio alzò un sopracciglio per nulla turbato dal tono impertinente del ragazzo. Scosse la testa osservandolo con quello sguardo di severità che sapeva tanto infastidire Kei.

Il giovane sospirò pesantemente e fece per alzarsi. Forse poteva guadagnare tempo...

- Grazie per avermi reso partecipe della tua sfortuna e del tuo caratteristico animo nero. Se non ti spiace, ora torno ai miei impegni. –

Non aveva ancora finito la frase che il bestione in completo nero si era parato al suo fianco impedendogli di andarsene.

Kei lo fissò con astio lanciando poi uno sguardo di seccata curiosità al parente. Tuttavia rimase in piedi, fiancheggiato dallo squalo.

- Non abbiamo ancora concluso. Kei, mi serve il tuo aiuto per risolvere questa crisi. –

Non aveva via di scampo.

Sospirò.

Si sentiva accaldato. Che fosse per la tensione? Si stava ammalando? O era forse spaventato?

- Non vedo in che modo io possa aiutarti, ma visto che non mi lasci altra scelta… parla. -

- Cominciamo dall’inizio. – Gli occhi grigi del nonno si piantarono in quelli scarlatti del nipote. – Come hai appena saputo, non sono in grado di portare avanti ancora a lungo l’azienda. Da come stanno le cose, per restare a galla devo sacrificare le parti… per così dire... accessorie. L’industria di Bey rimane sempre una delle nostre priorità e il livello eccellente dei nostri prodotti è ancora in grado di salvarci. Tuttavia per farla funzionare servono soldi. Per ottenere soldi dobbiamo vendere o almeno chiudere. Prima è toccato alle nuove palestre, ora toccherà a quelle più vecchie. –

Kei aveva già capito dove voleva andare a parare. – Vuoi chiudere il monastero. – Il suo tono era privo di emozioni.

Un sorriso grinzoso increspò le labbra del vecchio. – Esatto. I monaci vivranno più sereni senza doversi occupare di tutti quei orfanelli. Rinunceremo ai nostri campioni fino a quando la nostra industria non si risolleverà e ci permetterà di nuovo di poter investire su queste inezie. –

Il ragazzo si accigliò. “Inezie”. Era di persone che stava parlando. Di ragazzi senza famiglia che avevano incanalato tutte le loro aspettative e il loro futuro nella speranza di risollevarsi grazie ai campionati di Bey. Sopportavano tutto quello che di più orribile avveniva in quel monastero pur di sopravvivere, farsi un nome e poter essere indipendenti. Lui stesso vi aveva vissuto qualche anno per allenarsi. Lui conosceva quei ragazzi. Aveva degli amici fra loro.

Il volto arrogante di Yuri gli balenò per un istante nella mente.

Cercò di scacciarlo scuotendo il capo.

Era chiaramente una minaccia. Quel vigliacco di suo nonno lo stava ricattando colpendolo su quelle poche cose che gli stavano a cuore. Prima la sua empatia verso gli orfani e ora più direttamente i suoi amici. Eppure non riusciva ancora a capire cosa esattamente volesse da lui.

- Cosa posso fare? Non ho denaro per aiutarti, tutti i premi che ho vinto ai tornei sono finiti alla tua società… Inoltre mi hai proibito di partecipare al torneo di quest’anno in Russia. Non puoi trarre nessun guadagno da me. –

Il vecchio colse al volo l’occasione e gettò altra carne al fuoco. – Non sei stato iscritto al torneo per salvaguardare alla tua incolumità... - Soppesando per un istante il volto interrogativo del nipote, Hito aggiunse. - Sono io che finanzio il campionato quest’anno. Non si può mai sapere con tutti questi dimostranti che inneggiano contro la mia società… potrebbe accadere qualcosa. -

Un lampo di incredulità accese lo sguardo del giovane. Qualcosa nel tono del parente lo mise in guardia. – Cosa intendi dire con “potrebbe accadere qualcosa?”. C’è il resto della mia squadra che vi partecipa! – Il ragazzo ormai era evidentemente adirato e il sorriso eloquente che gli rivolse suo nonno non fece che peggiorare il suo umore. Un'improvvisa consapevolezza gli alterò i lineamenti; il volto si distese in una fredda maschera di disprezzo. Scandì le parole con una furia gelida: – Che cosa vuoi? –

Il vecchio divenne improvvisamente serio. Con un gesto che non ammetteva repliche invitò Kei a sedere e questi non poté far altro che obbedire, in attesa di risposte.

Alle sue spalle la bodyguard appariva seriamente colpita dalla magistrale abilità con cui Hiwatari stava scaldando il ragazzo. Toccava i punti più deboli e poi lo lasciava navigare nel dubbio. Lo riempiva di informazioni incomplete lasciandolo meditare su una matassa di fili spezzati e aggrovigliati fra loro. Il moccioso non poteva che costringersi ad ascoltarlo per collegare tutti i punti e venire a capo del problema. Il fatto era che una volta che fosse arrivato a una conclusione il giovane non avrebbe avuto altra scelta che accettare le sue condizioni.

Era come una bambola. Non poteva agire liberamente, poteva solo sottostare al gioco che gli era stato imposto.

Hiwatari aveva messo abbastanza carne al fuoco. Ci stava andando giù veramente pesante. Kei non riusciva a credere a ciò cui stava assistendo. Era a dir poco sconcertato. Suo nonno aveva appena candidamente minacciato lui e soprattutto l'incolumità dei suoi amici. E la parte peggiore era che lo sapeva benissimo capace di mantenere quelle sinistre promesse. D'altronde non era la prima volta che capitava un’evenienza simile, sebbene all'epoca non si fosse trattato di un’offesa nei suoi confronti.

Ricordava quello che era accaduto ad Ada Andrew, la gemella di Evan. A quel tempo svolgeva la mansione di domestica in casa Hiwatari mentre il fratello si allenava al monastero. Lei e Kei erano in buoni rapporti, sempre nei limiti in cui possono esserlo dipendente e padrone, ma la sua era sempre stata una compagnia piacevole. Purtroppo venne coinvolta in una sparatoria che aveva come obbiettivo lo stesso Hito; lei si trovava solo nel posto sbagliato al momento sbagliato. Tuttavia il vecchio ne uscì incolume grazie al sacrificio della vera vittima: la precedente guardia del corpo del vecchio, Shun Aizawa, che morì proprio il giorno del suo matrimonio colpito da un proiettile che sembrava destinato ad altri, senza essere neppure in servizio. Ada, invece, colpita anche lei, rimase paralizzata. Poco tempo dopo, Kei venne casualmente a sapere che, in realtà, il tutto era stato organizzato da suo nonno per eliminare Aizawa. Hito era infatti venuto a conoscenza del fatto che la bodyguard complottava contro la sua società e stava per rovinarlo. Furibondo e disgustato dalla meschinità del suo stesso parente, Kei era stato forzato al silenzio, ma aveva insistito affinché il vecchio si degnasse almeno di prendersi carico delle spese per le cure della sua amica. Tutta la faccenda fu ovviamente fatta passare come un gesto compiuto da dimostranti che vessavano la società Hiwatari e Hito ne uscì pulito, se non anche benefattore della ragazza. Kei non aveva mai avuto il coraggio di parlarne con Evan, ma in quel momento, si rese conto, si pentì di non averlo fatto.

Ora era il suo turno.

Più o meno era quello che Hito aveva intenzione di fare al torneo di Bey Blade, solo che le vittime sarebbero stati tre ignari campioni colpevoli unicamente di essere amici del nipote.

Doveva scegliere se farsi carico dell’incolumità della sua squadra o…

“O cosa?”

Cosa voleva da lui quel vecchio da dover ricorrere a simili sotterfugi pur di ottenerlo?

Ormai era sconvolto e non riusciva più a nasconderlo. A quel punto, difficilmente avrebbe potuto negare al nonno qualsiasi sua richiesta.

- Vai al sodo… - Il ragazzo appariva nauseato da tutto ciò, ma restò calmo.

- C’è effettivamente un modo per evitare questo sgretolarsi delle nostre risorse. – Kei lo fissò con sguardo glaciale. – C’è un fondo, che sarà attivo non appena raggiungerai la maggiore età. E’ un patrimonio consistente, intoccabile fino ad allora. –

Di fronte alla sua incredulità, il vecchio fece un cenno alla bodyguard. Questi afferrò i fogli sul tavolino e li porse a Kei.

Preso da una strana enfasi, cominciò a scartare la prima busta. I suo occhi scorsero prima le lettere e poi le pagine. Non riusciva a credere a quel che aveva di fronte. Quando ebbe terminato i primi fogli rialzò lo sguardo sul parente alquanto scioccato.

- Questa è una trattativa… -

Hiwatari fece spallucce con noncuranza. – Praticamente lo è… Quella è la tangente che ho versato a tuo padre per acquistarti. Una mazzetta molto cara… -

Kei avvertì il sangue defluire dal suo viso, si rese conto di essere impallidito quando vide il suo riflesso sulla vetrata del tavolino.

“Ha detto acquistato?”

- Senza dilungarci troppo sui particolari posso dire che, quando tuo padre se ne andò, rifiutando qualsiasi coinvolgimento con la mia società, squattrinato com’era, accettò di buon’ora i soldi che gli offrii per tenerti sotto la mia potestà. Parte dei soldi che gli cedetti decise tuttavia di depositarli in un fondo a tuo nome, in modo che, se un giorno ti fossi ritrovato nelle sue stesse condizioni, avresti avuto modo di farti una vita nuova. Questa è l’unica cosa buona che probabilmente quel fannullone di mio figlio fece per te… -

Non riuscendo a evitare che la frustrazione gli contorcesse i lineamenti alzò una mano a coprirsi il viso. Tuttavia anche questa lo tradì quando venne percossa da un tremito.

Non aveva mai chiesto nulla riguardo suo padre. Aveva qualche lontano ricordo di lui, sapeva che era ancora vivo da qualche parte e per un certo periodo della sua vita aveva anche avuto una certa curiosità a riguardo, ma da tempo si era deciso: non voleva saperne assolutamente nulla.

Era stato uno stupido a sperare che suo nonno rispettasse quella sua decisione.

No… lui doveva gettarglielo in faccia nel momento meno appropriato di tutta la sua vita. E soprattutto distruggendo quel briciolo di speranza che lui gli aveva lasciato.

Odiava quel vecchio.

Lo odiava con tutto se stesso.

Voleva solo i suoi soldi, quell’unico dono lasciatogli da un padre, a cui, come aveva appena amaramente scoperto, non importava nulla del figlio, ma che comunque gli aveva lasciato una via di fuga.

Ecco… ora quella via di fuga non c’era più. Grazie a un padre che non si era mai degnato di conoscere il proprio figlio e grazie a un nonno che, evidentemente, aveva interesse per il nipote tanto quanto ne aveva avuto il genitore.

Si sentiva tradito, ingannato, usato…

Per tutto quel tempo era solo stato usato. Usato per arricchirsi prima da suo padre e poi da suo nonno.

Quei pochi legami di amicizia che aveva creato si erano trasformati in un’arma a doppio taglio.

Mentre pensava a tutto ciò, aveva cominciato con aria assente ad aprire la seconda busta. Per questa fu necessario utilizzare il tagliacarte d’argento, che si trovava sempre sul tavolino accanto ai fogli. Dentro vi trovò i documenti per investite tutta la sua nuova fortuna nell’azienda. Mentre vedeva i propri occhi scarlatti, carichi di furore, riflessi nella lama pensò che si trattasse dell’arma del delitto per antonomasia.

Dopo che il ragazzo lesse i fogli capì di non avere altra scelta. Se accettava, avrebbe salvato i suoi amici, ma non avrebbe avuto più nulla.

Amici. Da quanto tempo ormai li considerava tali? Non importava, in ogni caso non avrebbe mai vissuto con il peso di tre vite sulla coscienza.

Non aveva avuto nemmeno la possibilità di vivere la fugace illusione di essere libero, neppure per un solo secondo. Quell’eredità inaspettata era già destinata a svanire.

Kei guardò il nonno con un misto di disprezzo e impotenza. Era devastato da tutte quelle nuove rivelazioni, ma l’odio che provava verso quell’uomo sopraffava qualsiasi altra emozione.

Era cascato nella rete. Era stato ingannato. Era stato venduto dal suo stesso padre. Non era una menzogna. Quelle carte dicevano il vero.

Il vecchio appoggiò la mano sul mento volgendo un rugoso sorriso compiaciuto verso Kei. Il suo tono suonò innocente e velato da un finto tono speranzoso.

- Firmerai? –

Quale domanda più retorica.

Quale uomo più ripugnante.

Kei lo fulminò con lo sguardo, pervaso dall’ira. Nella mano stringeva ancora il tagliacarte.

Gli uscì solo un mugugno affermativo a testa bassa. Mentre con un cenno del capo ribadiva la sua decisione.

In quel momento lo colpì forte l’istinto di scappare. Di correre via da quell’essere obbrobrioso.

Il vecchio accennò con assenso, come se fosse fiero della decisione presa dal nipote, o come se si congratulasse con se stesso.

- Ovviamente, sono consapevole come questo incontro abbia incrinato per sempre i nostri rapporti, anche se non erano propriamente affettivi. Per questo motivo penso che sia meglio se tu conduca il resto dei tuoi studi lontano da qui, mi occuperò che tu trascorra molto tempo in una struttura adeguata. Magari evitando di continuare a giocare con le trottole. Ormai hai fatto il tuo tempo… -

Più che per ciò che quelle parole implicavano, fu quando vide il sorriso vittorioso che sconvolse la rete di rughe sul viso del vecchio che fu colto da una fitta al petto tale da provocargli un mix micidiale di emozioni. Sentì il suo orgoglio urlargli attraverso un fischio nelle orecchie. Provò ira, ribrezzo, tristezza, panico, odio...

Quando si mosse di scatto con ancora il tagliaccarte in pugno più con l’intenzione di andarsene, forse interpretando male le sue intenzioni, Akula lo afferrò per la sciarpa costringendolo a fronteggiarlo. Il ragazzo sorpreso si divincolò dalla stretta e sotto gli occhi increduli del parente inciampò sui suoi stessi piedi. Rovinò a terra proprio di fronte a suo nonno.

Nel frattempo il vecchio si era alzato rassicurando la bodyguard sulle intenzioni del giovane. Come se fino a quel momento avessero semplicemente parlato del più e del meno, Hito allungò la mano verso di lui per aiutarlo ad alzarsi.

- Su dai… quando imparerai a stare fermo sui tuoi piedi, piccolo Kei? -

L’ironia e il tono di scherno contenute in quella sentenza lo mandarono fuori di testa. Accettò la mano di suo nonno, ma aveva ancora il tagliacare in mano quando, sfruttando la stessa forza che il vecchio impiegò per alzarlo, usò lo slancio per colpire.

 

Yuri spense il viva voce del suo telefono e con un gesto di puro odio lo sbatté sul tavolo di fronte a Takao.

Era tornato nell’appartamento di Evan.

Troppo tardi tuttavia.

Lo aveva insultato…

… traditore vigliacco egoista…

… gli aveva urlato contro ogni ingiuria che conosceva in un russo gutturale e pungente, lo avrebbe anche picchiato se il cinese e Max non lo avessero trattenuto.

Aveva insultato anche loro.

Ormai la chiamata era stata fatta e la polizia stava arrivando.

Disprezzava Takao e quello che aveva appena fatto.

Lo odiava con ogni fibra del suo corpo.

Non riusciva a sopportare che Kei definisse suo amico quell’idiota.

Non capiva perchè non lo avessero aspettato. Con quale diritto aveva agito in quel modo senza neppure consultarlo? Non pensavano alle persone che avrebbero coinvolto? La casa in cui lo avrebbero presto prelevato era di Evan. Lui stesso era ormai considerato a tutti gli effetti un complice.

“Garantiremo noi per te, dimostreremo che sei sempre stato con noi ad aiutarci…” Questo era quello che credevano.

Erano davvero così stupidi? Così egoisti?

Sentiva un bisogno urgente di urlare, di ricominciare di nuovo a insultarli.

Tuttavia, mentre li aveva osservati ascoltare con angoscia quella registrazione, mentre vedeva i loro volti venire sopraffatti dal rimorso, aveva provato pena per loro.

Max fissava il vuoto seduto sul divano del soggiorno, mordendosi il labbro, con le nocche sbiancate dalla stretta nervosa sulle sue ginocchia e Rei continuava a passarsi le mani fra i capelli, camminando su e giù per la stanza come una tigre in gabbia.

Takao si era dovuto sedere sulla sedia accanto al tavolo; teneva il viso basso nascosto dietro le mani tremanti.

- Che effetto ti fa ora sapere? - Le parole del rosso erano aspre e cariche di odio, con una forte cadenza russa.

Quando il moretto si sforzò di guardarlo, Yuri poté vedere un volto devastato e due profondi occhi neri, lucidi e arrossati.

La cosa peggiore era che, vederlo così divorato dal rimorso, non lo fece sentire affatto meglio.

 

 

 

Ce l’ho fatta. Questo capitolo non finiva più. Forse perchè lo scrivevo appena riuscivo a trovare un po’ di tempo e ispirazione, forse perchè non volendo troncare le cose a metà ho preferito farlo più lungo… era troppo lungo? Lo avete trovato pesante? Non credo comunque che la cosa si ripeterà! xD Spero che vi sia piaciuta e che le situazioni vi siano risultate chiare e non troppo assurde! Lo spero davvero… anche perchè la parte della registrazione, che alla fine era un flashback, l’ho riscritta non so quante volte, avevo anche provato a scriverla dal punto di vista di Akula, ma non mi convinceva. Detto questo, spero di avere un vostro parere. Grazie di nuovo per i vostri commenti! Sono felice di ritrovarvi ogni volta! Mi da proprio la carica! Spero di non aver deluso le vostre aspettative… e scusate di nuovo l’attesa! Ci vediamo con il prossimo capitolo!

  
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