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Autore: K a m i l a h    02/10/2013    5 recensioni
∙ Classificata 8° al concorso "La ragazza e il soldato" di darllenwr ∙
Luglio 1918.
Konstantin Fëdorovič Vasil'ijev è un bolscevico.
Presta servizio ad Ekaterinburg sotto il commissario Jurovskij.
La famiglia Romanov è sua prigioniera.
E Marija Nikolaevna tiene prigioniero lui.
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Non ti avrebbero riportato nessuno. Non avrebbero riportato in vita tua madre né tuo fratello, trucidati sui cancelli dell’Aleksandrovskij; ancora lo puoi vedere Kolja, morto là, e mama quattro giorni dopo. Mentre a Carskoe Selo si beveva vodka.
Lo guardi adesso il tuo Zar, che sulla sedia si gode gli ultimi bagliori del sole.
E sua figlia. Più bella di qualsiasi altro tramonto.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Periodo Zarista, Il Novecento
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- Questa storia fa parte della serie 'Миф о Романовых ≡ Il mito dei Romanov'
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Мир
Pace



Dicono che quando una persona muore, essa rivive la propria vita in un battito di ciglia. Ti chiedi se sia mai possibile una tale stranezza, tu che tante volte hai rischiato di crepare, in Siberia o sotto i cancelli del Zimnij Dvoreč non fa differenza alcuna. Non sai davvero se tutta quella gente dica il vero. Una cosa la sai però, e l’hai vista tante volte negli occhi di chi t’è morto davanti: rivedi in un loro battito di ciglia tutte le persone che in vita tua hai ammazzato. Le rivivi, senti il tanfo del loro terrore e scorgi il tremolio di ogni estremità delle membra incapace di mostrare una stoica freddezza, quella in nome del quale sei stato educato. Sei una persona? No, sei una macchina, un freddo meccanismo messo a punto dal Sovjet. E funzioni a meraviglia. O meglio funzionavi, finché non hai quasi annegato le ultime vestige della tua freddezza in quel mare d’inverno che infuria negli specchi di quella ragazza. Quella tempesta ti ha stremato, tormentato, arroventandoti le carni con un fil di ferro incandescente dolce come quel viso d’opale che ora ti guarda sereno. Si tratta di una foto, avete detto loro. Una foto prima di lasciare  casa Ipat'ev, prima di raggiungere un altro, assurdo rifugio. L’intera famiglia imperiale si sistema contro il muro, la zarina e suo figlio su sedie scalcinate e lo zar dietro coi domestici, assieme alle figlie. Assieme a Marija. Lei sorride, dopotutto è una foto. Tu chiudi gli occhi, e puoi sentire solo di sfuggita la sentenza di morte che Jurovskij proclama a sorpresa, lo sconcerto che desta in Nicolaj Romanov e i suoi confusi balbettii che esigono una spiegazione, al posto della quale arriva una scarica di fucili. Quelli li senti, che rimbombano per la stanza e violentano le tue orecchie, assieme alle urla. Le urla di lei che chiedono pietà, che ti straziano le carni tentando di scovarvi un resto di umanità. Non c’è più, ti ripeti come una nenia, non c’è più umanità alcuna in te; gli ultimi strascichi li hanno ammazzati quel giorno sotto l’Aleksandrovskij, assieme a tuo fratello e a tua madre. Spari fino a spellarti le dita, a bruciarti il volto con i fuochi dei cecchini che dietro te contribuiscono a quel massacro. Poi il commissario fa un cenno, e tutto tace. Apri gli occhi sui cadaveri che giacciono riversi al suolo, in pozze di sangue che scuriscono le assi marce. Odi un rantolo, strozzato. Più forte di qualsiasi altro grido che un essere possa emettere, vibrante di protesta, forte di un’ostinata innocenza. L’urlo di chi vuole vivere.
«Le figlie non sono morte. Finitele».
Jurovskij abbandona la stanza assieme al falso fotografo. Due figure ammantate in vestiti leggeri si trascinano per terra disegnando strisce scure al suolo, strisciando le mani bianche sullo sporco; lei viene verso di te, solleva gli occhi e li ancora ai tuoi. Per un attimo ti pare di vedere un pettirosso arrancare nella steppa; potresti schiacciarlo col piede e seppellirlo nella neve. Gli altri soldati berciano alle tue spalle, si accaniscono sul corpo della più giovane. Lo trapassano con le baionette, spillando il sangue dalle braccia e dal petto come acqua dalla fonte. Mashka non lo guarda, guarda te. Muove le labbra, no, le apre appena. Le sei sopra prima che il tuo stesso cervello lo comandi. I suoi occhi rilucono della pace che tanto odi, che tanto sprezzi. Tu non vuoi la pace. Nella pace diventi preda dei demoni che non ti hanno mai abbandonato, che puoi sconfiggere solo quando combatti. Tu ami combattere ciò che hai attorno per non affrontare quel che hai dentro. 
Ti cali su lei con un urlo, affondando la lama nel collo con una facilità disarmante. La vedi accasciarsi sul pavimento senza rumore, lo spettro degli occhi vuoto come mai lo è stato.
Marija Nikolaevna è morta.
È morta, e adesso hai di nuovo la tua pace.
 
  
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