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Autore: SylverTrinity    31/03/2008    2 recensioni
Esiste la fantasia ed esiste la realtà. Due universi separati eppure con un punto d'incontro che forse non vediamo più, crescendo. Riuscire a crederci porta sorrisi, in questo caso malinconia e tristezza. Ognuno di noi, forse, ha avuto una fata come amica. Se così non fosse stato è bello poterlo immaginare no?
Genere: Triste, Malinconico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando nacqui nessuno era con me. Adagiata su un morbido letto dorato, friabile e vellutato, appena un po' appiccicoso. Profumato. Il vento mi accarezzò, fresco, svegliandomi dal torpore. Un sonno senza sogni. Un sonno da cui nascevo senza ricordi, ma piena di nozioni ereditate dal fulcro che ci genera. Un velo di un rosso violaceo si piegò al vento lasciando rotolare tra le mie mani una grande sfera di cristallo trasparente. Acqua. Una pioggia primaverile mi aveva svegliata. Ero nata, ma non ero bambina. Noi non nasciamo sempre bambini. Alcune nascono già adulte, altre adolescenti. E' il caso, un caso che nel fulcro si sviluppa e si plasma disegnando con maestria e grazia una vita fragile che corre sulla linea d'oro e d'argento, tra sogno e realtà. Il minuscolo frammento che intercorre in un battito di ciglia.
Oro e Cremisi.

Mi stupisco ancora quando, steso sul letto, fisso il candido soffitto di questa casa. L'aria salmastra che soffia dal mare entra dalla finestra e con sé par portare granelli d'ambra che risvegliano i ricordi. Le grandi tende bianche si gonfiano riempiendosi di quel respiro remoto. Mi incanto e il mio sguardo si volge al mio stesso io.
Ricordo fin troppo bene quando ero piccolo e queste tende che si gonfiavano, mi facevano quasi paura. Sembravano le gonne di una grande donna, esile e leggera. Quando il sole brillava nel cielo mi sembrava di vederla sorridere e io ridevo rincorrendo quei teli, giocando col vento. Quando i temporali aprivano le porte del terrazzo tirando con forza quelle tende mi sembrava che quella signora fosse adirata e scaricasse la sua rabbia in lance di gelida acqua. Piangevo e strillavo e nessuno riusciva a farmi smettere se non il sole. Dopo il temporale il sole brillava sulle gocce come una luce in un'esposizione di preziosi e fragili cristalli. Osservavo il cielo che si specchiava nella grandi pozze piatte e lisce come lastre di vetro.
Fu uno di quei giorni che, su una gardenia del terrazzo, scorsi lei. Seduta in un fiore, giocava con una goccia. Lei poteva farlo, le sue mani erano così piccole che quella goccia sembrava una grande biglia trasparente. Sorrideva, il sorriso di quella signora dalle gonne bianche, ma non era bianca. Era Oro e Cremisi.

Ricordo che, senza capirne il motivo, ero felice. Lasciai cadere quella goccia d'acqua sulla testa a bagnare i miei capelli rosa intenso. Mi alzai in piedi spolverando il polline dalla mia veste che sembrava tessuta da quei petali morbidi e vellutati. Una fascia dorata mi stringeva la vita e svolazzava come una coda dietro di me. La cosa che più amavo di me stessa erano le grandi ali allungate. Sembravano ghiaccio cremisi che splendeva di mille sfumature diverse alla luce. Saltellai su quel fiore prendendo coscienza del mio corpicino senza peso. Presi un grande respiro, senza che quell'aria realmente mi riempisse e mi nutrisse. Osservai le grandi mattonelle bianche che sottostavano al grande vaso di fiori dove ero nata. Ero nata per volare e dovevo volare. Osservai una bianca cavolaia volare silenziosa su dei margheritoni di un altro vaso, più lungo e stretto del mio. Le sue ali sbattevano leggiadre senza lasciarla cadere, in uno sfarfallio bianco ricamato di macchioline nere.
Sorrisi a me stessa stringendo le mani in piccoli pugni e mi lanciai giù dal fiore. Sentii l'aria sfrecciare attorno a me alzandomi la veste. Perchè quelle ali non funzionavano? Chiusi gli occhi pensando intensamente a quella farfalla e...le mie ali fremettero una volta, poi una seconda. Riaprii gli occhi e notai che la mia caduta si era fermata. Mi lasciai sfuggire un gridolino trionfante e cominciai a zigzagare per il terrazzo, tra la luce del sole e l'ombra proiettata dalla parete dell'edificio. Improvvisamente mi fermai sbalordita, incontrando due occhi altrettanto sorpresi. Fu amore. Fu Ambra e Smeraldo.

Con la bocca spalancata mi appiccicai al vetro della porta finestra. Troppo piccolo per raggiungere la maniglia, non mi restava che rimirare l'esterno da quel vetro trasparente, macchiato dagli aloni della pioggia. Com'era bella, mi fece battere forte il cuore nel petto. Sembrava una bambola, ma poteva muoversi. A confronto con quella farfalla bianca, beh, forse sembrava una farfalla anche lei, ma era molto più bella. Quel sorriso scaldava il cuore. Quel sorriso era contagioso. Quando la vidi cadere cominciai a battere contro il vetro, a saltare verso quella maniglia. Impotente mi misi a piangere, ma nessuno accorse ad aiutarmi, né ad aiutare lei. Avevo paura. Avevo paura per quella creatura così fragile che era caduta dal suo fiore. Tirai su col naso appiccicandomi al vetro, sporcandolo di moccio e lacrime. Sgranai gli occhi. Stava volando! Il sorriso tornò sulla mia bocca e saltellai nel vederla svolazzare tra luce ed ombra. Brillava tutta!
Ad un tratto si fermò e si volse. Incontrai i suoi occhi che sembravano del colore delle ciliege. Le sorrisi mostrando quanto più affetto potevo. Era tutta genuina sincerità, a quell'età non si può mentire. Era seria, sorpresa forse? Mi ritirai indietro, per un attimo mi vidi riflesso nel vetro, con quei capelli biondi spettinati e i miei occhioni verdi. Notai la sbavatura di moccio e, con semplicità, la pulii con la mano pulendola a sua volta sulla magliettina. Sorrisi nuovamente e lei...semplicemente mi sorrise. Rimase impressa nei miei occhi. Parte di Ambra e Smeraldo.

Mi avvicinai timorosa alla finestra, attirata da quel sorriso così innocente e luminoso. Quegli occhioni di smeraldo erano lucidi specchi ricolmi di ammirazione. Mi fermai davanti al quel vetro frullando velocemente le ali, ormai non era più faticoso, bastava desiderare di volare e loro obbedivano. Intrecciai le mani sulla schiena abbassando il viso, quasi imbarazzata nel presentarmi, volteggiando appena qua e là. Non c'era bisogno di parole. Allungai una mano toccando quel vetro, appoggiandocela, sfiorando la sua, molto più grande. Ci separava quel gelido vetro, ma era come se non esistesse. Mi allungai a posargli un bacio su quel nasino a punta tremendamente dolce.
Era così dolce e luminoso. Era così bello che me ne innamorai. Poi improvvisamente alle sue spalle comparve una donna così alta che mi fece paura. Schizzai via terrorizzata. Che sciocca. Doveva essere sua madre, ma il suo sorriso non era luminoso come quello del mio piccolo...piccolo...per me rimarrà sempre il mio prezioso Ambra e Smeraldo.

La sua manina sfiorò la mia. La sentii come se il vetro non esistesse. E quando mi dette quel bacio sincero...dio...credo sia stato il mio primo bacio. Il primo bacio che ho dato con amore posando le labbra su quel freddo vetro, con tanta naturalezza che quasi arrossisco a pensarci. Un amore così forte che pensarci mi fa battere ancora forte il cuore e mi annebbia la mente. Poi scappò via e mi imbronciai.
Mia mamma l'aveva fatta scappare avvicinandosi. Si chinò dietro di me stringendomi a sé "Cosa hai visto di bello?" mi domandò coccolandomi "Una Fata!" esclamai indicando contro il vetro "Là, là...sul fiore!"
Lei sorrise prendendomi in braccio osservando fuori dal vetro "Oh sì, ci sono tante farfalle. Ti piace quella là rossa?" Farfalle? Mi imbronciai contrariato "Ma no, è una fata!" mia mamma sorrise "Ma sì, ora che guardo meglio è proprio una bella fata" e si voltò sorridendo "Aspetta mamma! Voglio la fata!" ma lei non sentì ragioni "E no, mio piccolo cacciatore di fate. E' l'ora di dormire un po'" Continuai a dimenarmi pretendendo di tornare alla finestra, ma a nulla servì neanche piangere e strillare. Fui messo a letto e ben presto mi addormentai.

Il mio amore era stato portato via da quella brutta donna cattiva! Mi imbronciai lasciandomi cadere a sedere sul mio fiore. Posai il capo tra le mani sbuffando sonoramente. Ma chi si credeva di essere quella lì? Stavamo solo facendo amicizia. Non volendomi rassegnare a quell'ingiustizia ripresi a volare girando intorno alla casa, affacciandomi da ogni finestra, cercando il mio piccolo gioiello. Infine trovai la sua cameretta, piena di peluches e giocattoli. Era lì, rannicchiato nel suo lettino. Mi sentii pervasa da un'irrefrenabile gioia, tanto che le mie ali vibrarono più forte sparpagliando una polvere dorata. La finestra era socchiusa, ma mi occorse tutta la mia forza e tanta pazienza per aprirla a sufficienza per entrare.
Rimasi per qualche istante impigliata nelle tendine azzurre ma, sorpassato l'ostacolo mi fiondai verso quel lettino le cui sponde segregavano il mio amore. Pazienza, mi dissi, sarebbe stato liberato tra qualche ora.
Mi sedetti sulla sponda dondolando le gambe osservandolo. Osservando i suoi occhioni chiusi serenamente e quelle labbra rosate schiuse a prendere e rilasciare lenti e regolari respiri. Com'era dolce.
Mi avvicinai camminando in punta di piedi su quella copertina leggera approdando sul cuscino, quasi sorpresa dall'affondarci i piedi a tal punto. Mi sporsi sul suo visino morbido, accarezzando quelle guanciotte e scostando dagli occhi un ciuffo di capelli color ambra. Altro che quella donna, la mia delicatezza non poteva batterla nessuno. Ad un tratto si rigirò e per poco un suo braccio non mi schiacciava. Volai via appena in tempo tirando un sospiro di sollievo. Mi avvicinai ancora e rincalzai quelle copertine. Dormi amore mio. Tornai seduta sulla sponda, attendendo la fine dei suoi sogni.

Fu il riposino pomeridiano più bello del mondo. Rimpiango di non riuscire più a dormire come allora, senza pensieri e preoccupazioni, avvolto da sogni pieni di gioia e colori.
Ricordo come fosse ieri tutti i momenti che ho passato con lei, il mio primo amore. Quando correvo nel parco e lei mi volava accanto, facendo a gara a chi arrivava prima. Quando caddi e mi sbucciai le ginocchia e cominciai a piangere e lei per consolarmi mi regalò un grande fiore rosso sventolandomelo davanti al naso. Ben presto la caduta fu dimenticata assieme alle lacrime.
Quando costruivo grandi palazzi con il lego e lei faceva la principessa intrappolata nella torre e io il valoroso principe che andava a salvarla. Quando, quella brutta notte d'inverno, mi persi nel bosco e lei mi guidò fino a casa. Quando mi aiutava a rubare le caramelle dalla ciotola che la mamma teneva in alto, sulla mensola della cucina. Quando mi accompagnava all'asilo e quando mi fece coraggio il primo giorno.
E come dimenticare quante volte mi ha consolato e quante mi ha incoraggiato a conoscere i miei nuovi amichetti.
Forse se non mi avesse incoraggiato così tanto...Forse lei sarebbe ancora con me...

La mia gioia crebbe col mio piccolo amore. Giocavamo insieme respirando tutta la libertà e la spensieratezza del gioco. Ci rincorrevamo tra risate e grida. Ricordo tutti i bei castelli che mi ha costruito e tutte le volte che mi ha salvato dalle loro torri difese da draghi e mostri terribili. Tutte le volte che gli ho cantato la ninna nanna le notti in cui forte ululava il vento e i tuoni rimbombavano minacciosi.
Quante volte un bacino ha consolato le cadute accidentali? Quante volte ci siamo fatti una scorpacciata di caramelle alla faccia della strega-mamma? E quanta paura ho avuto quando la sera è calata e non ti vedevo più accanto a me nel bosco. Per fortuna ti ho ritrovato ed è finito tutto per il meglio.
Era così bello fare le trecce in quei capelli biondi e lucenti, sembravano raggi di sole. Quante corone di fiori mi ha regalato in quegli anni spensierati?
Ho imparato a leggere la lingua degli umani insieme a lui. Ho imparato a contare fino a venti come si usa tra loro. L'ho visto affrontare le sfide della vita e l'ho visto fare amicizia con tanti bambini e...bambine.
Sempre più spesso stava con loro e io rimanevo sola nella torre di quei castelli, senza più un principe che accorreva a salvarmi.

Non basteranno tutte le lacrime di questo mondo a lavare via il dolore che mi pesa sul cuore. Nel mio mondo vivevano i suoi sorrisi e nel mio cuore albergava una gioia e un calore unici. Adesso tutto è più pesante e mai luminoso come allora. Ho dimenticato i suoi sorrisi e la sua compagnia, ho dimenticato facilmente la sua figura in favore degli altri amici e della frenesia della vita. Come un fiore senza più cure lei è sfiorita e me ne sono accorto quando ormai era troppo tardi per salvarla.
L'Inverno era arrivato senza che me ne accorgessi. Un inverno in cui il sole brillava e i margheritoni erano in fiore. La gardenia sul terrazzo sbocciò, ma i suoi fiori erano deboli e la pioggia anziché nutrirla l'appesantiva. Me ne accorsi dopo tanto e mi ricordai del mio piccolo amore che quella mattina si era svegliato in quel fiore. Era ancora lì, rannicchiata e tremante. Cosa avevo fatto?
Corsi fuori chinandomi davanti alla pianta. I suoi occhi color ciliegia non brillavano più e fissavano il vuoto. Le sue ali erano opache e senza più polvere d'oro. Alzò gli occhi su di me e sorrise debolmente. Riuscii solo a piangere raccogliendola tra le mani, quel corpicino senza peso, gelido. La strinsi a me capendo che non stava bene "Non andare via Gardenia" le mormorai tirando sul col naso "Non andare via...non andare..."

Sentii la vita scivolare via lentamente. Non è come tra gli umani. Noi viviamo di sentimenti e di passioni. Quando il mio amore non fu più ricambiato, lentamente la vita scivolò via. Cercai quell'amore, ma non ricevetti il calore necessario a resistere a un inverno che s'impadroniva della mia anima. Avrei potuto cercare altrove quel calore ma...ma quell'Ambra...quello Smeraldo. Non lo faceva con cattiveria, in fondo era ancora un cucciolo...il mio cucciolo.
Tornai a quella gardenia, anche lei soffriva come me. Mai tanta fatica avevo durato a volare. Raggiunsi quel fiore a stento resistito. Mi accucciai nel suo polline, ma nessun profumo riusciva ad alleviare il mio dolore. I colori si spegnevano, poi la mia luce arrivò. Aveva capito, ma no...non piangere mio piccolo amore. Mi strinse a sé e sentii quel calore che mi aveva fatto innamorare. Ma ormai era tardi, era troppo tardi. Non potevo odiarlo, non era stata cattiveria, lo aveva fatto senza saperlo. Non glielo avevo mai detto, volevo un legame sincero, senza imposizioni. "Gardenia deve andare..." mormorai stringendo la sua maglietta. Il suo petto di ragazzino era così grande rispetto a me "Ma resterà qui, nel tuo cuore" la stretta perse forza "Ti guarderò...ti vedrò...sempre...sempre..." l'ultimo oro che avevo lo piansi in lacrime "sempre...sempre..." continuai a ripetere sempre più piano "per sempre...mia Ambra...mio Smeraldo..." scivolai tra le sue mani inerme, chiudendo gli occhi "mio piccolo Tesoro..." furono le prime ed ultime parole che ci scambiammo. Non avevamo mai avuto bisogno di parole, noi due.

Piansi così tanto. L'avevo uccisa, avevo ucciso la mia Gardenia. Urlai, piansi, mi odiai. La strinsi a me anche quando la sua voce si spense "Gardenia non andare...reste con me...ti prego" rimasi inginocchiato su quel terrazzo per ore a piangere. Mia madre rimase stupita nel vedermi piangere per la morte di una semplice farfalla rossa. Ma non era solo una farfalla...la mia Gardenia. "Ti prometto Gardenia" mormorai tra i singhiozzi "Che non ti dimenticherò mai..." singhiozzando mi alzai ed aprii le mani. Polvere d'Oro e Cremisi si levò col vento e volò su, alta nel cielo. "Insieme...sempre" tirai su col naso "per sempre"

Ho rispettato la mia promessa. Non posso dimenticarla, la mia Gardenia. E quella pianta cresce rigogliosa in sua memoria ed ogni boccio che si apre è un suo sorriso. Guardo mio fratello che ride in terrazzo e corre dietro alle farfalle.

Ma non sono farfalle...vero?

-°-°-°-°-°-°-°-

Una storia che ha ricevuto diversi commenti quando l'ho postata altrove. Solitamente in queste storie arriva il lieto fine. Perchè non ho salvato Gardenia? Perchè nella realtà Gardenia sarebbe morta. Ho voluto fondere fantasia e una realtà contemporanea proprio per questo. I bambini piangono e ridono a volte per motivi incomprensibili, magari vedono la loro fata...chissà...Forse anche io avevo la mia fata che poi ho dimenticato. Magari così le renderò onore.
Io non amo il lieto fine forzato, forse è un mio difetto. Credo, però, che dopotutto non sia una fine troppo crudele e triste. Quell'amore così sincero non è morto. Personalmente posso dire che, nonostante tutto, questa storia si conclude con questo ragazzo che sorride, forse con malinconia, ma sorride al punto di sorridere osservando il fratellino che gioca con le farfalle. Non vede più fate, ma può ben credere che lo siano. Io credo che possano esserlo realmente...

*°*°*°*

Erika91 - Anche io rileggendola mi son quasi commossa :P e dire che l'ho scritta io, sono un po' sensibile XD Mi fa piacere ti sia piaciuta e che tu condivida il mio pensiero sul lieto fine che certe volte è davvero molto forzato ^^ Grazie per il commento!

Ice90 - Lieta di sapere che qualcuno la pensa come me sulle fate. Io credo ce ne siano di buone o meno, in questo caso volevo una fata buona, ma non mielosa, anzi, quasi gelosa del suo amore al punto di veder la mamma di questo bambino come un'avversaria. Per gli errori non ti preoccupare XD io stessa spesso ne semino di goni tipo ahah
  
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