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Autore: Judy Kill Em All    02/10/2013    0 recensioni
Comunque i deliri al femminile sono, rimangono, spaventosi e mi fanno paura. Mi mettono un’angoscia da appuntamento al buio e prima interrogazione dell’anno, della materia in cui sono negata.
Mettono ansia anche a te, quindi mi lasciasti perdere. Probabilmente non pensavi che avrei trovato questi cinque minuti, che poi a casa mia sarebbero dieci, venti, trenta. Fino a mezzanotte, poi a letto perché devo andare a scuola e mi devo alzare presto.
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Il nonsense sta nel capire il nonsense perchè vi assicuro che c'è. Questa storia è vera per metà, (i personaggi assomigliano ai miei amici, io ho i capelli rossi e sono innamorata di quel ragazzo) però ho avuto la brillante idea di mettere tutto insieme, con una bella dose di depressione. Buona lettura.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Non lo fare, non scrivere questa storia» mi implorasti.

Perché parlo al passato remoto? Sto solo parlando di stamattina.

 

Comunque i deliri al femminile sono, rimangono, spaventosi e mi fanno paura. Mi mettono un’angoscia da appuntamento al buio e prima interrogazione dell’anno, della materia in cui sono negata.

Mettono ansia anche a te, quindi mi lasciasti perdere. Probabilmente non pensavi che avrei trovato questi cinque minuti, che poi a casa mia sarebbero dieci, venti, trenta. Fino a mezzanotte, poi a letto perché devo andare a scuola e mi devo alzare presto.

 

Sottointesi e doppi sensi, sai che la mia mente è deviata, la conosci meglio di me, ma non sai che in questo momento sto mentendo; comunque continuasti a fare quelle battutine senza accorgertene.

 

«Guarda che così mi fai venire solo più idee per questa storia, probabilmente il rating non arriverà al rosso, massimo al giallo, ma probabilmente al verde» ammisi annuendo, ti guardai, guardai anche Lorenzo e lui annuì poco convinto.

«Ale, vado a fumare, mi accompagna Fede» mi rispondesti, non in risposta ed uscisti dalla porta sul retro; a scuola non si poteva fumare, ma l’area per trasgredire era aperta da prima del decreto.

«Quei due stanno andando a limonare» commentò Lorenzo, rimasto con me. Lui odiava il fumo, io odiavo essere il terzo incomodo.

Ridacchiai e guardai verso il bar, solo per guardare qualcuno parlare, senza sentire.

Passarono troppi minuti per una sigaretta.

«Stanno limonando» ammisi strizzando l’occhio e sfilandomi la felpa calda, era inverno, con i riscaldamenti al massimo.

Avevo caldo e le mani ghiacciate; ero di buon umore ed odiavo il mondo. Ero un personaggio dinamico e completamente in antitesi.

 

Fede era bellissimo e mi ero innamorata tipo colpo di fulmine in due secondi, ti chiesi di lui e tu sviasti all’istante “No, guarda, è un coglione” poi più nulla, dissi qualcosa come “Okay” e stetti zitta per qualche secondo.

Comunque ti tartassai per bene nei successivi due anni.

“Non ti attrae? E’ davvero bello. E’ gay? Vi mettete insieme? Mi piace un sacco”.

 

«Guarda, ha la ragazza» mi dicesti, questo più indietro, eravamo sull’autobus.

«Almeno, così ho capito, nulla di ufficiale, so solo che si sono fatti» guardasti lontano.

«Chi è questa?» mi rabbuiai subito.

«Sta sera piangerò» aggiunsi chiudendo il discorso.

 

Sapevo che non mi avrebbe mai nemmeno guardato, la consapevolezza faceva male allo stomaco e mi faceva venire gli attacchi di nausea senza motivo, la mattina, con una sigaretta stretta tra le labbra ed i polmoni stanchi e morenti.

Stavo imparando a scrivere e la mia parola preferita era eterea, perché avrei voluto mi descrivesse almeno in parte. Ero forse una delle persone più concrete sulla terra, ma solo io la pensavo così.

La scuola era troppo vicina ed il pullman non mi lasciava abbastanza tempo per fantasticare, lasciavo sempre le storie della mia immaginazione a metà perché erano troppo inverosimili anche per lei.

Ad un certo punto arrivavo a scuola, la monotonia era troppa.

 

«E’ divertente» sentii.

Ero in anticipo e mi ero fermata un istante nell’angolo-drogati al limitare del marciapiede che incorniciava l’edificio scolastico.

«Cosa?» ti riconobbi subito e mi venne d’istinto di raggiungerti, ma rimasi ferma immobile, pietrificata.

«Che lei lo sappia così chiaramente» ridacchiò quell’altra voce a me sconosciuta.

«Metti qualche soggetto» sbuffasti.

«Lei, la tua amica con i capelli rossi, che sa di noi» il mio respiro si fece ancora più leggero, inudibile.

«Ah. Non lo pensa davvero, mi prende in giro» bisbigliasti.

«Secondo me è seria. Perché non glielo dici?» chiese; sentii scattare un accendino e vidi del fumo poco denso venire dalla mia parte.

«Tanto prima o poi lo scopre, non dovevi sorridere in quel modo l’altro giorno» ti lagnasti come un bambino di cinque anni.

«Sorridere? Cosa? Ma stai male?» si incupì un po’ irritato.

«Ho urlato, ti sei girato e mi hai guardato tipo “La cosa più bella di oggi è stata sentire la tua voce”» facesti anche la vocina da donna, pronunciando quella frase e mi venne da ridere, mi trattenni.

«Che coglione, non essere sdolcinato, mi fai sentire una checca» un rumore di un pugno leggero e dell’altro fumo.

Fui tentata di chiedere una sigaretta, ne avevo così bisogno che pensai di urlarlo, la mia mente già lo gridava da qualche minuto.

Mi affacciai appena, il muro aveva una specie di scanalatura enorme, sagomata apposta per me, potevo vedere tutto. E lui era sempre bellissimo, con quell’aria un po’ assorta ed i capelli scompigliati e quel cazzo di sorriso che non riuscivo mai ad immaginare; tu eri raggiante e non sapevo se piangere o sbraitare qualche insulto sull’ipocrisia.

«Checca? Sei proprio un nabbo» una risata ed un bacio leggero, a fior di labbra.

Allora pensai di scappare; trattenni il respiro e corsi via.

 

«Perché hai quella faccia?» una domanda a vuoto, non ti avrei risposto nemmeno per tutto l’oro del mondo; perché ero nel mio mondo e perché erano solo le otto di mattina.

Scossi il capo e lessi la prima frase della poesia, la letteratura era adorabile.

«Comunque dopo ti devo parlare» annuii piano e la mia testa catalogò tutte le storie immaginarie per cestinarle completamente, incluso lo schema preciso del punto in cui arrivavano gli angoli della sua bocca quando sorrideva.

 

Era sempre stato così ed era giusto ed era bellissimo: ciò che io non riuscivo ad avere dovevi averlo tu; perché mi piacevi tantissimo, come persona e non avere nulla mi faceva sentire eterea davvero.

E non sentire nulla mi faceva avvertire tutto davvero.

 

«Scusa se non te l’ho detto prima, non volevo farti del male».

Un abbraccio ed un sorriso.

Andava tutto bene, sarebbe andato tutto bene.

  
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