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Autore: Dream91    05/10/2013    1 recensioni
Thomas Wolf non crede alla sfortuna. Le sue uniche ragioni di vita sono sua moglie e sua figlia.
Ma quando un gatto nero comincerà a perseguitarlo, gli eventi per lui diverranno sempre più negativi fino ad essere vere e proprie tragedie...
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Gatto Nero

 
E’ mattina: il sole si è appena levato all’orizzonte, e per me, Thomas Wolff, celebre imprenditore, inizia un’altra giornata lavorativa.
Sono sveglio ormai da qualche minuto, ma preferisco crogiolarmi ancora un po’ nel letto dalle candide lenzuola.
Decido di alzarmi, così mi volto e bacio mia moglie sulla guancia.
E’ così bella. Non la voglio svegliare.
Si muove delicatamente nel sonno, sorrido al pensiero che nel grembo di quella fantastica creatura ci sia il nostro secondo bambino.
Mi dirigo verso la cucina a preparare il caffè, prendo una fetta biscottata, vi spalmo sopra un po’ di marmellata di more, (la mia preferita) poi l’addento, attendo qualche minuto che esca il caffè e mi guardo in giro.
Morgana compare sulla soglia. E’ bellissima: i lunghi e lisci capelli neri le ricadono lungo la schiena e sulle spalle.  Mi guarda in maniera dolce con quei suoi grandi occhioni blu, contornati da ciglia lunghissime.
Si avvicina e mi bacia piano. Mi accarezza i capelli castani. Ci guardiamo negli occhi. Dopodiché si allontana sorridendo e facendo una piroette con una grazia immane. Vedo la sua chioma oscillare, insieme alla vestaglia bianca.
Senza dire una parola esce dalla cucina. Penso che forse sia andata a svegliare Rhea.
Mi ricordo all’improvviso che tra tre giorni, sarà il nostro anniversario di nozze. Nove anni passati nella felicità più totale. “Dovrò fare qualcosa di speciale per Morgana” penso.
Finisco di preparare il tavolo per la colazione, appena in tempo, perché un uragano di bambina mi salta addosso. La prendo in braccio e lei mi bacia e mi abbraccia per darmi il buongiorno. Io sorrido notando quanto sia bella. I capelli mossi e castani sono come i miei, gli occhi, invece, sono come quelli di Morgana: blu intenso, esattamente l’opposto dei miei, che sono grigio chiaro.
Ci sediamo tutti e tre e cominciamo a mangiare. Ad un certo punto, mia moglie mi chiede sorridendo: -Cosa devi fare oggi al lavoro?-
Ed io, ricambiando il sorriso: -Ho contratto con il signor Yamato e alcuni suoi connazionali per un appalto.-
Morgana è una dottoressa e non s’intende granché di economia, come io, del resto, non capisco molto di medicina.
-Papà, che cos’è un appalto?- Mi chiede la piccola Rhea con aria innocente, ed io le spiego: -Un appalto è un accordo tra un appaltatore che dichiara di assumersi, con i mezzi necessari e una gestione a suo rischio, l’obbligo di compiere un opera o un servizio per un appaltante.-
-Eh?- Mi chiede guardandomi confusa ed io sospiro. Nonostante abbia cercato di spiegarglielo nel modo più semplice possibile, non sono riuscito a farle capire il concetto.
Solo allora, mia moglie decide di intervenire: -Te lo spiegherà quando sarai più grande. Forza signorina, a prepararsi!-
-Ok mamma.-
-Mi dispiace tanto di non poterla accompagnare io a scuola. Tu, nelle tue condizioni…- Dico a Morgana appena Rhea esce dalla stanza.
-Ehi, guarda che sono al quarto mese. Che vorresti insinuare?- Mi chiede, mettendo il finto broncio.
Vado in camera a prepararmi, dopodiché do un bacio a entrambe ed esco di casa sulla mia Spider rossa.
Purtroppo l’ufficio non è esattamente vicino casa mia, anzi, è abbastanza distante.
Mi devo fermare, per evitare di investire un gatto nero che cerca di attraversare la strada.
La povera bestiola mi guarda come per ringraziarmi ed io riparto.
Devo assolutamente arrivare in orario, altrimenti l’affare sfuma, ed io perdo un sacco di soldi!
Come a farmelo apposta, tutti i semafori sono rossi e ad ogni striscia pedonale c’è sempre qualcuno che sta già attraversando, ed io devo fermarmi per evitare di investirlo.
Provo allora ad imboccare l’autostrada, ma rimango imbottigliato nel traffico mattutino. Frustrato, appoggio la fronte al volante e aspetto, non potendo fare altro.
Una volta arrivato in ufficio, la mia segretaria mi comunica che l’affare è andato. I giapponesi, stanchi di aspettare, hanno rinunciato all’appalto. Come biasimarli? Sono arrivato con un’ora e mezza di ritardo.
Che sfortuna! Se fossi stato un altro le circostanze mi avrebbero indotto a dare la colpa al gatto nero di prima, ma io non credo a queste cose. Nonostante mia moglie sia una dottoressa, non credo molto neanche nella scienza.
Per quanto riguarda Dio, credo che esista una presenza suprema, ma non penso che si scomodi per i nostri piccoli problemi quotidiani.
Credo anche alla teoria della predestinazione e alle coincidenze particolarmente negative, quindi mi convinco sempre di più che, forse quell’affare non sarebbe stato molto buono come pensavo. Quindi zittisco subito il pensiero del gatto nero.
Continuo a lavorare come se niente fosse, e quando esco, un gatto nero mi passa davanti. Quasi non ci faccio caso. Mi dirigo verso il parcheggio. Solo allora mi accorgo con orrore di una cosa: la mia auto non c’è.
Con le dita tremanti, estraggo il cellulare dalla tasca e chiamo la polizia. Mi dicono di passare in commissariato per la denuncia. Chiudo la chiamata e rimango lì, immobile, con il telefonino ancora in mano. Non vorrei, ma sono costretto a telefonare a mia moglie perché vada a prendere Rhea al posto mio. Con i mezzi, nel migliore dei casi, ci metterei un’ora.
Morgana mi risponde, ed io le spiego tutto, sorvolando sul furto dell’automobile, ma quando mi chiede il perché sia rimasto a piedi, sono costretto a rivelarglielo, sapendo già cosa avrebbe fatto dopo. Infatti mi dice di restare dove sono e quasi mi chiude il telefono in faccia per impedirmi di replicare.
Sorrido. Pensare a lei e a Rhea non riesce a provocarmi altro.
C’è un bar proprio accanto all’ufficio, così decido di sedermi e ordinare qualcosa, cercando di non pensare al fatto che mi abbiano rubato l’auto.
Dopo qualche minuto passa di nuovo quel gatto nero, ed io vedo la macchina di mia moglie che si avvicina all’incrocio. Aspetta al semaforo e quando scatta il verde, riparte. Con la coda dell’occhio noto un’auto che corre ad una velocità pazzesca. Morgana, però non la vede. Cerco di farglielo capire come posso, ma niente da fare.
Avviene tutto davanti ai miei occhi. L’impatto tra le auto…uno spettacolo orribile. Non lo augurerei al mio peggior nemico e quando penso che dentro una di quelle auto ci sono mia moglie e mia figlia, mi riprendo da quello stato di trance in cui sono caduto. Dentro di me provo paura misto ad orrore. Paura di perderle. Orrore, per ciò che ho appena visto.
I passanti hanno chiamato l’ambulanza che è appena arrivata. Salgo anch’io su di essa. Voglio essere presente. Voglio stare vicino a loro. Voglio aiutarle, poter stringere le loro mani, ed essere il primo a vedere i loro splendidi occhi aprirsi.
Vedo il tipo alla guida dell’altra auto. Ha una grossa ferita grondante di sangue. Lo guardo. So che non è bello da dire, ma mi fa schifo. Non la ferita, ma l’uomo. Probabilmente è qualche ubriacone o drogato, oppure un imbecille che fa altro mentre guida.
Per colpa sua, corro il rischio di perdere le mie uniche ragioni di vita. Un mostro, ecco come lo considero.
Ho l’impulso di strangolarlo e porre personalmente fine alla sua vita. Ma non lo faccio. Sono venuto qui solo ed esclusivamente per loro: per Rhea, Morgana ed il bambino nel suo grembo.
Che ironia. Non sappiano ancora neanche se sia maschio o femmina, perché Morgana avrebbe dovuto fare l’ecografia tra un mese, e già questo povero bambino rischia la vita.
Le osservo. Il volto di mia moglie è completamente sfigurato e quasi non la riconosco più.
La piccola Rhea, invece non ha ferite visibili, ma non si sveglia, e la mia paura più grande è che possa avere qualcosa di ben più grave di un taglio o una ferita.
Piango. E’ l’unica cosa che possa fare.
Arrivato in ospedale, mi fanno attendere in una sala d’aspetto per un tempo quasi infinito.
                                                                         …
E’ l’una e mezza di notte, ma io non dormo. Come posso? Mia moglie e mia figlia, anzi, i miei figli, stanno lottando tra la vita e la morte.
Sono ormai le tre quando esce un medico molto pallido di carnagione, con i capelli alla Elvis Presley, biondi e occhi castano chiaro. Penso subito che la sua espressione non promette niente di buono. E ho ragione. Lo capisco anche da come parla. Sembra stia cercando le parole giuste.
Mi dice che l’altro autista è morto sul colpo, ma non mi interessa più di tanto. E lui lo capisce, quindi va avanti.
Una alla volta, le sue parole sono come pugnali che mi squarciano la carne.
-Margana ha perso il bambino e…- Le lacrime cominciano a uscirmi dagli occhi. Ho paura. Temo di sapere ciò che deve dirmi, ancora una volta, lo percepisco.
-…E’ morta.- Quelle parole mi risuonano nella mente. Cupe e tetre.
Passa qualche secondo prima che riesca a reagire. Secondi che mi sembrano interminabili.
La mia bocca si muova da sola e chiede cosa invece sia successo a Rhea.
Il dottore mi risponde che ha un’emorragia interna che l’ha portata al coma.
Continuo a piangere e quasi non mi accorgo di seguirlo per andare dovè lei. La mia bambina. La mia piccola Rhea.
La vedo lì, in quel letto, piena di tubi e fili di ogni sorta. Prendo la sua piccola mano tra le mie.
Rimango così per tutta la notte e tutto il giorno dopo. Non mangio, non bevo, non dormo.
I medici hanno paura per me. Li sento spesso parlare di esaurimento nervoso.
Circa ogni due, tre ore vengono un’infermiera e un dottore per controllare Rhea. Poi, verso sera, ritorna il medico della notte prima.
Fa una rapida visita a mia figlia e ad un certo punto scorgo sul suo viso un’espressione di felicità e sorpresa.
-Sta migliorando.- Constata finalmente.
Mi dice che posso andare a casa, ma rifiuto.
Mi propone allora di dormire in una stanza dell’ospedale, ma rifiuto ancora.
Con un sospiro mi chiede se voglio almeno uscire fuori per prendere una boccata d’aria.
Lo guardo. Capisco che lo fa per il mio bene e acconsento.
Esco fuori. L’ aria ventilata, ma allo stesso tempo calda mi solletica il volto.
Sento un miagolio. Guardo davanti a me e vedo il solito gatto. Ormai ci ho fatto l’abitudine.
Si avvicina a me, ed io gli accarezzo la testolina. Lui mi fa le fusa.
-Non riesco neanche lontanamente a pensare che tu porti sfortuna.- Mi guarda e se ne va.
Un’infermiera viene di corsa a dirmi che la situazione è peggiorata e che quindi occorre un’altra operazione.

Mi ritrovo di nuovo in quella sala d’aspetto. E’ mezzanotte quando esce il medico dalla sala operatoria. Ha la stessa faccia della sera precedente. Non dice nulla e intanto fuori dei nuvoloni grigi coprono la luce della Luna.
Il dottore scuote lentamente la testa. Tuoni e fulmini solcano il cielo, mentre la pioggia comincia a scendere copiosamente.
Inizio di nuovo a piangere e scappo da quel luogo. Avevo ragione a non credere nella scienza! Non sono altro che inutili fandonie!
Dopo un po’ che corro, inciampo in un sasso e cado sulle ginocchia. Alzo gli occhi al cielo, mentre i volti sorridenti di Morgana e Rhea mi compaiono in mente.
Sono fradicio, bagnato dalla testa ai piedi. Le mie lacrime si confondono con la pioggia.
Sento un miagolio e mi volto di scatto. Ancora quel gatto.
-COSA VUOI DA ME?- Gli urlo con tutto il fiato che ho in gola.
Il gatto si stira. Tira fuori le unghie e assume un’espressione demoniaca.
Urlo. Il mio urlo risuona per le vie della città.

Il giorno dopo, sulla prima pagina dei giornali, vi era tale articolo:
Thomas Wolff, grande imprenditore e scrupoloso uomo d’affari, è stato trovato in un lago di sangue, stamattina intorno alle 6:00.
Data la recente morte della moglie incinta, Morgana Wolff e della figlia, Rhea Wolff, la pista più attendibile sembrerebbe quella dei suicidio. Tuttavia, vicino al corpo non è stata trovata alcuna arma con cui avrebbe potuto togliersi la vita.
Inoltre, l’arma del delitto sembra ancora sconosciuta. Non vi sono state trovate impronte digitali da nessuna parte, ne segni del passaggio di altre persone.
Lascia perplessi però un ciuffo di peli trovato accanto al corpo, che sembrerebbe appartenere ad un gatto.
Per ironia della sorte, è accaduto proprio lo stesso giorno del suo anniversario di nozze e sembrerebbe che prima di morire abbia avuto un esaurimento nervoso.
Qual è allora la verità sulla morte di Thomas Wolff?
  
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