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Autore: dilpa93    05/10/2013    9 recensioni
“C’è qualcosa di sacro nelle lacrime, non sono un segno di debolezza, ma di potere. Sono messaggere di dolore travolgente e di amore indescrivibile.”
Possibile spoiler 6x02
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alexis Castle, Altro personaggio, Kate Beckett, Martha Rodgers, Richard Castle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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“C’è qualcosa di sacro nelle lacrime, non sono un segno di debolezza, ma di potere. Sono messaggere di dolore travolgente e di amore indescrivibile.”
Washington Irving


 
 

“Hey, ti sei svegliata.”
Apre gli occhi a fatica, la luce filtra attraverso il tessuto leggero delle tende bianche. Distende con lentezza le braccia concedendosi un piccolo sbadiglio, mentre voltandosi fa si che il loro profili si sfiorino. Sorride a ridosso delle sue labbra dopo averle carezzate con un bacio.
“Castle... da quanto sei sveglio?”
“Circa un paio d’ore.” Dice serafico facendo scorrere con lentezza le dita tra i suoi capelli chiari.
“E sei rimasto a fissarmi tutto questo tempo?” Si volta sul fianco sostenendosi con il gomito guardandolo sconcertata e divertita. Si morde il labbro al pensiero di come si sarebbe sentita in imbarazzo, di come avrebbe trovato inquietante quel gesto fino a qualche mese fa, e di quanto invece ora lo trovi quasi lusinghiero e di una dolcezza infinita.
“Avresti dovuto svegliarmi.”
“Avevi bisogno di dormire Kate.”
“No, ho bisogno di guardarti, parlarti, toccarti...” elenca, trascinando le lettere di quell'ultima parola, mentre fa scorrere l’indice lungo le linee del suo volto, solleticandogli il collo, facendo scendere poi la mano sul suo petto. “Ho davvero rischiato di perderti, non voglio sprecare tempo prezioso a dormire.”
“Sai”, esordisce saccente, “anche il dormire contribuisce a renderti la persona incredibile che sei. Ti fa bene.”
“Beh, non mi interessa, porta via del tempo a noi e alla mia contemplazione del tuo corpo.” Ammette timida chiudendo gli occhi, inspirando forte il suo profumo.
Sente le dita di Rick carezzarle distrattamente il corpo, come un soffio leggero sulla pelle.
Si siede sul letto a gambe incrociate sentendolo scivolare lontano da lei. “E adesso dove vai?”
Sospira forte, restando immobile ai piedi del letto; sembrerebbe combattuto. Inclina il capo verso sinistra mordendosi l’interno della guancia. “Devo andare.”
“Dove? No!” Urla istintivamente. Sapeva che quel preciso istante sarebbe arrivato, ma non è pronta, non lo è affatto.
Il tempo non è mai stato dalla loro parte.
Anche quel giorno... sarebbe bastato un minuto in più, ma nessuno glielo aveva concesso.
“È arrivato il momento Kate. Anche tu devi uscire e andare avanti.”
Quello era stato il suo primo ed ultimo pensiero, a cui lei si dimostra ancora una volta contraria con un’energica scrollata del capo.
“Affatto, io sto bene qui, in questa stanza. Possiamo restarci ancora un po’. Anche per sempre.”
“No invece...”
“Le persone sopravvivranno senza vederci... almeno per qualche altra settimana.” Lo supplica e blatera come mai le era successo prima, ignorando i sussurri che escono dalle labbra di Rick.
“Sono tre giorni che sei chiusa qui, hai bisogno di aria fresca e di cibo. Di parlare con qualcuno di... reale.”
“Qui c’è una grande finestra e il cibo è sopravvalutato, proprio come le persone reali.” Usa il sarcasmo nel tentativo di respingere le lacrime che fremono per uscire.
“Kate, starai bene, ne sono sicuro.”
“No, non senza di te!”
Si trascina gattonando verso di lui. Le ginocchia premono sul morbido materasso, le dita si stringono con forza alla sua camicia, ma se qualcuno entrasse la vedrebbe solo stringere l’aria e farneticare da sola, sull’orlo dell’isterismo. Gli occhi bruciano, lo sforzo per trattenersi probabilmente porta più dolore di quello che sopraggiungerebbe liberandosi di quell’angoscia che le serra lo stomaco salendo fino a formare uno stretto nodo alla gola.
“Farai grandi cose Katherine Beckett. Sii grande, sii straordinaria.”
“Io n-non posso, non ce la farò.” Ed ecco che quelle lacrime scivolano con forza, grevi e pesanti sulle sue guance pallide.
“Se c’è qualcuno che può farlo sei tu. Andrai avanti, vivrai ancora, amerai ancora. Promettilo...” Tra le mani prende il suo viso; le lacrime scorrono dai pollici lungo i polsi. “Promettimelo Kate.”
È incapace di parlare, annuisce debole sentendosi stordita. Le tempie pulsano, la testa fa male. Vorrebbe tenerlo con sé, urlagli in faccia che non amerà che lui, perché ora la prospettiva di un altro che si insinui nel suo cuore, nei suoi pensieri, nella sua vita come solo lui era riuscito a fare è impensabile. Vorrebbe scusarsi, dirgli che è stata colpa sua e che le dispiace, vorrebbe dirgli che Washington è stato uno sbaglio, che quel lavoro è stato uno sbaglio. Vorrebbe baciarlo e fare l’amore con lui, ma sa di non poterlo fare e questa  consapevolezza la annienta alla stregua di un tornado che, con la sua forza, rade al suolo un’intera città.
Il suo cervello non smette di pensare e sulla fronte sente posarsi le sue labbra calde in quell’ultimo saluto silenzioso.
 
Chiude gli occhi stringendoli forte.
I secondi scorrono. Uno dopo l’altro.
Li riapre e la terra sembra mancarle sotto i piedi.
Invece del sole mattutino, è il buio, causato dalle imposte serrate, ad irrompere con forza nella camera e ad avvolgerla. Ad attenderla accanto a sé, al posto del caldo corpo di Rick, che in quei giorni le era sembrato più volte di vivere e sfiorare, è presente solo il freddo del letto sfatto. Il cuscino è custode delle lacrime versate dal suo ritorno in quella città e in quella casa. La porta è chiusa per non permettere alla realtà di entrare.
Si alza dal letto trascinando i piedi che sfregano contro le piastrelle fredde del pavimento ad ogni passo compiuto verso l’armadio. Le ante si aprono accompagnate da un assordante cigolio che come un’eco si ripercuote nella stanza.
I polpastrelli scorrono distrattamente lungo i vestiti. Sposta annoiata e sfinita le stampelle alla ricerca dell’abito nero.
Sfila la maglia gettandola sul letto alle sue spalle, mentre con un movimento rapido delle gambe lascia che i pantaloncini scivolino fino a terra.
Il vestito le fascia stretto il corpo una volta chiusa la lampo sul fianco e sistemate le spalline. Castle l’aveva sempre trovata bellissima con quello indosso, e in lei si fa strada la certezza che dopo quella mattina non lo metterà più.
 
Agitata apre la porta, lasciando finalmente l’aria fresca libera di circolare.
 
Sente gli sguardi posarsi su di lei.
Seduta sul divano intravede sfocata, attraverso gli occhi lucidi e arrossati, la figura di Alexis avvolta dalle braccia di un Pi estremamente silenzioso e compunto, forse nel mero tentativo di trovare conforto e un sostituto all’abbraccio paterno che da ora non potrà più ricevere. Girando attorno al bancone ad isola della cucina, Martha si incammina verso di lei con passo elegante. I grandi occhiali neri nascondono gli occhi arrossati e il viso stanco di un madre che ha da poco perso il figlio.
Non ha diritto di piangere davanti a loro, non merita di farlo dal momento in cui la convinzione di essere la causa della prematura scomparsa di quell’uomo che era tutto il loro mondo è radicata in lei.
“Kate tesoro.”
 
Pausa.
Respira.
E, come durante uno dei suoi spettacoli, va in scena.
 
Sorride tirata, il labbro trema sotto il peso del magone incombente che scompare quando finalmente la sua voce spezza il silenzio.
“Siamo liete di rivederti.”
Trova futile domandarle come si senta. È rimasta rintanata per giorni nella camera che più di una volta aveva condiviso con suo figlio; ritiene che questa sia già di per sé una risposta più che sufficiente.
Le prende la mano stringendola forte tra le sue e il coraggio e la forza, che mancavano a Kate per arrivare alla chiesa e sedersi su di una delle prime panche davanti al feretro ricoperto di rose bianche, la invadono attraverso quel semplice e materno contatto.
“Andiamo”, prosegue la rossa, “Richard non deve aspettare oltre.”
  
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