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Autore: Noruwei    06/10/2013    11 recensioni
Provincia di Torino. Fine delle vacanze estive.
Una quattordicenne rimane incinta e non si sa di chi, fra i pettegolezzi di un comune liceo statale si snoda la bizzarra storia d'amore di due ragazzi in cerca di se stessi, le prime cotte, la complicità di un'amicizia un po' strana che forse è qualcosa di più e forse no o forse, ancora, non deve essere per forza qualcosa di più per essere qualcosa, alle volte basta quello.
E quindi c'è Simo', un po' scontroso, ironico, distruttivo, c'è Filippo, che ascolta i Green Day.
E poi c'è Diana.
[Slash, tematiche delicate, 1/1]
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
- Questa storia fa parte della serie 'Monologhi fuori dal coro'
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Titolo: Il vento delle cose che vanno e di quelle che restano
Fandom: Originali>Romantico
Pairing: Slash
Genere: Drammatico, Generale, Romantico
Rating: Rosso
Chapper: 1/1
Summary: Provincia di Torino. Fine delle vacanze estive.
Una quattordicenne rimane incinta e non si sa di chi, fra i pettegolezzi di un comune liceo statale si snoda la bizzarra storia d'amore di due ragazzi in cerca di se stessi, le prime cotte, la complicità di un'amicizia un po' strana che forse è qualcosa di più e forse no o forse, ancora, non deve essere per forza qualcosa di più per essere qualcosa, alle volte basta quello.
E quindi c'è Simo', un po' scontroso, ironico, distruttivo, c'è Filippo, che ascolta i Green Day.
E poi c'è Diana.

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Il vento delle cose che vanno è una mia creazione, i personaggi
e il banner sono di mia proprietà.
Parla di tematiche delicate e boyxboy
Né la trama né i personaggi s'ispirano alla realtà, Filippo e Simone appartengono esclusivamente alla mia immaginazione.
(Aggiungetemi su Twitter, se vi va, @Imapanda_H,
o cercatemi sul mio Ask! ♥ )

I – ROAD

 

I walk a lonely road
The only one that I have ever known
Don't know where it goes,
But it's home to me and I walk alone.
[Green Day – Boulevard of broken dreams]

 

Nella terrazza della scuola è vietato fumare. Filippo lo sa, come sa che Simo' lo ignora giornalmente e che quando chiede alla professoressa di mate se può andare al cesso in realtà va lì e guarda il mondo dall'alto e quindi Filippo non è sicuro se lo faccia per fumare in santa pace o semplicemente perché gli piace quel posto.
«Simo',» si lagna a mezza voce, appoggiandosi a sua volta alla ringhiera. «Se ci beccano la nota me la prendo anch'io 'sta volta».
E suo padre l'avrebbe ammazzato, anche perché, suo padre, Simo' non lo poteva manco vedere. Un nullafacente, diceva, un casinista cercaguai, basta guardare la famiglia che si ritrova! La sorella di Simo' è rimasta incinta a quattordici anni, nessuno sa chi sia il padre, e la madre, la signora Ferrini, era scappata cinque anni prima con un forestiero. Simo' non ne faceva parola, ma Simo', dopotutto, parlava poco di suo, dunque Filippo non faceva troppe domande anche perché, alla fine, non erano cazzi suoi.
«Che lagna sei».
Filippo arrossisce un po', anche se riesce a vedere di profilo che Simo' ha un sorriso accennato sulle labbra. «È solo che ho bisogno di avere il massimo per entrare in medicina» si giustifica, un lieve rossore sulle guance, anche se in realtà a lui di medicina non frega proprio niente, però suo padre ci tiene così tanto che lui diventi chirurgo. «Poi io non fumo nemmeno».
«Sei una lagna lo stesso». Simo' gli dà le spalle e guarda il cortile e Filippo pensa che Simo' sia bello, una bellezza tutta sua, una bellezza un po' malinconica e distratta, che pochi riescono a cogliere.
Filippo ride. In realtà a lui l'odore di fumo dà fastidio, però quando i tratta di Simo' tenta di non farci caso. Simo' sta per Simone, Filippo non sa esattamente quando ha iniziato a chiamarlo Simo' anche nella sua testa, forse quando si sono conosciuti, perché Simo' ha un suono tagliente e tronco, come qualcosa che manca e Simo' è esattamente così. Filippo lo pensa guardandolo, che qualcosa in Simo' è sparita e non si sa dove.
«Domani devo portare la stronza in clinica» dice Simo' di colpo, sporgendosi in avanti, e Filippo sa che per la stronza intende sua sorella. «Pa' è furioso, vuole che abortisca».
«E lei?»
«Lei nulla, non ha detto ancora una parola. Sta nella sua camera a piangere e non mette il naso fuori».
Filippo un po' la capisce. «E come ce la porti in clinica? È fuori città e la tua auto...» azzarda, ricordando quando nemmeno una settimana prima ubriaco fradicio Simo' è riuscito ad andare a sbattere contro un palo della luce, sul momento era sembrato davvero molto divertente, e infatti al ricordo Simo' ridacchia con quella sfrontatezza giovanile di cui Filippo è un po' innamorato.
«Lo so, ma mica l'ho detto a Pa' che l'auto l'ho scassata, mi ammazzerebbe. Sto aspettando il momento giusto, quando tutta 'sta storia di merda sarà finita».
Simo' si porta la sigaretta alle labbra e inspira, Filippo le guarda, quelle labbra, non riesce a non guardarle e alle volte si domanda se Simo' lo sappia.
«Ti posso dare un passaggio» sospira e Simo' sorride, ironico.
«E tagliare la scuola?»
Filippo scrolla le spalle. «L'hai detto tu che se dici che l'auto l'hai mandata a farsi fottere tuo padre ti uccide».
Simo' lo guarda, questa volta negli occhi, Simo' ha gli occhi di un banalissimo nocciola però... però c'hanno quel qualcosa gli occhi di Simo', anche ora che lo fissano divertiti. «Sei così...» Si morde il labbro, come cercando la parola giusta «carino che mi dai la nausea».
«Idiota».
«Cagasotto».
E a Filippo sembra quasi di essere tornato in quell'afosa giornata di agosto, nella stanza di Simo', a spiegargli matematica. Non sa perché ci sta pensando proprio adesso, forse perché Simo' ha le sopracciglia aggrottate ed è così bello.
«Che c'hai?»
Filippo si appoggia alla ringhiera, gli sfiora il gomito. «Niente»-
Simo' rotea gli occhi. «Col cazzo, niente» e Filippo arrossisce perché non è niente.
«Io... vorrei baciarti».
Simo' irrigidisce la mascella.
«Sei deficiente?» sibila. «Se ci scoprissero, mio padre- se qualcuno sentisse 'ste cose cosa pensi che succederebbe?» Sta ringhiando, ora.
Filippo si morde il labbro. «Non c'è nessuno qui, solo noi due, e poi è solo un bacio».
Le dita di Simo' gli intrappolano il mento, è un bacio veloce, irrequieto, possessivo perché Simo' è così e Filippo lo ama per quello, quel bacio.
Simo' gli volta le spalle.
«Torniamo in classe» fa, la voce atona.
Il vento gli spettina i capelli.
 
 
 
 
 
 
 
What I'd give to run my fingers throught your hair
To touch your lips, to hold you near.
[Bon Jovi - Always]
 
Però Filippo ci ripensa, a quell'agosto estivo. Il fatto è che Filippo non può smettere di pensare, torna da scuola – percorrendo il tratto a piedi, le mani infilate nelle tasche dei bermuda – si sdraia sul letto e ci pensa, le dita che sfiorato l'elastico dei boxer.
E quindi pensa.
A Simo', alle sue labbra (lì), a- è come una droga Simo'. Se pensa a Simo' Filippo pensa ai pomeriggi passati a suonare ai citofoni e poi scappare, ai frullati sulle panchine di Torino, ai suoi denti contro il lobo del suo orecchio. Simo'. C'ha la sua voce nella testa, quella voce un po' divertita e un po' ironica. Parlava di Stefania della IIIB, quel giorno, parlava di come l'avesse sbattuta alla festa di Lele, «Aveva le mutandine rosa di pizzo nero, capisci? 'Na cosa, sembrava una porno star» e Filippo aveva provato a sorridere, sul serio, e ad evitare che l'immagine di Simo' che si scopava Stefania della IIIB, le gambe allargate, si formasse nella sua mente. Però Simo' se n'era accorto.
«Ce l'hai duro» aveva riso, accostando leggermente il viso al suo orecchio. «Vuoi che torniamo all'algebra?» l'aveva provocato perché Simo' era così e Filippo era arrossito.
 
Filippo se lo ricorda, il primo giorno in cui ha conosciuto Simo'. È successo durante la prima media. Filippo ce l'ha nella testa l'immagine di quel Simo' minuto e dai capelli scuri, appoggiato alla parete del cesso del bagno delle ragazze, che lo fissava mentre veniva menato da quei bastardi.
Quando se n'erano andato aveva sbadigliato un «Sei proprio una mezza sega», staccandosi dal termosifone e porgendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi, l'espressione sprezzante.
Simo' era in un'altra sezione e prima di quel giorno non si erano mai nemmeno rivolti la parola, probabilmente Simo' non aveva idea di chi cazzo fosse.
«Mi hanno preso alla sprovvista».
«Balle» aveva ribattuto laconico Simo', che in quel momento Filippo non aveva ancora preso a chiamare così. «Ti menano perché sembri una femmina» aveva continuato imperterrito, lo sguardo altezzoso, e aggiunto: «E poi sei proprio impedito» quando era inciampato alzandosi nei lacci delle scarpe.
«Non sono-»
«Sta' zitto. Per cinque euro a settimana te li tengo lontani io, gli stronzi». Simo' aveva roteato gli occhi. Distrattamente. «Prendere o lasciare» aveva sbuffato, in quel modo che a Filippo aveva ricordato in modo vago Walker Texas Rangers, che era costretto a guardare ogni pomeriggio dalla nonna. Forse anche Simo' lo guardava, era quello che aveva pensato.
Poi erano diventati amici e Filippo, i cinque euro, aveva potuto smettere di darglieli.
 
Filippo c'ha le gambe aperte come Stefania della IIIB quando Simo' glielo succhia, quel pomeriggio d'agosto, la cerniera dei jeans tirata giù.
«Cazzo» ricorda di aver ansimato gli occhi nocciola di Simo' che non lasciavano la sua impressione perché quando veniva Simo' non voleva perdersi manco un secondo. «Ci sono i tuoi sotto».
E quindi Simo', quello nella sua testa, gli lecca piano la punta. La cosa che più fa impazzire Filippo è che quando glielo succhia Simo' lo fa come se fosse un compito di chimica, aggrottando leggermente le sopracciglia per concentrarsi.
«Sono usciti. Oggi è il loro anniversario e la stronza sta facendo i compiti».
«Oh».
 
Il Filippo del presente si sporge e afferra il cellulare che sta squillando.
«Sono impegnato».
Dall'altra parte Sofia ride, Sofia è la compagna di banco di Filippo, Sofia è una scassacoglioni senza precedenti.
«Ti stavi facendo una sega?»
Filippo arrossisce un po'. «No, i compiti».
«Claro.» ribatte la ragazza, che ha passato le vacanze estive in Spagna, e c'è un pizzico d'ironica soddisfazione. «Non stavi pensando a Simone».
«No. Che vuoi?»
«I compiti di mate».
«Te li passo su Facebook».
«Che palle che sei, Fil. Volevo chiederti se domani uscivi con la Ari e il gruppo».
Filippo ci pensa, si mordicchia il labbro.
«Non posso, domani taglio».
«Ah-a»
«Simo'» aggiunge, incerto, a mo' di spiegazione, come se quello dovesse dire tutto.
«Lo sai che gira il pettegolezzo che l'abbia messa incinta lui la sorella? Roba da pazzi. Me l'ha detto la Ari ieri ed io mica glielo potevo dire che Simone è più finocchio di Ben Whishaw e John Barrowman messi insieme».
«Dio».
«Dio che?»
Filippo sospira, esasperato, la mano ormai fuori dai boxer, lascia che la testa cada sul cuscino e fissa il soffitto.
«Dio-non-posso-crederci-che-non-ti-ho-ancora-staccato-il-telefono-in-faccia».
 
 
 
 
 
 
 
 
L'amore che strappa i capelli è perduto ormai,
non resta che qualche svogliata carezza
e un po' di tenerezza.
[Fabrizio De Andrè – Canzone dell'amore perduto]
 
Nella bio di Diana su Ask c'è scritto “sono alta un metro e un tappo” e Diana, alta un metro e un tappo, lo è davvero. Diana è bassa, non è bella, non bella quanto suo fratello, è carina.
Quel tipo di aspetto che non potendosi collocare né fra bello né fra brutto rimane in mezzo.
Diana si arrotola la t-shirt dei Linkin Park fin sopra la pancia, studiandosi con attenzione allo specchio, intanto pensa alla prima volta che ha fatto sesso.
La prima volta che l'ha fatto è stato un anno fa.
Un anno fa. Sembra così tanto.
Era giugno e si stava sentendo con quel ragazzo di Casalborgone, Lorenzo, che aveva le spalle più belle che avesse mai visto. Era stato quello a catturarla quando si era messa a sfogliare le sue immagini di profilo su Facebook.
Le spalle.
Diana è ossessionata dalle spalle, non ha idea del perché, forse per il fatto che è convinta che le sue siano troppo larghe quindi quando incontra una persona la prima cosa che guarda sono le spalle.
Le spalle dicono sempre molto di una persona, lei la pensa così. Lorenzo dalle spalle capiva che era un tipo sportivo, uno cool, uno a cui piace ridere.
Gli aveva inviato la richiesta d'amicizia e cinque minuti dopo aveva visto la colonna della chat lampeggiare.
Ehy, ci conosciamo? :)
A Lorenzo piacevano gli smile, ne metteva uno sempre alla fine della frase.
Alle volte Diana ci ripensa ancora, a Lorenzo e ai suoi smile, a quella volta che è venuto a prenderla a scuola e lei si è sentita a sua volta così cool, alle sue dita che le slacciano il reggiseno e le dicono che lo fanno tutti ormai.
Diana ha le guance rosse quando le mette la mano , ma la Diana del presente continua a fissarsi la pancia, non riesce quasi a crederci che ci sia davvero qualcosa là dentro.
Era innamorata di Lorenzo, le piaceva tenerlo per mano per i corridoi della scuola, baciarlo vicino al loro termosifone. L'amore per Diana è quello.
A Diana fa strano pensare a Lorenzo come il ragazzo con cui ha perso la verginità. Quello che le aveva giurato che sarebbero stati insieme per sempre.
Lorenzo.
Lorenzo che lei aveva scaricato perché troppo pressante. Lorenzo. Chissà cosa doveva pensare ora, Lorenzo.
Erano stati insieme tre mesi.
Diana apre gli occhi, guarda di nuovo il suo riflesso, poggia il naso contro il vetro.
Quella troia della mia ex, lo immagina dire e le lacrime (di stizza, di rabbia?) cominciano a scorrerle lungo le guance. Non esce manco più di casa, Diana, perché le sembra che tutti la fissino, che tutti la giudichino, che tutti sussurrino alle sue spalle e lo sa Diana, che anche dopo continuerà, che sarà sempre la ragazza che si è fatta mettere incinta a quattordici anni.
Posa le labbra contro il vetro.
È freddo.
Vorrebbe poterci passare attraverso, diventare la Diana Dell'Altra Parte. Chissà com'è, poi, questa Altra Parte.
C'è la voce di Simone alle sue spalle, atona.
«È pronta la cena».
Diana sente i passi che si allontanano. Ogni giorno che passa Simone è sempre meno presente, più lontano.
Più dall'Altra Parte.
Socchiude gli occhi, il vetro contro il naso è ancora gelido.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
II
 
I knew you were trouble when you walked in
So shame on me now
Flew me to places i’d never been
Now i’m lying on the cold hard ground
[Taylor Swift – I knew you were trouble]
 
«Ci pensi mai? A come sarebbe poter tornare indietro e cambiare tutto, intendo» fa Filippo e tira un calcio ad un sasso della strada sterrata.
C'è vento, un vento leggero, quel vento di fine ottobre. Il vento delle foglie che cadono e delle cose che se ne vanno.
Simo' affonda le mani nelle tasche e scrolla le spalla. «Tu segamentalizzi troppo» dice, annoiato.
Il viaggio in macchina è stato silenzioso con lui alla guida e Simo' al suo fianco, che guardava fuori dal finestrino, con la sorella – com'è che si chiamava? - dietro, le cuffie alle orecchie. Alla radio c'erano i Green Day.
I walk a lonely road / The only one that I have ever known / Don't know where it goes / But it's home to me and I walk alone.
Simo' si porta la sigaretta alle labbra, si stringe nel giaccone. Filippo gli mette un braccio intorno alle spalle, Simo' se lo scrolla di dosso. «Non qua» sibila.
Non qua.
Alle volte Filippo pensa che un “qua” per lui e Simo' non esista, che sia un continuo scappare e trovarsi, come nascondino. Come uno sfiorarsi con le dita senza prendersi mai, non per davvero.
Filippo affonda le mani delle tasche, camminano per i viali. Hanno lasciato Diana all'ospedale perché lui non li sopporta gli ospedali e Simo' lo sa, per quello gli ha detto che voleva prendere una boccata d'aria.
Simo' ha quel modo, quel modo di prendersi cura di lui cercando di non farglielo notare, e Filippo lo ama, quel modo.
«Giochiamo a premere i campanelli» se ne esce, di colpo, guardando le spalle di Simo', che ora la fissa, il sopracciglio sinistro inarcato. Premere-I-Campanelli è così che lo chiamavano loro.
«Eravamo dei mocciosi» soffia, l'aria si condensa.
Filippo rotea gli occhi. «Stai morendo dalla voglia anche tu».
Il sorriso di Simo' è sfuggente quando lo guarda con la coda dell'occhio. «Come ti pare» fa, la sigaretta fra l'indice e il medio, come se non gli importasse veramente.
E per un attimo sono di nuovo loro due, loro due che scappano ridendo con dietro una vecchia urlante, loro due che si battono il cinque, loro due che si rotolano nel prato facendo la lotta davanti alla casa di Simo'.
Ci sono cose che non cambieranno mai.
Per quanto il vento soffi forte, alcune cose restano per sempre.
Filippo ride mentre corre, le converse basse nelle pozzanghere con Simo' che gli stringe la mano, quella leggera pressione, il calore delle sue dita, per farlo correre più veloce.
«Quel tipo» ansima «era proprio incazzato».
Filippo si aggrappa a lui per non cadere, le gambe che non lo reggono più in piedi, ignorando i passanti per quella strada di Torino che lanciano loro occhiate fra il divertito e l'esasperato.
Simo' gli spettina i capelli e Filippo pensa che l'amore è quello, quei gesti di famigliarità, che l'amore per lui è Simo' e non gliene fotte un cazzo se la gente pensa che l'amore siano quelle robe dei film.
L'amore per Filippo è il sorriso di Simo', le sue labbra sulla sua clavicola quel pomeriggio d'agosto.
«Dio» mormora Simo', sfiorandogli l'orecchio. «Quanto ti detesto».
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Can't you see that you're smothering me
Holding too tightly afraid to lose control
Cause everything that you thought I would be
Has fallen apart right in front of you
[Linkin Park - Numb]
 
Quando Diana pensa alla morte c'è azzurro. Azzurro accecante, che una volta visto non ti esce più dalla testa. Le pareti dell'ospedale sono azzurre. C'è azzurro ovunque, negli ospedali.
Diana cammina in punta di piedi, per non attirare l'attenzione, le infermiere le sorridono gentili, come per rassicurarla che andrà tutto bene.
Diana pensa a Tommaso, a Lorenzo.
Diana pensa a un sacco di cose.
Pensa al dolore, se farà male, ma la cosa di cui ha più paura è il Dopo, i “puttana” sussurrati alle sue spalle, i corridoi della scuola, gli schiaffi di sua padre.
Non sa se ciò la renda egoista.
I Linkin Park nella sua mente continuano a suonare.
 
I've become so numb I can't feel you there
I've become so tired so much more aware
I'm becoming this all I want to do
 
Tommaso ha smesso di andare a scuola a diciassette anni. La verità è che la scuola lo annoiava, lo annoiavano i professori, la vita. Tommaso si siede su una panchina e guarda le persone che passano, immagina che esistenza squallida abbiano e socchiude gli occhi perché tutto ciò lo diverte.
Tommaso lavora al pub, era il pub in cui era entrata Diana un paio di venerdì prima, insieme a Letizia e Federica.
C'è qualcosa che le attrae l'un l'altra, le anime perdute. Un qualcosa d'invisibile che aveva portato i loro occhi a incrociarsi quando Diana aveva sorriso e due fossette si erano create proprio lì, agli angoli della bocca.
E Tommaso aveva pensato che fosse bella con quella felpa troppo lunga, i capelli arruffati per la pioggia e quello sguardo un po' malinconico.
E quando un poeta pazzo e una musa incrociano gli occhi la realtà cade a pezzi perché tutti i poeti hanno una musa e le muse sono di tutti i poeti.
 
«Sei così» sussurra quando se la scopa, in quello squallido appartamento del secondo piano del condominio «bella».
Diana non è vergine, non è pura, ma la purezza è noiosa quasi quando la perfezione quindi quella notte Tommaso la ama perché Tommaso le ama sempre tutte, le sue muse, anche solo per un minuto, per un'ora, per una manciata di secondi.
 
Tommaso se lo chiede, cosa serve l'amore quando si hanno le parole, perché alla fine l'amore è solo illusione e le parole ciò che lo rendono realtà.
Diana, a essere oggettivi, non è nessuno. Non è bella, non di quella bellezza che ti salta all'occhio, che ti fa voltare per le strade, non è intelligente, è superficiale, ha dei gusti musicali a dir poco discutibili e parla troppo, invade il mondo di parole e le parole per Tommaso sono l'amore quindi per lui amare Diana è la cosa più semplice che ci sia.
E così fra le sue braccia Diana gli apre il cuore, parla di lei, della sua famiglia, di quel suo amore per suo fratello, di sua madre che è scappata di casa, da suo padre, e Tommaso l'ascolta.
La ragazzina sfrega il naso sul suo polpaccio, con innocenza, poi lo fissa, gli occhi marroni che trovano i suoi.
«I miei si staranno chiedendo dove sono finita» soffia, piano.
Tommaso sorride. «Vuoi restare?» e Diana scuote la testa.
«Neh. Qui, là, che differenza c'è? È sempre una gran merda. Per questo Ma' se n'è andata, s'era rotta le palle, ed ora io non so se la felicità l'ha trovata, eh, ma secondo me no, non l'ha trovata, e sai perché? Perché la felicità non esiste».
«Non esiste» ripete Tommaso e la ragazzina annuisce, convinta.
«Giàgià, io la penso come Leopardi, quello depresso, hai presente? La felicità è un'inganno, un illusione, qualcosa che c'è e non c'è. Tutti che la cercano, 'sta felicità, ma quando chiedi che cazzo sia nessuno sa risponderti».
Tommaso ride.
«A me non l'hai chiesto però» fa, issandosi sui gomiti sul cuscino.
La mocciosa lo guarda, fra l'incuriosito e l'ironico. «Perché, per te cos'è la felicità, Tommaso?»
«La felicità sta nei dettagli. Nel caffè del sabato mattina, in mia madre che mi chiama per sapere come va col pub, nelle ragazze che gemono il mio nome 'oh, Tommaso, sì!'».
«Sei un porco» soffia Diana le guance che le si tingono di un rosso fuoco mentre le dita di Tommaso le accarezzano la gamba scoperta.
E Tommaso ride e intanto la bacia, quella buffa ragazzina senza speranze.
«E i tuoi?» le mormora all'orecchio.
Diana alza le spalle. «Dirò loro che ho dormito dalla Vale».
 
 
 
 
 
 
 
 
I'm so happy 'cause today
I found my friends
They're in my head
I'm so ugly, that's okay, 'cause so are you
We broke our mirrors
[Nirvana - Lithium]
 
A Filippo piace il gioco del ti ricordi.
«Ti ricordi la prima nostra prima canna?»
E Simo' ride, lì, su quel prato, e sembra di nuovo quel ragazzino in quella stanza di sei anni fa con i poster dei Nirvana attaccati al muro. «Tu eri completamente andato. Ti ricordi la torta che aveva cucinato tua madre?»
«Faceva schifo e l'avevamo dato al cane. Ti ricordi le vacanze in Liguria?»
«Era San Lorenzo, giusto? Era bello, là. Te lo ricordi il lungomare? Tu parlavi di stelle».
«Mi piacciono le stelle.»
Simo' lo fissa, sorride. «Anche a me».
Filippo si inumidisce le labbra, pensoso. «Era agosto!» dice, colto da una illuminazione improvvisa e Simo' fa un cenno con la testa.
«Tu indossavi quella maglietta a righe».
«Tu il cappello dei Linkin Park comprato al concerto! Era troppo ganzo».
E ci sono solo sguardi che s'incontrano e dita che si cercano.
Due ragazzi che amano, amano senza complemento oggetto, perché l'amore dev'essere libero, senza limitazioni, amanoamanoamano, che cosa? Le stelle, loro, il mondo, il lungomare in Liguria, la sabbia fra le dita, il vento che scompiglia i capelli.
Amano e basta, perché amare è una cosa così stramba e senza senso, che cercare di trovargliene uno è inutile e impossibile. Ci si può solo lasciar trascinare dal vento e stringersi nel cappotto per riscaldarsi e amare come si può, in grigio, in rosso, in verde perché poco importa come o cosa si ama alla fine.
Filippo decide che non gli importa che Simo' un po' ci sia e un po' non ci sia, che lo ami o forse no, perché in quel mondo non ci sono mai certezze e mai sì o no e tutto in mezzo, grigio chiaro o scuro.
Quindi Filippo lo bacia, lì, sul naso, poi sulle labbra.
«Anch'io» mormora.
Simo' lo guarda.
«Anch'io che?»
«Anch'io ti detesto»
Il vento di ottobre gli accarezza il viso.

 
Feels like I’m waken from the dead
And everyone’s been waitin’ on me
Least now I’ll never have to wonder
What it’s like to sleep a year away
[Paramore – Now]
 
 

 

   
 
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