ATTENZIONE:
In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza
mentale, stalking e abuso di minori* . Gli
avvenimenti narrati sono riportati in una realtà un
po’ diversa di The Vampires Diaries dove non si sono
verificati i seguenti eventi: la morte dei genitori di Elena,
l’incontro di Elena con i fratelli Salvatore, la morte di
Lexi, l’amicizia di Elena, Caroline e Bonnie.
(*) per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.
17.
Escamotage
Cosa ci facesse lì non è che gli fosse ben
chiaro,
semplicemente era giunto alla conclusione che avrebbe avuto bisogno di
tempo e
soprattutto spazio per rimuginare
sulle parole che aveva appreso quel pomeriggio al cimitero di Mystic
Falls.
Il Salvatore cacciò uno sguardo verso le gambe
fasciate dai jeans scoloriti e al paio di
mocassini che aveva ai piedi che galleggiavano nel vuoto
più assoluto
senza il ben che minimo senso di paura o vertigine da parte del vampiro.
La luce gialla del
semaforo smise di lampeggiare e passò ad un verde acceso
dando la possibilità
alle macchine di passare; ma di macchine in quella notte buia non ce
n’era
neanche l’ombra.
«Non sapevo che Tarzan
fosse arrivato in città»
La voce del fratello
ridestò Stefan dai suoi pensieri e con aria di sufficienza
scoccò una mezza
occhiata là sotto dove, con aria sogghignante, lo osservava
Damon con le
braccia strette al petto.
Il Salvatore sospirò
roteando gli occhi.
«Cosa vuoi, Damon?»
chiese quasi senza aspettarsi una risposta concreta. Dopotutto era di
Damon che
si stava parlando.
Il vampiro dagli occhi
azzurri schioccò la lingua indignato dalle parole del
fratello e allargò le
braccia in un gesto plateale facendo tintinnare le chiavi della
macchina riposte
nella tasca del giubbotto.
Stefan mormorò in tono
lamentoso un ora incomincia e si
preparò al peggio.
«Non mi sembra il
trattamento più opportuno da darmi dopo che non ti fai
sentire da un’intera
settimana e dopo che mi hai abbandonato – che ci
hai abbandonato – lasciando la pensione e una Caroline
– e
sottolineo Caroline, non so se ti
dice qualcosa questo nome? – completamente in lacrime; e
adesso tutto ciò che
hai da dirmi è un cosa vuoi, Damon»
concluse scimmiottando il fratello ed esprimendo la sua indignazione
calciando
il palo giallo sulla cui sommità stava Stefan, come un
monellaccio di strada
calcia un sassolino.
«Per non parlare del
grugno che ti sta comparendo in faccia. Hai mangiato tassi di recente?
No, sai
perché ho notato che nutrirsi di sangue animale ti porta a
comportarti come un
animale» sproloquiò il Salvatore
senza che facesse intendere a Stefan dove
volesse andare a parare. Non che Damon lo sapesse, comunque.
Stefan, anche se di malavoglia, sottostette al
gioco.
Si umettò lievemente le labbra e intrecciò le
dita
delle mani, con i gomiti poggiati sopra le ginocchia e le gambe ancora
a
penzoloni e poi cominciò.
«Perdonami per la mia incresciosa dimenticanza, ma
se non ti dispiacerebbe informarmi sulle cause che ti hanno spinto qui
all’incrocio tra la…7th Street e New Road, te ne
sarei davvero grato».
Così facendo, Stefan puntualizzò ruotando il capo
per accertarsi della corretta collocazione geografica e infine, con
aria
visibilmente più serena e meno cupa e austera, rivolse un
sorriso strafottente
al vampiro sottostante al quale la nota divertita del fratello non era
visibilmente piaciuta.
«Ti preferivo di più quando somigliavi ad un
tasso»
sputò con astio e scoccò una stilettata verso
l’alto del semaforo.
Basicamente Damon non sapeva del perché avesse
scelto di ritrovare suo fratello.
In effetti non che gli mancasse tanto, né tanto
meno Caroline si era disperata così come lui stesso aveva
raccontato. Anzi a
dire la verità l’ultima volta che aveva avuto un
rapporto ravvicinato con la
vampira stava tentando di ucciderla.
Ecco, quello
era il punto.
Uccidere Caroline.
Katherine.
Altre cose che urgevano la presenza di Stefan
Salvatore.
Quanto
odiava
ammetterlo.
Il Salvatore con un balzo raggiunse l’asta
orizzontale sulla quale era seduto il fratello pochi metri
più in là. Lo
squilibrio del peso maggiore che si andava ad aggiungere alla precaria
struttura fece oscillare il semaforo che tentennò sul verde
e sul giallo.
Per quel che importava a Stefan, quel semaforo
sarebbe potuto anche cadere, tanto di macchine per quella sera non ne
sarebbero
passate – almeno sperava.
Damon si acquattò non mostrando minimamente segni
di vertigine o di mancanza di equilibrio e con tutta calma
scrutò il fratello
con gli occhi azzurri che si ritrovava, forse un po’ rossi
per via dello stress
e della stanchezza in quei giorni.
Damon lo guardò come uno di quei barboni che si
guardano per strada, con sospetto, come se in realtà dietro
a tutta quella
messinscena vi fosse un’altra persona.
Stefan si lasciò guardare per poi farsi coraggio e
affrontare lo sguardo del fratello, inchiodando gli occhi a quelli del
Salvatore.
«Perché non torni a casa, fratello?»
mormorò con
tutta serietà Damon e Stefan fu costretto a tirare un
pesante sospiro, incapace
di poter esprimere a parole quello che aveva passato in quei sei giorni.
La luce verde del semaforo gli solleticò la gamba
e rischiarò un po’ il viso pallido rivolto verso
la carreggiata buia e deserta.
«Perché me l’hai detto tu di
andartene» si decise
a confessare, ma l’occhiata furente di Damon gli fece
intendere che la sua
copertura non era stata abbastanza, non per uno come Damon.
«Piantala di essere così melodrammatico.
Sai bene che io non ti ho detto di andartene, sei
stato tu che l’hai
fatto» sputò con
astio il vampiro fulminandolo con lo sguardo e allungando la mano per
afferrargli il colletto della maglietta grigia.
Stefan si lasciò strapazzare inerme pur non
abbassando la guardia e mantenendo sempre viva quella dose di orgoglio
tra gli
occhi verde cupo.
«Lei me
l’ha detto» buttò lì il
Salvatore e l’animo inquieto di Damon si placò per
un
minuto.
Abbandonò la presa intorno alla maglietta e si
passò una mano affrettata sopra gli occhi e poi sulle labbra
come se stesse
riflettendo su qualcosa. Poi facendo leva sulle ginocchia si
alzò e come un
bravo equilibrista si acquattò nuovamente questa volta per
sedersi al lato del
fratello, con un piede penzoloni e un’anca portata contro il
torace.
Il Salvatore dagli occhi blu si umettò le labbra e
schioccò più volte la lingua indeciso su come
iniziare il discorso. Che gli
mancassero le parole era un’idea che Stefan prese in
considerazione più volte
dati i vani tentativi del fratello di controbattere alla sua frase. Era
da
tempo che non lo vedeva così in difficoltà e
nonostante facesse di tutto per
non farlo notare era davvero esausto, i nervi tesi, i riflessi pronti.
Come se
stesse percorrendo una strada minata e ogni passo leggero avrebbe
significato
la morte o la vita.
C’era qualcosa che terrorizzava Damon al punto da
venire a cercarlo.
Nostalgia per loro era una parola sconosciuta.
«Quindi- se non fosse per lei ritorneresti a casa»
esordì finalmente Damon riuscendo a pronunciare quelle
quattro parole che per
tutto quel tempo aveva soppesato, calibrando
l’intensità e la pronuncia.
Adesso, ripetendoli ad alta voce non avevano
affatto quel tono rassicurante che Damon si era immaginato durante
tutto quel
tragitto per arrivare lì.
Adesso avevano un non so che di lugubre, come se
la lei in questione fosse il
carnefice quando in realtà era la vittima.
Stefan strinse forte la mascella.
«Non ritornerei a casa comunque, con lei o senza
di lei. E’ l’unico rifugio che ha e non le
permetterò di andarsene solo
perché…»
Quelle sue parole rimasero lì sospese, tra la 7th
Street e New Road, e dovettero scattare ben tre rossi prima che Damon
risollevasse gli occhi dall’asfalto nero come petrolio.
Inspirò nervosamente ed espirò con stizza,
scoccando stilettate verso il cielo buio, in direzione di un qualche
dio con
cui il Salvatore aveva a che fare in una maniera insolitamente
taciturna e
priva di bestemmie.
Doveva fare qualcosa per riportarlo indietro, per
convincerlo a tornare a casa.
L’immagine di Katherine famelica gli si arrampicò
per la mente.
«Perché cosa?» lo provocò a
quel punto il fratello
tanto da far tremare la precaria struttura in ferro.
Questa volta erano gli occhi verdi di Stefan ad
essersi staccati dalla strada sottostante.
«Perché ci sono io? Perché con me in
giro lei
potrebbe essere in pericolo? Dillo Stefan, dillo che sono un pessimo
soggetto
per lei, perché è questo che sono! Dici che
potrei ucciderla? Bene penso
proprio che questa volta tu abbia ragione»
Stefan assottigliò gli occhi interrompendo
perentoriamente il soliloquio del vampiro dagli occhi azzurri.
«Cosa intendi per questo?»
Damon boccheggiò per un secondo indeciso se
confessare il suo crimine o metterlo a tacere.
«Che c’ho provato! Ho provato ad ucciderla
perché
era questo che dovevamo fare, fin dal principio. Abbiamo accolto una
psicopatica in casa invece di eliminarla e tu…»
continuò Damon allungando il
braccio e puntando il fratello con un dito. Aveva del sapore amaro in
bocca, ma
era semplicemente il gusto di accuse e parole trattenute dentro per
troppi
anni, parole che nel corpo di un morto non possono far altro che
imputridire a
sua volta.
«Tu l’hai creata. Sei tu il mostro,
ma sai che ti dico, eh? Sai cosa ti dico fratellino, che
adesso i mostri sono due perché a te potrà pure
odiarti, certo, ma sono io
quello che l’ha abbracciata mentre cercava di piantargli un
paletto nella
schiena!»
Damon non riuscì a completare per intero la frase
che si ritrovò sbalzato dal semaforo, spinto
dall’urto del fratello e dai suoi
canini ben tesi a manifestare la furia cieca che albergava
nell’animo del
Salvatore.
Entrambi i vampiri ruzzolarono sull’asfalto rugoso
e ruvido e Damon non poté non lasciarsi scappare un sorriso
di sbieco notando
con tanta fierezza l’effetto che le sue parole avevano avuto
sulla personalità
del fratello, effetto che era riuscito a far destare Stefan dal suo
stato di
apatia mentale e di commiserazione.
Il vampiro strinse i pugni e un rumore di nocche
non fu sufficiente a far intendere al maggiore dei Salvatore gli
intenti del
suo avversario.
Stefan picchiò forte, duro, un colpo secco e
deciso che fece rivoltare il viso di Damon di lato sulla carreggiata
che si
macchiò dello sputo di sangue che il vampiro
gorgogliò dalla bocca.
«Coraggio, picchia. Sfogati» tossì
alzando la voce
gracchiante per incitare il fratello a continuare, ad affrontare la
situazione.
«Sei stato tu? Sei stato tu a trasformarla?»
latrò
ricordando le parole di Tyler e il racconto di quella notte
d’ospedale,
racconto che vedeva suo fratello al centro della scena.
Damon tossì evitando di slegarsi dalla presa
ferrea del fratello e pensò velocemente ad
un’idea, un escamotage che avrebbe
garantito la salvezza della vita: sua e di Caroline.
«Se ti fa piacere pensarlo sono stato io. Ma sappi
che non ho la più pallida idea di cosa tu stia
blaterando» dichiarò con voce
roca e strizzò gli occhi, pronto a ricevere un altro colpo.
Invece Stefan si bloccò. Il petto ansante, ma
privo di qualsiasi ringhio cupo era la conferma del ritorno di
lucidità del
vampiro così come il suo viso privo di
capillarità e i suoi occhi ritornati di
un verde acquoso.
Abbassò il pugno ed emise un ultimo sospiro, prima
di procedere con la spiegazione dati gli occhi leggermente sorpresi e
fuori
dalle rispettive cavità orbitali del fratello – il
quale non riusciva a capire
le intenzioni del fratello.
«Lei non può scappare dal mostro»
decretò il
Salvatore rigirandosi sull’asfalto bagnato e sentendo i
minuscoli cocci di
cemento conficcarsi dentro la schiena.
Damon distolse lo sguardo dal cielo notturno e
ruotò il capo fino a intercettare la sagoma del fratello a
pochi centimetri da
lui.
Il giallo del semaforo lampeggiò sopra di loro
ancora una volta e il cielo sembrò tramutarsi in chiarore
pallido e assolato.
«Quale mostro?» chiese il vampiro aggrottando le
sopracciglia nere e attendendo una spiegazione plausibile da Stefan,
dato che a
rigor di logica il fratello era totalmente all’oscuro della
condizione della
bionda alla pensione Salvatore e dei folli piani omicidi di Katherine.
Stefan non si scompose, fece una breve pausa e
Damon sudò freddo.
«Se stessa»
Socchiuse gli occhi e le immagini gli ritornarono
vivide in mente: i canini sporgenti, gli occhi neri e privi di luce, la
pazzia,
il terrore e la brava del sangue, il conflitto con se stessa, le unghie
affilate, il vomito.
Era lei il mostro da cui non sarebbe mai potuta
scappare e per quanto gli dispiacesse aver fatto parte del lavoro, la
colpa
della sua natura non poteva essere di certo attribuita totalmente a lui.
Lui non
l’aveva trasformata.
Damon si alzò a carponi e si passò il dorso della
mano per ripulirsi del sangue incrostato sul labbro. Il sapore del suo
sangue
gli faceva ribrezzo, era amaro ma la ferita non faceva male. Se la
meritava
anche se non era niente paragonato al male che in quei sei mesi si
erano fatti
a vicenda in silenzio sotto gli occhi insicuri di Caroline.
Per vincere quella partita a scacchi aveva bisogno
di un escamotage e il suo era Stefan.
«Torna a casa, fratello» buttò
lì il Salvatore
tendendo un braccio verso il fratello accovacciato sulla striscia
bianca di
mezzeria, quasi come se fosse in bilico su un filo. Era in bilico tra
il
passato e il futuro.
«Da lei?» chiese un po’ titubante
sollevando gli
occhi verdi arrossati, gonfi e annebbiati su quelli di Damon.
Il fratello deglutì come a voler inghiottire le
lacrime che Stefan avrebbe di lì a poco pianto. Fiumi di
orrori che gli
sarebbero scivolati via dagli occhi e avrebbero risanato qualche
brandello di
vita ancora in lui.
Come quando da bambini si sbucciavano un ginocchio
e la balia li lavava con acqua fresca.
Ma non ci sarebbe stata nessuna balia adesso,
nessun padre scorbutico e seccato dalle loro marachelle, solo lui, suo
fratello.
Damon inchiodò di rimando lo sguardo su Stefan e
aggrappò la mano del fratello risollevandolo
dall’asfalto fino a che non si
decise a mormorare
«Da me»
Rimasero lì abbracciati a consolarsi, a ritrovare
il loro legame tra fratelli per non seppero mai quanto tempo, fino a
che la
pallida luce verde del semaforo guasto non si spense del tutto.
Lo scricchiolio secco
dell’ennesima falange che si
spezzava indusse Caroline a distogliere per un momento
l’attenzione dalla sua
pelle delle spalle ustionata e contornata da piaghe rosso sangue mentre
la
pelle del viso era solleticata da una pianta dalle foglie e dai fiori
azzurrognoli i quali le procuravano scottature e scie di fuoco bollenti.
Un urlo durato chissà quanto tempo si smorzò
all’improvviso quasi come se la povera vampira bionda fosse
diventata atona,
quasi come se si fosse strappata le corde vocali
dall’interno. E l’avrebbe
fatto Caroline sul serio, si sarebbe cavata di dosso lingua, denti,
occhi,
faringe se quel mutilamento avrebbe garantito almeno
l’arresto del dolore
insopportabile che si espandeva in tutto il corpo a velocità
disumana e che
stava prosciugando ogni grammo di energia vitale contenuta nel suo
corpo.
«Scommetto che non sai neanche che cos’è
questa»
puntellò Katherine piegandosi sulle ginocchia esili e
maneggiando tra l’indice
e il pollice un ramoscello di quella pianta così tanto
attraente e così letale
agli occhi iniettati di sangue di Care.
La bionda tentò nuovamente di liberarsi dalle
manette che la tenevano incollata all’inferriata della
finestrella che si
apriva dietro di lei e che inondava la cella della luce densa del primo
mattino. All’ennesimo strattone però il polso di
Caroline cedette spezzandosi
irrimediabilmente e facendole digrignare i denti indolenziti.
Caroline per la sessantatreesima volta si arrese.
«Che cos’è?» chiese con un
filo di voce
gracchiante e la bocca completamente asciutta, non potendo far altro
che
sottostare al gioco malato della vampira malvagia.
Kate scoccò uno sguardo prima alla pianta e poi
alle goccioline di sudore che imperlavano la fronte e il collo della
vampira
fino all’incavatura del seno ansimante.
«Verbena definita in parole povere l’arma di
distruzione di massa per vampiri»
Caroline sgranò gli occhi con una punta di terrore
e all’ennesimo tocco di quelle foglie sulle sue guance le
urla si triplicarono,
tentando in tutti i modi possibili di allontanarsi dalle grinfie di
Katherine.
Bruciava. Caroline era in fiamme e non soltanto
per le spalle cotte dal sole e marchiate di strisce rosse e
sanguinolenti, né
per il viso escoriato da visibili piaghe rosse che le accartocciavano
la pelle
e le sfibravano i muscoli rendendola sempre più debole.
Bruciava dentro. Si
sentiva la bocca della stomaco arrovellarsi quasi come in un forno e la
gola,
già martoriata dalle grida, spessa e calda tanto che ogni
grumo di saliva che
inghiottiva era come un fiotto di lava e sangue che mandava
giù senza che la
sete fosse completamente saziata.
All’ennesimo dolore insostenibile la bionda cacciò
un urlo e piegò innaturalmente
la mano
destra tanto da far schioccare il mignolo spezzando la falange e
incurvandolo
quanto più poteva verso l’esterno.
«Per favore, smettila!» urlò non
riuscendo più a
sostenere, il dolore, il bruciore, la sete, la fame, le lacrime.
Katherine la guardò curiosamente lasciando
scivolare lo sguardo dapprima sulla fronte sudaticcia e livida di
Caroline e
poi sulle mani martoriate e ruvide.
«Non ti facevo così autolesionista»
constatò la
vampira inarcando un finissimo sopracciglio e facendo scorrere le dita
sottili
su quelle sformi della bionda.
Quel tocco fu sufficiente per spossare la povera
Caroline la quale reclinò il capo in avanti e le ciocche
color grano le
scivolarono intorno agli zigomi. Era esausta, ogni boccata di ossigeno
era una
nuova fitta di dolore che per le sue costole, per i muscoli ancora
tesi, per i
nervi ormai a fior di pelle. Si umettò le labbra indurite
come cartavetrata con
la lingua spessa e asciutta ma non ne trasse alcun giovamento. Per un
momento
se lo chiese, si chiese se fosse arrivata davvero la sua ora, se fosse
stato
possibile morire due volte. Ma c’era un piccolo pensiero che
le ronzava in
testa, complici anche le meningi che non cessavano il loro continuo
pulsare.
Che fosse dovuto al mal di testa, al senso di vertigini o no, Caroline
aveva un
quesito che non riusciva a risolvere e che si era presentato
prepotentemente in
lei già dal primo tocco di quella tortura da parte di
Katherine: cosa aveva
fatto per meritarsi questo? Più ci pensava più il
suo cervello andava in fiamme
e così la sua schiena frustata dai raggi solari ad
intermittenza.
Cosa aveva fatto per meritarsi questo?
Cosa?
E perché?
Perché?
Perché?
«Perché mi stai facendo questo?» chiese
con un filo
di voce riducendo gli occhi a due misere fessure, un po’ per
spossatezza un po’
per rabbia, quella stessa rabbia che le era ribollita dentro mentre
stava
acquattata in un angolo della soffitta buia.
Katherine volse il capo verso di lei e la guardò
incuriosita come se stesse guardando un animale da circo che
all’improvviso
avesse fatto uso della parola. Seppur con la vista annebbiata e i
capelli
davanti al viso Caroline riuscì a scorgere una Kate diversa,
non sadica ed
estremamente maligna che fino a poco prima l’aveva torturata
brutalmente, ma la
vampira che vedeva adesso aveva dipinto sul volto uno sguardo a dir
poco vitreo
a metà tra il terrorizzato e il compassionevole,
così come anche le labbra
gonfie semi socchiuse.
In effetti Katherine era da sempre stata
caratterizzata da questi violenti sbalzi, non che non fosse coerente
con se
stessa, semplicemente la sua personalità era quanto di
più simile ad un cubo di
Rubik, tante facce, tanti colori, tante combinazioni e nessuno riusciva
quantomeno a risolverne una. Era come se a volte venisse risucchiata
dai suoi
pensieri, come se si ritirasse in una stanza dentro di sé e
dietro quelle
quattro pareti pensava e rimuginava, attendendo il momento buono per
uscire
allo scoperto come una donnola. Era una parte piccola, forse anche
lontana
all’interno della sua mente, la sua tana.
La vampira riccioluta sbatté le folte ciglia come
se non avesse capito cosa Caroline intendesse dire. Per cui
sorvolò la sedia e
si posizionò davanti al corpo martoriato della bionda
intenzionata a sedersi
sulle gambe di Caroline per scrutarla meglio da vicino.
Emise un risolino che somigliava più un latrato e
Care si accorse che Katherine era tornata nuovamente allo scoperto.
«Ma come, dolce Caroline, non ti ricordi cosa ti
ho raccontato quella mattina quando eravamo nella vasca da bagno?
Eppure quella
storia sembrava averti turbato così tanto che temevo avessi
già intuito
qualcosa»
Si costruì un broncio in piena regola mentre gli
ingranaggi del cervello di Caroline cominciavano a mettersi in moto,
andando
indietro con i giorni fino a visualizzare quell’immagine
nitida nella sua
mente.
Il bagnoschiuma. Il vapore denso. L’acqua
bollente.
Penso
che ci
divertiremo, io, tu e i fratelli Salvatore.
Le ritornò in
mente la voce un po’ civettuola di Katherine
e il tono di voce le sembrò adesso cupo e minaccioso.
Ma i ricordi le rimbalzarono indietro e la scena
mutò velocemente, questa volta si trattava di Stefan e di
quando le aveva
raccontato del loro passato nel 1864.
E’
vero che un
tempo vivevate tutti e tre insieme come adesso viviamo noi?
La verità sopraggiunse dalla sua stessa domanda
fatta quel giorno di poche settimane prima al minore dei Salvatore.
Le pupille tremarono lievemente e la bionda
dovette ingoiare quel groppo amaro di stizza mista a terrore.
Un dito sottile aveva sfiorato mollemente il
profilo della mascella di Care per poi posarsi sulle labbra ruvide e
livide, un
po’ dischiuse.
Katherine si posizionò meglio sulle gambe della
vampira bionda e con fare lascivo avvicinò furtivamente le
proprie labbra all’incavo
della bocca di Caroline e il sospiro caldo e profumato fece irrigidire
la
bionda, accelerando i battiti cardiaci.
Kate le sfiorò la pelle con fare delicato
lasciando un lieve bacio sulla guancia unta e rigata di lacrime di
Caroline,
percorrendo poi all’incontrario la pelle del collo fino a
raggiungere
l’orecchio destro.
«Esatto mia piccola, Care. Tu, io e i fratelli
Salvatore. E questa grande casa. Sarei tornata molto volentieri a
vivere qui
come nel 1864.» Bisbigliò contro
l’orecchio di Caroline e un risolino acuto
seguì le sue parole mentre ritraeva le labbra dal lobo e
tornava a guardare la
vampira negli occhi. Caroline di tutta risposta le scoccò
uno sguardo torvo.
«Ma torno e cosa trovo? Stefan che si dispera per
una come te. E di me cosa restava? Non restava neanche un misero
ricordo.
Neanche quel pazzo di Damon.»
Schioccò furiosamente la lingua e le carezze e i
tocchi gentili lasciarono posto a una presa ferrea della mandibola.
Caroline
sentiva che le avrebbe potuto perforare le guance con le dita se solo
avesse
voluto.
La vampira bionda
scivolò dalla sua stretta e si
sporse in avanti sentendo la pelle sfibrarsi e i capillari intorno agli
occhi
pulsare così come le gengive esplodere e i canini fremere.
Spalancò la bocca
come un cane furioso a pochi centimetri dal viso della mora la quale
tuttavia
sembrò non destare il ben che minimo interesse alla furia.
Un ringhio cupo sgorgò dal petto di Caroline e
sembrò che qualcosa si fosse sbloccato. Si
ricordò di quando era bambina, la sensazione
nuova di essere ricoperti da una montagna di lenzuola, stracci,
piumoni,
coperte di ogni tipo in quelle lunghe e gelide notti
d’inverno, di come si era
sentita soffocare, pressare dal peso di quell’ammasso di
tessuti e poi la
leggerezza, il riaffiorare tra i cuscini e la sensazione che ogni cosa
che si
guarda sia diversa. Anche l’aria sembra essere più
buona.
Così si era sentita Caroline, schiacciata da un
immondo ammasso di ricordi, paure, manipolazioni, sentimenti, legami e
il tutto
avrebbe finito per farla soccombere se lei non fosse riuscita ad
evadere, con
le unghie e con i denti a scostare definitivamente la tenda che aveva
reso il
mondo così ovattato.
Katherine attorcigliò le sue dita attorno alle
ciocche bionde di lei e tirò forte affinché il
viso della bionda fosse rivolto
verso i suoi occhi.
«Ti piace farti del male vero?» sputò
alludendo
alle falangi rotte che in quel lasso di tempo si erano finalmente
ricostruite.
Puntò gli occhi nocciola su quelli color giada di
Care e le pupille si dilatarono a dismisura facendo in modo che
l’ordine
radicasse nella più profonda voragine della sua psiche.
«Ti romperai volontariamente ogni osso del tuo
corpo fino allo sfinimento» decretò Kate lasciando
andare i capelli della
vampira.
Quel giorno le urla di Caroline nello scantinato
della pensione raggiunsero persino l’ufficio dello sceriffo
Forbes.
Salve
caro popolo di efp,
è vero avevo
detto di aggiornare presto eppure non
l’ho fatto. Tuttavia spero che accettiate comunque il
capitolo che vi ricordo essere
il penultimo prima della fine e dell’epilogo – sob.
Ad ogni modo, in questo
capitolo mi sono voluta concedere un sano momento Salvatore anche se
non
sappiamo fin quando può durare questa tregua tra fratelli
(vi ricordo che
ancora Damon non ha confessato interamente le sue malefatte al fratello
– vedasi
morte di Lexi) ma per adesso cooperano per un fine comune che
è quello di
salvare Caroline dalle grinfie di Katherine. Alla fine Stefan si
aggrappa al
fratello perché è di questo che ha bisogno e
tutto succede lì in quell’incrocio
come a voler simboleggiare una pausa da tutto il resto. Per quanto
riguarda
Caroline è stata straziante descriverla in quelle condizioni
e so bene che l’odio
nei confronti di Katherine sta crescendo sempre di più, ma
per lo meno si è
scoperto cosa vuole la vampira e cioè casa Salvatore
avvalendosi di quella
promessa che Stefan gli aveva fatto a suo tempo. Caroline sebbene sia
nel suo
momento peggiore è riuscita a ripescare la forza e la
sicurezza che aveva
perso, è come se fosse uscita dal suo bozzolo e adesso fosse
pronta alla sua
nuova vita da vampiro. In parole povere è la metamorfosi che
Cosa avranno in mente i
due fratelli per salvare
Caroline? E la nuova Caroline come sosterrà il tutto e
soprattutto come
ripagherà la sua vecchia amica Katherine?
Non posso credere di
essere arrivata alla fine
della storia.
Vi ringrazio per averla
seguita dall’inizio fino
alla fine (spero).
Un bacio e alla prossima.
Sil