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Autore: d r e e m    06/10/2013    2 recensioni
E’ il silenzio l’unico sovrano di casa Salvatore. Unica regola: non menzionare mai ciò che è successo undici anni prima, soprattutto in sua presenza. Una storia di legami ritrovati, di ricordi amari pronti a ricomparire, di amicizie fraterne, di ferite ancora aperte, di amori pronti a tutto. Anche se urla si levano nel cuore della notte, sangue macchia le pareti delle stanze, fantasmi del passato ritornano alla luce, nessun problema: stanno bene, sono tutti felici.
Dal Prologo:
«Tu menti!» gridò e affondò le unghie sul collo della vampira che un tempo aveva amato con l’intento di farla tacere per sempre.
«So il nome-» gracchiò con quel filo di voce che le rimaneva «- so il nome della bambina».
Quelle parole scossero Stefan che lasciò subito la presa.
«Caroline, Caroline Forbes»

Dal capitolo 14:
C’era una strana sensazione che gli pervadeva il corpo - e non era solo nel sogno.
Il terreno sembrava trasudare quel siero, imbrattando di rosso tutto ciò che incontrava.
C’era un pregnante odore di ruggine tra le pareti di casa Salvatore, sui vestiti candidi di Stefan.
C’era del sangue sul collo niveo di Caroline, tanto sangue sulle labbra a mezza luna di una Katherine moderna.
E poi c’era il mostro e con esso anche la fame – di lei.
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Caroline Forbes, Damon Salvatore, Katherine Pierce, Stefan Salvatore
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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ATTENZIONE: In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza mentale, stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti narrati sono riportati in una realtà un po’ diversa di The Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti eventi: la morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena con i fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di Elena, Caroline e Bonnie.

(*) per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.

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17. Escamotage

Il piede di Stefan si mosse leggermente andando a cozzare con il semaforo al di sotto di lui e facendo oscillare la precaria struttura in metallo giallo sulla quale era rimasto appollaiato per più di tre ore.
Cosa ci facesse lì non è che gli fosse ben chiaro, semplicemente era giunto alla conclusione che avrebbe avuto bisogno di tempo e soprattutto spazio per rimuginare sulle parole che aveva appreso quel pomeriggio al cimitero di Mystic Falls.
Il Salvatore cacciò uno sguardo verso le gambe fasciate dai jeans scoloriti e al paio di  mocassini che aveva ai piedi che galleggiavano nel vuoto più assoluto senza il ben che minimo senso di paura o vertigine da parte del vampiro.
La luce gialla del semaforo smise di lampeggiare e passò ad un verde acceso dando la possibilità alle macchine di passare; ma di macchine in quella notte buia non ce n’era neanche l’ombra.
«Non sapevo che Tarzan fosse arrivato in città»
La voce del fratello ridestò Stefan dai suoi pensieri e con aria di sufficienza scoccò una mezza occhiata là sotto dove, con aria sogghignante, lo osservava Damon con le braccia strette al petto.
Il Salvatore sospirò roteando gli occhi.
«Cosa vuoi, Damon?» chiese quasi senza aspettarsi una risposta concreta. Dopotutto era di Damon che si stava parlando.
Il vampiro dagli occhi azzurri schioccò la lingua indignato dalle parole del fratello e allargò le braccia in un gesto plateale facendo tintinnare le chiavi della macchina riposte nella tasca del giubbotto.
Stefan mormorò in tono lamentoso un ora incomincia e si preparò al peggio.
«Non mi sembra il trattamento più opportuno da darmi dopo che non ti fai sentire da un’intera settimana e dopo che mi hai abbandonato – che ci hai abbandonato – lasciando la pensione e una Caroline – e sottolineo Caroline, non so se ti dice qualcosa questo nome? – completamente in lacrime; e adesso tutto ciò che hai da dirmi è un cosa vuoi, Damon» concluse scimmiottando il fratello ed esprimendo la sua indignazione calciando il palo giallo sulla cui sommità stava Stefan, come un monellaccio di strada calcia un sassolino.
«Per non parlare del grugno che ti sta comparendo in faccia. Hai mangiato tassi di recente? No, sai perché ho notato che nutrirsi di sangue animale ti porta a comportarti come un animale» sproloquiò il Salvatore senza che facesse intendere a Stefan dove volesse andare a parare. Non che Damon lo sapesse, comunque.
Stefan, anche se di malavoglia, sottostette al gioco.
Si umettò lievemente le labbra e intrecciò le dita delle mani, con i gomiti poggiati sopra le ginocchia e le gambe ancora a penzoloni e poi cominciò.
«Perdonami per la mia incresciosa dimenticanza, ma se non ti dispiacerebbe informarmi sulle cause che ti hanno spinto qui all’incrocio tra la…7th Street e New Road, te ne sarei davvero grato».
Così facendo, Stefan puntualizzò ruotando il capo per accertarsi della corretta collocazione geografica e infine, con aria visibilmente più serena e meno cupa e austera, rivolse un sorriso strafottente al vampiro sottostante al quale la nota divertita del fratello non era visibilmente piaciuta.
«Ti preferivo di più quando somigliavi ad un tasso» sputò con astio e scoccò una stilettata verso l’alto del semaforo.
Basicamente Damon non sapeva del perché avesse scelto di ritrovare suo fratello.
In effetti non che gli mancasse tanto, né tanto meno Caroline si era disperata così come lui stesso aveva raccontato. Anzi a dire la verità l’ultima volta che aveva avuto un rapporto ravvicinato con la vampira stava tentando di ucciderla.
Ecco, quello era il punto.
Uccidere Caroline.
Katherine.
Altre cose che urgevano la presenza di Stefan Salvatore.

Quanto odiava ammetterlo.
Il Salvatore con un balzo raggiunse l’asta orizzontale sulla quale era seduto il fratello pochi metri più in là. Lo squilibrio del peso maggiore che si andava ad aggiungere alla precaria struttura fece oscillare il semaforo che tentennò sul verde e sul giallo.
Per quel che importava a Stefan, quel semaforo sarebbe potuto anche cadere, tanto di macchine per quella sera non ne sarebbero passate – almeno sperava.
Damon si acquattò non mostrando minimamente segni di vertigine o di mancanza di equilibrio e con tutta calma scrutò il fratello con gli occhi azzurri che si ritrovava, forse un po’ rossi per via dello stress e della stanchezza in quei giorni.
Damon lo guardò come uno di quei barboni che si guardano per strada, con sospetto, come se in realtà dietro a tutta quella messinscena vi fosse un’altra persona.
Stefan si lasciò guardare per poi farsi coraggio e affrontare lo sguardo del fratello, inchiodando gli occhi a quelli del Salvatore.
«Perché non torni a casa, fratello?» mormorò con tutta serietà Damon e Stefan fu costretto a tirare un pesante sospiro, incapace di poter esprimere a parole quello che aveva passato in quei sei giorni.
La luce verde del semaforo gli solleticò la gamba e rischiarò un po’ il viso pallido rivolto verso la carreggiata buia e deserta.
«Perché me l’hai detto tu di andartene» si decise a confessare, ma l’occhiata furente di Damon gli fece intendere che la sua copertura non era stata abbastanza, non per uno come Damon.
«Piantala di essere così melodrammatico. Sai bene che io non ti ho detto di andartene, sei stato tu che l’hai fatto» sputò con astio il vampiro fulminandolo con lo sguardo e allungando la mano per afferrargli il colletto della maglietta grigia.
Stefan si lasciò strapazzare inerme pur non abbassando la guardia e mantenendo sempre viva quella dose di orgoglio tra gli occhi verde cupo.
«Lei me l’ha detto» buttò lì il Salvatore e l’animo inquieto di Damon si placò per un minuto.
Abbandonò la presa intorno alla maglietta e si passò una mano affrettata sopra gli occhi e poi sulle labbra come se stesse riflettendo su qualcosa. Poi facendo leva sulle ginocchia si alzò e come un bravo equilibrista si acquattò nuovamente questa volta per sedersi al lato del fratello, con un piede penzoloni e un’anca portata contro il torace.
Il Salvatore dagli occhi blu si umettò le labbra e schioccò più volte la lingua indeciso su come iniziare il discorso. Che gli mancassero le parole era un’idea che Stefan prese in considerazione più volte dati i vani tentativi del fratello di controbattere alla sua frase. Era da tempo che non lo vedeva così in difficoltà e nonostante facesse di tutto per non farlo notare era davvero esausto, i nervi tesi, i riflessi pronti. Come se stesse percorrendo una strada minata e ogni passo leggero avrebbe significato la morte o la vita.
C’era qualcosa che terrorizzava Damon al punto da venire a cercarlo.
Nostalgia per loro era una parola sconosciuta.
«Quindi- se non fosse per lei ritorneresti a casa» esordì finalmente Damon riuscendo a pronunciare quelle quattro parole che per tutto quel tempo aveva soppesato, calibrando l’intensità e la pronuncia.
Adesso, ripetendoli ad alta voce non avevano affatto quel tono rassicurante che Damon si era immaginato durante tutto quel tragitto per arrivare lì.
Adesso avevano un non so che di lugubre, come se la lei in questione fosse il carnefice quando in realtà era la vittima.
Stefan strinse forte la mascella.
«Non ritornerei a casa comunque, con lei o senza di lei. E’ l’unico rifugio che ha e non le permetterò di andarsene solo perché…»
Quelle sue parole rimasero lì sospese, tra la 7th Street e New Road, e dovettero scattare ben tre rossi prima che Damon risollevasse gli occhi dall’asfalto nero come petrolio.
Inspirò nervosamente ed espirò con stizza, scoccando stilettate verso il cielo buio, in direzione di un qualche dio con cui il Salvatore aveva a che fare in una maniera insolitamente taciturna e priva di bestemmie.
Doveva fare qualcosa per riportarlo indietro, per convincerlo a tornare a casa.
L’immagine di Katherine famelica gli si arrampicò per la mente.
«Perché cosa?» lo provocò a quel punto il fratello tanto da far tremare la precaria struttura in ferro.
Questa volta erano gli occhi verdi di Stefan ad essersi staccati dalla strada sottostante.
«Perché ci sono io? Perché con me in giro lei potrebbe essere in pericolo? Dillo Stefan, dillo che sono un pessimo soggetto per lei, perché è questo che sono! Dici che potrei ucciderla? Bene penso proprio che questa volta tu abbia ragione»
Stefan assottigliò gli occhi interrompendo perentoriamente il soliloquio del vampiro dagli occhi azzurri.
«Cosa intendi per questo?»
Damon boccheggiò per un secondo indeciso se confessare il suo crimine o metterlo a tacere.
«Che c’ho provato! Ho provato ad ucciderla perché era questo che dovevamo fare, fin dal principio. Abbiamo accolto una psicopatica in casa invece di eliminarla e tu…» continuò Damon allungando il braccio e puntando il fratello con un dito. Aveva del sapore amaro in bocca, ma era semplicemente il gusto di accuse e parole trattenute dentro per troppi anni, parole che nel corpo di un morto non possono far altro che imputridire a sua volta.
«Tu l’hai creata. Sei tu il mostro, ma sai che ti dico, eh? Sai cosa ti dico fratellino, che adesso i mostri sono due perché a te potrà pure odiarti, certo, ma sono io quello che l’ha abbracciata mentre cercava di piantargli un paletto nella schiena!»
Damon non riuscì a completare per intero la frase che si ritrovò sbalzato dal semaforo, spinto dall’urto del fratello e dai suoi canini ben tesi a manifestare la furia cieca che albergava nell’animo del Salvatore.
Entrambi i vampiri ruzzolarono sull’asfalto rugoso e ruvido e Damon non poté non lasciarsi scappare un sorriso di sbieco notando con tanta fierezza l’effetto che le sue parole avevano avuto sulla personalità del fratello, effetto che era riuscito a far destare Stefan dal suo stato di apatia mentale e di commiserazione.
Il vampiro strinse i pugni e un rumore di nocche non fu sufficiente a far intendere al maggiore dei Salvatore gli intenti del suo avversario.
Stefan picchiò forte, duro, un colpo secco e deciso che fece rivoltare il viso di Damon di lato sulla carreggiata che si macchiò dello sputo di sangue che il vampiro gorgogliò dalla bocca.
«Coraggio, picchia. Sfogati» tossì alzando la voce gracchiante per incitare il fratello a continuare, ad affrontare la situazione.
«Sei stato tu? Sei stato tu a trasformarla?» latrò ricordando le parole di Tyler e il racconto di quella notte d’ospedale, racconto che vedeva suo fratello al centro della scena.
Damon tossì evitando di slegarsi dalla presa ferrea del fratello e pensò velocemente ad un’idea, un escamotage che avrebbe garantito la salvezza della vita: sua e di Caroline.
«Se ti fa piacere pensarlo sono stato io. Ma sappi che non ho la più pallida idea di cosa tu stia blaterando» dichiarò con voce roca e strizzò gli occhi, pronto a ricevere un altro colpo.
Invece Stefan si bloccò. Il petto ansante, ma privo di qualsiasi ringhio cupo era la conferma del ritorno di lucidità del vampiro così come il suo viso privo di capillarità e i suoi occhi ritornati di un verde acquoso.
Abbassò il pugno ed emise un ultimo sospiro, prima di procedere con la spiegazione dati gli occhi leggermente sorpresi e fuori dalle rispettive cavità orbitali del fratello – il quale non riusciva a capire le intenzioni del fratello.
«Lei non può scappare dal mostro» decretò il Salvatore rigirandosi sull’asfalto bagnato e sentendo i minuscoli cocci di cemento conficcarsi dentro la schiena.
Damon distolse lo sguardo dal cielo notturno e ruotò il capo fino a intercettare la sagoma del fratello a pochi centimetri da lui.
Il giallo del semaforo lampeggiò sopra di loro ancora una volta e il cielo sembrò tramutarsi in chiarore pallido e assolato.
«Quale mostro?» chiese il vampiro aggrottando le sopracciglia nere e attendendo una spiegazione plausibile da Stefan, dato che a rigor di logica il fratello era totalmente all’oscuro della condizione della bionda alla pensione Salvatore e dei folli piani omicidi di Katherine.
Stefan non si scompose, fece una breve pausa e Damon sudò freddo.
«Se stessa»
Socchiuse gli occhi e le immagini gli ritornarono vivide in mente: i canini sporgenti, gli occhi neri e privi di luce, la pazzia, il terrore e la brava del sangue, il conflitto con se stessa, le unghie affilate, il vomito.
Era lei il mostro da cui non sarebbe mai potuta scappare e per quanto gli dispiacesse aver fatto parte del lavoro, la colpa della sua natura non poteva essere di certo attribuita totalmente a lui.
Lui non l’aveva trasformata.
Damon si alzò a carponi e si passò il dorso della mano per ripulirsi del sangue incrostato sul labbro. Il sapore del suo sangue gli faceva ribrezzo, era amaro ma la ferita non faceva male. Se la meritava anche se non era niente paragonato al male che in quei sei mesi si erano fatti a vicenda in silenzio sotto gli occhi insicuri di Caroline.
Per vincere quella partita a scacchi aveva bisogno di un escamotage e il suo era Stefan.
«Torna a casa, fratello» buttò lì il Salvatore tendendo un braccio verso il fratello accovacciato sulla striscia bianca di mezzeria, quasi come se fosse in bilico su un filo. Era in bilico tra il passato e il futuro.
«Da lei?» chiese un po’ titubante sollevando gli occhi verdi arrossati, gonfi e annebbiati su quelli di Damon.
Il fratello deglutì come a voler inghiottire le lacrime che Stefan avrebbe di lì a poco pianto. Fiumi di orrori che gli sarebbero scivolati via dagli occhi e avrebbero risanato qualche brandello di vita ancora in lui.
Come quando da bambini si sbucciavano un ginocchio e la balia li lavava con acqua fresca.
Ma non ci sarebbe stata nessuna balia adesso, nessun padre scorbutico e seccato dalle loro marachelle, solo lui, suo fratello.
Damon inchiodò di rimando lo sguardo su Stefan e aggrappò la mano del fratello risollevandolo dall’asfalto fino a che non si decise a mormorare
«Da me»
Rimasero lì abbracciati a consolarsi, a ritrovare il loro legame tra fratelli per non seppero mai quanto tempo, fino a che la pallida luce verde del semaforo guasto non si spense del tutto.

 

 

Lo scricchiolio secco dell’ennesima falange che si spezzava indusse Caroline a distogliere per un momento l’attenzione dalla sua pelle delle spalle ustionata e contornata da piaghe rosso sangue mentre la pelle del viso era solleticata da una pianta dalle foglie e dai fiori azzurrognoli i quali le procuravano scottature e scie di fuoco bollenti.
Un urlo durato chissà quanto tempo si smorzò all’improvviso quasi come se la povera vampira bionda fosse diventata atona, quasi come se si fosse strappata le corde vocali dall’interno. E l’avrebbe fatto Caroline sul serio, si sarebbe cavata di dosso lingua, denti, occhi, faringe se quel mutilamento avrebbe garantito almeno l’arresto del dolore insopportabile che si espandeva in tutto il corpo a velocità disumana e che stava prosciugando ogni grammo di energia vitale contenuta nel suo corpo.
«Scommetto che non sai neanche che cos’è questa» puntellò Katherine piegandosi sulle ginocchia esili e maneggiando tra l’indice e il pollice un ramoscello di quella pianta così tanto attraente e così letale agli occhi iniettati di sangue di Care.
La bionda tentò nuovamente di liberarsi dalle manette che la tenevano incollata all’inferriata della finestrella che si apriva dietro di lei e che inondava la cella della luce densa del primo mattino. All’ennesimo strattone però il polso di Caroline cedette spezzandosi irrimediabilmente e facendole digrignare i denti indolenziti.
Caroline per la sessantatreesima volta si arrese.
«Che cos’è?» chiese con un filo di voce gracchiante e la bocca completamente asciutta, non potendo far altro che sottostare al gioco malato della vampira malvagia.
Kate scoccò uno sguardo prima alla pianta e poi alle goccioline di sudore che imperlavano la fronte e il collo della vampira fino all’incavatura del seno ansimante.
«Verbena definita in parole povere l’arma di distruzione di massa per vampiri»
Caroline sgranò gli occhi con una punta di terrore e all’ennesimo tocco di quelle foglie sulle sue guance le urla si triplicarono, tentando in tutti i modi possibili di allontanarsi dalle grinfie di Katherine.
Bruciava. Caroline era in fiamme e non soltanto per le spalle cotte dal sole e marchiate di strisce rosse e sanguinolenti, né per il viso escoriato da visibili piaghe rosse che le accartocciavano la pelle e le sfibravano i muscoli rendendola sempre più debole. Bruciava dentro. Si sentiva la bocca della stomaco arrovellarsi quasi come in un forno e la gola, già martoriata dalle grida, spessa e calda tanto che ogni grumo di saliva che inghiottiva era come un fiotto di lava e sangue che mandava giù senza che la sete fosse completamente saziata.
All’ennesimo dolore insostenibile la bionda cacciò un urlo e piegò innaturalmente  la mano destra tanto da far schioccare il mignolo spezzando la falange e incurvandolo quanto più poteva verso l’esterno.
«Per favore, smettila!» urlò non riuscendo più a sostenere, il dolore, il bruciore, la sete, la fame, le lacrime.
Katherine la guardò curiosamente lasciando scivolare lo sguardo dapprima sulla fronte sudaticcia e livida di Caroline e poi sulle mani martoriate e ruvide.
«Non ti facevo così autolesionista» constatò la vampira inarcando un finissimo sopracciglio e facendo scorrere le dita sottili su quelle sformi della bionda.
Quel tocco fu sufficiente per spossare la povera Caroline la quale reclinò il capo in avanti e le ciocche color grano le scivolarono intorno agli zigomi. Era esausta, ogni boccata di ossigeno era una nuova fitta di dolore che per le sue costole, per i muscoli ancora tesi, per i nervi ormai a fior di pelle. Si umettò le labbra indurite come cartavetrata con la lingua spessa e asciutta ma non ne trasse alcun giovamento. Per un momento se lo chiese, si chiese se fosse arrivata davvero la sua ora, se fosse stato possibile morire due volte. Ma c’era un piccolo pensiero che le ronzava in testa, complici anche le meningi che non cessavano il loro continuo pulsare. Che fosse dovuto al mal di testa, al senso di vertigini o no, Caroline aveva un quesito che non riusciva a risolvere e che si era presentato prepotentemente in lei già dal primo tocco di quella tortura da parte di Katherine: cosa aveva fatto per meritarsi questo? Più ci pensava più il suo cervello andava in fiamme e così la sua schiena frustata dai raggi solari ad intermittenza.
Cosa aveva fatto per meritarsi questo?
Cosa?
E perché?
Perché?
Perché?
«Perché mi stai facendo questo?» chiese con un filo di voce riducendo gli occhi a due misere fessure, un po’ per spossatezza un po’ per rabbia, quella stessa rabbia che le era ribollita dentro mentre stava acquattata in un angolo della soffitta buia.
Katherine volse il capo verso di lei e la guardò incuriosita come se stesse guardando un animale da circo che all’improvviso avesse fatto uso della parola. Seppur con la vista annebbiata e i capelli davanti al viso Caroline riuscì a scorgere una Kate diversa, non sadica ed estremamente maligna che fino a poco prima l’aveva torturata brutalmente, ma la vampira che vedeva adesso aveva dipinto sul volto uno sguardo a dir poco vitreo a metà tra il terrorizzato e il compassionevole, così come anche le labbra gonfie semi socchiuse.
In effetti Katherine era da sempre stata caratterizzata da questi violenti sbalzi, non che non fosse coerente con se stessa, semplicemente la sua personalità era quanto di più simile ad un cubo di Rubik, tante facce, tanti colori, tante combinazioni e nessuno riusciva quantomeno a risolverne una. Era come se a volte venisse risucchiata dai suoi pensieri, come se si ritirasse in una stanza dentro di sé e dietro quelle quattro pareti pensava e rimuginava, attendendo il momento buono per uscire allo scoperto come una donnola. Era una parte piccola, forse anche lontana all’interno della sua mente, la sua tana.
La vampira riccioluta sbatté le folte ciglia come se non avesse capito cosa Caroline intendesse dire. Per cui sorvolò la sedia e si posizionò davanti al corpo martoriato della bionda intenzionata a sedersi sulle gambe di Caroline per scrutarla meglio da vicino.
Emise un risolino che somigliava più un latrato e Care si accorse che Katherine era tornata nuovamente allo scoperto.
«Ma come, dolce Caroline, non ti ricordi cosa ti ho raccontato quella mattina quando eravamo nella vasca da bagno? Eppure quella storia sembrava averti turbato così tanto che temevo avessi già intuito qualcosa»
Si costruì un broncio in piena regola mentre gli ingranaggi del cervello di Caroline cominciavano a mettersi in moto, andando indietro con i giorni fino a visualizzare quell’immagine nitida nella sua mente.
Il bagnoschiuma. Il vapore denso. L’acqua bollente.

Penso che ci divertiremo, io, tu e i fratelli Salvatore.
Le ritornò in mente la voce un po’ civettuola di Katherine e il tono di voce le sembrò adesso cupo e minaccioso.
Ma i ricordi le rimbalzarono indietro e la scena mutò velocemente, questa volta si trattava di Stefan e di quando le aveva raccontato del loro passato nel 1864.

E’ vero che un tempo vivevate tutti e tre insieme come adesso viviamo noi?
La verità sopraggiunse dalla sua stessa domanda fatta quel giorno di poche settimane prima al minore dei Salvatore.
Le pupille tremarono lievemente e la bionda dovette ingoiare quel groppo amaro di stizza mista a terrore.
Un dito sottile aveva sfiorato mollemente il profilo della mascella di Care per poi posarsi sulle labbra ruvide e livide, un po’ dischiuse.
Katherine si posizionò meglio sulle gambe della vampira bionda e con fare lascivo avvicinò furtivamente le proprie labbra all’incavo della bocca di Caroline e il sospiro caldo e profumato fece irrigidire la bionda, accelerando i battiti cardiaci.
Kate le sfiorò la pelle con fare delicato lasciando un lieve bacio sulla guancia unta e rigata di lacrime di Caroline, percorrendo poi all’incontrario la pelle del collo fino a raggiungere l’orecchio destro.
«Esatto mia piccola, Care. Tu, io e i fratelli Salvatore. E questa grande casa. Sarei tornata molto volentieri a vivere qui come nel 1864.» Bisbigliò contro l’orecchio di Caroline e un risolino acuto seguì le sue parole mentre ritraeva le labbra dal lobo e tornava a guardare la vampira negli occhi. Caroline di tutta risposta le scoccò uno sguardo torvo.
«Ma torno e cosa trovo? Stefan che si dispera per una come te. E di me cosa restava? Non restava neanche un misero ricordo. Neanche quel pazzo di Damon.»
Schioccò furiosamente la lingua e le carezze e i tocchi gentili lasciarono posto a una presa ferrea della mandibola. Caroline sentiva che le avrebbe potuto perforare le guance con le dita se solo avesse voluto.

La vampira bionda scivolò dalla sua stretta e si sporse in avanti sentendo la pelle sfibrarsi e i capillari intorno agli occhi pulsare così come le gengive esplodere e i canini fremere. Spalancò la bocca come un cane furioso a pochi centimetri dal viso della mora la quale tuttavia sembrò non destare il ben che minimo interesse alla furia.
Un ringhio cupo sgorgò dal petto di Caroline e sembrò che qualcosa si fosse sbloccato. Si ricordò di quando era bambina, la sensazione nuova di essere ricoperti da una montagna di lenzuola, stracci, piumoni, coperte di ogni tipo in quelle lunghe e gelide notti d’inverno, di come si era sentita soffocare, pressare dal peso di quell’ammasso di tessuti e poi la leggerezza, il riaffiorare tra i cuscini e la sensazione che ogni cosa che si guarda sia diversa. Anche l’aria sembra essere più buona.
Così si era sentita Caroline, schiacciata da un immondo ammasso di ricordi, paure, manipolazioni, sentimenti, legami e il tutto avrebbe finito per farla soccombere se lei non fosse riuscita ad evadere, con le unghie e con i denti a scostare definitivamente la tenda che aveva reso il mondo così ovattato.
Katherine attorcigliò le sue dita attorno alle ciocche bionde di lei e tirò forte affinché il viso della bionda fosse rivolto verso i suoi occhi.
«Ti piace farti del male vero?» sputò alludendo alle falangi rotte che in quel lasso di tempo si erano finalmente ricostruite.
Puntò gli occhi nocciola su quelli color giada di Care e le pupille si dilatarono a dismisura facendo in modo che l’ordine radicasse nella più profonda voragine della sua psiche.
«Ti romperai volontariamente ogni osso del tuo corpo fino allo sfinimento» decretò Kate lasciando andare i capelli della vampira.
Quel giorno le urla di Caroline nello scantinato della pensione raggiunsero persino l’ufficio dello sceriffo Forbes.

 ***

Salve caro popolo di efp,
è vero avevo detto di aggiornare presto eppure non l’ho fatto. Tuttavia spero che accettiate comunque il capitolo che vi ricordo essere il penultimo prima della fine e dell’epilogo – sob. Ad ogni modo, in questo capitolo mi sono voluta concedere un sano momento Salvatore anche se non sappiamo fin quando può durare questa tregua tra fratelli (vi ricordo che ancora Damon non ha confessato interamente le sue malefatte al fratello – vedasi morte di Lexi) ma per adesso cooperano per un fine comune che è quello di salvare Caroline dalle grinfie di Katherine. Alla fine Stefan si aggrappa al fratello perché è di questo che ha bisogno e tutto succede lì in quell’incrocio come a voler simboleggiare una pausa da tutto il resto. Per quanto riguarda Caroline è stata straziante descriverla in quelle condizioni e so bene che l’odio nei confronti di Katherine sta crescendo sempre di più, ma per lo meno si è scoperto cosa vuole la vampira e cioè casa Salvatore avvalendosi di quella promessa che Stefan gli aveva fatto a suo tempo. Caroline sebbene sia nel suo momento peggiore è riuscita a ripescare la forza e la sicurezza che aveva perso, è come se fosse uscita dal suo bozzolo e adesso fosse pronta alla sua nuova vita da vampiro. In parole povere è la metamorfosi che la Caroline del telefilm ha avuto un po’ di tempo fa e che nella storia avete visto in maniera graduale e introspettiva.
Cosa avranno in mente i due fratelli per salvare Caroline? E la nuova Caroline come sosterrà il tutto e soprattutto come ripagherà la sua vecchia amica Katherine?
Non posso credere di essere arrivata alla fine della storia.
Vi ringrazio per averla seguita dall’inizio fino alla fine (spero).
Un bacio e alla prossima.
Sil

   
 
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